Gli effetti della stretta Bce ancora non si vedono. Ma per i nuovi mutui, dopo anni di tassi convenienti, gli interessi hanno già toccato in alcuni casi il 3%. In due anni e mezzo, cioè dalla fine del 2019 a maggio di quest’anno, le banche hanno erogato – secondo un’analisi della Fabi – 34 miliardi di euro di nuovi prestiti ipotecari, con una crescita del 9%. Nella sostanza il totale dei finanziamenti per l’acquisto di abitazioni è così passato da 383 miliardi di fine 2019 ai 417 miliardi dello scorso maggio.
Ora incomincia ad avvertirsi un’inversione della tendenza. “L’incremento dei tassi deciso dalla Bce ha l’obiettivo di contrastare l’aumento dell’inflazione ma, allo stesso tempo, metterà in difficoltà le famiglie sia per il pagamento delle rate dei mutui a tasso variabile già erogati che subiranno progressivi incrementi, sia per quanto riguarda l’accesso a nuovi prestiti, che avranno costi maggiori”, sintetizza il segretario generale della Federazione autonoma dei bancari italiani, Lando Maria Sileoni.
Il danno maggiore è però un altro. “Ossia che ci sia – avverte lo stesso Sileoni – una ricaduta sul mercato immobiliare che corre il rischio di ingessarsi” con le le banche più in difficoltà a finanziare l’acquisto della casa. Le imprese e le famiglie che si scontreranno con garanzie in scadenza, rate più alte e nuovi finanziamenti meno vantaggiosi.
Si va, dunque, verso un’importante inversione di tendenza rispetto al trend degli ultimi anni: nel 2018, la media dei tassi di interesse sui mutui – ricorda la Fabi – era pari al 2,26%. Poi è progressivamente calata nei tre anni successivi, scendendo all’1,88% nel 2019, all’1,69% del 2020, all’1,59% del 2021, per risalire già lo scorso maggio con gli interessi medi all’1,61%. Mentre è storia degli ultimi giorni il picco del 3%.
I bassi tassi di interesse sono stati una panacea anche per il credito al consumo in aumento di 1,9 miliardi (+1,8%), così come per gli altri prestiti alle famiglie (+4,5% a 6,1 miliardi).
Complessivamente, le banche hanno erogato liquidità aggiuntiva alle famiglie per 42 miliardi, facendo salire l’ammontare degli impieghi da 630 a 672 miliardi (+6,67%). Negli ultimi due anni e mezzo, anche i prestiti alle imprese sono cresciuti, ma a un ritmo più contenuto, pari al 6,1% corrispondente a un aumento di 38 miliardi. Tale incremento è stato favorito dalla crescita dei prestiti di lungo periodo per 85,8 miliardi (+31%), aumento che ha ampiamente compensato il calo registrato sia sul versante dei prestiti fino a 1 anno, scesi di 45,1 miliardi (-22,9%), sia sul versante dei prestiti a medio termine (fino a 5 anni), scesi di 2,1 miliardi (-1,3%). Lo stock degli impieghi al settore privato, dunque, ha raggiunto 1.342 miliardi, con un incremento del 6,2% a oltre 81 miliardi.
Andando più indietro con l’analisi, nell’ultimo quinquennio, il ricorso al credito delle famiglie italiane è aumentato costantemente, attratte da costi appetibili e politiche economiche europee e nazionali accomodanti. Il trend dei tassi interbancari ha certamente favorito l’accesso al credito e sostenuto la crescita costante di quella fetta di finanziamenti destinata ai privati, con un boom del 3,5% nel 2021, che nulla ha a che fare con l’atteggiamento cauto di chi, in periodo di crisi, non dovrebbe essere a caccia di nuovo debito. Lo stock di prestiti complessivamente destinati a famiglie e aziende è passato da 1.304 miliardi del 2018, a 1.261 miliardi del 2019, a 1.308 miliardi nel 2020, per poi proseguire la risalita a 1.325 miliardi a fine 2021 e a 1.342 di maggio 2022. Gli ultimi dati di quest’anno confermano quindi una crescita alla stessa velocità del 2021 (+1,3% per un ammontare di 16,6 miliardi), almeno per il momento.
Fonte: Agenzia Ansa