Al coro di no sollevato contro lo sconto diretto in fattura sui lavori di efficientamento energetico formalizzato dal Decreto Crescita convertito in legge, si aggiunge la voce di Confartigianato, che sostiene con dati e stime la propria posizione negativa rispetto alla misura.
Come spiega la Confederazione degli artigiani, “il provvedimento va a danno di mezzo milione di micro e piccole imprese operanti nel settore delle costruzioni, con 1,2 milioni di addetti, l’89% dell’occupazione del settore”.
Quindi, l’associazione snocciola alcune cifre: “Il mercato sostenuto dall’ecobonus ammonta a 3.331 milioni di euro di investimenti, vale il 6,6% degli interventi di manutenzione straordinaria sugli edifici residenziale ed è distribuito su 334.846 interventi. La distribuzione per tipologia di lavori rileva il 37,1% degli investimenti sostenuti da ecobonus si riferisce ai serramenti, il 16,9% alle caldaie a condensazione, il 15,9% a pareti verticali, il 14,5% a pareti orizzontali, il 6,7% a pompe di calore, il 3,8% a schermature solari, l’1,1% al solare termico e lo 0,5% a Building automation”.
Coem rimarca Confartigianato, “il report semestrale sul settore delle costruzioni, presentato all’Assemblea di Anaepa Confartigianato Edilizia, esamina gli effetti del provvedimento su di una impresa tipo di cinque addetti nel settore delle costruzioni, comparto composto da edilizia, installazioni di impianti, posa in opera di infissi ed altri lavori specializzati, profilo che rientra nella classe di addetti più numerosa del settore, nella quale si colloca il 42,5% degli addetti del comparto. Ebbene, nell’ipotesi in cui gli interventi per efficienza energetica pesino per il 50% del fatturato aziendale si evidenzia che la norma, dal quarto anno, mette fuori mercato la nostra impresa tipo. Nei primi tre anni lo sconto praticato ai clienti rimane inferiore alle somme versate all’Erario – imposte su reddito, ritenute dei dipendenti, contributi, Irap e Iva – consentendone il completo recupero da parte dell’impresa, ma dal quarto anno questa condizione non si avvera più e l’impresa è costretta, per quell’anno, a rinunciare alla gran parte degli interventi incentivati; e nel quinto anno la rinuncia per incapienza è totale. Nell’arco dell’intero quinquennio è del 37% la riduzione del fatturato sul segmento interessato dalle detrazioni fiscali per riqualificazione energetica”.
Ma c’è un caso ancora più penalizzante. “Se l’impresa è fortemente specializzata negli interventi per efficienza energetica, con un peso del 75% del fatturato dell’impresa, la situazione peggiora. Lo sconto, infatti, può essere recuperato solo nel primo biennio, mentre già nel terzo anno si registra una incapienza di versamenti all’Erario per la quasi totalità dei lavori e nell’ultimo biennio sarà necessario rinunciare alla totalità dei lavori incentivati; nell’arco del quinquennio l’impresa perderà oltre la metà (58%) degli interventi beneficiati da incentivi.
Le condizioni peggiorano ulteriormente nel caso in cui l’impresa non riesca a compensare i mancati ricavi sul mercato sostenuto dall’ecobonus su altri segmenti di mercato (immobili non residenziali, nuove costruzioni, ecc., in quanto la riduzione dei ricavi diminuisce gli oneri fiscali utilizzabili per la compensazione”.
Infine, un’interessante chiosa: “Lo spazio di mercato si potrebbe spalancare anche a settori diversi da quello dalle costruzioni, come quello delle utilities, caratterizzati da una maggiore presenza di grandi imprese pubbliche. Nei settori di energia e utilities le medie e grandi imprese a partecipazione pubblica concentrano il 51,1% dell’occupazione del comparto. In questa prospettiva si concretizza il paradosso di norme nominalmente orientate alla crescita che, invece di sostenere le piccole imprese private delle costruzioni – che a seguito della crisi del settore hanno perso 238 mila occupati in cinque anni pari al 17,0% in meno – rischiano di generare ulteriori spazi di rendita di posizione a grandi imprese pubbliche”.