Nella Gazzetta Ufficiale n. 293, del 16 dicembre 2023, è stato pubblicato il comunicato con il quale il Ministero della Giustizia ha dato conto della pubblicazione delle specifiche tecniche relative all’elenco dei CTU (Consulenti tecnici d’ufficio), per la presentazione telematica delle domande di iscrizione all’Albo dei Consulenti tecnici e all’elenco nazionale dei CTU, ai sensi dell’articolo 13, quarto comma, delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura civile, e dell’articolo 24-bis delle stesse disposizioni di attuazione, come novellati dall’articolo 4, comma 2, lettera b) e lettera g), del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, nonché dell’albo dei Periti presso il Tribunale di cui all’articolo 67 delle disposizioni per l’attuazione del codice di procedura penale.
Le specifiche tecniche seguono la pubblicazione del DM n. 109/2023 (Gazzetta Ufficiale dell’11 agosto) con il quale è stato istituito l’Albo unico dei CTU.
Il nuovo Albo Nazionale
Il DM n. 109/2023 del 11 agosto ha istituito l’Albo unico dei CTU, dando attuazione a parte della riforma Cartabia.
Sono state introdotte, nello specifico, diverse novità: cinque anni di esperienza professionale come requisito, continuatività dell’attività e aggiornamento obbligatorio per il mantenimento dell’iscrizione.
Le aree di competenza e specializzazioni sono aumentate, con la possibilità di iscriversi in più campi.
È stata introdotta la certificazione UNI come prova alternativa di esperienza.
I CTU potranno richiedere sospensioni volontarie.
l consulente tecnico d’ufficio è una figura professionale prevista dall’ordinamento giuridico, che può essere coinvolta nel processo civile per assistere il giudice o una delle parti in determinati atti o per l’intero processo.
In materia penale, si utilizza il termine “consulente tecnico” per riferirsi al consulente di parte, mentre l’esperto nominato dal giudice viene chiamato “perito”.
Presso i Tribunali sono istituiti l’Albo dei Consulenti tecnici in materia civile e l’Albo dei Periti in materia penale.
Questi elenchi contengono professionisti qualificati che possono essere nominati per svolgere incarichi tecnici nei procedimenti legali.
Sia i consulenti tecnici, sia i periti, hanno diritto a un compenso per i loro servizi, e la liquidazione di tale compenso avviene attraverso un decreto di pagamento emesso dal magistrato competente.
L’albo dei consulenti tecnici del giudice è presente presso ogni Tribunale e viene gestito dal presidente del tribunale.
Se il giudice ha la necessità di ottenere particolari accertamenti tecnici, può avvalersi degli esperti iscritti a questi albi.
La domanda di iscrizione all’elenco dei CTU
Il documento, piuttosto corposo, contiene le specifiche per presentare in modo corretto la domanda per l’iscrizione all’Albo, con un accesso all’applicativo dedicato tramite SPID o CNS (carta nazionale dei servizi).
L’utente esterno (CTU e Perito) può quindi accedere al sistema tramite il link presente nell’Area Servizi sotto la voce Portale Albo CTU del Portale dei Servizi Telematici.
L’interessato dovrà quindi obbligatoriamente compilare il proprio Curriculum Vitae in tutte le sue parti, digitando o selezionando tutte le informazioni contrassegnate come obbligatorie e assicurandosi di caricare gli allegati obbligatori.
Tra le specifiche da indicare, si segnalano:
• titoli di studio conseguiti;
• iscrizione ad ordini professionali;
• partecipazione a corsi di formazione;
• certificazioni conseguite;
• competenze digitali, linguistiche o di altra natura;
• esperienze lavorative in corso e/o precedenti;
• brevetti;
• pubblicazioni;
• patenti e permesso di lavoro.
Il candidato ha a disposizione una scheda con le comunicazioni e il monitoraggio della propria posizione.
Una volta registrata la domanda, è previsto il passaggio alla firma digitale.
Dopo l’acquisizione da parte del sistema, la domanda risulta definitivamente inviata e disponibile per l’istruttoria e per l’udienza da parte del Tribunale e della Commissione.
Il sistema notificherà tramite PEC e attraverso l’area di monitoraggio disponibile al candidato, le comunicazioni inerenti all’avanzamento della domanda, eventuali richieste di integrazione avanzate dal Tribunale e i termini entro i quali deve avvenire l’integrazione stessa.
