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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

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Bonus colonnine elettriche: lo sportello per le domande di imprese e professionisti

Riaperto dal 15 marzo lo sportello dedicato all’invio delle richieste per il “bonus colonnine elettriche” per imprese e professionisti, iniziativa promossa dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE) volta a incentivare l’acquisto e l’installazione di infrastrutture di ricarica per i veicoli elettrici.

Il MASE aveva messo in campo una dotazione iniziale pari a 87,5 milioni di euro, ma durante la prima apertura dello sportello, le richieste pervenute sono state inferiori alle risorse disponibili, pertanto, con oltre 70 milioni di euro ancora a disposizione, il MASE ha deciso di dare un ulteriore impulso alla diffusione delle colonnine elettriche in Italia, riaprendo la possibilità di inviare le richieste in modo da avere un numero maggiore di beneficiari.

La piattaforma, gestita da Invitalia, sarà operativa a partire dalle ore 12:00 del 15 marzo sino alle ore 17:00 del 20 giugno 2024, difatti, rispetto alla prima apertura durata un mese, in questo caso le imprese e i professionisti avranno a disposizione tre mesi di tempo per richiedere il bonus colonnine elettriche.

A tal proposito, il Ministro Gilberto Pichetto Fratin ha dichiarato: “Con la riapertura dello sportello vogliamo dare nuove opportunità di sviluppo della mobilità elettrica nel Paese, sostenuta in modo consistente dal PNRR e centrale per raggiungere gli obiettivi del PNIEC”.

Ricordiamo che il contributo economico inerente al bonus colonnine elettriche copre il 40% delle spese sostenute da professionisti e imprese successivamente al 4 novembre 2021. Tra le spese coperte dal bonus rientrano l’acquisto e l’installazione delle infrastrutture di ricarica, comprese le colonnine, gli impianti elettrici, le opere edili necessarie e gli impianti e i dispositivi per il monitoraggio.

Inoltre, il bonus copre anche le spese sostenute per la connessione alla rete elettrica e quelle per la progettazione, direzione lavori, sicurezza e collaudi, sino ad un massimo del 10% del costo totale per l’acquisto e la messa in opera.

Per maggiori informazioni in merito alle richieste, è possibile contattare Invitalia anche attraverso il numero verde gratuito 800 77 53 97.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Vetrate panoramiche amovibili in condominio

Per l’installazione di vetrate panoramiche amovibili, le cosiddette Vepa, oggi i permessi edilizi non servono più.

E’ però necessario rispettare con rigore il regolamento condominiale e il decoro architettonico.
Chiunque, dunque, oggi potrebbe istallare le Vepa scorrevoli per proteggere il proprio balcone: sia chi possiede un terrazzo all’attico, sia chi abita al pianterreno e dispone di una loggia.
Ma chi abita in un condominio è soggetto a ulteriori vincoli, rispetto a quelli richiesti dalla normativa edilizia.

La norma di legge che ha fatto rientrare le Vepa nel regime di attività edilizia libera, mentre prima erano soggette ai titoli abilitativi rilasciati dal Comune, infatti, è intervenuta solo sul Testo unico dell’edilizia. Ma non è intervenuta sui regolamenti condominiali, che possono prevedere – e spesso lo fanno – un regime diverso e più restrittivo.

Il regolamento condominiale
In particolare, il regolamento condominiale di natura contrattuale (quello approvato all’unanimità da tutti i condomini, anche mediante richiamo nei rispettivi atti di acquisto), è inderogabile, a meno che a modificarlo non intervenga una successiva delibera, approvata all’unanimità dei condomini dell’edificio.
Se il regolamento condominiale contrattuale contiene il divieto di chiudere i balconi con vetrate o con altri tipi di strutture ed infissi, non c’è nulla da fare: in questo caso il Decreto Aiuti non aiuta, perché sulla previsione generale di legge prevale la normativa regolamentare specifica che gli stessi condòmini si sono dati.
Infatti la compagine condominiale, per disciplinare i vari aspetti della vita in comune nell’edificio è sempre libera di adottare le regole che ritiene più opportune, anche quando sono più restrittive rispetto norme di legge che consentono di esercitare determinate facoltà.
La violazione del regolamento condominiale rappresenta un fatto grave, che tra l’altro consente al condominio di agire contro il trasgressore per il ripristino dei luoghi e il risarcimento dei danni.

