La Legge di Bilancio 2025, tra le varie novità, ha introdotto una modifica importante relativa alle detrazioni Irpef per i contribuenti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro.
Nello specifico, è stato introdotto dalla Legge di Bilancio 2025 il nuovo art. 16 -ter del D.P.R. 917/1986 (Testo unico delle imposte sui redditi), rubricato “Riordino delle detrazioni”, il quale prevede che, fermi restando gli specifici limiti previsti da ciascuna norma agevolativa, per i soggetti con reddito complessivo superiore a 75.000 euro le detrazioni dall’imposta sui redditi sono ammesse fino ad un tetto massimo calcolato moltiplicando un importo base, attribuito a seconda del reddito, per un coefficiente basato sul numero di figli fiscalmente a carico presenti nel nucleo familiare del contribuente. Sono compresi i figli adottivi, i figli nati fuori dal matrimonio ma riconosciuti, i figli affidati o affiliati.
Per quanto riguarda i nuovi massimali detraibili, i contribuenti con reddito complessivo tra 75.000 euro e 100.000 euro hanno un tetto massimo di spese detraibili pari a 14.000 euro, mentre i contribuenti con reddito complessivo superiore a 100.000 euro hanno un massimale di spese detraibili pari a 8.000 euro.
Tale massimale viene poi adeguato in base al numero di figli fiscalmente a carico del contribuente e i coefficienti sono:
• coefficiente 0,50: nessun figlio a carico;
• coefficiente 0,70: 1 figlio fiscalmente a carico;
• coefficiente 0,85: 2 figli fiscalmente a carico;
• coefficiente 1,00: con più di due figli fiscalmente a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Per fare un esempio pratico, se un contribuente ha un reddito complessivo superiore a 75.000 euro ma inferiore a 100.000 euro, e ha un figlio fiscalmente a carico, potrà detrarre le spese fino ad un tetto massimo di 9.800 euro (14.000 x 0,70), tenendo conto che in questa fascia il tetto massimo previsto è di 14.000 euro ma per contribuenti che hanno più di 2 figli a carico o almeno 1 figlio con disabilità.
Il comma 4 dell’art. 16-ter del D.P.R. 917/1986 precisa che non rientrano nel calcolo e, quindi, rimangono interamente detraibili per qualsiasi reddito:
• le spese sanitarie detraibili ai sensi dell’art. 15 del D.P.R. 917/1986, comma 1, lettera c);
• le somme investite nelle startup innovative, detraibili ai sensi degli artt. 29 e 29-bis del D.L. 179/2012;
• le somme investite nelle PMI innovative, detraibili ai sensi dell’art. 4 del D.L. 3/2015, comma 9, seconda parte del primo periodo, e comma 9-ter;
• le rate di spesa sostenute entro il 31/12/2024;
• gli interessi sui mutui e i premi assicurativi relativi ai contratti stipulati fino al 31/12/2024.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Nel condominio in cui sono proprietario dell’immobile in cui abito dobbiamo rifare la guaina del tetto. Come viene calcolata la parcella dell’amministratore.
L’intervento di rifacimento della guaina è configurabile come manutenzione straordinaria.
L’amministratore può pertanto richiedere un compenso extra, che in linea generale varia dall’uno al 3 per cento rispetto al valore complessivo dei lavori.
Il compenso extra è però dovuto solo se l’incarico esula dalle mansioni indicate all’atto della sua nomina.
Si ricorda, infatti, che quando viene nominato, o anche semplicemente riconfermato, l’amministratore condominiale deve indicare in modo analitico il compenso e descrivere dettagliatamente le mansioni che andrà a svolgere.
Devo ristrutturare il mio appartamento, sito al piano rialzato di una bifamiliare. Attualmente, per accedervi, dall’area del parcheggio auto si devono salire 43 gradini oltre a una rampa di scale, interna all’edificio, di altri sei scalini. Installando un ascensore che dal parcheggio conduca alla nuova entrata dell’appartamento, consentendo di eliminare tutti i gradini, è possibile fruire del bonus barriere architettoniche al 75 per cento (da detrarre in 10 anni) o solo del bonus ristrutturazione al 50 per cento? Sarebbe possibile superare il problema degli ultimi sei gradini con l’installazione di un montascale?