Le domande di iscrizione possono essere presentate tra il 1° marzo e il 30 aprile e tra il 1° settembre e il 31 ottobre di ciascun anno.
Aggiornata a gennaio 2024 dal Fisco la guida dal titolo “La piattaforma cessione crediti: come funziona e quando si utilizza” che fornisce indicazioni specifiche e pratiche sull’utilizzo della procedura telematica che consente di trasferire a terzi i propri crediti d’imposta relativi ai bonus edilizi e ad altre agevolazioni.
Attraverso la piattaforma è possibile, per quanto concerne i bonus edilizi, comunicare la cessione dei crediti relativi a Superbonus, Ecobonus, Sismabonus, bonus facciate, installazione delle colonnine di ricarica, bonus ristrutturazioni ed eliminazione delle barriere architettoniche.
Difatti, la piattaforma consente a fornitori e cessionari di monitorare, cedere e accettare le transazioni per utilizzare il credito tramite modello F24 oppure, in alternativa all’utilizzo in compensazione, è possibile comunicare all’Agenzia delle Entrate la cessione del credito ad altri soggetti nel rispetto delle normative vigenti.
A tal proposito, è opportuno ricordare che la cessione del credito è consentita solo nei casi di lavori per i quali risulti, alla data del 16 febbraio 2023, presentata la CILAS o, in caso di interventi condominiali, sia stata adottata la delibera assembleare di approvazione dei lavori stessi, quindi risulti presentata l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo per gli interventi.
Rispetto alla guida precedente, in questo nuovo documento aggiornato scompaiono i crediti d’imposta riconosciuti all’acquisto di prodotti energetici (energia elettrica, gas naturale, carburanti).
Inoltre dal documento si legge che non possono più essere movimentati alcuni crediti relativi a bonus introdotti nel periodo della pandemia da Covid-19, ossia:
• i crediti relativi ai contratti di locazione di botteghe, negozi e immobili a uso non abitativo;
• i crediti relativi alle spese di sanificazione e acquisto dei dispositivi di protezione individuali;
• i crediti per le spese di adeguamento degli ambienti di lavoro.
Tra le nuove funzioni della piattaforma e illustrate nella nuova guida pubblicata dal Fisco, c’è la “Riduzione del credito”, una sezione in cui è possibile comunicare all’Agenzia delle Entrate i crediti derivanti dai bonus edilizi e non più utilizzabili per cause diverse dal decorso dei termini di utilizzo. Il manuale, inoltre, spiega anche come comportarsi nel caso in cui la comunicazione riguardi crediti “non tracciabili”.
Per controllare lo stato dell’arte, invece, è possibile cliccare sulla sezione “Consultazione” e visualizzare l’elenco delle comunicazioni già inviate, quindi sia quelle relative ai crediti tracciabili e sia quelle relative ai crediti non tracciabili, pertanto, una volta individuato il credito si potrà visualizzare l’elenco delle operazioni effettuate.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Riordinare e semplificare la normativa di settore mediante un intervento strutturale. è questo l’obiettivo che il Governo intende perseguire mettendo mano al Piano Casa.
Un Piano Casa, quello al quale alla fine dello scorso anno l’esecutivo ha incominciato a lavorare, inteso come strumento di politica abitativa finalizzato al recupero, attraverso la riqualificazione energetica, degli edifici maggiormente compromessi e meno performanti dal punto di vista del risparmio in ottica green.
Dopo un primo incontro svoltosi a metà dicembre, il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Matteo Salvini ha ripreso, in gennaio, a riunire le associazioni più rappresentative del settore per approfondire il tema e individuare il percorso più idoneo per affrontarlo.
L’esecutivo, infatti, con un emendamento inserito nella Legge di Bilancio 2024, ha previsto la delega per la predisposizione di un decreto interministeriale su tre tematiche specifiche:
• 1) Ricognizione delle caratteristiche distintive dei programmi di edilizia residenziale pubblica e di edilizia sociale e dei relativi fabbisogni.
• 2) Riordino e semplificazione delle procedure di valorizzazione e recupero degli immobili pubblici dismessi, in modo da individuare le misure di semplificazione necessarie a promuoverne la destinazione ad obiettivi di edilizia residenziale e sociale.
• 3) Individuazione di linee guida e best practices per il riordino degli enti regionali operanti in materia di edilizia residenziale pubblica.