Il decoro architettonico
Oltre alle disposizioni contenute nel regolamento di condominio, è necessario considerare l’impatto che l’installazione di una vetrata potrebbe avere sul decoro architettonico dell’edificio. Questo perché in condominio sono vietate le opere che possono ledere il decoro architettonico.
L’installazione di Vepa – che sono scorrevoli e non retrattili – può infatti incidere sul decoro architettonico dell’edificio, che consiste nell’insieme delle linee estetiche proprie della facciata.
Lart. 1122 del Codice civile impone di preservare il “decoro architettonico dell’edificio” in tutti i casi di innovazioni realizzate dal condomino sulle sue parti di proprietà esclusiva o individuale, come può essere il balcone, o il terrazzo. Infatti anche nel caso in cui non vi sia alcuna alterazione del decoro architettonico (così come anche della sicurezza e stabilità del fabbricato) la norma dispone che bisogna sempre dare notizia all’amministratore, il quale riferisce in assemblea alla prima occasione utile.
Lo stesso Decreto Aiuti bis dispone espressamente che le Vepa “devono avere caratteristiche tecnico-costruttive e profilo estetico tali da ridurre al minimo l’impatto visivo e l’ingombro apparente e da non modificare le preesistenti linee architettoniche”.

La comunicazione all’amministratore
Per evitare problemi, è sempre consigliabile interpellare l’assemblea per conoscere il suo orientamento.
Non occorre che il condòmino interessato a installare la Vepa chieda appositamente la convocazione dell’assemblea, ma è sufficiente comunicare all’amministratore l’intenzione di installarla. Dare notizia all’amministratore è un obbligo, mentre l’intervento dell’assemblea è successivo ed eventuale.
Con l’occasione, sarebbe opportuno integrare la comunicazione all’amministratore con una dichiarazione di conformità della vetrata alle norme di legge, in base alla documentazione fornita dal produttore o dal venditore, e ove occorra allegando anche il progetto tecnico elaborato dall’installatore per garantire gli aspetti di stabilità e sicurezza della struttura amovibile e scorrevole.
In questo modo l’amministratore potrà informare l’assemblea in modo compiuto e difficilmente qualcuno solleverà obiezioni di fronte ad un progetto attestato nella sua regolarità e realizzato in modo conforme.

Mancata consegna della dichiarazione di conformità degli impianti

La dichiarazione conformità degli impianti è un documento obbligatorio. Si tratta di un documento che viene rilasciato al termine dei lavori dal responsabile dell’impresa, quindi dal tecnico specializzato che ha installato o apportato modifiche all’impianto.

Questo documento attesta che gli impianti installati rispettano rigorosamente le norme tecniche e di sicurezza stabilite dalla legge.

Rappresenta dunque una garanzia che gli impianti siano stati progettati, realizzati e verificati in modo da garantire la massima sicurezza e funzionalità, in conformità con le leggi e gli standard vigenti.

La dichiarazione di conformità è disciplinata dal dm 37/08, che stabilisce anche le sanzioni che possono essere applicate in caso di mancato rispetto degli obblighi relativi alla compilazione.

La mancata consegna della dichiarazione conformità degli impianti comporta infatti sanzioni amministrative che variano in base all’entità e alla complessità dell’impianto, al suo grado di pericolosità e ad altre circostanze oggettive e soggettive relative alla violazione.

Tali sanzioni ammontano a una somma che oscilla tra i 100 euro e i 1.000 euro.

Il certificato di conformità è obbligatorio in caso di installazione di un nuovo impianto; manutenzione straordinaria; modifica/ampliamento di un impianto già esistente.

Il certificato di conformità riguarda tutti gli impianti: elettrici, idrici, termici, a gas e antincendio.

L’obbligo della dichiarazione di conformità non si applica invece alla manutenzione ordinaria, che riguarda interventi di routine che vengono effettuati per garantire il corretto funzionamento dell’impianto, ma che non comportano modifiche significative alle sue caratteristiche.

La dichiarazione di conformità di un impianto deve essere rilasciata al termine dei lavori dal responsabile dell’impresa, quindi dal tecnico specializzato, che ha installato o apportato modifiche all’impianto.