Per l’intervento di installazione dell’ascensore che consenta l’abbattimento dei 43 gradini principali è possibile fruire della detrazione del 75 per cento, prevista per il superamento delle barriere architettoniche.
A condizione però che l’ascensore rispetti i requisiti tecnici previsti dal Dm Lavori Pubblici 14 giugno 1989, n. 236, anche nell’ipotesi che restino, dopo la costruzione, sei gradini non serviti dall’impianto. Questo perché l’intervento elimina, anche se non del tutto, le barriere esistenti.
In particolare, l’articolo 4 del Dm 236/1989 stabilisce che l’ascensore deve avere una cabina di dimensioni minime tali da permettere l’uso da parte di una persona su sedia a rotelle, con porte di cabina e di piano del tipo automatico, e di dimensioni adeguate per l’accesso di tale sedia.
Qualora non sia possibile installare cabine di dimensioni superiori, in caso di adeguamento di edifici preesistenti l’ascensore può avere una cabina di dimensioni minime di 1,20 metri di profondità e 0,80 metri di larghezza, con porta di accesso sul lato corto di luce netta minima di 0,75 metri.
Pertanto, se l’ascensore installato rispetta tali requisiti tecnici, consentendo l’effettivo superamento delle barriere architettoniche rappresentate dai 43 gradini, è possibile fruire della detrazione del 75 per cento, in alternativa alla detrazione del 50 per cento per ristrutturazioni edilizie.
Per quanto riguarda gli ultimi sei gradini interni, qualora si rendesse necessario installare un montascale per superarli, le relative spese potrebbero rientrare nella detrazione del 50 per cento per le ristrutturazioni edilizie, in quanto si tratterebbe di un intervento di manutenzione straordinaria su un edificio residenziale, a norma dell’articolo 16-bis del Tuir.
Il bonus prima casa 2025 consentirà anche quest’anno l’accesso alle agevolazioni fiscali sulle imposte di registro, ipotecarie a catastali dovute per l’acquisto dell’abitazione principale.
Per gli acquisti da privati o da imprese, in esenzione IVA, l’imposta di registro è ridotta dal 9 al 2 per cento, mentre le imposte ipotecarie e catastali sono dovute ciascuna nella misura di 50 euro.
Le imposte da versare, se la vendita è soggetta ad IVA, sono stabilite nella misura fissa di 200 euro.
L’aliquota dell’imposta sul valore aggiunto da applicare in questo caso viene però ridotta dal 10 al 4 per cento.
Non è stata, invece, rinnovata l’esenzione totale delle imposte dovute per l’acquisto dell’abitazione principale.
L’agevolazione non è stata prorogata nemmeno lo scorso anno e al momento gli ultimi beneficiari saranno i giovani under 36 con ISEE fino a 40mila euro che hanno stipulato un contratto preliminare entro lo scorso 31 dicembre 2023 e hanno firmato il relativo rogito entro lo scorso 31 dicembre 2024.
Agevolazioni fiscali per l’acquisto della prima casa
Le imposte dovute sull’acquisto della casa da destinare ad abitazione principale sono determinate secondo le regole che seguono.
Se il venditore è un privato o un’impresa, che vende in esenzione IVA:
• imposta di registro proporzionale nella misura del 2 per cento (anziché del 9 per cento), con un minimo di mille euro;
• imposta ipotecaria fissa di 50 euro;
• imposta catastale fissa di 50 euro.
Se si acquista da un’impresa, con vendita soggetta a IVA, le imposte da corrispondere sono:
• IVA ridotta al 4 per cento;
• imposta di registro fissa di 200 euro;
• imposta ipotecaria fissa di 200 euro;
• imposta catastale fissa di 200 euro.