• 4) Avvio di un confronto sulle iniziative di competenza delle cooperative edilizie e degli enti previdenziali, al fine di verificare le condizioni per promuovere un rilancio dei relativi programmi abitativi.
A questi punti – si legge in una nota del Ministero – si affianca la riflessione sui modelli sperimentali da attivare in attuazione della Legge di Bilancio 2024 con appositi “progetti pilota”.
Negli obiettivi del Governo, il nuovo Piano Casa dovrà essere adottato entro il 2025 e dovrà dare soluzione all’emergenza abitativa.
La storia
Il “Piano nazionale di edilizia abitativa” è stato introdotto dall’art. 11 del Decreto Legge 112/2008, con il preciso obiettivo di assicurare che su tutto il territorio nazionale fossero garantiti, soprattutto alle categorie socialmente ed economicamente svantaggiate, quei livelli abitativi minimi, necessari per assicurare un adeguato e dignitoso grado di sviluppo della persona umana.
Si trattava, in quel preciso momento storico, di fronteggiare una vera e propria emergenza in atto nel mercato immobiliare, determinata dal crollo della domanda abitativa e dal contestuale incremento dei tassi dei mutui, che il legislatore aveva pensato di risolvere con una integrale ridefinizione della politica abitativa: affiancare all’ordinario regime delle costruzioni, un provvedimento di sostegno dal carattere straordinario.
Pertanto, il decreto ha previsto una serie di misure rivolte all’incremento del patrimonio immobiliare sia mediante nuove edificazioni, sia attraverso il recupero di quelle già esistenti. Il tutto, da realizzarsi con il coinvolgimento di capitali pubblici e privati, in precedenza destinati quasi esclusivamente al finanziamento di opere pubbliche, oppure ricorrendo all’istituzione di fondi immobiliari per la residenza sociale.
Per questo il Piano Casa, ben prima dell’odierno Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è stato considerato come il primo concreto strumento di social housing.
Gli obiettivi del Piano Casa
Gli obiettivi originari fissati nel Decreto Legge 112/2008, che si rivolgeva prevalentemente a nuclei familiari o giovani coppie a basso reddito, ad anziani in condizioni economiche o sociali svantaggiate, ad immigrati regolari a basso reddito, residenti da almeno dieci anni nel territorio nazionale ovvero da almeno cinque anni nella stessa regione, o a studenti fuori sede (questi ultimi, in precedenza destinatari di agevolazioni di carattere fiscale sui canoni di locazione), possono, dunque, essere così sintetizzati:
• costituzione di un sistema integrato nazionale e locale di fondi immobiliari per la realizzazione di immobili di edilizia residenziale;
• incremento del patrimonio di edilizia residenziale pubblica;
• promozione finanziaria anche ad iniziativa di privati (project financing);
• agevolazioni a cooperative edilizie costituite tra i soggetti destinatari degli interventi;
• programmi integrati di promozione di edilizia residenziale anche sociale;
• interventi di competenza degli ex IACP (cui sono state destinate le risorse individuate dal D.M. Infrastrutture 28 dicembre 2007).
Il Piano Casa 2
La materia è stata oggetto di un nuovo intervento con il cosiddetto Piano Casa 2, in quanto il Governo, in sede di Conferenza unificata tra Stato, Regioni ed enti locali (Intesa del 31 marzo 2009, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 98/2009), ha delegato alle Regioni il compito di realizzare, con proprie disposizioni, due tipologie di interventi:
• ampliamenti volumetrici sino ad un massimo del venti per cento (in aderenza o in sopraelevazione, rispetto al fabbricato originario), al fine di migliorare la qualità architettonica e l’efficienzza energetica degli edifici;
• interventi straordinari di demolizione e ricostruzione con un ampliamento massimo del trentacinque per cento, con l’obiettivo di migliorare la qualità architettonica e l’efficienza energetica dei fabbricati, favorendo l’impiego di fonti energetiche rinnovabili secondo criteri di effettiva sostenibilità ambientale.
Tutte le Regioni hanno adottato leggi regionali attuative del Piano casa 2, interpretando, però, in maniera sostanzialmente difforme l’intesa del 31 marzo 2009.
Infatti, alcune hanno ampliato i criteri definiti nell’intesa, mediante l’inclusione di ulteriori fattispecie di edifici, oltre a quelli residenziali, quali gli edifici agricoli o produttivi non utilizzati, o hanno incrementato i premi volumetrici.