La normativa stabilisce infatti, all’art. 7 del dm 37/08, che la dichiarazione deve essere rilasciata “al termine dei lavori, previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente, e non può essere subordinata al pagamento dell’importo fatturato”.

La dichiarazione di conformità deve essere consegnata al committente dell’opera, che è tenuto a conservarla e a fornire una copia della stessa a chiunque utilizzi gli spazi o gli impianti oggetto della dichiarazione. Questo adempimento rientra tra le responsabilità dell’impresa installatrice.

La dichiarazione di conformità deve essere depositata, dall’impresa installatrice, presso lo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune in cui si trova l’impianto entro 30 giorni dalla conclusione dei lavori, ma solo per gli edifici che sono già in possesso del certificato di agibilità.

Nel caso di nuove costruzioni, la dichiarazione di conformità costituisce un elemento essenziale da allegare al certificato di agibilità.

Lo Sportello Unico del Comune deve inoltrare una copia della dichiarazione di conformità alla Camera di Commercio competente per il territorio.

Eventuali violazioni accertate da parte delle imprese installatrici vengono comunicate alla Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura competente per territorio, che procede a registrare l’infrazione nell’Albo provinciale delle imprese artigiane o nel Registro delle imprese presso cui l’impresa inadempiente risulta essere iscritta, attraverso la redazione di un apposito verbale.

Condominio, l’ascensore è installabile anche con il voto contrario dell’assemblea

L’installazione di un ascensore su un’area condominiale, allo scopo di eliminare le barriere architettoniche, costituisce un’innovazione che, secondo l’articolo 2, comma 1, della legge 13/1989, può essere approvata dall’assemblea con la maggioranza prescritta dall’articolo 1120, secondo comma, del Codice civile (in riferimento all’articolo 1136, secondo comma, del Codice stesso, vale a dire con la maggioranza degli intervenuti che rappresenti metà del valore dei millesimi).

Se l’adunanza condominiale esprime delibera contraria oppure omette di pronunciarsi, il portatore di handicap può chiedere per iscritto che si esegua l’opera, la quale, trascorsi inutilmente tre mesi, può essere installata, a proprie spese, dal richiedente (articolo 2, comma 2, della legge 13/1989).

A parte qualche voce in contrasto (per esempio, la sentenza della Cassazione civile, sezione VI, del 14 settembre 2017, n. 21339), l’orientamento prevalente della Suprema Corte appare quello espresso dalla sentenza della seconda sezione civile 28 marzo 2017, n. 7938, per cui “la legge 13 del 1989, in materia di eliminazione di barriere architettoniche, costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico volte a favorire, nell’interesse generale, l’accessibilità agli edifici”.

Posto ciò, sempre secondo la medesima sentenza, neppure il regolamento condominiale che disponga regole per il rispetto del decoro architettonico può limitare l’installazione dell’ascensore. A maggior ragione non possono farlo i singoli condòmini, o le delibere assembleari.

In particolare, sempre la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che “nel verificare se una nuova opera costituisce una turbativa al godimento di un condòmino occorre verificare se questa è stata realizzata per eliminare barriere architettoniche ad un disabile residente nello stabile (fattispecie relativa all’abbattimento di un muro perimetrale per l’apertura di una porta d’ingresso di un ascensore)” (Cassazione civile, sezione II, sentenza12 aprile 2018, n. 9101).

I condòmini dissenzienti sono esonerati dalla spesa, in applicazione dell’articolo 1121 del Codice civile, perché l’ascensore è opera suscettibile di utilizzazione separata; tuttavia, possono successivamente farne uso partecipando ai costi.

Concludendo, l’installazione ex novo dell’ascensore non richiederà la maggioranza dell’assemblea dei condòmini, neppure per un apparecchio esterno all’edificio, e che i condòmini dissenzienti non sono obbligati a partecipare alla spesa.

La ripartizione delle spese per la sostituzione della pulsantiera condominiale

Le spese per la sostituzione della pulsantiera si ripartiscono tra tutti i condòmini per millesimi di proprietà, a patto che il regolamento condominiale contrattuale, se esistente, non disponga diversamente.

