Riordinare e semplificare la normativa di settore mediante un intervento strutturale. è questo l’obiettivo che il Governo intende perseguire mettendo mano al Piano Casa.
Un Piano Casa, quello al quale alla fine dello scorso anno l’esecutivo ha incominciato a lavorare, inteso come strumento di politica abitativa finalizzato al recupero, attraverso la riqualificazione energetica, degli edifici maggiormente compromessi e meno performanti dal punto di vista del risparmio in ottica green.
Dopo un primo incontro svoltosi a metà dicembre, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha ripreso, in gennaio, a riunire le associazioni più rappresentative del settore per approfondire il tema e individuare il percorso più idoneo per affrontarlo.
L’esecutivo, infatti, con un emendamento inserito nella Legge di Bilancio 2024, ha previsto la delega per la predisposizione di un decreto interministeriale su tre tematiche specifiche:
• 1) Ricognizione delle caratteristiche distintive dei programmi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia sociale e dei relativi fabbisogni.
• 2) Riordino e semplificazione delle procedure di valorizzazione e recupero degli immobili pubblici dismessi, in modo da individuare le misure di semplificazione necessarie a promuoverne la destinazione ad obiettivi di edilizia residenziale e sociale.
• 3) Individuazione di linee guida e best practices per il riordino degli enti regionali operanti in materia di edilizia residenziale pubblica.
• 4) Avvio di un confronto sulle iniziative di competenza delle cooperative edilizie e degli enti previdenziali, al fine di verificare le condizioni per promuovere un rilancio dei relativi programmi abitativi.
A questi punti – si legge in una nota del Ministero – si affianca la riflessione sui modelli sperimentali da attivare in attuazione della Legge di Bilancio 2024 con appositi “progetti pilota”.
Negli obiettivi del Governo, il nuovo Piano Casa dovrà essere adottato entro il 2025 e dovrà dare soluzione all’emergenza abitativa.
La storia
Il “Piano nazionale di edilizia abitativa” è stato introdotto dall’art. 11 del Decreto Legge 112/2008, con il preciso obiettivo di assicurare che su tutto il territorio nazionale fossero garantiti, soprattutto alle categorie socialmente ed economicamente svantaggiate, quei livelli abitativi minimi, necessari per assicurare un adeguato e dignitoso grado di sviluppo della persona umana.
Si trattava, in quel preciso momento storico, di fronteggiare una vera e propria emergenza in atto nel mercato immobiliare, determinata dal crollo della domanda abitativa e dal contestuale incremento dei tassi dei mutui, che il legislatore aveva pensato di risolvere con una integrale ridefinizione della politica abitativa: affiancare all’ordinario regime delle costruzioni, un provvedimento di sostegno dal carattere straordinario.
Pertanto, il decreto ha previsto una serie di misure rivolte all’incremento del patrimonio immobiliare sia mediante nuove edificazioni, sia attraverso il recupero di quelle già esistenti. Il tutto, da realizzarsi con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, in precedenza destinati quasi esclusivamente al finanziamento di opere pubbliche, oppure ricorrendo all’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale.
Per questo il Piano Casa, ben prima dell’odierno Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è stato considerato come il primo concreto strumento di social housing.
Gli obiettivi del Piano Casa
Gli obiettivi originari fissati nel Decreto Legge 112/2008, che si rivolgeva prevalentemente a nuclei familiari o giovani coppie a basso reddito, ad anziani in condizioni economiche o sociali svantaggiate, ad immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella stessa regione, o a studenti fuori sede (questi ultimi, in precedenza destinatari di agevolazioni di carattere fiscale sui canoni di locazione), possono, dunque, essere così sintetizzati:
• costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per la realizzazione di immobili di edilizia residenziale;
• incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica;
• promozione finanziaria anche ad iniziativa di privati (project financing);
• agevolazioni a cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi;
• programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale;
• interventi di competenza degli ex IACP (cui sono state destinate le risorse individuate dal D.M. Infrastrutture 28 dicembre 2007).
Il Piano Casa 2
La materia è stata oggetto di un nuovo intervento con il cosiddetto Piano Casa 2, in quanto il Governo, in sede di Conferenza unificata tra Stato, Regioni ed enti locali (Intesa del 31 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 98/2009), ha delegato alle Regioni il compito di realizzare, con proprie disposizioni, due tipologie di interventi:
• ampliamenti volumetrici sino ad un massimo del venti per cento (in aderenza o in sopraelevazione, rispetto al fabbricato originario), al fine di migliorare la qualità architettonica e l’efficienzza energetica degli edifici;
• interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con un ampliamento massimo del trentacinque per cento, con l’obiettivo di migliorare la qualità architettonica e l’efficienza energetica dei fabbricati, favorendo l’impiego di fonti energetiche rinnovabili secondo criteri di effettiva sostenibilità ambientale.
Tutte le Regioni hanno adottato leggi regionali attuative del Piano casa 2, interpretando, però, in maniera sostanzialmente difforme l’intesa del 31 marzo 2009.
Infatti, alcune hanno ampliato i criteri definiti nell’intesa, mediante l’inclusione di ulteriori fattispecie di edifici, oltre a quelli residenziali, quali gli edifici agricoli o produttivi non utilizzati, o hanno incrementato i premi volumetrici.
Altre, hanno previsto meccanismi perequativi e compensativi, compresa la delocalizzazione di cubature, ovvero la possibilità di demolire e poi ricostruire altrove andando oltre la volumetria esistente.
altre ancora hanno introdotto anche incrementi premiali finalizzati all’aumento della dotazione di verde pubblico, di servizi, di spazi pubblici e al sostanziale miglioramento della qualità urbana.