Altre, hanno previsto meccanismi perequativi e compensativi, compresa la delocalizzazione di cubature, ovvero la possibilità di demolire e poi ricostruire altrove andando oltre la volumetria esistente.
altre ancora hanno introdotto anche incrementi premiali finalizzati all’aumento della dotazione di verde pubblico, di servizi, di spazi pubblici e al sostanziale miglioramento della qualità urbana.
In alcuni casi sono stati derogati i principi costituzionali che presiedono ai rapporti tra la potestà legislativa dello Stato e quella delle Regioni. Questo ha determinato l’intervento della Corte Costituzionale. Il Piano Casa della Regione Puglia, per esempio, è stato dichiarato incostituzionale in ben due occasioni (Corte Costituzionale, sentenza 240/2022; Corte Costituzionale, sentenza 17/2023).
La situazione odierna
Oggi in Italia esiste una domanda inevasa di almeno 650.000 alloggi, corrispondenti al fabbisogno di almeno un milione di persone. Per contro, negli ultimi otto anni i permessi di costruire legati all’edilizia residenziale pubblica si sono tenuti su livelli piuttosto contenuti, con una media annua di 200.000 metri cubi autorizzati per nuove costruzioni e una media annua di 153.000 metri cubi autorizzati per interventi di ampliamento.
Il patrimonio di edilizia pubblica, costruito sin dagli inizi del secolo scorso, si compone secondo le stime Ocse attualmente di poco più di 850.000 alloggi (secondo Federcasa sono 750.000).
Gran parte di queste strutture con il tempo si sono spesso trovate a far parte di aree degradate in cui oggi si concentrano circa di 2 milioni persone, nella maggior parte dei casi posti in una condizione di estrema fragilità sociale.
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri
Il Consiglio Nazionale degli Ingegneri è stato tra i primi ad essere convocato dal Ministero. Il Cni ha quindi presentato le sue proposte per la realizzazione del nuovo Piano Casa atto al potenziamento dell’edilizia residenziale pubblica.
Innanzitutto, il Cni ritiene che sia giunto il momento di ridefinire le norme in materia ed elaborare un piano di medio-lungo periodo di interventi per la ristrutturazione e la realizzazione di alloggi di edilizia pubblica.
Per avviare una nuova fase programmatoria in materia di social housing, secondo gli Ingegneri, occorre agire in una serie di direzioni: quantificare la platea di soggetti e nuclei familiari potenziali destinatari di alloggi in social housing considerando, oltre alle famiglie in condizioni disagiate, anche categorie come gli studenti e i lavoratori fuori sede. Quindi devono essere individuate le aree e gli edifici pubblici inutilizzati da riconvertire in strutture di social housing.
Il passaggio successivo è quello relativo alle modalità di intervento per la ristrutturazione degli edifici di edilizia residenziale pubblica più vetusti, spesso in condizioni di grave degrado.
Infine, occorre affrontare la questione dei finanziamenti, che non dovrebbero vedere come protagonista solo il pubblico ma prevedere forme di finanziamento pubblico-privato.
“L’Italia – ha spiegato il Cni – non è mai riuscita a soddisfare pienamente la domanda di alloggi di edilizia pubblica a prezzi contenuti, tanto che permane da decenni un gap tra il fabbisogno effettivo di alloggi e l’offerta gestita a livello locale dai Comuni”.
Le organizzazioni
Confedilizia ha evidenziato l’indifferibilità del rafforzamento della locazione privata, che da sempre garantisce la stragrande maggioranza dell’offerta alloggiativa nel nostro Paese.
Secondo il Presidente di Confedilizia, Spaziani Testa le soluzioni sarebbero due: “Da un lato, attraverso misure di incentivazione fiscale (abbattimento dell’IMU e chiarimento circa l’applicazione in tutta Italia della cedolare secca per i contratti a canone concordato) e, dall’altro, mediante una maggiore tutela dei proprietari in fase di rilascio degli immobili, ad esempio affiancando agli Ufficiali giudiziari nuove figure”.
Federcasa ha individuato la criticità maggiore da affrontare e risolvere nella gestione, con rinnovato slancio in termini di investimenti economici, del vetusto patrimonio immobiliare italiano riconducibile all’edilizia residenziale pubblica, che vede attualmente occupati 836mila alloggi, a fronte di ulteriori 360mila domande di aventi diritto rimaste inevase.
