Più di 7 italiani su 10 vivono in contesti abitativi che richiedono di relazionarsi con vicini di casa e con un’organizzazione condominiale. Su questo tema Changes Unipol ha realizzato una nuova ricerca elaborata da Ipsos, finalizzata ad analizzare qualità e quantità dei rapporti interpersonali tra condòmini, grado di soddisfazione per l’operato dell’amministratore di condominio e, più in generale, rapporto con gli aspetti gestionali quali assemblee e spese condominiali.
Un italiano su tre litiga con il vicino: le motivazioni
Le relazioni degli italiani con i vicini sono abbastanza frequenti solo per il 37% degli italiani: il 27% dichiara di entrare in rapporto con il vicinato circa una volta a settimana, ma soltanto il 10% indica di farlo più volte al giorno. Due italiani su 10 sostengono di non avere del tutto interazioni.
Bologna è l’area metropolitana più attiva nelle relazioni di vicinato (il 61% indica almeno una volta a settimana), mentre Roma e Torino emergono per la maggior quota di assenza di interazioni (rispettivamente il 24% e il 21%). Tra le generazioni, i giovani della Generazione Z (16-26 anni) hanno le frequentazioni più assidue, nel 48% dei casi almeno una volta a settimana, seguite dai Baby Boomers (57-74 anni), mentre i Millennials (27-40 anni) e Generazione X (41-56 anni) sono più “schivi”, probabilmente anche per la minor presenza in casa negli orari lavorativi.
Le relazioni di vicinato sono definite dagli italiani prevalentemente “normali”: non c’è confidenza, ma ci si aiuta in caso di necessità (nel 59% dei casi). Tuttavia, non tutto procede sempre per il meglio, anzi: un italiano su tre ha avuto almeno una lite o un’accesa discussione con i vicini e, nel 15% dei casi, i litigi sono avvenuti anche più volte.
È Napoli la città che emerge come la più litigiosa tra le aree metropolitane (il 37% ha litigato almeno una volta), seguita in questa speciale classifica da Roma (34%), Cagliari (33%) e Torino (31%). Le città in cui le relazioni risultano più armoniose sono, invece, Firenze, dove il 79% dichiara di non aver mai avuto liti condominiali, Milano (75%) e Verona (75%).
Tra le fasce di età, sono i giovani Gen Z – che hanno anche le interazioni più frequenti con i vicini – a confermare di avere avuto più frequentemente liti o discussioni (nel 39% dei casi), mentre i Baby Boomers sono i più “pacifici”, visto che nel 77% dei casi non hanno mai avuto discussioni accese.
I motivi dei contrasti
In primis, nel 29% dei casi, si litiga per i rumori molesti o che avvengono in orari inadeguati, seguiti dai comportamenti “sgraditi” dei vicini (27% dei casi) e dal “parcheggio selvaggio” dei mezzi di trasporto (20%). Ma, se si analizzano le singole città, nell’Italia dei campanili ciascuna di esse presenta delle peculiarità.
In particolare, il parcheggio selvaggio dei mezzi di trasporto è un motivo di lite soprattutto a Napoli (3 persone su 10), mentre a Bari è il mancato o ritardato pagamento delle spese condominiali al centro delle discussioni (23%).
La gestione degli animali domestici genera discussioni soprattutto a Roma (21%), mentre a Milano è la gestione delle biciclette a creare dissapori (14%), assieme al servizio di portineria (10% dei casi). A Torino, invece, le liti nascono spesso per la gestione della raccolta differenziata (18%) e l’ostruzione del passaggio nell’atrio/pianerottolo con passeggini, monopattini o altri oggetti (14%).
A Verona e Firenze, infine, si discute più della media anche per gli interventi e spese del condominio (rispettivamente nel 24% e nel 22% dei casi), ma anche per la manutenzione del giardino (rispettivamente 13% e 14% dei casi).
Tra le generazioni, un quarto della Gen X (il 25%) litiga per il parcheggio improprio dei mezzi di trasporto, mentre per la Gen Z il primo motivo di discussione in assoluto sono i comportamenti sgraditi degli altri condòmini, nel 26% dei casi. Quasi un Baby Boomer su quattro (il 23%) segnala, invece, i ritardi nel pagamento delle spese condominiali.
Metà degli italiani sono scontenti dell’amministratore di condominio
Un italiano su due, per l’esattezza il 52% degli italiani, non è soddisfatto del proprio amministratore di condominio. In particolare, sono le grandi metropoli a registrare la più alta delusione: i romani, con un 64% di giudizi negativi, risultano essere i più scontenti, seguiti dagli abitanti di Milano (56%). Bologna e Cagliari sono invece le città con le valutazioni più positive con, rispettivamente, il 43% e il 38% che promuove l’operato dell’amministratore con un voto pari almeno ad 8, a fronte di una media nazionale del 26%.
Tra le generazioni, i più soddisfatti dell’amministratore, nel 32% dei casi, sono i Baby Boomers, mentre Gen X e Millennials sono i più critici, con giudizi negativi rispettivamente nel 56% e nel 55% dei casi.