A questi vantaggi si aggiungono altre due agevolazioni alla presentazione della dichiarazione dei redditi:
• la detrazione IRPEF del 19 per cento e fino a mille euro per le spese di intermediazione immobiliare;
• la detrazione degli interessi passivi sul mutuo.
Requisiti bonus prima casa
Per accedere al bonus prima casa dal 1° gennaio 2025 è necessario rispettare determinati requisiti. In particolare l’acquirente:
• non deve possedere abitazioni in tutto il territorio nazionale per le quali si è avuto accesso alle agevolazioni oppure, in alternativa, provvedere alla vendita entro 12 mesi;
• non deve essere proprietario di abitazioni nello stesso Comune in cui si richiedono le agevolazioni per l’acquisto della prima casa;
• deve essere residente nel Comune in cui si acquista casa o trasferire la residenza entro 18 mesi dall’acquisto che rientra nell’agevolazione;
• non deve essere titolare di diritto d’uso, usufrutto o abitazione di un altro immobile nello stesso Comune in cui si richiede l’agevolazione sull’acquisto della prima casa.
Abitazioni e categorie catastali
Ci sono, inoltre, determinate condizioni che devono essere valutate in relazione all’abitazione.
Nel rispetto dei requisiti oggettivi, l’agevolazione prima casa è prevista esclusivamente per gli immobili che rientrino in una delle seguenti categorie catastali:
• A/2, abitazioni di tipo civile;
• A/3, abitazioni di tipo economico;
• A/4, abitazioni di tipo popolare;
• A/5, abitazione di tipo ultra popolare;
• A/6, abitazione di tipo rurale;
• A/7, abitazioni in villini;
• A/11, abitazioni e alloggi tipici dei luoghi.
L’agevolazione è prevista anche per le pertinenze, in questo caso inserite nelle seguenti categorie catastali:
• C/2, magazzini e locali di deposito;
• C/6, rimesse e autorimesse;
• C/7, tettoie chiuse o aperte.
L’agevolazione spetta per una sola pertinenza, destinata in modo durevole al servizio dell’abitazione principale, per ciascuna categoria.
Anche tale pertinenza deve essere acquistata con il bonus prima casa.
Non permettono l’accesso alle agevolazioni gli immobili accatastati come:
• A/1, abitazioni di tipo signorile;
• A/8, abitazioni in ville;
• A/9, castelli e palazzi di eminente pregio storico e artistico.
Agevolazioni sui mutui
Oltre alle agevolazioni sulle imposte, per l’acquisto della prima casa in alcuni casi sono previste agevolazioni anche per la richiesta di mutui. Fattore importantissimo, in un momento difficile.
La misura, prevista anche per lo scorso anno, è stata rinnovata per il prossimo triennio con l’approvazione della Legge di Bilancio 2025.
Queste agevolazioni fiscali si applicheranno quindi fino al 31 dicembre del 2027.
Bonus prima casa under 36
La Legge di Bilancio 2023 aveva prorogato fino al 31 dicembre 2024 il bonus prima casa per giovani under 36.
Si tratta di un’agevolazione, introdotta dal decreto Sostegni bis, per chi ha un ISEE non superiore a 40mila euro e non ha compiuto il trentaseiesimo anno di età nell’anno del rogito.
L’agevolazione consiste nell’esonero totale dal versamento delle imposte di registro, ipotecarie e catastali.
Con la Legge di Bilancio 2025, la misura non è però stata prorogata.
Ci sono tuttavia ancora alcuni soggetti che potranno beneficiarne: i contribuenti che hanno stipulato e registrato il contratto preliminare entro il 31 dicembre 2024.
Inoltre, le agevolazioni non spetteranno se il contribuente acquisisce l’immobile a seguito di provvedimento giudiziale, con verbale di aggiudicazione redatto nel 2023 e decreto di trasferimento immobiliare emanato nel 2024.
La legge di conversione del decreto Milleproroghe permette di beneficiare dell’incentivo a chi ha stipulato l’atto notarile entro la scadenza dello scorso 31 dicembre 2024.