Infatti il Codice civile, all’articolo 1123, comma 1, dispone che “le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza, sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.

Un morto ogni due giorni in cantiere. Piemonte maglia nera per incidenti

Nei cantieri edili un addetto perde la vita ogni due giorni. E in un caso su tre lavora in una realtà imprenditoriale diversa. Come l’installazione degli impianti, settore al quale si applica il contratto dei metalmeccanici come previsto dagli accordi sindacali tra le parti sociali.

A sottolinearlo è la Cgia di Mestre, che ha elaborato alcune statistiche sui morti sul lavoro. Dal report si evince che è il cantiere il luogo a maggior rischio. Questo perché le maestranze che esercitano l’attività edile ma non dispongono del contratto corrispondente non sono tenute a frequentare i corsi di formazione obbligatori previsti per gli edili. Ciò rende i lavoratori meno consapevoli e meno preparati ad affrontare i rischi e i pericoli che possono incorrere durante la giornata lavorativa.

I dati disponibili – per la Cgia – non consentono di «soppesare» quante imprese dell’edilizia applicano il contratto metalmeccanico al posto quello edile. Ma è evidente che nei cantieri accedono comunque troppi addetti che non hanno ricevuto un’adeguata formazione in materia di sicurezza.

Se tra le principali irregolarità riscontrate dall’Ispettorato del Lavoro durante l’attività di controllo emergono, in particolar modo, i ponteggi non ancorati correttamente, l’assenza di percorsi all’interno del cantiere dedicati ai mezzi e/o ai pedoni o la mancanza/inadeguatezza di dispositivi di protezione collettivi (parapetti, armature, barriere), vuol dire che il lavoro da fare in materia di prevenzione è ancora tantissimo.

Secondo la banca dati Inail, in Italia nel 2022 sono stati denunciati 1.208 incidenti mortali nei luoghi di lavoro, di cui 175 – praticamente uno ogni due giorni – hanno interessato il comparto delle costruzioni.

Tra i decessi avvenuti in questo settore ben 63 (ovvero il 36 per cento del totale), erano lavoratori del settore dell’installazione degli impianti. Un’incidenza, quest’ultima, che è aumentata notevolmente rispetto a quella registrata negli anni precedenti.

A livello territoriale le situazioni più critiche riguardano il Piemonte (65 per cento), la Liguria e l’Umbria (entrambe con il 50 per cento), la Lombardia con il 40,7 per cento e il Friuli-Venezia Giulia con il 40 per cento.

Senza contare, poi, la presenza endemica nel settore dell’edilizia dei lavoratori in nero. Lavoratori completamente sconosciuti al fisco, all’Inps e all’Inail che vengono pagati in contanti ogni fine settimana.

Secondo le stime dell’Istat, negli ultimi anni il fenomeno nel suo complesso è in calo, tuttavia gli irregolari presenti nell’edilizia ammonterebbero a 220.200. Segnaliamo, invece, che il tasso di irregolarità delle costruzioni nel 2021 (ultimo dato disponibile) era al 13,3 per cento: tra tutti i settori economici presenti nel Paese, solo l’Agricoltura con il 16,8 per cento e gli altri servizi alle persone (colf, badanti, cura della persona, etc.) con il 42,6 per cento presentavano un tasso superiore alle costruzioni.

Ascensore condominiale e trasporto di scarti edilizi

In assenza di una diversa disposizione contenuta nel regolamento condominiale contrattuale, se esistente, si ritiene che il condòmino possa utilizzare l’ascensore anche per l’esecuzione di opere riguardanti la ristrutturazione di proprietà esclusive.

Sul tema specifico, si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 1982, n. 2117, secondo cui in condominio trova applicazione il principio ex articolo 1102 del Codice civile, “che consente al singolo condòmino di fare uso della cosa comune anche per un suo fine particolare, con conseguente possibilità di ritrarre dal bene una specifica utilità aggiuntiva rispetto a quelle generali ridondanti a favore degli altri condòmini, con il solo limite che non ne derivi una lesione del pari diritto spettante a questi ultimi”.

