Gestione dell’acqua, dispersioni della rete idrica, andamenti dei consumi dell’acqua del rubinetto rispetto a quella in bottiglia, trend delle bollette in ambito residenziale e condominiale.
Sono soltanto alcuni degli aspetti messi in evidenza dal rapporto “La diffusione del servizio idrico in Italia”, redatto dall’Istat in occasione della Giornata Mondiale dell’Acqua, celebrata lo scorso 22 marzo.
Riportiamo, di seguito, i dati più significativi contenuti nel report, per comprendere in quale direzione si stia movendo un comparto fondamentale quanto oggetto di continue discussioni e polemiche.
I DATI GENERALI
Nel 2012 sono 8.0671 (il 99,7% dei comuni italiani) i comuni serviti dalla rete di distribuzione dell’acqua potabile, che copre interamente o in parte i bisogni idrici della popolazione. I comuni totalmente sprovvisti della rete di distribuzione sono 25, vi risiedono 114.561 persone, pari allo 0,2% della popolazione totale. In questi comuni, che si trovano in Lombardia (12), Veneto (8) e Friuli-Venezia Giulia (5), la popolazione ha frequentemente forme autonome di autoapprovvigionamento (ad esempio pozzi privati).
I comuni in cui è presente la rete fognaria pubblica, che serve interamente o in parte la popolazione presente, sono 8.049 (il 99,5% del totale). I 43 comuni sprovvisti si trovano in Sicilia (26), Puglia (5), Campania (4), Veneto (4) e Friuli Venezia Giulia (4), vi risiedono poco meno di 500 mila persone (0,8% della popolazione totale). Si tratta frequentemente di situazioni in cui la rete fognaria esiste, ma non è stata ancora messa in esercizio. In questi casi ogni edificio è dotato di sistemi autonomi di smaltimento dei reflui (ad esempio, pozzi a tenuta, pozzi perdenti, fosse settiche).
I comuni in cui nel 2012 è attivo il servizio di depurazione sono 7.550. In 542 comuni, in cui risiedono circa 2,3 milioni di persone (3,8% della popolazione totale), tale servizio è assente: i reflui urbani non sono collettati in un depuratore in esercizio. Le situazioni di maggiore criticità si registrano in Sicilia, dove i comuni senza depurazione sono 95 (vi risiede il 17,9% della popolazione regionale), in Calabria, con 73 comuni (l’8,9% dei residenti), e in Campania, con 87 comuni (7,1% dei residenti).
IL SERVIZIO IDRICO
Nel 2012 i gestori dei servizi idrici, specializzati e in economia, operanti in Italia sono 3.161. Il numero dei gestori è diminuito di 190 unità rispetto al 2008, in virtù della generale concentrazione delle attività gestionali a cui si assiste dal 1999, anno di avvio della riforma della gestione del servizio idrico. Rispetto al 1999, infatti, quando i gestori attivi erano 7.826, il calo è del 59,7%, in gran parte dovuto all’affidamento ai gestori del Servizio idrico integrato. Negli ultimi anni alcuni comuni hanno tuttavia ripristinato la gestione in economia, laddove c’era stato un affidamento al Servizio idrico integrato: i gestori che nel 2012 operano in economia sono 2.617, pari all’82,8% del totale (83,6% nel 2008).
Approvvigionamento
Il settore dell’approvvigionamento di acqua per uso potabile conta 1.931 gestori, di cui il 79,6% in economia. Il profilo dei gestori delle fonti di approvvigionamento è molto variegato: accanto ai gestori di sovra-ambito e ai grossisti di acqua per uso potabile che movimentano importanti volumi di acqua cedendoli ai gestori di rete, si riscontrano ancora gestioni di persone fisiche che, soprattutto in alcune realtà territoriali (Sicilia, Provincia autonoma di Bolzano, Lazio) amministrano piccole fonti di approvvigionamento d’acqua che viene venduta ai gestori della distribuzione.
Distribuzione
Il settore della distribuzione dell’acqua potabile, con 2.414 soggetti operativi nel 2012, si contraddistingue per una forte componente in economia, pari all’85,5%. In termini assoluti è il settore in cui, rispetto al 2008, si registra la maggiore diminuzione di soggetti operativi, pari a circa 500 unità. I 349 gestori specializzati operano nel 75,1% dei comuni. Il settore della fognatura risulta, ad oggi, il comparto in cui predomina la gestione comunale: dei 2.798 enti che si occupano in Italia della fognatura pubblica, ben il 90,7% gestisce in economia. I 259 gestori specializzati operano sulle reti fognarie del 68,8% dei comuni.
