Tra i pesanti e crescenti esborsi connessialla casa, sui contribuenti italiani non pesano soltanto le imposte sulla
proprietà immobiliare. Come fa notare uno studio della Cgia di Mestre, infatti,
tra il 2010 e il 2015, una famiglia con 4 componenti che vive in un’abitazione
da 120 mq, ha subito un aumento del prelievo relativo all’asporto rifiuti del
25,5 per cento, pari, in termini assoluti, ad un aggravio di ben 75 euro. E
quest’anno la stessa famiglia dovrà versare al proprio Comune ben 368 euro di
Tari. E non va molto meglio ad un nucleo di 3 componenti, che abita in un
appartamento da 100 mq, e che ha subito un aumento del 23,5 per cento (+57
euro), tanto che nel 2015 dovrà sborsare quasi 300 euro. Una famiglia di 3
persone che risiede in un’abitazione da 80 mq, invece, ha dovuto pagare il 18,2
per cento in più (+35 euro). In questo caso, l’importo complessivo che dovrà
pagare per i rifiuti sarà pari a poco più di 227 euro.
Immobili residenziali sotto attacco, quindi.
Ma le attività economiche di certo non ridono. Anzi. Per Nonostante la forte
riduzione del giro d’affari, infatti, ristoranti, pizzerie e pub con una
superficie di 200 mq hanno subito un incremento medio del prelievo del 47,4 per
cento, pari, in termini assoluti, a +1.414 euro. Un negozio di ortofrutta di 70
mq, invece, ha registrato un incremento del 42 per cento (+ 560 euro), mentre
un bar di 60 mq ha dovuto versare il 35,2 per cento in più, pari ad un aggravio
di 272 euro. Più contenuto, ma altrettanto pesante, l’aumento subito dal
titolare di un negozio di parrucchiere (+23,2 per cento), dai proprietari degli
alberghi (+17 per cento) e da un carrozziere (+15,8 per cento).
Questi risultati, sottolinea la Cgia, sono
stati ottenuti dopo aver preso in esame le tariffe sui rifiuti applicate alle
famiglie e alle imprese nei principali Comuni capoluogo di regione, e sono
frutto delle numerose novità che negli ultimi anni hanno riguardato il prelievo
sui rifiuti. Fino a qualche anno fa pagavamo la Tarsu (Tassa per lo smaltimento
dei rifiuti solidi urbani), anche se molti Comuni l’avevano rimpiazzata con la
Tia (Tariffa di igiene ambientale). Nel 2013 il legislatore ha introdotto la Tares
(Tassa sui rifiuti e servizi), mentre dal 2014 quest’ultima ha lasciato il
posto alla Tari (Tassa sui rifiuti). La Tari è stata introdotta con la Legge di
Stabilità 2014, in ossequio al principio comunitario “chi inquina paga”: in
buona sostanza si è voluto sancire la corrispondenza tra la quantità di rifiuti
prodotti e l’ammontare della tassa. In sostanza, con l’introduzione della Tari
è stato ulteriormente confermato il principio che il costo del servizio in capo
all’azienda che raccoglie i rifiuti deve essere interamente coperto dagli
utenti, attraverso il pagamento della tassa. E il problema, purtroppo, sta
proprio qui.
Segnala Paolo Zabeo della CGIA: “Queste
aziende, di fatto, operano in condizioni di monopolio, con dei costi spesso
fuori mercato che famiglie e imprese, nonostante la produzione dei rifiuti sia
diminuita e la qualità del servizio offerto non sia migliorata, sono chiamate a
coprire con importi che in molti casi sono del tutto ingiustificati. Proprio
per evitare che il costo delle inefficienze gestionali vengano scaricate sui
cittadini, la legge di Stabilità del 2014 ha ancorato, dal 2016, la
determinazione delle tariffe ai fabbisogni standard. Grazie all’applicazione di
questa nuova modalità, è probabile che dall’anno prossimo la tassa sui rifiuti
diminuisca”.
Però, c’è un altro dato che va necessariamente
rimarcato. Sebbene in questi ultimi anni il costo economico sulle famiglie sia
decisamente aumentato, infatti, dall’inizio della crisi ad oggi la produzione
dei rifiuti urbani ha subito una forte contrazione. Se nel 2007 ogni cittadino
italiano ne “produceva” quasi 557 kg, nel 2013 (ultimo dato disponibile) la
quantità è scesa a poco più di 491 Kg per abitante. “In buona sostanza –
conclude Zabeo – nonostante abbiamo prodotto meno rifiuti, la raccolta e lo
smaltimento degli stessi ci sono costati di più”.