La doccia fredda è arrivata lunedì, in tarda serata, dalla commissione bilancio del Senato. A quanto si è appreso, infatti, sono stati bocciati gli emendamenti che prevedevano la proroga, anche per il 2020, della cedolare secca al 21% sugli affitti commerciali.
L’aliquota agevolata era stata introdotta dalla legge di bilancio 2019 anche per i contratti di locazione commerciale stipulati l’anno precedente e confermata, inizialmente, per il 2020. A poco meno di un anno di distanza, però, oltre all’Esecutivo sembrano essere mutate anche le priorità.
Colpiti da questo inaspettato cambio di rotta tanto i proprietari di immobili che i mediatori immobiliari.
«Si tratta di una decisione sorprendente. La misura era condivisa da tutte le forze politiche: l’hanno varata il Movimento 5 Stelle e la Lega con l’ultima manovra e per questa legge di bilancio vi erano emendamenti che ne prevedevano la conferma da parte dello stesso Movimento 5 Stelle, del Partito democratico e di Italia Viva, oltre che delle forze di opposizione (Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia).
La necessità della cedolare era talmente evidente che a richiederla erano state anche le associazioni dei commercianti, convinte anch’esse che l’eccesso di tassazione sui proprietari dei locali affittati ostacolasse l’apertura di nuove attività. In assenza della cedolare, che era stata prevista per i contratti stipulati nel 2019, il proprietario è infatti soggetto all’Irpef, all’addizionale regionale Irpef, all’addizionale comunale Irpef e all’imposta di registro, per un carico totale che può superare il 48 per cento del canone e al quale deve aggiungersi la patrimoniale Imu-Tasi, oltre alle spese di manutenzione dell’immobile e al rischio morosità (per non parlare degli effetti provocati dalla preistorica regolamentazione dei contratti di locazione interessati).
Insomma, mentre ci si straccia le vesti per l’espansione di Amazon e per la moria di negozi, si elimina l’unica misura con la quale vi era speranza di rianimare un comparto in crisi, contribuendo anche a migliorare l’aspetto delle nostre città, combattendo degrado e insicurezza. Davvero incredibile».
«Troppo spesso in questi mesi – osserva Anderson a nome Coordinamento composto da Federproprietà, Uppi, Confappi e Movimento difesa della casa – gli orientamenti del governo hanno fatto sobbalzare i proprietari di case per il pericolo di nuove tasse che passerebbe anche dall’unificazione dell’Imu-Tasi consentendo ai Comuni di aumentare le aliquote alla cedolare secca. E dietro l’angolo c’è sempre lo spauracchio di un’ennesima patrimoniale per mettere in ordine i conti dello Stato. La mancata proroga della cedolare secca per le attività commerciali e l’estensione a tutti gli usi diversi dall’abitazione, nonostante gli emendamenti dei gruppi di Lega, Fi e Fratelli d’Italia, costituisce un duro colpo per il settore già in gravi difficoltà per la crisi economica ed occupazionale. È sbagliato pensare di risanare i conti pubblici colpendo sempre case e negozi, senza tener conto che i loro proprietari sono buoni contribuenti, versando già allo Stato e ai Comuni circa 50 miliardi di euro l’anno che non vengono investiti per un piano casa per le fasce deboli».
Sconcerto per il cambio di rotta anche da parte del l’Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, che attraverso un comunicato del suo presidente Bruyère, del segretario nazionale Fabio Pucci e del presidente della commissione fiscale Jean-Claude Mochet, aggiunge: «Per capire la portata di questa decisione bisogna considerare che, senza la cedolare secca, i proprietari dei locali commerciali sono assoggettati all’Irpef, all’addizionale regionale Irpef, all’addizionale comunale Irpef e all’imposta di registro, per un totale che supera abbondantemente il 50% del canone di locazione, al quale deve aggiungersi la patrimoniale IMU e TASI. L’aliquota ridotta avrebbe favorito la locazione di locali sfitti da tempo e sarebbe servita non solo a ridare vita al tessuto sociale, ma anche a portare nuove entrate nelle casse dello Stato, così come dimostra il successo della cedolare secca nelle locazioni abitative, la quale ha consentito di ridurre del 50,45 % l’evasione tributaria negli affitti, così come indicato nella nota di aggiornamento al DEF. Da un lato, dunque, il Governo dichiara lotta all’evasione, dall’altro, inspiegabilmente, ritira le uniche misure in grado di combatterla davvero. Di particolare gravità, inoltre, è la circostanza che il Governo abbia deciso di abolire una misura intorno alla quale si era raccolto un consenso pressoché unanime, non solo del mondo politico, ma anche delle associazioni dei commercianti e dell’inquilinato».
«Il cambio di rotta sulla proroga per il 2020 della cedolare secca del 21% per gli affitti commerciali è un’occasione persa che danneggia il settore immobiliare. Da nord a sud del Paese i negozi stanno vivendo una crisi senza precedenti, a causa dello strapotere di internet e delle multinazionali che fanno affari in Italia, ma pagano le tasse nei paradisi fiscali all’estero. Anziché disincentivare la concorrenza sleale, con questa mancata proroga si incentiva la chiusura dei negozi tradizionali, non solo a danno del comparto immobiliare ma anche del commercio al dettaglio e della sicurezza delle nostre città, che vedono sempre più vetrine spegnersi e saracinesche chiudere definitivamente. La proroga dell’aliquota ridotta avrebbe favorito la locazione degli immobili commerciali sfitti, rivitalizzando il tessuto sociale delle città e disincentivando la desertificazione dei centri storici dei medi e piccoli comuni d’Italia, oltre a portare nuove entrate nelle casse dello Stato. Come Fimaa auspichiamo un repentino cambio di rotta».
«La mancata proroga al 2020 della cedolare secca per le locazioni commerciali, così come paventata, rappresenta un boomerang per il settore immobiliare, penalizza il commercio, il terziario oltre gli stessi Comuni. Stiamo lavorando, in sede di Legge di Bilancio, affinché il Parlamento cambi rotta confermando questa misura considerato che ha già dato ottimi risultati nel 2019 sia per le Casse dello Stato in termini di recupero di gettito fiscale, sia in relazione alla lotta contro la desertificazione dei centri urbani».