Depurazione
Il comparto della depurazione è quello in cui si ha il minor numero di enti gestori (1.374) e, data la specificità del servizio di trattamento delle acque reflue urbane, la maggior presenza di gestori specializzati non in economia (23,9%)
A livello regionale, l’Umbria è l’unica regione in cui i servizi di distribuzione e fognatura sono totalmente a carico di gestori specializzati mentre in Molise è in economia la quasi totalità delle gestioni delle reti di distribuzione e fognatura. Una forte componente in economia si ha anche in Calabria, nelle Province autonome di Trento e Bolzano e in Valle d’Aosta.
Quale gestione
I gestori della distribuzione dell’acqua potabile rappresentano in generale i referenti del servizio idrico per la popolazione utente, dal momento che essi forniscono l’acqua direttamente consumata nelle abitazioni e nei servizi e si occupano della fatturazione, che normalmente contiene anche il canone di fognatura e depurazione. Inoltre, l’attività dei grossisti di acqua potabile, ovvero di quegli enti che gestiscono le fonti di approvvigionamento e rivendono l’acqua ai gestori della rete, non è sempre nota agli utenti finali. Nella quasi totalità dei casi (7.879 comuni, 97,7% del totale di quelli serviti) i comuni hanno un unico gestore di rete di distribuzione; in 188 comuni si ha, invece, una gestione multipla del servizio, a carico di più enti. La gestione multipla della rete di distribuzione è particolarmente diffusa nella provincia autonoma di Bolzano, dove è spesso affidata a più soggetti di piccole dimensioni a servizio delle diverse frazioni di un comune. Tra i casi più peculiari va citato il comune di Bressanone, con 12 gestori. Tra i comuni più grandi con una gestione multipla si segnalano Catania (6 gestori nel 2012), e Palermo (3).
L’USO POTABILE
Fonti di prelievo
Nel 2012 il prelievo d’acqua a uso potabile ammonta, a livello nazionale, a 9,5 miliardi di metri cubi. Rispetto al 1999 i prelievi aumentano del 6,6% (+585 milioni di metri cubi). Il 30,6% dell’acqua prelevata esce dai trattamenti di potabilizzazione, per un totale annuo di 2,9 miliardi di metri cubi. In base alle caratteristiche idrogeologiche del territorio, i corpi idrici utilizzati per l’approvvigionamento idropotabile si distinguono in: acque sotterranee (sorgente e pozzo), acque superficiali (corso d’acqua, lago naturale, bacino artificiale), acque marine o salmastre. L’84,8% del prelievo nazionale di acqua a uso potabile deriva da acque sotterranee (47,9% da pozzo e 37,0% da sorgente), il 15,1% da acque superficiali (10,4% da lago naturale o bacino artificiale e 4,7% da corso d’acqua superficiale) e lo 0,1% da acque marine o salmastre. Le acque sotterranee rappresentano, quindi, la risorsa più grande e preziosa di acqua dolce, necessaria a soddisfare le richieste idropotabili della popolazione.
La distribuzione
Nel 2012 in Italia sono immessi nelle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile 22,9 milioni di metri cubi di acqua al giorno, per un totale annuo complessivo di 8,4 miliardi di metri cubi, pari a 385 litri per abitante al giorno. Il volume complessivo aumenta del 2,6% rispetto al 2008. Non tutta l’acqua che viene immessa in rete arriva però agli utenti finali.
Sebbene l’efficienza dell’infrastruttura della rete idrica costituisca un’esigenza diffusa e ormai improrogabile, le dispersioni continuano a essere persistenti e gravose. Nel 2012, infatti, le dispersioni di rete – calcolate come differenza percentuale tra i volumi immessi ed erogati – ammontano al 37,4% (in aumento rispetto al 2008, quando erano pari al 32,1%). Lo scarto tra i volumi di acqua immessi e quelli effettivamente consumati è dovuto in parte a dispersioni considerate fisiologiche e legate all’estensione della rete, al numero degli allacci, alla loro densità e alla pressione d’esercizio. Le dispersioni derivano inoltre da criticità di vario ordine: rotture nelle condotte, vetustà degli impianti, consumi non autorizzati, errori di misura.
