[A cura di: Nino Falotico, segretario generale Sicet – estratto dell’intervento tenuto a Roma nel corso della tavola rotonda organizzata da Federcasa]
Nel corso degli ultimi anni la crisi economica è stata particolarmente rilevante nel settore immobiliare ed ha acuito il bisogno abitativo. Morosità, degrado e marginalità stanno portando in primo piano il tema dell’emergenza povertà tra i soggetti pubblici e privati (Comuni, Ater, cooperative) che si trovano a gestire i patrimoni di residenzialità sociale. Agli elementi sopra evidenziati, si aggiunge un forte ridimensionamento delle risorse pubbliche nel settore dell’abitazione ed una sensibile contrazione del credito bancario da destinare agli interventi immobiliari.
Tale contesto economico e sociale ha reso necessarie nuove risposte in tema di welfare in generale e di bisogno abitativo in particolare. È nata quindi una riflessione diretta a trovare soluzioni possibili nel settore dell’edilizia pubblica e a dare risposte a fenomeni sempre più rilevanti come la morosità incolpevole, la disoccupazione, il degrado ed il senso di insicurezza. Proprio per questo riteniamo che sia necessario far comprendere ai decisori politici che questo tema diventerà sempre più importante quando dovremo mettere mano ad una seria riforma dell’edilizia sociale.
Occorre mettere nuovamente al centro le persone, i nuclei famigliari, perché è da li che passano tanti temi come la morosità dei canoni, l’abusivismo, temi non affatto secondari. Dobbiamo essere consapevoli che nel nostro paese l’edilizia residenziale pubblica rappresenta il nodo centrale dell’edilizia sociale, ed è quindi li che si deve intervenire. Non si può più perdere tempo inseguendo percorsi che non sono realizzabili. Ed è da qui che nasce l’esigenza di comprendere che la teoria infrastrutturale dell’edilizia sociale italiana ha la necessità prioritaria di essere affiancata da nuove forme di gestione della persona e dei nuclei famigliari. La nuova sfida che abbiamo di fronte è quella della coesione sociale, della convivenza e della lotta alla marginalità crescente, partendo proprio dalle attenzioni per i soggetti esclusi. Ed è anche da qui che passa sia la convivenza civile tra gli inquilini, che il rispetto delle regole per una buona gestione del patrimonio abitativo.
L’obiettivo della nuova sfida che abbiamo di fronte è quello di salvaguardare il patrimonio esistente, migliorandone la qualità sia dal punto di vista infrastrutturale che sociale, ponendo al centro del percorso la cura della relazione tra e con gli inquilini.
Le aziende casa devono essere in grado di attivare questo “servizio”, programmando anche attività di formazione e accompagnamento, contribuendo in questo modo a ridurre le condizioni di marginalità e di disagio sociale, perseguendo allo stesso tempo anche obiettivi di efficienza nella gestione immobiliare, prevenendo la morosità, contenendo i costi di gestione, mantenendo un buono stato conservativo degli edifici e riducendo lo stock di immobili sfitti o inutilizzati.
Al tema della costruzione e riqualificazione degli immobili si è affiancato quello della promozione di comunità solidali socialmente sostenibili e della necessità di definire e diffondere una nuova cultura dell’abitare. La costruzione di una “comunità abitativa” è intrinsecamente legata alla qualità dell’abitare e passa quindi attraverso lo sviluppo di nuove modalità e nuovi strumenti di gestione.
È dunque emersa le necessità di accostarsi al tema dell’abitare con un approccio multi-dimensionale, attraverso un processo integrato in gado di mettere a sistema le componenti immobiliari, gestionali e sociali, conseguendo in questo modo una sostenibilità complessiva. In questo contesto crediamo che si inserisca benissimo una nuova figura professionale che operi per la riqualificazione sociale, che alla consueta attività di gestione del patrimonio in locazione, affianchi la cura delle relazioni tra le persone che vi abitano.
Le caratteristiche di questo soggetto hanno però bisogno di essere verificate sia nel confronto teorico sia nella valutazione di esperienze concrete, che possono inoltre costituire utili riferimenti di riflessione per lo sviluppo di nuove strategie.
La riflessione dovrebbe coinvolgere diversi “addetti ai lavori”, tra cui i funzionari della Direzione Generale Casa e della altre Direzioni Generali presenti sul territorio, e, in modo particolare, quella della Famiglia e della Sicurezza. Tale approccio, in presenza di problematiche sociali complesse legate al tema dell’abitare, testimonia la necessità di un intervento trasversale e organico che vada oltre alla, seppur fondamentale, disponibilità degli alloggi.
Affrontare questi problemi in una logica meramente burocratico-amministrativa potrebbe produrre un aggravarsi del costo sociale connesso alla perdita dell’alloggio di migliaia di nuclei famigliari che si trovano in tali condizioni. Si affianca dunque all’esigenza di dare risposta ad un bisogno abitativo, quella di costruire una comunità di abitanti più consapevole, in grado di condividere e scambiare risorse.
La costruzione di una rete che sappia intercettare i soggetti in grado di fornire a vario titolo un contributo verso la risoluzione del problema si configura come uno degli obiettivi di questo nuovo percorso, da mettere in campo allo scopo di ottimizzare le risorse già presenti e valorizzare il potenziale delle comunità degli abitanti. Il processo di costruzione di nuovi modelli abitativi passa attraverso un’individuazione specifica del disagio e una corretta definizione del fabbisogno.
Il modello che potrà scaturire da questo processo dovrà necessariamente essere adattabile alle peculiarità del luogo e dell’utenza e troverà nella normativa una piattaforma in grado di sostenerne la flessibilità.
Riteniamo che la scelta di costruire grandi complessi abitativi di edilizia residenziale pubblica nelle aree esterne, se da un lato poteva rispondere all’esigenza di edificare la nuova città in aree considerate libere, ha dall’altro di fatto dato vita ad una sorta di ghettizzazione di una parte consistente della popolazione costituita da strati sociali a basso reddito o in condizioni di fragilità.
Questo fallimento è stato certificato dall’attuale stato di degrado in cui versano le periferie della città italiane. Grandi agglomerati con pochi servizi, senza spazi pubblici collettivi, spesso caratterizzati da una gestione clientelare, dove migliaia di famiglie si trovano a “sopravvivere” in contesti in cui il vuoto lasciato dalla mancanza di controllo degli enti gestori è stato spesso occupato dalla criminalità che ha creato un mercato immobiliare illegale.
È proprio in questi luoghi che si concentrano elevati tassi di morosità e di abusivismo a cui si deve sommare la mancanza di una regolamentazione dell’utilizzo degli spazi comuni e l’assenza di una programmazione degli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.
Il mondo moderno è sempre più segnato da una complessità che rende faticoso per le persone dare ordine, continuità, coerenza alla esperienze ed alle opportunità che attraversano. La ricerca di punti di riferimento e una efficace comunicazione tra individui, gruppi, istituzioni, associazioni rappresentano sforzi costanti ma spesso segnati dalla frustrazione, anche perché i cambiamenti che stiamo vivendo stanno influenzando profondamente il modo di incontrarci, di comunicare, di stare in relazione, di cogliere i bisogni di chi sta intorno e del contesto di vita in cui ci troviamo.
Le reti sociali che nelle nostre città si sono diffuse, sulla base di alcuni progetti o in modo spontaneo, in gran parte dei quartieri, pur con caratteristiche e storie diverse, costituiscono oggi una risorsa essenziale e una antenna privilegiata per registrare lo stato di salute del quartiere nel quale interagiscono.
Esse sono composte da rappresentanti di gruppi, associazioni, comitati, formali ed informali, di residenti che dialogano con rappresentanti di enti, istituzioni e realtà presenti sul loro territorio. Condividono ed hanno a cuore il bene comune e l’attenzione alla coesione sociale del quartiere, con una spiccata propensione verso una democrazia partecipata e la creazione di corresponsabilità diffuse. Il campo d’azione riguarda diversi settori della vita delle persone: promozione della salute, famiglia, infanzia, adolescenza e giovinezza, educazione degli adulti, integrazione sociale, spazio urbano, spazi comuni, attività culturali e di animazione.
Il modello delle reti sociali promuove la partecipazione attiva dei residenti ed il dialogo tra i servizi e le realtà presenti nei quartieri favorendo la collaborazione, facilitando la progettazione e realizzazione di azioni congiunte per il raggiungimento di obiettivi condivisi. Le realtà che compongono le reti sociali si incontrano stabilmente con l’obiettivo di incrementare la conoscenza del quartiere e delle problematiche ad esso connesse, oltreché delle risorse e delle opportunità. Tra un incontro e l’altro, facilitano l’opportunità che i diversi soggetti presenti e rappresentati nella rete, mantengano ed intensifichino le relazioni tra loro, a partire da azioni ed operatività concrete. Lo sforzo è sviluppare un senso di corresponsabilità nella creazione delle condizioni di benessere collettivo.
Nella progettazione ed implementazione di modelli di gestione residenziale che favoriscano l’esistenza di comunità sostenibili è fondamentale promuovere la formazione di un contesto sociale ed abitativo sicuro. Se da un lato, dunque, quello della sicurezza dei contesti residenziali sembra essere un elemento imprescindibile sia per l’Ente gestore che per gli stessi abitanti, dall’altro, entrambi si trovano spesso di fronte a scenari poco o per nulla sicuri.
Inoltre, strettamente connesso al tema della sicurezza è il fenomeno delle occupazioni abusive, che oltre a ledere gli interessi e la sostenibilità economica dell’Ente gestore, può divenire fattore scatenante di forti tensioni sociali e di conflittualità che riguardano sia l’Ente stesso che la comunità regolarmente insediata. Per prevenire questo fenomeno si possono mettere in campo diverse iniziative volte al fine di salvaguardare la proprietà e la legittima destinazione di ogni unità abitativa.
In questo caso promuovere un vero e proprio “Patto di Sicurezza Urbana” può rappresentare un importante strumento a sostegno dell’attività dell’Ente gestore nella generazione di contesti abitativi sicuri. L’ottica di intervento è quella dell’integrazione tra diverse modalità di azione, differenti strategie e molteplici soggetti, al fine di accrescere i livelli di sicurezza urbana su un determinato territorio, adeguando l’azione e gli interventi alle peculiarità del territorio stesso. Una più forte coesione ed integrazione sociale diviene la premessa per sostenere un reale senso di appartenenza al luogo, al quartiere, in cui i soggetti possono riappropriarsi degli spazi per la vita della comunità locale.
Una importante strategia che l’Ente gestore può utilizzare per accrescere i livelli di sicurezza del contesto residenziale è quella dell’attuazione di attività di presidio e di vigilanza del territorio, al fine di impedire e prevenire azioni illegali come ad esempio l’occupazione abusiva degli alloggi, la concessione abusiva di alloggi in subaffitto, l’uso improprio degli spazi comuni, i danneggiamenti, gli atti vandalici, ecc.
Le attività di presidio e di vigilanza del territorio possono essere attuate lavorando in rete, ovvero mettendo in comunicazione l’attività svolta da diversi soggetti presenti come il Comune, gli uffici tecnici, la polizia locale, il vigile di quartiere (dove presente), ecc.
Importante come si debba dar vita ad un piano di riqualificazione straordinario del patrimonio abitativo pubblico, attraverso l’uso senza sprechi delle risorse erogate dallo Stato e dall’Unione Europea, magari anche ricorrendo ai fondi ex Gescal accantonati e non ancora utilizzati. Tutto questo potrebbe avere effetti positivi su interi quartieri, spesso periferie di grandi agglomerati urbani, che potrebbero diventare protagonisti di una rinascita urbana se inseriti nei piani di recupero e di riqualificazione urbana. Ciò significa mettere in atto politiche che coniugano lotta all’illegalità, all’abusivismo e alla morosità storica ponendo fine al mercato dell’affitto e delle vendite abusive in mano alla criminalità, con iniziative di carattere sociale tese sia a sostenere i più bisognosi nel pagamento dei canoni che nel realizzare attività tese ad intensificare la vita comunitaria ed il miglioramento delle condizioni dei quartieri Erp.
Nonostante oggi sia difficile immaginare una buona gestione del patrimonio abitativo pubblico anche e soprattutto per la totale mancanza di risorse messe in campo da parte delle istituzioni, in alcune regioni, grazie al connubio tra buona amministrazione e capacità gestionali, ci sono esempi significativi in termini di innovazione di prodotto, dalla sostenibilità energetica al riuso della mediazione sociale, alla realizzazione di iniziative di rivitalizzazione delle periferie Erp. L’edilizia pubblica in questi casi non è stata considerata residuale e destinata a scomparire, ma viene considerata come modello di intervento anche per investimenti da parte degli operatori privati.
Proprio alla luce di tutto ciò, il Sicet ribadisce la sua disponibilità ad avviare un percorso che porti ad un confronto in tempi brevi su queste tematiche. Inoltre, il Sicet, da anni ribadisce l’esigenza che venga istituito un tavolo permanente che possa affrontare in maniera sistematica la questione legata agli insediamenti di edilizia pubblica e dello stato di degrado in cui versano, con la partecipazione degli enti gestori, dei sindacati e delle rappresentanze degli abitanti.