Il canone di locazione rappresenta una delle poche tipologie di reddito per le quali si applica il principio di competenza e non il principio di cassa. Questo implica che gli introiti derivanti dal canone di locazione devono essere generalmente indicati nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui gli stessi maturano e non in quella in cui sono effettivamente riscossi.
Questa particolare norma può generare dei problemi dovuti a imposte da versare su redditi non riscossi e che non sempre si riescono a incassare.
Vediamo quindi cosa può fare il locatore nel caso in cui si trovi di fronte un inquilino che non paga il canone per non dichiarare le somme nel 730/2023 e quindi per evitare di pagare imposte su canoni non percepiti.
L’articolo 25 del Tuir ( decreto 917 del 1986) definisce redditi fondiari quelli derivanti da terreni e fabbricati. Ne consegue che i canoni di locazione devono essere annoverati in tale categoria.
L’articolo 26 del Tuir prevedeva che i redditi fondiari concorressero, indipendentemente dalla percezione (principio di cassa), a formare il reddito complessivo dei soggetti titolari di immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
Allo stesso tempo stabiliva che i redditi derivanti da canoni di locazione non dovevano essere dichiarati nel caso in cui nel frattempo fosse stato concluso un procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto. In Italia questa procedura richiede molto tempo, di conseguenza il locatore si ritrovava a dover pagare anche per anni imposte su canoni di locazione effettivamente mai riscossi. In merito a questi importi era stabilito che tali versamenti fossero da considerare come credito di imposta e se effettivamente non riscossi potevano essere utilizzati in compensazione al termine del procedimento di convalida di sfratto.
Questa disciplina è sembrata al legislatore eccessivamente penalizzante per il locatore, soprattutto nel periodo di emergenza Covid, quando gli inquilini morosi sono aumentati e i locatori si sono trovati ad affrontare difficoltà economiche non di poco conto.
Proprio per evitare distorsioni, si è provveduto con il decreto legge 34/2019, decreto Crescita, art. 3 quinquies, a modificare tali norme.
Ora, in tema di canone da locazione, continua a trovare applicazione il principio di competenza e non il principio di cassa. La modifica importante riguarda però i tempi. Infatti per far valere nel modello 730 del 2023 la morosità dell’inquilino, non occorre più attendere la conclusione del procedimento di convalida dello sfratto, ma basta dimostrare la mancata percezione degli introiti con l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità.
Questa norma trova applicazione per le mensilità non percepite a partire dal primo gennaio 2020, data di entrata in vigore della norma in oggetto.
Il nuovo testo dell’articolo 26 del Tuir recita: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.
Sebbene non debbano essere dichiarati gli importi dei canoni di locazione maturati dopo l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità, nella dichiarazione 730/2023 deve comunque essere dichiarata la rendita catastale dell’immobile.
Per evitare di pagare le imposte sui canoni di locazione non percepiti, è necessario indicare nel modello 730/2023 nei righi B1-B6, colonna 7 (casi particolari) il codice 4. Se nello stesso anno una parte dei canoni sono stati percepiti, nella colonna 6 devono essere indicate le somme percepite, mentre nella colonna 7 il codice 4.