Tale situazione permane nonostante negli ultimi anni diversi gestori del servizio idrico si siano impegnati a garantire un elevato livello di qualità nella misurazione dei consumi e un più assiduo monitoraggio del parco contatori, la cui obsolescenza può provocare la non corretta contabilizzazione dei volumi erogati. In questo senso, la maggiore diffusione dei contatori, soprattutto per quanto riguarda la misurazione dell’acqua erogata all’utente finale, ha evidenziato in maniera oggettiva situazioni di forte criticità lungo la rete di distribuzione, precedentemente non individuate. Inoltre le attività di manutenzione degli impianti, a causa di una diffusa riduzione degli investimenti nel settore idrico, sono diminuite negli ultimi anni, con inevitabili conseguenze sui volumi dispersi.
Il volume erogato agli utenti dalle reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile, complessivamente pari a 5,23 miliardi di metri cubi, è diminuito del 5,4% rispetto al 2008. Si ha, pertanto, un’erogazione giornaliera di acqua per uso potabile pari a 14,3 milioni di metri cubi, corrispondente a 241 litri pro capite. I volumi di acqua erogata per uso potabile comprendono anche gli usi non fatturati e gli usi pubblici, quali la pulizia delle strade, l’acqua nelle scuole e negli ospedali, l’innaffiamento di verde pubblico, i fontanili, e rappresentano pertanto il volume complessivo di acqua effettivamente a disposizione della popolazione.
Acqua fatturata
L’acqua potabile fatturata nel 2012, invece, ammonta a poco meno di 5 miliardi di metri cubi, pari al 94,9% del totale erogato. A fronte di un valore medio di 228 litri per abitante al giorno, la fatturazione dell’acqua potabile risulta molto eterogenea sul territorio. Nel periodo 2008-2012 si è verificata una diminuzione dei volumi di acqua fatturata del 6,6%. In particolare, rispetto al 2008, il volume pro-capite fatturato è diminuito del 6,1%, passando dai 243 litri per abitante al giorno ai 228 del 2012. Tale contrazione è imputabile sia alla variazione nel sistema di contabilizzazione, che negli ultimi anni è più legato ai consumi reali direttamente misurati dai contatori, sia ad una leggera riduzione dei consumi.
Le regioni del Centro, in particolare Toscana e Lazio, subiscono il calo più consistente (nel Lazio si ha la contrazione massima, pari al 16,5%). In generale, tutte le regioni presentano una riduzione dell’acqua fatturata pro capite, con l’eccezione della Calabria, che si caratterizza per un aumento del 3,3% nel periodo considerato, e della Basilicata e Puglia, dove si verificano incrementi, seppure modesti, pari rispettivamente allo 0,7% e allo 0,3%.
Capoluoghi di regione
Nel 2012 nei comuni capoluogo di regione e nelle Province Autonome di Trento e Bolzano sono stati immessi in rete 1,55 miliardi di metri cubi di acqua per uso potabile. Il 33,2% del volume immesso in rete è andato disperso, per cui i volumi effettivamente erogati alla popolazione ammontano a 1,04 miliardi di metri cubi, pari a 303 litri pro capite al giorno. Anche se, rispetto al dato nazionale sulle dispersioni di rete (37,4%), i comuni capoluogo di regione presentano nel complesso un valore più basso, si rileva comunque un peggioramento rispetto a quanto registrato nel 2008, quando le dispersioni di rete erano del 32,1%.
Esistono però importanti differenze tra i 21 comuni esaminati. Il livello di dispersione aumenta passando dai comuni del Nord a quelli del Meridione: Milano presenta la minima dispersione di rete, pari al 10,2%, mentre Campobasso raggiunge il 69,0%. Seppur con dispersioni ancora piuttosto elevate, nei comuni capoluogo di regione sono stati fatturati 1,03 miliardi di metri cubi, pari al 20,6% del volume fatturato nazionale. Rispetto al 2008 si registra una diminuzione dei consumi del 12,2%, sensibilmente più elevata di quella rilevata nel complesso dei comuni italiani (-6,5%), dovuta alla contrazione dei consumi in atto ormai da parecchi anni, alla riduzione della popolazione ivi residente, nonché ad un più preciso monitoraggio della contabilizzazione.