“Da tanto consegue – prosegue la sentenza – che in difetto di specifiche limitazioni stabilite dal regolamento di condominio, l’uso dell’ascensore per il trasporto di materiale edilizio può essere legittimamente inibito al singolo condòmino solo qualora venga concretamente e specificamente accertato che esso risulti dannoso, sia compromettendo la buona conservazione delle strutture portanti e del relativo abitacolo, sia ostacolando la tempestiva e conveniente utilizzazione del servizio da parte degli altri condòmini, in relazione alle frequenze giornaliere, alla durata e all’eventuale orario di esercizio del suddetto uso particolare, alle cautele adoperate per la custodia delle cose trasportate”.

Si segnala che anche la sentenza della Cassazione 6 febbraio 1098, n. 686, è di questo stesso tenore.

Detto questo, eventuali danni conseguenti ad un uso improprio dell’impianto saranno a carico del condòmino che sta effettuando i lavori di ristrutturazione.

Il condominio deve rispettare la normativa sul trattamento dei dati personali?

privacy convegno

Il concetto di “privacy” entra nell’ordinamento giuridico nazionale nel 1996, con la legge n. 675/1996, successivamente sostituita con l’attuale decreto legislativo n. 196/2003.

Quindi, già da molti anni, era necessario adeguarsi alle varie disposizioni e mettere in atto i diversi adempimenti previsti dalla normativa in materia di “privacy”, o meglio, in materia di “trattamenti dei dati personali”.

Ma è solo con il nuovo “Regolamento europeo per la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei loro dati personali” (GDPR 679/16), approvato nel 2016 e divenuto operativo a decorrere dal 25 maggio 2018 che la materia “privacy” entra nella vita quotidiana in materia preponderante, riconoscendo per la prima volta l’importanza che la protezione dei dati personali riveste per la tutela delle persone fisiche.

Il 10 agosto dello stesso anno viene emanata la norma italiana di coordinamento tra il GDPR ed il D.Lgs. 196/2003, ossia il D.Lgs. 101/18 e con il quale, mediante l’abrogazione di diversi articoli della vecchia normativa e l’inserimento di alcuni nuovi, il Legislatore ha cercato di riempire alcuni degli spazi che il GDPR aveva lasciato vuoti, come ad esempio l’introduzione delle sanzioni penali.

E, come è ovvio che, se parliamo di tale argomento in questa rivista, la protezione dei dati personali riguarda anche il condominio, e i suoi attori.

Vediamo, quindi, preliminarmente, alcune definizioni generali fissate dal G.D.P.R. per poi calarle nella realtà condominiale, per iniziare a comprendere quali siano le incombenze che riguardano il condominio e quali siano gli attori protagonisti.

Le definizioni sono indicate nell’articolo 4, G.D.P.R.:

Trattamento: qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con o senza l’ausilio di processi automatizzati e applicate ai dati personali o insiemi di dati personali, come la raccolta, la registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica, l’estrazione, la consultazione, l’uso, la comunicazione mediante trasmissione, diffusione o qualsiasi altra forma di messa a disposizione, il raffronto o l’interconnessione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione.

Da un punto di vista pratico, costituiscono trattamento di dato personale:
• venire a conoscenza di un’informazione relativa ad un condomino
• comunicare un’informazione attinente ad un condomino ad un soggetto terzo
• inviare o ricevere un’e-mail
• il solo svuotamento di un cestino nello studio dell’amministratore di condominio

Dato personale: qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile (interessato). Si considera identificabile la persona fisica che può essere identificata, direttamente o indirettamente con particolare riferimento a un identificativo come il nome, un numero di identificazione, dati relativi all’ubicazione, un identificativo online o a uno o più elementi caratteristici della sua identità fisica, fisiologica, genetica, psichica, economica, culturale o sociale.

Come è noto, l’amministratori di condominio viene a conoscenza e gestisce nell’ambito della propria attività innumerevoli dati personali: nome e cognome, indirizzo, numero di telefono dei condomini, i dati dei fornitori sia dell’amministratore che del condominio, e molti altri.

Dato particolare: qualsiasi dato personale che riveli l’origine razziale ed etnica, le opinioni politiche, le convinzioni religiose o filosofiche, l’appartenenza sindacale, dati genetici, dati biometrici intesi a identificare in modo univoco una persona fisica, dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale della persona.

