In seguito alla stipula dell’Accordo Collettivo tra i Medici di Base ed i Pediatri del 28 ottobre 2020, gli studi medici aderenti hanno acquisito la possibilità di effettuare i tamponi antigenici per la rilevazione del virus. Sul tema, la redazione di Italia Casa ha intervistato l’Avv. Roberto Rizzo che ha avuto modo di affrontare la questione in maniera approfondita.
Avvocato Rizzo, perché la stipula dell’Accordo Collettivo in questione ha creato tanto allarme nei Condomini?
In conseguenza della sottoscrizione del protocollo d’intesa tra i medici di base ed il Ministero della Salute, il Condominio si trova, di fatto, ad essere frequentato da un numero indeterminato di persone estranee alla compagine condominiale, potenzialmente o effettivamente positive al Covid 19 che, recandosi presso il proprio medico di famiglia, o pediatra, per l’effettuazione del tampone, espongono le parti comuni, ed i residenti, al contagio, aumentando il rischio sanitario pandemico in maniera esponenziale.
Cosa può fare in questi casi l’amministratore di Condominio? Quali limiti incontra la sua attività diretta alla tutela degli amministrati?
Credo che, indubbiamente, l’accorto amministratore debba ricercare la risposta alla Sua domanda nel Regolamento Condominiale, di cui deve avere padronanza assoluta. Infatti, laddove il Regolamento Condominiale abbia natura contrattuale, potrà contenere dei limiti al diritto di proprietà ed alla facoltà di godimento del bene ad esso connessa, inibendo la destinazione d’uso di un immobile, ad esempio, a Studio medico professionale. In simili ipotesi, l’amministratore, quale garante del rispetto delle norme del Regolamento Condominiale, nell’esercizio delle attribuzioni specifiche che il Codice Civile gli riconosce, riscontrando una situazione di violazione della clausola di natura contrattuale che inibisce la presenza dello Studio medico all’interno del Condominio, potrà attivarsi direttamente –anche in via giudiziale – per far cessare l’abuso e riportare la situazione nell’alveo del rispetto delle norme regolamentari.
E se il Regolamento di Condominio non contiene espressi divieti in tal senso, quale soluzione Le sembra praticabile?
Personalmente, ritengo che, nell’ipotesi in cui il Regolamento non contenga espressi divieti in tal senso, la questione dovrà essere necessariamente gestita dall’Assemblea, la quale, potrà vietare la destinazione dell’immobile a Studio medico solo con una determinazione unanime, in verità assai poco probabile.
Ovviamente, in ipotesi simili, la situazione è complicata dalla persistente difficoltà di convocare assemblee in presenza –pure possibili, a condizione di rispettare rigorosamente i protocolli anti covid- nonché dalla innegabile –ed a mio parere immotivata- diffidenza verso le assemblee da remoto, di recente normate dal Legislatore.
Quali ulteriori consigli possiamo fornire agli Amministratori che si trovino, loro malgrado, a dover fronteggiare simili situazioni emergenziali?
in una simile situazione, caratterizzata da un’elevata esposizione dei residenti al rischio di contrarre il virus, sarà necessario intensificare l’igienizzazione degli impianti comuni maggiormente fruiti dai condòmini e dai clienti degli Studi medici, nonché disporre –all’occorrenza-la sanificazione degli stessi.
A proposito della sanificazione, può spiegarci meglio di cosa si tratta e come suddividerne correttamente i costi, nel caso in esame?
Si tratta di attività di natura straordinaria ed urgente, disposta dall’amministratore, secondo il suo prudente apprezzamento, ogni qualvolta venga a conoscenza di un caso di contagio o di quarantena, e comunicata alla prima assemblea utile, per effettuare la quale non occorre la preventiva autorizzazione dei singoli. Si tratta di interventi effettuati unicamente da Ditte specializzate che, attraverso l’uso di prodotti specifici a base di alcol o candeggina, igienizzano gli ambienti, rendendoli tecnicamente idonei alla vita dell’uomo, in quanto rimuovono batteri e virus.
Per quanto riguarda la suddivisone della spesa, ovviamente si procederà su base millesimale, secondo la tabella di proprietà.
È evidente che se i costi della singola sanificazione, o del singolo ciclo di sanificazioni, ordinariamente preventivati (o preventivabili) potranno essere ripartiti tra tutti i proprietari, le eventuali ulteriori sanificazioni, conseguenti direttamente alla accresciuta presenza di positivi che si recano a fare il tampone, sarebbe opportuno imputarle esclusivamente al titolare dello Studio in questione.
In conclusione, data la delicatezza della materia, quali rischi individua per gli Amministratori poco accorti?
Partendo dal presupposto che non esiste uno specifico obbligo normativo di effettuare la sanificazione in condominio, è del tutto evidente che l’amministratore prudente, attenendosi al criterio della diligenza del buon padre di famiglia, in presenza di contagi o di quarantene all’interno di uno stabile da lui amministrato, dovrà attivare i protocolli e le buone pratiche di gestione e di igienizzazione degli impianti comuni, ivi compresa, ovviamente, la sanificazione.
Qualora ciò non dovesse avvenire, l’amministratore potrebbe rischiare di subire un’azione di responsabilità professionale, con conseguente richiesta di risarcimento danni.
Tale richiesta potrebbe riguardare sia i danni derivanti da inadempimento contrattuale, per violazione delle norme sul mandato, sia i danni di natura extracontrattuale.
Roberto RizzoAvvocato del Foro di Cosenza, vicepresidente dell’Unione Nazionale Camere Condominiali. Articolista giuridico, collabora con diverse testate di settore tra cui Sole 24 ore, Ipsoa, Condominiocaffe.it