Chi pagherà la cosiddetta manovra del popolo che intendono mettere in scena Lega e M5S? Placatasi l’esultanza da stadio per aver strappato (a se stessi!) l’ambiziosa soglia del 2,4% del rapporto tra deficit e Pil nella nota di aggiornamento del Def, ora, al Governo tocca mettere seriamente mano ai conti; e dalle indiscrezioni degli ultimi giorni si fa sempre più insistente la voce secondo cui la prima a subire una delle tante sforbiciate in programma per reperire risorse sarebbe l’aliquota del 19% su numerosi oneri detraibili: percentuale che potrebbe scendere, nella migliore delle ipotesi, al 17%. Ma quanto denaro apporterebbe, questa misura, alle casse dello Stato? E, soprattutto, da quali tasche proverrebbe?
A fare una proiezione, è stato il servizio di politiche fiscali della Uil.
Come rimarca Domenico Proietti, segretario confederale Uil: “Noi sosteniamo da tempo la necessità di operare una rimodulazione delle agevolazioni e delle detrazioni, la cui enorme mole si è stratificata in tanti decenni. Però, bisogna farlo operando scelte intelligenti e funzionali ad un disegno di equità fiscale. A riguardo si può mettere a frutto l’ottimo lavoro fatto dalle commissioni istituzionali ad hoc. È quindi necessario intervenire in maniera selettiva e non con un taglio lineare. Invece, l’ipotesi circolata in questi giorni di un taglio pari al 2% dell’aliquota degli oneri detraibili al 19% (tra i quali le spese mediche, le spese per l’assistenza personale, gli interessi passivi dei mutui per la prima casa, le spese universitarie o le spese per asili nido) garantirebbe sì allo Stato un maggior gettito intorno ai 580 milioni di euro, ma graverebbe per oltre il 70% sui redditi fino a 35.000 euro lordi annui. Un costo che, quindi, ricadrebbe nuovamente sui redditi medio bassi, come si evince dalla simulazione realizzata dal servizio politiche fiscali Uil”.
Tra gli oneri attualmente detraibili al 19%, ci sono anche diverse voci afferenti al comparto dei finanziamenti (per la casa e non):
Anche mettendo da parte ogni valutazione di carattere politico sulla manovra (la cui partita, ricordiamolo, è comunque ancora tutta da giocare), non si può non immaginare – perlomeno sulla base delle ipotesi attualmente al vaglio del Governo – che un comparto come quello dei mutui per la casa rischi di uscirne doppiamente penalizzato: da una parte a causa del potenziale incremento dei tassi di interesse qualora lo spread dovesse continuare a salire come accaduto all’indomani dell’accordo sulla soglia del 2,4% del rapporto deficit/Pil; e dall’altra, appunto, per il taglio delle detrazioni sugli interessi relativi ai finanziamenti accesi.
Difficile che il settore del mattone e il suo intero indotto, che da anni chiedono a gran voce politiche di sostegno e rilancio, e che stanno lentamente e faticosissimamente uscendo dal interminabile tunnel della crisi, accettino di buon grado una tale prospettiva. Il che, per l’Esecutivo, si traduce in un ulteriore, influente, interlocutore con cui confrontarsi; e in una nuova trattativa da portare avanti. Questo, fino a quando la platea dei lavoratori dipendenti a medio-basso reddito non sarà essa stessa a richiedere maggiori attenzioni, dato che i provvedimenti annunciati non le sono certamente favorevoli. E allora, per il Governo Conte, la gatta da pelare potrebbe assumere ben altre dimensioni.