Su tali aspetti le istruzioni dell’Agenzia delle Entrate sono state fornite nella circolare n. 14/2024.
Ulteriori chiarimenti sono arrivati con il principio di diritto n. 5/2024.
Obbligo di trasferimento della residenza
L’accesso alle agevolazioni prima casa è legato anche a specifici adempimenti.
L’immobile acquistato deve trovarsi all’interno del territorio del Comune in cui l’acquirente è residente. Lo stesso dovrà eventualmente spostare la residenza, trasferendola entro 18 mesi dall’acquisto. La procedura può essere effettuata online, tramite il servizio dell’Anagrafe Nazionale Popolazione Residente (ANPR).
Il cambio di residenza si considera finalizzato nel nel giorno in cui è stata presentata la dichiarazione di trasferimento, al termine della procedura online.
Non è necessario il cambio residenza se la casa comprata si trova:
• nel territorio del Comune in cui l’acquirente svolge la propria attività (anche se svolta senza remunerazione, come, per esempio, per le attività di studio, di volontariato, sportive);
• nel territorio del Comune in cui ha sede o esercita l’attività il proprio datore di lavoro, se l’acquirente si è dovuto trasferire all’estero per ragioni di lavoro nell’intero territorio nazionale. Per acquisti da parte di un cittadino italiano all’estero, l’immobile deve risultare “prima casa” sul territorio italiano.
L’obbligo di trasferimento di residenza non interessa il personale delle Forze Armate e di Polizia.
A prescindere dalle agevolazioni relative alla prima casa, è necessario sottolineare che può essere opportuno il cambio di residenza subito dopo l’acquisto dell’abitazione.
Se la residenza deve essere trasferita entro 18 mesi per ottenere l’accesso all’agevolazione, diverse sono le regole che riguardano l’IMU.
L’IMU è dovuta, infatti, per il periodo che intercorre tra la data dell’acquisto e quella dello spostamento della residenza. La nuova abitazione risulterà “prima casa” solo dopo il trasferimento di residenza.
Riacquisto della casa entro un anno dalla vendita
Le agevolazioni prima casa spettano esclusivamente per l’acquisto di un solo immobile.
Chi è già proprietario di un’abitazione potrà accedere all’agevolazione, nel rispetto del requisito della vendita dell’immobile precedentemente posseduto entro due anni dal nuovo acquisto. Fino allo scorso 31 dicembre 2024 questo termine era di un anno ed è stato aumentato a due anni a partire dal 1° gennaio 2025.
L’impegno alla vendita entro un anno fino al 31 dicembre 2024 oppure entro due anni a partire dal 1° gennaio 2025 deve essere indicato nell’atto di acquisto: la compravendita, l’atto di donazione o la dichiarazione di successione.
La mancata vendita porta al pagamento:
• delle maggiori imposte dovute;
• di una sanzione del 30 per cento.
Revoca bonus e recupero delle imposte
In alcune situazioni è prevista la revoca del bonus da parte dell’Agenzia delle Entrate.
La decadenza dalle agevolazioni si verifica nei seguenti casi:
• mendacità delle dichiarazioni previste dalla legge, in sede di registrazione dell’atto;
• mancato trasferimento della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile, entro 18 mesi dell’acquisto.
Il trasferimento entro il termine dei 18 mesi, come evidenziato dalla Cassazione, deve essere rispettato anche se la casa acquistata dal costruttore non fosse ancora pronta. In tal caso sarà necessario trasferirsi in un altro immobile ubicato nello stesso Comune.
Nel caso di decadenza dal beneficio:
• sarà dovuta, oltre alla differenza tra l’imposta di registro in misura ordinaria e le imposte corrisposte per l’atto di trasferimento, una sanzione pari al 30 per cento delle imposte e il pagamento degli interessi di mora;
• nei casi di cessione soggetta a IVA, il pagamento della differenza d’imposta non versata e, allo stesso modo, una sanzione pari al 30 per cento della differenza, oltre al pagamento degli interessi di mora.