Fimaa, la Federazione Italiana Mediatori Agenti d’Affari, ha sottolineato la necessità di promuovere e agevolare, anche attraverso forme di incentivazione fiscale, i cambi di destinazione d’uso degli immobili, in modo da favorire il recupero di quelli attualmente non agibili o destinati a scopi diversi da quelli residenziali.
L’Associazione Piccoli Proprietari di Case (Appc), Confabitare, l’Associazione proprietari di case e l’Associazione nazionale Unioncasa, attraverso un documento congiunto, sostengono la necessità di arrivare alla definizione del tanto atteso nuovo Piano Casa anche e soprattutto alla luce degli obiettivi programmatici prefissati, per gli Stati membri, dal PNRR e dalla Direttiva Green.
In quest’ottica, il Piano Casa in fase di elaborazione dovrebbe costituire un vero e proprio volano per la riqualificazione del patrimonio immobiliare del nostro Paese e la ripresa effettiva del settore dell’edilizia attraverso una sorta di nuovo “Piano Fanfani”.
Per l’Uppi, Unione Piccoli Proprietari Immobiliari, è necessaria la rimessa in circolo degli immobili sfitti. Inoltre, lo Stato potrebbe affiancare contributi pubblici da destinare alla ristrutturazione di appartamenti inagibili, a fronte dell’impegno del proprietario a locare tali immobili a persone in difficoltà economica a canoni di locazione quasi azzerati. Fondamentale, inoltre, concedere l’applicazione della cedolare secca in tutti i Comuni e semplificare le procedure di sfratto affiancando gli ufficiali giudiziari non solo dalla forza pubblica, ma anche dalla polizia privata. E ancora, secondo l’associazione sarebbe necessaria una revisione del Testo Unico dell’Edilizia, in modo da applicare una “sanatoria etica” su tanti immobili con piccole difformità che potrebbero contribuire alla soluzione dei problemi abitativi della popolazione.
Una riforma generale dei bonus edilizi, che affronti le opere di riqualificazione degli edifici residenziali esistenti con un approccio integrato ed efficiente e superi la frammentazione delle detrazioni ad oggi attive.
Ad annunciarla è il Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin.
“L’obiettivo è riordinare le detrazioni fiscali per l’efficienza energetica degli edifici in un Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, di prossima emanazione”, spiega il Ministro, precisando che l’elaborazione del Piano, destinato a chiudere e superare definitivamente la stagione del Superbonus, sarà ultimata e resa definitiva entro il prossimo mese di giugno 2024.
Il Ministro sottolinea che proprio alla luce del Superbonus – che definisce “una norma dai tanti buoni propositi, ma che di fronte ad un’analisi costi-benefici postuma, non viene giustificata dagli effetti espansivi rispetto ai problemi creati sui conti pubblici o sull’aumento dei prezzi nel settore, senza contare tutte le difficoltà create a imprese e contribuenti dai crediti incagliati” – è emersa la necessità di “un approccio integrato in un’ottica di sostenibilità” in vari ambiti, tra i quali quello della tutela ambientale, il profilo energetico, gli aspetti della digitalizzazione e della sicurezza.
“La riforma dei bonus edilizi – spiega il Ministro – conterrà pertanto un insieme di misure concrete per il raggiungimento degli obiettivi di riqualificazione energetica del patrimonio immobiliare e, per rispondere in modo adeguato agli sfidanti obiettivi europei previsti per il settore residenziale, dovrà avere una durata almeno decennale”.
Dunque, secondo il Ministro, un approccio integrato consentirà di ottimizzare le tempistiche e i costi di riqualificazione di un edificio, favorendo gli interventi di riqualificazione profonda in un’ottica di sostenibilità che interessi vari ambiti:
• quello energetico, sotto il profilo dell’efficienza, della produzione di energia da fonti rinnovabili e dell’elettrificazione dei consumi;
• quello della digitalizzazione degli edifici e del dialogo con le altre infrastrutture, quale quella dei trasporti;
• quello della sicurezza, con riferimento agli aspetti sismici e all’antincendio;
• quello di tutela ambientale, con riferimento alla riduzione dei consumi idrici e all’uso del verde.