Potrebbe accadere che l’amministratori di condominio debba trattare anche dati personali particolari, ad esempio, nel caso abbattimento delle barriere architettoniche, deve necessariamente conoscere dati personali relativi alla condizione di handicap di un condomino.

Titolare del trattamento: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che, singolarmente o insieme ad altri, determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati personali; quando le finalità e i mezzi di tale trattamento sono determinati dal diritto dell’Unione o degli Stati membri, il Titolare del trattamento o i criteri specifici applicabili alla sua designazione possono essere stabiliti dal diritto dell’Unione o degli Stati membri.
All’interno del condominio che è il Titolare del trattamento: non che essere l’intera compagine condominiale, e quindi l’assemblea condominiale quale organo sovrano deputato a determinarne gli indirizzi operativi della vita condominiale
Il Titolare del trattamento decide quali dati personali debbano essere trattati, per quale motivo questi dati debbano esser trattati, le misure di sicurezza da applicare al trattamento.

L’amministratore di condominio deve essere identificato come Titolare del trattamento per tutti i dati personali relativi ai propri soggetti interessati, come ad esempio i propri fornitori o i propri dipendenti, mentre sarà da considerare “Responsabile del Trattamento” per tutti i dati relativi ai condomini, ai fornitori del condominio o ad eventuali dipendenti dello stesso (portieri, manutentori ecc.).

Responsabile del trattamento: la persona fisica o giuridica, l’autorità pubblica, il servizio o altro organismo che tratta dati personali per conto del Titolare del trattamento.

Nell’ambito del condominio, Responsabile del trattamento è l’amministratore, in qualità di rappresentante legale del condominio, che dovrà ricevere formale nomina in tal senso.

Anche perché, l’articolo 28, G.D.P.R. è categorico nell’affermate che il Responsabile deve essere incaricato con atto giuridico avente valore vincolante nello Stato membro o
secondo il diritto UE.

Come Responsabile del trattamento, l’amministratore dovrà:
• avere adeguata formazione in materia di trattamento dei dati personali;
• mettere in atto e mantenere delle misure di sicurezza tecniche e organizzative;
• autorizzare e formare gli addetti.

Soggetto interessato: la persona fisica, cui si riferiscono i dati personali

Nell’ambito condominiale, i soggetti interessati saranno gli stessi condomini, ma anche i dipendenti e i fornitori del condominio.
Ma non solo…..saranno anche il conduttore dell’appartamento, i terzi – persone fisiche – che, per qualsiasi motivo, vengano in contatto con il Condominio, come danneggiati, consulenti, soggetti ripresi dal sistema di videosorveglianza condominiale, e, chiaramente, anche lo stesso Amministratore, quale persona fisica i cui dati è necessario trattare ai fini della gestione del Condominio.

Vi sono poi tutti quei soggetti che lavorano alle dipendenze del Titolare o del Responsabile, i quali, in quanto incaricati da costoro di trattare dati personali nel contesto delle proprie mansioni lavorative, devono essere istruiti sul trattamento e sulla disciplina privacy dal Titolare o dal Responsabile.

Per quanto riguarda l’individuazione dei soggetti attivi nell’ambito del trattamento dei dati personali all’interno del condominio, è intervenuto anche il Garante della Privacy, con il c.d. “Vademecum del Palazzo” in una prima versione del 18 maggio 2066, debitamente modificata, il 10 ottobre 2013, a seguito dell’approvazione della Riforma del condominio avvenuta con legge n. 220/2012.

Nel primo Vademecum il Garante Privacy afferma che l’Amministratore deve essere considerato come Responsabile, mentre la compagine condominiale è il Titolare.
Nel secondo Vademecum, ribadendo tale concetto, il Garante aggiunge che l’Assemblea dei condòmini può nominare l’Amministratore come Responsabile (ma, come detto, è meglio che tale nomina venga comunque formalmente fatta).

Nella Relazione dell’attività svolta nel corso del 2019, il Garante Privacy si è invece così espresso:
“è stata colta l’occasione per confermare, in termini generali, quanto già indicato nel provvedimento 18 maggio 2006 in merito al trattamento di dati personali nell’ambito dell’amministrazione di condomini e per ribadire che le informazioni personali riferibili a ciascun partecipante possono essere trattate per la finalità di gestione ed amministrazione del condominio e che possono essere per tali ragioni condivise all’interno della compagine condominiale, tenendo anche conto che i condòmini devono essere considerati CONTITOLARI di un medesimo trattamento dei dati di cui l’amministratore, agendo in EVENTUALE veste di responsabile del trattamento, ha la concreta gestione”.

