[Fonte: Cna]
L’Italia è tra le locomotive d’Europa. Almeno sul versante delle innovazioni (e certamente in tale contesto un ruolo determinante è rappresentato dai nuovi prodotti e dalle tecnologie di ultima generazione negli ambiti riscaldamento, climatizzazione residenziale ed efficienza energetica.
Sta di fatto che nella Ue l’innovazione sta diminuendo, tanto che, secondo uno studio Eurostat, nel biennio 2010-12 è sceso sotto il 50% (48,9%) il numero di imprese con almeno 10 dipendenti che hanno innovato prodotto, modello organizzativo o marketing (nel 2008-10 il tasso era stato del 52,8%, nel 2006-08 del 51,5%). Ma in questo quadro generalmente negativo, l’Italia, con il 56,1% si piazza al quarto posto, dopo l’inarrivabile Germania (66,9%), il Lussemburgo e l’Irlanda.
Nel dettaglio, il 41,5% delle nostre imprese ha cambiato prodotto o procedure, il 45,3% marketing o organizzazione.
Eurostat osserva che nel biennio 2010-12 l’innovazione delle imprese europee ha riguardato prima di tutto l’organizzazione (per il 27,5% delle aziende), poi il marketing (24,3%), i prodotti (23,7%) ed i processi produttivi (21,4%). In Germania il tasso di innovazione resta il più alto d’Europa, ma rispetto al biennio 2006-08 (quando era al 79,9%) ha subìto il rallentamento più forte (-13 punti percentuali). Nello stesso intervallo, in Italia il tasso è invece aumentato di quasi 3 punti: da 53,2% a 56,1%. Nel 2010-12, il 41,5% delle imprese italiane hanno introdotto innovazione nel prodotto e/o nel processo produttivo, il 45,3% nell’organizzazione e/o nel marketing.
Chiaramente, quanto questi dati siano realistici e rispondenti, soprattutto in Italia, all’effettivo quadro economico, è tutto da verificare. Innanzitutto, l’analisi e la relativa comparazione tra grandi e piccoli Paesi non ha molto senso. Parlando di innovazione sarebbe necessario tener conto della realtà industriale produttiva di ogni singolo Paese. Bisognerebbe avviare un confronto tra quelli dove la manifattura ha un peso rilevante (Francia, Germania e Italia in testa): allora sì che la comparazione potrebbe avere un valore quantitativo oltre che qualitativo.
Oltretutto poi, l’indagine proposta ed elaborata da Eurostat è rivolta a imprese sopra i 9 dipendenti. Ciò taglia completamente la parte micro, che è invece fondamentale nell’economia italiana, rappresentando la quota principale di imprese. Essendo un’indagine qualitativa, e non su dati di bilancio, emergono poi tendenze legate al “sentiment” delle imprese intervistate e la valutazione potrebbe risultare a tratti fuorviante, oltre al fatto che il periodo di analisi è certamente il peggiore di sempre, quantomeno in termini di sviluppo e crescita economica.
Nonostante tutto l’Italia esce premiata da questa competizione statistica, collocandosi nelle primissime posizioni. Per quanto vale.