La Legge di Bilancio 2025 mette un freno alla realizzazioni degli interventi di una certa consistenza in condominio. Infatti, se le ristrutturazioni negli ultimi anni sono state caratterizzate da una forte spinta sulle agevolazioni per i lavori più incisivi sugli immobili, come la realizzazione di cappotti termici trainata dal superbonus, la messa in sicurezza delle parti strutturali e, in generale, tutte le operazioni di manutenzione straordinaria, con le nuove regole le condizioni sono meno favorevoli.
Il taglio agli sconti fiscali è infatti generalizzato al 36 per cento che, in alcuni casi, significa una sforbiciata di quasi 40 punti.
La regola generale, indicata dalla manovra 2025, è che per le spese sostenute dai titolari del diritto di proprietà o di un diritto reale di godimento per interventi sull’unità immobiliare adibita ad abitazione principale i bonus 2025 si incassano alla percentuale più elevata, ovvero il 50 per cento, mentre negli altri casi si scende al 36 per cento.
I lavori condominiali non vengono citati in questa definizione.
Così, le soluzioni immaginabili sono due. Da un lato, una differenziazione delle aliquote, che seguirebbero quelle dedicate all’immobile principale. Quindi, chi incassa il 50 per cento sui lavori nel suo appartamento, lo otterrebbe anche sulle parti comuni. Dall’altro, invece, si può ipotizzare che le parti comuni non siano qualificabili come abitazione principale: in altre parole, per loro non ci sarà alternativa al 36 per cento.
Quest’ultima è, indubbiamente, la soluzione più probabile per come è scritta la Legge di Bilancio. Un’interpretazione diversa sarebbe “estensiva” rispetto a quello che dice la manovra.
E, peraltro, questa linea è anche quella più semplice da gestire per chi amministra i condomini, perché non costringe a raccogliere informazioni difficili da reperire.
Il problema è che, se dovesse essere confermato il taglio al 36 per cento, per diversi lavori condominiali si materializzerà un taglio della convenienza fiscale di molti punti.
Le nuove aliquote ribassate, infatti, si applicano a tutte le tipologie di intervento, da quelli incentivati con l’ecobonus al vecchio sismabonus.
Quindi, se i cappotti termici incassavano nel 2024 il 75 per cento, nel 2025 scenderanno al 36 per cento, trattandosi di interventi sulle parti comuni.
Niente sconti per le caldaie condominiali (in base al divieto inserito nelle direttive europee), contro il vecchio 50 per cento.
In caso di installazione di un ibrido o di una pompa di calore, invece, si passa dal 65 per cento del 2024 al 36 per cento del 2025: chi valuterà questi nuovi apparecchi dovrà farlo anche alla luce di una diversa convenienza fiscale.
Mentre per la messa in sicurezza antisismica era possibile incassare agevolazioni fino all’85 per cento che, però, da quest’anno saranno tagliate al 36 per cento.
La conseguenza è che la sostenibilità economica di questi investimenti cala in maniera netta.
E diventa, quindi, più difficile la formazione delle maggioranze in condominio necessarie ad approvare questi interventi di riqualificazione.
Una penalizzazione che rischia di colpire tutti quei condomini nei quali ci sono più situazioni di difficoltà economica, rendendo impossibili in molti casi opere essenziali come quelle di coibentazione e di efficientamento energetico.
Variazione catastale:
le indicazioni del Consiglio Nazionale degli Ingegneri
L’aggiornamento è necessario soltanto in alcuni casi, in altri no
Mentre la lettera di compliance che sarà inviata ai contribuenti che non hanno provveduto alla variazione catastale dopo i lavori Superbonus sta sollevando grande allarme, il Consiglio Nazionale degli Ingegneri ha pubblicato un documento (la circolare 251/2025) che chiarisce per quali interventi edilizi sia necessario aggiornare la “situazione catastale” dell’immobile.