In alcuni casi sono stati derogati i principi costituzionali che presiedono ai rapporti tra la potestà legislativa dello Stato e quella delle Regioni. Questo ha determinato l’intervento della Corte Costituzionale. Il Piano Casa della Regione Puglia, per esempio, è stato dichiarato incostituzionale in ben due occasioni (Corte Costituzionale, sentenza 240/2022; Corte Costituzionale, sentenza 17/2023).
La situazione odierna
Oggi in Italia esiste una domanda inevasa di almeno 650.000 alloggi, corrispondenti al fabbisogno di almeno un milione di persone. Per contro, negli ultimi otto anni i permessi di costruire legati all’edilizia residenziale pubblica si sono tenuti su livelli piuttosto contenuti, con una media annua di 200.000 metri cubi autorizzati per nuove costruzioni e una media annua di 153.000 metri cubi autorizzati per interventi di ampliamento.
Il patrimonio di edilizia pubblica, costruito sin dagli inizi del secolo scorso, si compone secondo le stime Ocse attualmente di poco più di 850.000 alloggi (secondo Federcasa sono 750.000).
Gran parte di queste strutture con il tempo si sono spesso trovate a far parte di aree degradate in cui oggi si concentrano circa di 2 milioni persone, nella maggior parte dei casi posti in una condizione di estrema fragilità sociale.
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri è stato tra i primi ad essere convocato dal Ministero. Il Cni ha quindi presentato le sue proposte per la realizzazione del nuovo Piano Casa atto al potenziamento dell’edilizia residenziale pubblica.
Innanzitutto, il Cni ritiene che sia giunto il momento di ridefinire le norme in materia ed elaborare un piano di medio-lungo periodo di interventi per la ristrutturazione e la realizzazione di alloggi di edilizia pubblica.
Per avviare una nuova fase programmatoria in materia di social housing, secondo gli Ingegneri, occorre agire in una serie di direzioni: quantificare la platea di soggetti e nuclei familiari potenziali destinatari di alloggi in social housing considerando, oltre alle famiglie in condizioni disagiate, anche categorie come gli studenti e i lavoratori fuori sede. Quindi devono essere individuate le aree e gli edifici pubblici inutilizzati da riconvertire in strutture di social housing.
Il passaggio successivo è quello relativo alle modalità di intervento per la ristrutturazione degli edifici di edilizia residenziale pubblica più vetusti, spesso in condizioni di grave degrado.
Infine, occorre affrontare la questione dei finanziamenti, che non dovrebbero vedere come protagonista solo il pubblico ma prevedere forme di finanziamento pubblico-privato.
“L’Italia – ha spiegato il Cni – non è mai riuscita a soddisfare pienamente la domanda di alloggi di edilizia pubblica a prezzi contenuti, tanto che permane da decenni un gap tra il fabbisogno effettivo di alloggi e l’offerta gestita a livello locale dai Comuni”.
Le organizzazioni
Confedilizia ha evidenziato l’indifferibilità del rafforzamento della locazione privata, che da sempre garantisce la stragrande maggioranza dell’offerta alloggiativa nel nostro Paese.
Secondo il Presidente di Confedilizia, Spaziani Testa le soluzioni sarebbero due: “Da un lato, attraverso misure di incentivazione fiscale (abbattimento dell’IMU e chiarimento circa l’applicazione in tutta Italia della cedolare secca per i contratti a canone concordato) e, dall’altro, mediante una maggiore tutela dei proprietari in fase di rilascio degli immobili, ad esempio affiancando agli Ufficiali giudiziari nuove figure”.
Federcasa ha individuato la criticità maggiore da affrontare e risolvere nella gestione, con rinnovato slancio in termini di investimenti economici, del vetusto patrimonio immobiliare italiano riconducibile all’edilizia residenziale pubblica, che vede attualmente occupati 836mila alloggi, a fronte di ulteriori 360mila domande di aventi diritto rimaste inevase.
Fimaa, la Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari, ha sottolineato la necessità di promuovere e agevolare, anche attraverso forme di incentivazione fiscale, i cambi di destinazione d’uso degli immobili, in modo da favorire il recupero di quelli attualmente non agibili o destinati a scopi diversi da quelli residenziali.
L’Associazione Piccoli Proprietari di Case (Appc), Confabitare, l’Associazione proprietari di case e l’Associazione nazionale Unioncasa, attraverso un documento congiunto, sostengono la necessità di arrivare alla definizione del tanto atteso nuovo Piano Casa anche e soprattutto alla luce degli obiettivi programmatici prefissati, per gli Stati membri, dal PNRR e dalla Direttiva Green.
In quest’ottica, il Piano Casa in fase di elaborazione dovrebbe costituire un vero e proprio volano per la riqualificazione del patrimonio immobiliare del nostro Paese e la ripresa effettiva del settore dell’edilizia attraverso una sorta di nuovo “Piano Fanfani”.
Per l’Uppi, Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, è necessaria la rimessa in circolo degli immobili sfitti. Inoltre, lo Stato potrebbe affiancare contributi pubblici da destinare alla ristrutturazione di appartamenti inagibili, a fronte dell’impegno del proprietario a locare tali immobili a persone in difficoltà economica a canoni di locazione quasi azzerati. Fondamentale, inoltre, concedere l’applicazione della cedolare secca in tutti i Comuni e semplificare le procedure di sfratto affiancando gli ufficiali giudiziari non solo dalla forza pubblica, ma anche dalla polizia privata. E ancora, secondo l’associazione sarebbe necessaria una revisione del Testo Unico dell’Edilizia, in modo da applicare una “sanatoria etica” su tanti immobili con piccole difformità che potrebbero contribuire alla soluzione dei problemi abitativi della popolazione.