Da ultimo, al fine di confermare che anche il condominio è soggetto alla normata in materia di trattamento dei dati personali, e di identificare correttamente gli attori protagonisti, il Garante Privacy con il provvedimento del 6 aprile 2017, ha definito i ruoli del condominio e dell’amministratore:
“il condominio, in virtù della disciplina normativa che ne regola i vari aspetti, agisce per il tramite dell’amministratore formalmente designato dall’assemblea al quale sono a tal fine attribuiti specifici poteri di rappresentanza relativamente ai diversi aspetti che ne riguardano la gestione (cfr. art. 1131 c.c.), rispetto ai quali, peraltro, la designazione formale dello stesso quale responsabile del trattamento costituisce una mera eventualità (cfr. punto 2 del citato provv. dell´8 maggio 2006), dovendosi intendere che, in caso contrario, l’amministratore operi comunque per conto del condominio in virtù del rapporto di mandato presupposto…”

Per cui, in conclusione di questo primo approccio alla materia del trattamento dei dati personali da parte del condominio, alla luce della normativa analizzata, e dei vari interventi del Garante Privacy, non si può che confermare che anche il condominio è obbligato ad avere una c.d. “compliance privacy” debitamente aggiornata, e a premunirsi nel mettere in atto, se non ancora fatto, il più in fretta possibile, tutti gli adempimenti che la vigente normativa prevede in materia di protezione dei dati personali trattati, al fine di evitare importanti sanzioni amministrative che vengono periodicamente applicate dal Garante Privacy, nei confronti degli amministratori di condominio soggetti a procedimento ammnistrativo di controllo, a seguito di apposite segnalazioni, spesso provenienti proprio dai propri condomini.

Nei prossimi approfondimenti entreremo sempre più a fondo di tutte quelle che sono le competenze del condominio, dell’amministratore e di tutti i soggetti, che a qualunque titolo ruotano intorno ad esso, in materia di trattamento dei dati personali.

A cura di Dott. Marco MASSAVELLI – DPO e Consulente privacy per condomini

Superbonus e plusvalenze, le proposte del Notariato

Nello studio n. 15-2024/T, il Notariato fa il punto sulle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 in merito alle plusvalenze immobiliari a seguito di interventi che abbiano goduto del beneficio del Superbonus, proponendo limiti meno rigidi.

La Legge di Bilancio
Potrebbero incorrere in pesanti imposte coloro che vendono un immobile ristrutturato con il Superbonus prima che siano trascorsi 10 anni dalla fine dei lavori.
È quanto prevede la Legge di Bilancio 2024, stabilendo che si aggiungono tra i redditi diversi, ai sensi del Testo Unico sulle Imposte sui Redditi (TUIR), le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di immobili sui quali siano stati realizzati interventi agevolati dal Superbonus.