A livello pro-capite si fatturano 299 litri al giorno, circa 70 litri in più rispetto al dato nazionale. Il 64,3% dei volumi fatturati è ad uso domestico (192 litri giornalieri pro capite).
Nel 2012 Potenza e Campobasso sono i capoluoghi di regione con il consumo domestico giornaliero pro capite più basso (139 litri), mentre i livelli di consumo di Milano (240), Catanzaro (236), Torino (219) e Roma (212) sono superiori al consumo medio. I restanti comuni si attestano tutti ad un livello inferiore a quello medio.
Fiducia nel rubinetto
Migliora il giudizio delle famiglie sull’erogazione d’acqua nelle loro abitazioni. La quota di famiglie che lamentano irregolarità nel servizio passa dal 14,7% nel 2002 all’8,6% nel 2014, in calo anche nell’ultimo anno. Il problema è maggiormente segnalato dalle famiglie residenti in Calabria (32,1%) ed in Sicilia (24,1%). La quota di famiglie con uno o più componenti che dichiarano di non fidarsi a bere acqua di rubinetto rimane rilevante nonostante il trend in discesa: dal 40,1% nel 2002 al 28,0% nel 2014. Tale sfiducia è molto elevata in Sardegna (53,4%), Calabria (48,5%), Sicilia (46,2%) e Toscana (38,3%). Risulta più trascurabile, invece, nelle province autonome di Bolzano (1,6%), Trento (2,5%) e in Valle d’Aosta (8,7%).
L’abitazione principale
Nel 2013, in Italia la spesa media mensile per famiglia si è attestata a 2.359 euro, con una diminuzione del 2,5% rispetto all’anno precedente. La spesa destinata ad “alimentari e bevande” è stata pari a 461 euro (sostanzialmente stabile rispetto ai 468 euro del 2012) e rappresenta il 19,5% della spesa media complessiva.
Analizzando i gruppi di spesa all’interno del capitolo “alimentari e bevande” e focalizzando l’attenzione sull’acqua minerale, la spesa media mensile è risultata pari a 11,42 euro (le famiglie del Centro Italia ne spendono 11,85). In particolare le famiglie che sostengono spese per acqua minerale sono circa il 60% e spendono, in media, 19 euro al mese (spesa media effettiva). La flessione dell’ultimo anno conferma il trend registrato a partire dal 2008: nell’intero periodo, infatti, la contrazione complessiva è stata pari al 16%.
La contrazione della spesa per l’acqua minerale è legata principalmente a strategie di contenimento della spesa messe in atto dalle famiglie e ad un’evoluzione dei comportamenti connessi agli effetti della crisi economica. Tuttavia l’acqua, rispetto ad altri prodotti alimentari, viene vissuta dalle persone come un bene primario irrinunciabile e questo spiega perché il calo è risultato comunque inferiore a quello di altre bevande o di altri prodotti alimentari.
Fra i gruppi di spesa che riguardano il consumo di acqua, nel 2013 la spesa media mensile per servizi di “acqua e condominio” nelle abitazioni si è attestata a 53,44 euro, dopo aver segnato un incremento continuo e molto significativo dal 2001 (complessivamente +96%) e mostrando una forte accelerazione soprattutto negli ultimi cinque anni (+59%). Se si considerano distintamente le singole voci relative alle “utenze e servizi per l’abitazione”, la spesa mensile effettiva delle famiglie per “acqua per l’abitazione principale” mostra una crescita sostenuta negli ultimi cinque anni (+74%), passando dai 12,16 euro del 2008 ai 21,18 euro del 2013. Le famiglie delle regioni del Centro Italia sostengono livelli di spesa più alti. Questo accade in ciascun anno del periodo analizzato (2008-2013) con un esborso che nel 2013 è arrivato a 23,20 euro mensili.
LA DEPURAZIONE
Nel 2012 sono 18.162 gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio in Italia. Meno della metà (43,7%) effettua un trattamento di tipo secondario o avanzato. Gli impianti con un trattamento avanzato rappresentano il 10% e depurano più del 60% della totalità dei carichi inquinanti convogliati; quelli secondari invece trattano il 35%, mentre il restante 5% dei carichi viene trattato dai 10.226 impianti primari e vasche Imhoff pubbliche (rispettivamente 11,6% e 44,7% degli impianti). I soli impianti secondari e avanzati depurano quindi la quasi totalità dei carichi inquinanti.