La riforma dei bonus edilizi riguarderà quindi congiuntamente tutti questi aspetti e ad essere interessate da queste misure saranno principalmente le unità immobiliari soggette agli obblighi della Direttiva Ue case green, ovvero:
• prime case;
• immobili con classe energetica bassa;
• immobili in condizioni di povertà energetica.
Per realizzare il Piano senza il rischio di imbattersi in brutte sorprese, il Ministro precisa che dovranno essere introdotti dei limiti di costo unici a livello nazionale, per fissare i tetti di spesa degli interventi, e che tali limiti dovranno essere omnicomprensivi. Aggiunge inoltre che sulle abitazioni principali si potranno effettuare sia interventi singoli sia di riqualificazione energetica profonda.
“Gli interventi di riqualificazione energetica – annuncia il Ministro – si accompagneranno a un quadro di incentivi edilizi stabili nel tempo, che dobbiamo definire nell’attuazione della delega fiscale”.
Le linee guida relative al quadro di incentivi mirano a:
• garantire aliquote distribuite in un arco temporale massimo di dieci anni che si potranno combinare a diverse tipologie di interventi;
• ammettere interventi sia singoli sia di riqualificazione energetica profonda, prevedendo diverse aliquote di detrazione, in funzione delle performance generali raggiunte dall’edificio, da ottenere attraverso interventi con vari livelli di priorità;
• essere affiancata da strumenti finanziari di supporto, quali ad esempio finanziamenti a tasso agevolato.
Per agevolare gli interventi di riqualificazione e allo stesso tempo andare incontro alle esigenze dei contribuenti, per specifiche categorie di soggetti e nel rispetto di determinati requisiti saranno previsti anche strumenti finanziari di supporto, quali:
• finanziamenti a tasso agevolato, anche a copertura totale dei costi di investimento;
• cessione del credito, con condizioni di favore per le persone in condizioni di povertà energetica.
Infine, per quanto riguarda l’edilizia pubblica, non ammessa ai meccanismi di detrazione, il Ministro Pichetto precisa che il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica ha già provveduto ad attivare diversi strumenti di riqualificazione energetica, quali il Conto Termico, il PREPAC (Programma di Riqualificazione Energetica della Pubblica Amministrazione), il Fondo Nazionale Efficienza Energetica e l’Avviso CSE 2022 (Comuni per la Sostenibilità e l’Efficienza Energetica).
Il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) ha pubblicato il Decreto CER, entrato in vigore il 24 gennaio 2024 con l’obiettivo di stimolare la crescita e lo sviluppo delle Comunità Energetiche Rinnovabili sul territorio italiano.
A tal proposito, il Ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Comunità Energetiche Rinnovabili e autoconsumo diffuso sono due ingranaggi centrali della transizione energetica del Paese: oggi siamo dunque ancor più vicini a questo atteso obiettivo, che potrà veramente dare una svolta per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia, rafforzandone la sicurezza energetica e avvicinandoci agli obiettivi climatici”.
Per agevolare lo sviluppo delle CER sul nostro territorio, il decreto prevede l’installazione di nuovi impianti rinnovabili di 5GW e a tal proposito sono due gli strumenti proposti:
• una tariffa incentivante ventennale sull’energia rinnovabile prodotta e condivisa per tutto il territorio nazionale;
• un contributo a fondo perduto fino al 40% dei costi ammissibili, finanziato con 2,2 miliardi di euro dal PNRR, destinato alle CER nei Comuni che contano massimo 5.000 abitanti.
I due strumenti appena citati sono cumulabili e il soggetto gestore di tale misura è il GSE, che valuterà i requisiti di accesso ai benefici ed erogherà gli incentivi, verificando l’ammissibilità dei soggetti interessati anche in via preliminare.
Così come previsto dal decreto CER, entro i 30 giorni successivi saranno approvate dal ministero le modalità, le regole e le tempistiche di riconoscimento dei suddetti incentivi. Visto che il GSE sarà il soggetto gestore della misura, questo metterà in esercizio i portali attraverso i quali sarà possibile presentare le richieste, entro 45 giorni dall’approvazione delle regole. Inoltre, sul sito del GSE verranno pubblicati documenti, guide informative e canali di supporto per gli utenti che intendono costituire delle CER.
Infine, in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, il GSE farà una campagna informativa destinata ai consumatori in modo da chiarire quali sono i benefici di tale meccanismo.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI