[A cura di: Daniele Barbieri – segretario generale Sunia] È da tempo che il Sunia insiste sulla necessità di modificare l’impostazione che si è voluta dare alla versione italiana del social housing, orientata prevalentemente a favorire, ancora una volta, l’accesso alla proprietà della casa attraverso agevolazioni e modalità di varia natura e non come sistema per creare un settore destinato al mercato della locazione, con canoni sostenibili per quella fascia di domanda che non è in grado di affrontare il mercato libero dell’affitto e, ovviamente, quello della compravendita, libera o agevolata che sia.
È del tutto evidente che il problema principale del nostro sistema abitativo sia la grave carenza di un’offerta di alloggi in locazione con canoni sostenibili da una domanda che diventa sempre più debole. Naturalmente, una parte molto rilevante di questa domanda può e deve essere soddisfatta solo attraverso un piano di rilancio dell’edilizia residenziale pubblica, ma una parte importante potrebbe trovare risposta in un social housing orientato all’affitto. A questo obiettivo devono essere indirizzate risorse ed agevolazioni. Altre destinazioni non incideranno sul disagio abitativo.
In un Paese come il nostro, dove la percentuale di famiglie che risiedono in case di proprietà è tra le più alte in Europa non si può pensare di orientare le già scarse risorse verso il sostegno all’acquisto, peraltro in una fase di prezzi delle abitazioni in calo da anni e di tassi ancora bassi. Ed insieme al ripensamento del modello di social housing all’interno di una strategia di medio lungo periodo che affronti il disagio abitativo, è necessario ridefinire anche il ruolo degli attori di questo comparto.
Sino ad oggi i canoni di quei pochi alloggi in locazione messi a disposizione nei vari piani sono stati definiti essenzialmente in un rapporto diretto tra amministrazioni comunali ed operatori, senza alcuna interlocuzione con l’utenza e le loro rappresentanze. I risultati concreti di una impostazione di questo tipo, in alcuni casi ha portato ad affitti superiori ai livelli di mercato con ovvi e prevedibili contenziosi, in altri all’impossibilità di trovare nuclei familiari solvibili.
Oltre alla banale considerazione che sarebbe necessaria una analisi seria della domanda prima di avviare le iniziative, nei casi citati per definire gli affitti si sono utilizzati i livelli massimi degli accordi territoriali sui contratti concordati accompagnati da fantasiose interpretazioni che aumentavano ulteriormente i canoni e da clausole quantomeno discutibili sui contratti di locazione.
È per contrastare questo sistema che da tempo il Sunia si batte per introdurre la contrattazione con le rappresentanze dell’utenza nella definizione degli affitti del social housing, sottraendole a quella che troppo spesso è una decisione unilaterale degli operatori. Battaglia che si è concretizzata con l’introduzione, nella Convenzione nazionale recepita dal DM 16 Gennaio 2017 del Ministero delle infrastrutture, del principio della contrattazione integrativa nella definizione dei canoni del social housing. Un principio che, raccogliendo l’esperienza maturata con decine e decine di accordi con grandi proprietà private, dalle assicurazioni agli enti pubblici e privatizzati alle fondazioni, stabilisce che sia la contrattazione collettiva lo strumento attraverso il quale si concordano regole e misure delle locazioni, all’interno del quadro definito dagli accordi territoriali e considerando le agevolazioni e le risorse pubbliche utilizzate per la realizzazione degli interventi.
L’introduzione nell’accordo territoriale di Firenze di questo principio ha permesso di aprire finalmente una trattativa con la Sgr che gestisce il fondo immobiliare promotore delle due iniziative e di arrivare, non senza momenti di duro confronto, ad un accordo che contiene i canoni significativamente al di sotto anche di quelli concordati.
Un risultato importantissimo perché dimostra l’importanza del ruolo di contrattazione che le rappresentanze dell’utenza debbono avere nei piani di social housing.