L’obbligo di aggiornamento è previsto nell’ipotesi di variazioni riguardanti:
• aspetti quantitativi, ossia sostanzialmente la consistenza delle superfici principali e accessorie;
• aspetti qualitativi, cioè aspetti di qualità che incidono sulla categoria e classe dell’Uiu (unità immobiliare urbana), e dunque sulla rendita del bene.
Con le disposizioni in vigore, per quanto riguarda gli aspetti qualitativi, la revisione della rendita è dovuta in caso di ristrutturazioni, manutenzioni straordinarie, variazioni nelle caratteristiche tipologiche, distributive e/o impiantistiche, restauro e risanamento conservativo che comportino un incremento stimabile in misura non inferiore al 15% del valore di mercato e della relativa redditività.
Il CNI ricorda anche che “la variazione del valore di mercato non può essere ottenuta attraverso la semplice somma del valore di mercato prima degli interventi e dei costi sostenuti per gli interventi stessi, ma semmai sarebbe necessario utilizzare opportuni ed adeguati metodi e procedimenti estimativi”.
Lo strumento che determina l’incremento è il Docfa, lo stesso software determina la rendita prevista in base alle informazioni aggiornate fornite dal professionista.
Al momento non vi è necessità di variazione catastale in tre casi:
• quando non si rilevano variazioni della consistenza delle superfici, così come classificate dalla poligonazione Docfa:
• quando c’è stata la sola esecuzione di interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione tipo pavimenti, wc, infissi, tetto, facciata, rinforzi strutturali, messa a norma impianti purché siano stati utilizzati materiali comparabili con gli originari;
• quando c’è stata la sola installazione di impianti fotovoltaici a servizio di singole unità dove la potenza installata è inferiore a 3 Kw per il numero di unità immobiliari servite.
A seguito della recente morte di mia suocera, mia moglie, sua sorella e suo fratello sono diventati proprietari del suo appartamento. Ora i figli possiedono 1/3 dell’appartamento a testa in comunione ereditaria. Poiché due dei tre figli vorrebbero trasformare l’appartamento in un B&b contro la volontà del terzo, è possibile comunque procedere o serve il consenso di tutti e tre i fratelli? In caso affermativo, è necessaria l’approvazione del condominio?
Dal momento che con la morte della suocera si è creata automaticamente una comunione ereditaria (che funziona, a grandi linee, come un “piccolo condominio”), la maggioranza può decidere cosa fare dell’immobile.
Si può considerare la destinazione a bed and breakfast come ordinaria amministrazione, per la quale serve la maggioranza semplice delle quote, che in questo caso i due fratelli favorevoli già rappresentano.
In ogni caso il condominio non può di per sé vietare o permettere l’attività con una delibera in assemblea.
I problemi possono invece venire dal regolamento condominiale – quasi sempre richiamato nel rogito di ogni appartamento e quindi modificabile solo all’unanimità – dove è spesso contenuto un divieto di svolgere attività di “pensione o affittacamere”.
Il B&B non rientra formalmente in queste attività (in genere i regolamenti risalgono a tempi abbastanza remoti), anche perché affittacamere e pensione sono due attività commerciali per cui occorre presentare la Scia in Comune, aprire la Partita Iva e iscriversi alla Camera di Commercio.
Mentre per il B&B occasionale non serve praticamente nulla se non la Scia e adeguarsi alla normativa regionale.
Molti condomini, proprio facendo riferimento al regolamento, hanno cercato di bloccare i B&B (e anche gli affitti brevi tipo Airbnb) ma i giudici non hanno sempre la stessa opinione: la Cassazione ha dato torto al condominio (sentenza 109/2016) mentre prima era favorevole al divieto (sentenza 26087/2010). Da ultimo, il Tribunale di Milano ha chiarito che ospitare persone senza alcun tipo di attività ricettiva non rientra nel concetto di affittacamere (sentenza 1030/2024).
