Nell’impatto economico, nella ripercussione sulla Tari, talvolta negli scandali. La gestione imprenditoriale del ciclo dei rifiuti è sempre più spesso sotto i riflettori. Althesys vi ha dedicato l’indagine: “La trasformazione dell’industria italiana del waste management. Strategie industriali e politiche nazionali per la gestione dei rifiuti urbani e speciali”, sotto la direzione scientifica di Alessandro Marangoni. Ne sintetizziamo i passaggi salienti.
RIFIUTI URBANI
Nel 2014 la produzione di rifiuti urbani in Italia è stata di circa 29,7 milioni di tonnellate, in aumento per la prima volta dal 2010 rispetto all’anno precedente, seppur in modo lieve (circa 86.000 tonnellate). Contestualmente, la raccolta differenziata nazionale è arrivata al 45,2%. Tale valore resta, tuttavia, molto inferiore all’obiettivo del 65% che la legge prevedeva già per il 2012. Allo stato attuale, solamente due Regioni (Veneto e Trentino Alto Adige) hanno centrato il target, mentre al Sud vi sono ancora molte aree con differenziata inferiore al 30%.
Il lieve aumento della produzione di rifiuti urbani si è verificato in un contesto di decrescita economica. Scindere le dinamiche di crescita del PIL e della produzione di rifiuti richiede, dunque, un cambio di passo nelle attività di prevenzione che finora non paiono produrre i risultati auspicati.
Nell’ultimo anno si è però avuto un miglioramento del mix di gestione, con cali dei conferimenti in discarica ed aumenti delle forme di recupero (riciclo, compostaggio e digestione anaerobica). Stabile, invece, il livello dei rifiuti urbani termovalorizzati.
Sul piano normativo, dopo il ritiro del pacchetto di modifiche alle Direttive avvenuto nel dicembre 2014, il comparto attende l’emanazione della nuova Direttiva sull’Economia Circolare. Oltre ai nuovi obiettivi in materia di riciclo, di gestione degli imballaggi e alle limitazioni all’uso delle discariche, porrebbe una maggiore attenzione a sostenere la domanda di materie prime seconde. In particolare, la Direttiva dovrebbe favorirne l’impiego attraverso l’ecoinnovazione e la progettazione di prodotti ecocompatibili, oltre a misure di stimolo come il Green Public Procurement (GPP) e strumenti di fiscalità ambientale.
GLI OPERATORI
Il settore dei rifiuti urbani sta affrontando una fase di lenta ma continua trasformazione, sia nei modelli di gestione che nella struttura industriale. Permane, tuttavia, ancora piuttosto frammentato e disomogeneo, con una molteplicità di operatori, in prevalenza di piccole e medie dimensioni, spesso attivi solo in alcune fasi della filiera. È però evidente una tendenza a un graduale consolidamento mediante processi di aggregazione.
L’analisi ha mappato 75 aziende attive nella gestione dei rifiuti urbani (rispetto alle 70 della scorsa edizione), coprendo il 59% della popolazione e il 61% dei rifiuti urbani prodotti, con ricavi totali per 6,36 miliardi di euro. Il confronto rispetto all’anno precedente (a parità di perimetro) mostra un lieve incremento dei ricavi dell’1,4% (da 5,76 a 5,84 mld di euro) a fronte di un modesto aumento della quantità di rifiuti gestiti (da 16,23 a 16,38 milioni di tonnellate, +0,9%) e di una più sensibile crescita della popolazione servita, passata da 31,36 a 32,51 milioni (+3,7%).
Le aziende mappate, pur avendo caratteristiche dimensionali, di business ed economico-finanziarie assai diverse, possono essere ricondotte a cinque raggruppamenti strategici principali.
In primo luogo, le Grandi Multiutility: pochi gruppi di rilevanza regionale o sovra-regionale presenti anche in altri mercati utility, quali energia e acqua.
Focalizzazione territoriale e settoriale contraddistinguono invece gli Operatori Metropolitani che, pur avendo dimensioni significative, sono attivi solo nella gestione dei rifiuti in una specifica grande città.
Medie e piccole, sia monoutility che multiutility, sono ancora numericamente prevalenti (55 su 75). Una quota di quasi 8 milioni di abitanti è poi servita da un numero limitato di Operatori Privati, attivi soprattutto nelle aree meno servite dalle local utility.
Le piccole e medie utility, pur essendo il 73% del totale (con una prevalenza del modello monoutility, pari al 45%) realizzano solo il 30% dei ricavi. Le quattro Grandi Multiutility fatturano 2,11 miliardi di euro (33% del totale), raccogliendo quasi 5 milioni di tonnellate di rifiuti (27,6%) e raggiungendo in media il 58% di raccolta differenziata.
La taglia media delle Grandi Multiutility (nel solo business dei rifiuti) è più che doppia di quella degli operatori metropolitani e di un ordine di grandezza superiore alla media delle altre utility. Anche la redditività è nettamente migliore.
I risultati delle aziende medie e piccole non sembrerebbero influenzati dal modello, multi o mono utility. Peggiorano gli operatori metropolitani (-9,8%) che, nel medio-lungo termine, potrebbero essere destinati a confluire nei grandi gruppi multiutility, come è già avvenuto in passato per alcuni di loro.
Gli operatori privati hanno ricavi medi superiori alle piccole e medie utility, ma in calo di quasi il 6% nel 2014 rispetto all’anno precedente e una performance economica sensibilmente inferiore, data la maggiore focalizzazione sui servizi di raccolta e la diversa composizione del portafoglio clienti.