La plusvalenza da Superbonus
In campo economico, la plusvalenza fa riferimento al profitto ottenuto dalla vendita di un bene, come un immobile o un titolo, il cui valore è aumentato rispetto al momento dell’acquisto.
La plusvalenza, viene calcolata sulla differenza tra il ricavo della vendita e il valore d’acquisto, incrementato di eventuali spese correlate all’immobile ceduto.
In conformità con quanto previsto dal comma 64 della Legge di Bilancio 2024, per gli immobili diversi dall’abitazione principale e non ottenuti tramite successione sui quali sono stati effettuati interventi agevolati con il Superbonus al 110%, è prevista un’imposta sulla plusvalenza del 26% generata dalla loro vendita nei successivi 10 anni.
In altre parole, solo in due casi non sarebbe dovuta l’imposta, e cioè se l’immobile fosse ceduto attraverso una successione o quando si trattasse di abitazione principale.
In particolare, per il calcolo delle plusvalenze si stabilisce che queste siano costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.
La Legge di Bilancio 2024 introduce due scenari:
• nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi entro i 5 anni, all’atto della cessione, non si terrà conto delle spese relative a tali interventi nella eventualità che il beneficiato abbia scelto la strada della cessione del credito o dello sconto in fattura;
• nel caso in cui gli interventi agevolati si siano conclusi da più di 5 anni, si terrà conto del 50% di tali spese qualora si sia beneficiato dell’incentivo al 110% e siano state esercitate le opzioni della cessione del credito o dello sconto in fattura.
La nuova imposizione fiscale, in vigore dal primo gennaio 2024, sembra estendersi a qualsiasi situazione in cui si sia usufruito del Superbonus, indipendentemente dalla sua percentuale (110%, 90%, 70% o 65%).
Ciò vale sia nel caso in cui la detrazione sia stata utilizzata direttamente nella dichiarazione dei redditi, sia nel caso in cui si sia optato per la cessione del credito o lo sconto sul corrispettivo.
La misura applicata agli immobili riqualificati con il Superbonus è stata concepita per scoraggiare operazioni speculative e garantire che le agevolazioni fiscali siano state effettivamente ed esclusivamente impiegate per migliorare l’efficienza energetica degli immobili.
Fino al 2023, le spese “sostenute” per la realizzazione dei lavori agevolati con il Superbonus erano deducibili dalla plusvalenza tassabile.
La ratio della nuova norma è non concedere più una doppia agevolazione: la realizzazione a costo zero di lavori che aumentano il valore dell’immobile e la vendita dell’immobile riqualificato senza il pagamento di una tassa sulla plusvalenza.

Esonero dell’imposta sulla plusvalenza Superbonus
Si ribadisce che sono previste due eccezioni all’imposta sulla plusvalenza da Superbonus:
• gli immobili ereditati per successione o donazione;
• gli immobili utilizzati come residenza principale dal venditore o dai suoi familiari per la maggior parte dei 10 anni precedenti la vendita, o per la maggior parte del periodo se inferiore ai dieci anni.
In caso di detrazione fiscale nella dichiarazione dei redditi, tutte le spese possono essere considerate.
Per gli immobili acquistati o costruiti da oltre cinque anni, il prezzo d’acquisto o il costo di costruzione è rivalutato in base all’indice Istat.

Il Notariato propone di limitare l’applicazione della plusvalenza
Nello studio n.15-2024/T, il Notariato fa il punto sulle novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2024 proprio in relazione alle plusvalenze immobiliari a seguito di interventi effettuati con i benefici del Superbonus, proponendo limiti meno rigidi.
“Sarebbe ragionevole considerare, ai fini della plusvalenza tassabile, solamente i lavori edilizi eseguiti direttamente sull’immobile tramite il Superbonus, escludendo gli interventi sulle parti comuni dello stabile”, spiegano i Notai.
Più in dettaglio, il Notariato propone di escludere dalla plusvalenza Superbonus anche:
• i lavori di manutenzione ordinaria e quelli qualificabili come edilizia libera;
• i lavori agevolati con un’aliquota inferiore al 110%;
• le vendite effettuate da chi non ha usufruito del Superbonus.
Secondo i Notai, dovrebbero generare una plusvalenza Superbonus solo:
• gli interventi che abbiano riguardato direttamente l’immobile (secondo questa interpretazione un lavoro sulle parti comuni non produce alcun effetto per il singolo appartamento);
• gli interventi edilizi trainanti e trainati di manutenzione straordinaria, di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione edilizia eseguiti sul singolo immobile (esclusi, quindi, gli interventi di manutenzione ordinaria o più in generale realizzabili in edilizia libera);
• gli interventi che hanno usufruito della detrazione al 110% (e non quelli agevolati con l’aliquota al 90% o 70%);
• gli interventi agevolati con il Superbonus e realizzati direttamente dal proprietario (se il proprietario vendesse l’immobile, subirebbe una tassazione per lavori che non ha pagato e per i quali non ha usufruito di alcuna agevolazione).
Lo studio del Notariato si spinge oltre, offrendo altri esempi di interventi che non creano plusvalenza, come l’installazione di pompe di calore, l’eliminazione di piccole barriere architettoniche, la sostituzione delle finestre e delle strutture accessorie, l’installazione di pannelli solari, la sostituzione di impianti di climatizzazione invernale.