Con il nuovo anno, nonostante le numerose richieste di una proroga presentate dagli interessati e dalle loro associazioni di riferimento, sono entrati in vigore obblighi e sanzioni regolate dall’articolo 13 Ter del Decreto Anticipi, che è stato approvato a fine 2023 per assicurare la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato e per contrastare forme irregolari di ospitalità.
Pertanto coloro che gestiscono stanze, appartamenti, immobili sono stati chiamati a dotarsi del CIN, il Codice Identificativo Nazionale nato per monitorare e censire il panorama ricettivo italiano, entro la scadenza del 1° gennaio 2025.
Dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, tutti gli spazi destinati a ospitare viaggiatori e turisti devono far parte della Banca dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili destinati a locazione breve o per finalità turistiche (BDSR).
Lo scorso 3 giugno è arrivata online la piattaforma BSDR, utile per presentare la richiesta e verificare la presenza delle diverse strutture per affitti brevi e turistici nella banca dati. È quindi partita la fase sperimentale delle novità legate al CIN che si è chiusa ufficialmente con l’arrivo del nuovo anno: obblighi e sanzioni previste dall’articolo 13 Ter del DL n. 145 del 2023 sono ora, quindi, pienamente applicabili.
Entro la scadenza del 1° gennaio chi gestisce case, stanze e strutture per affitti brevi e turistici doveva aver ottenuto il CIN. Per essere in regola il codice deve essere esposto nello stabile e anche in tutti i relativi annunci.
Come si legge sul portale del Ministero del Turismo, coloro che non hanno richiesto la sequenza identificativa per la loro struttura sono suscettibili di sanzione per non aver rispettato gli obblighi di ottenimento, comunicazione e pubblicazione del CIN.
Secondo i dati pubblicati sul portale istituzionale, il 20 per cento circa delle strutture ricettive non risulta ancora censito.
Con l’entrata in vigore delle novità del Decreto Anticipi è inoltre necessario rispettare precisi standard di sicurezza a cui si legano, in caso di mancato rispetto, sanzioni che cambiano in base alla dimensione della struttura o dell’immobile.
Queste le sanzioni previste:
• Mancata richiesta del CIN: da 800 a 8mila euro;
• Mancata esposizione del CIN: da 500 a 5mila euro.
Inoltre, per le unità immobiliari gestite nelle forme imprenditoriali, sono previste ulteriori sanzioni nazionali e comunali per il mancato rispetto degli obblighi di sicurezza:
• Mancata installazione di dispositivi per la rilevazione di gas, monossido di carbonio ed estintori: da 600 a 6mila euro;
• Mancata presentazione della SCIA al SUAP: da 2.000 a 10mila euro.
Sono in partenza le prime lettere dell’Agenzia delle Entrate, indirizzate ai contribuenti che hanno beneficiato del Superbonus e non hanno inviato la dichiarazione catastale.
Come stabilito dal provvedimento dello scorso 7 febbraio, le PEC e le raccomandate hanno lo scopo di invitare chi ha usufruito del Superbonus e non ha provveduto ad aggiornare la rendita catastale dell’immobile oggetto del beneficio a mettersi in regola o a fornire elementi per documentare la propria posizione e l’assenza di obbligo di trasmissione della dichiarazione.
L’invio delle lettere non sarà a tappeto: in una prima fase interesserà soltanto gli intestatari degli immobili privi di rendita catastale o con valori catastali modesti rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi agevolati.
I chiarimenti in Commissione Finanze
A fornire i chiarimenti è stata la sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, intervenuta nel corso dell’interrogazione a risposta immediata presentata dall’on. Emiliano Fenu, lo scorso 12 febbraio presso la Commissione Finanze della Camera. Oggetto dell’interrogazione è stato proprio quello di conoscere i criteri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per la predisposizione delle liste selettive di contribuenti cui inviare le comunicazioni di compliance.
Fenu ha quindi domandato in che modo l’Agenzia possa evitare l’invio generalizzato ai contribuenti, in particolare verso chi non ha alcun obbligo di presentazione della dichiarazione di variazione catastale, ma anche come si possa evitare di generare confusione tra i contribuenti, aggravando il carico amministrativo per i cittadini e per l’amministrazione finanziaria stessa.