I carichi inquinanti di origine civile che confluiscono negli impianti di depurazione secondari e avanzati rappresentano l’80,5% del carico complessivo, il rimanente è dato dai reflui di origine industriale. Negli impianti del Sud si ha la maggiore percentuale di reflui di origine civile in entrata (86,9%), nel Nord il 78,8%, al Centro il 74,6%. Tali valori sono in lieve aumento rispetto al 2008. La quota di carichi inquinanti civili trattati in Italia negli impianti secondari e di tipo avanzato, rispetto ai rispettivi carichi inquinanti potenziali generati (abitanti equivalenti totali urbani) nel territorio è del 57,6%, in leggero aumento rispetto al 2008 (56,5%). Nel Nord tale valore è circa del 60%, al Centro del 56,0%, nel Mezzogiorno del 55,3%. Rispetto al 2008 si osserva un leggero incremento al Nord e al Sud, mentre è in calo nel Centro.
A livello regionale emergono forti differenze; la Provincia Autonoma di Bolzano depura il 98,2% dei reflui civili, il Piemonte il 70,9% e l’Umbria il 70,2%. Le regioni meno virtuose sono la Sicilia (40,4%), il Friuli-Venezia Giulia (47,9%), il Veneto (48,8%) e le Marche (49,0%). Le regioni dove la quota di reflui di origine industriale è più alta sono la Toscana (46,4%), la Provincia Autonoma di Bolzano (39,5%), il Friuli-Venezia Giulia (33,4%). Marginali le quote di Puglia (2,7%), Calabria (4,8%) e Basilicata (5,2%). L’incremento percentuale del maggior carico inquinante di origine civile depurato e la parallela riduzione dei carichi complessivi in entrata agli impianti di depurazione (che si registra in diverse regioni tra il 2008 e il 2012) è dovuto alla diminuzione dei carichi di origine industriale determinata dalla crisi economica, che ha prodotto una minore quantità di acque di scarico.
Procedure di infrazione
L’agglomerato è il riferimento territoriale utilizzato per descrivere la raccolta, il trattamento e lo scarico delle acque reflue urbane e di quelle originate da taluni settori industriali. La normativa di riferimento in materia (Direttiva 91/271/CEE recepita dall’Italia con il D.lgs. 152/2006 e ss.mm.ii, cosiddetto Codice dell’Ambiente), prevede che tutti gli agglomerati con un carico generato maggiore di 2.000 abitanti equivalenti siano forniti di adeguati sistemi di reti fognarie e trattamento delle acque reflue, in funzione del numero degli abitanti equivalenti e dell’area di scarico delle acque (area normale o area sensibile). Per le inadempienze nell’attuazione della Direttiva 91/271/CEE, l’Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di Giustizia Europea, (C 565/10, Procedura 2004/2034 e C 85/13, Procedura 2009/2034) ed è in corso una nuova (Procedura 2014/2059). Gli agglomerati su cui è stata avviata la procedura di infrazione, perché non conformi alla direttiva, sono 874. Quelli per i quali è stata emessa una sentenza di condanna, sono 151.
In termini assoluti, la Sicilia è la regione con il maggior numero di agglomerati con procedura di infrazione, pari a 175. Segue la Calabria, con 130. Tale situazione di criticità si verifica a seguito della mancata copertura del servizio di fognatura e depurazione per diversi comuni delle due regioni. Rispetto al totale degli agglomerati presenti, la Campania ha la maggiore incidenza di agglomerati in infrazione (76,2%); seguono Calabria (54,4%), Sicilia (52,1%), Marche (23,1%) e Basilicata (23,0%). In Lombardia 114 agglomerati sono sottoposti a infrazione, pari al 29% del totale. In Sicilia sono consistenti anche i casi di condanna (67); seguono Calabria (18), Lombardia (14) e Friuli-Venezia Giulia (12). Di recente, la Commissione europea ha comunicato che dei 109 agglomerati interessati dalla condanna C 565/10, 10 agglomerati hanno raggiunto la conformità superando la condanna (rispettivamente, 5 in Sicilia, 3 in Calabria, 1 in Liguria, 1 in Puglia) , mentre in relazione alla C 85/13 un agglomerato in Sardegna e uno in Friuli-Venezia Giulia hanno superato la condanna, ritornando “conformi alla direttiva”.