I destinatari delle lettere del Fisco
Ogni volta che vengono eseguiti lavori sugli immobili, gli intestatari hanno l’obbligo di verificare se gli interventi abbiano determinato modifiche alla consistenza o un impatto sull’attribuzione della categoria e della classe dell’immobile stesso.
In tali casi, infatti, sono previste conseguenze sulla rendita catastale. Pertanto i contribuenti sono chiamati a presentare una dichiarazione catastale di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto del Ministro delle finanze del 19 aprile 1994, n. 701.
Per tale dichiarazione, che segue la verifica attraverso il supporto di un professionista abilitato alle operazioni in catasto, deve essere effettuata attraverso la procedura Docfa, di aggiornamento degli archivi catastali sulla base dei commi 1 e 2 dell’art. 1 del DM 701/1997.
Nel caso degli interventi del Superbonus, la Legge di Bilancio 2024 ha previsto l’intensificazione dei controlli nei casi in cui siano stati realizzati interventi che rientrano nella maxi detrazione prevista dal decreto Rilancio senza la trasmissione della dichiarazione catastale.
In attuazione dell’articolo 1, commi 86 e 87, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il provvedimento dello scorso 7 febbraio, che stabilisce le modalità di invio delle comunicazioni delle Entrate ai contribuenti.
I criteri adottati dal Fisco per l’invio di PEC o raccomandate
La sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, ha spiegato: “L’Agenzia delle entrate, al fine di garantire efficienza al processo di comunicazione di posizioni potenzialmente meritevoli di denuncia di variazione catastale, contenendo al massimo l’impatto sui contribuenti, ha previsto che l’invio delle lettere di compliance riguarderà, in una prima fase, gli intestatari catastali di immobili oggetto degli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, che risultano all’attualità iscritti in Catasto privi di rendita catastale o con valori catastali di modesta entità rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi in argomento”.
In prima battuta, quindi, riceveranno le lettere i contribuenti il cui immobile oggetto di interventi del superbonus:
• risulti privo di rendita catastale;
• abbia un valore catastale modesto rispetto ai costi sostenuti per gli interventi realizzati.
La motivazione è legata al fatto che in entrambe le situazioni è ragionevole ipotizzare che l’esecuzione degli interventi di recupero del patrimonio edilizio abbia inciso in modo netto sulla determinazione della categoria e della classe dell’immobile, richiedendo quindi l’adempimento della dichiarazione catastale.
Lucia Albano ha assicurato che l’Agenzia ha escluso un invio generalizzato di comunicazioni di compliance a tutti i contribuenti e ha ricordato che il contribuente può dimostrare di non avere l’obbligo di procedere all’aggiornamento catastale.
Non è però escluso che possano successivamente essere individuati nuovi destinatari per accertare che siano stati rispettati gli obblighi relativi all’adeguamento delle informazioni catastali.
Come rispondere alle lettere del Fisco
In linea generale devono provvedere a mettersi in regola quanti abbiano realizzato un incremento di oltre il 15 per cento della rendita catastale dell’immobile, oppure abbiano svolto interventi di demolizione e ricostruzione dell’edificio con aumento della superficie dello stesso.
Per regolarizzare la situazione i contribuenti dovranno:
• trasmettere la dichiarazione catastale;
• provvedere al pagamento delle imposte dovute, in misura ridotta attraverso lo strumento del ravvedimento operoso;
• pagare gli interessi, calcolati sulla base dei giorni di ritardo nell’adempimento.
In alternativa alla regolarizzazione il contribuente ha comunque la possibilità di dimostrare che l’obbligo di aggiornamento dei dati catastali non sussiste, fornendo elementi a riprova della posizione.
In altre parole il soggetto potrà “dimostrare” che l’invio della dichiarazione catastale non è dovuto, fornendo la documentazione del caso.