I principali motivi di insoddisfazione sono legati alla scarsa capacità propositiva dell’amministratore per la risoluzione dei problemi ed esigenze condominiali (nel 36% dei casi), alla non soddisfacente gestione amministrativa (34%), ma anche alla percezione di una certa distanza da interessi ed esigenze dei condomini (34%). Più in generale, chi si lamenta dell’amministratore è portato a farlo comunque più per motivi legati alla sua scarsa capacità nell’esercizio della funzione (nell’82% dei casi) che per motivi legati a scorrettezza o disonestà (67% dei casi).
L’insoddisfazione per la gestione amministrativa è maggiore a Roma (48%), Bologna (46%) e Napoli (44%) e, quella per la scarsa reperibilità dell’amministratore a Milano (45%) e Firenze (42%), mentre Torino e Firenze lamentano la scarsa trasparenza (rispettivamente 38% e 31%). Cagliari e Napoli, invece, segnalano le scarse capacità organizzative dell’amministratore (36% e 33%), mentre la gestione economica risulta poco soddisfacente a Bologna (35%) e Torino (31%).
Tra le diverse generazioni, la metà dei Baby Boomers lamenta la scarsa propositività dell’amministratore (nel 51% dei casi) e il suo scarso orientamento verso le esigenze dei condomini (46%), posizione quest’ultima condivisa con la Gen Z (48% dei casi), mentre i Millennials e la Gen X criticano soprattutto la gestione amministrativa, rispettivamente nel 38% e nel 37% dei casi.
Assemblea di condominio: un italiano su due partecipa assiduamente
Il tema della gestione del condominio è importante per gli italiani, che infatti intervengono numerosi alle assemblee condominiali (il 72% partecipa, di cui il 49% sempre o quasi sempre). Le città più attive sono Bari e Bologna, dove almeno sei condòmini su 10 prendono parte alle riunioni condominiali quasi sempre. Le città più assenteiste, invece, sono Milano e Verona, dove un terzo non partecipa quasi mai.
I Baby Boomers sono i più assidui partecipanti (78%), mentre i più assenteisti sono Gen Z e Millennials, che in un terzo dei casi non si presentano mai o quasi mai.
Le riunioni di condominio attualmente si svolgono principalmente in presenza (nel 77% dei casi), che risulta anche la modalità preferita per il 64% degli intervistati, anche se il 18% degli italiani le preferirebbe a distanza, on-line, (modalità ad oggi praticata solo nel 5% dei casi). In particolare, sono soprattutto i milanesi (35% dei casi), ma anche i romani (26%) a preferire maggiormente le riunioni on-line. Tra le generazioni, Millennials e Gen X, più outdoor e impegnati al lavoro durante la giornata, evidenziano il maggiore interesse per la modalità a distanza.
Complessivamente solo due italiani su 10 si dicono pienamente soddisfatti delle riunioni di condominio (voti da 8 a 10) e la città con la più alta quota di soddisfatti è Bologna, seguita da Cagliari, mentre Roma e Napoli sono le aree metropolitane in cui l’insoddisfazione è più diffusa (voti da 1 a 5).
Il motivo di insoddisfazione principale è l’assenteismo da parte dei condòmini (37%), seguito dalla scarsa frequenza delle assemblee (34%), dall’impossibilità di dialogare civilmente (27%) e dalla mancata mediazione da parte dell’amministratore in caso di discussioni (25%)
Per Millennials e Gen X l’insoddisfazione è legata principalmente all’orario inadeguato e quindi all’esigenza di maggiore flessibilità, dovuta alla loro maggiore necessità di conciliare lavoro e gestione della casa e della famiglia (rispettivamente 28% e 25% a fronte della media nazionale del 22%).
Gli italiani affermano, infine, di pagare mediamente spese condominiali per circa 100 euro mensili, un ammontare ritenuto però inadeguato da un intervistato su tre (32%). Milano e Bologna dichiarano spese mensili sopra media, rispettivamente di 162 euro e 132 euro.
Tutte le città vorrebbero – naturalmente – pagare spese condominiali inferiori alle attuali, in primis Milano, i cui abitanti vorrebbero ridurle di quasi il 40%, così da allinearsi alla media nazionale.
Comunicato Stampa
Il fotovoltaico e il solare termico in condominio, così come in un’abitazione singola, comportano diversi vantaggi per gli utenti. Si tratta, infatti, di tecnologie che assicurano notevoli risparmi economici e benefici ambientali e che, nel corso degli anni, si sono ampiamente diffuse anche in ambito residenziale.
Pannelli fotovoltaici e solari termici, del resto, hanno oggi costi più accessibili, rientrano tra le opere di efficientamento energetico che consentono di accedere a una serie di agevolazioni fiscali e favoriscono il taglio dei costi in bolletta per l’acquisto di energia.
Il fotovoltaico, in particolare, permette l’autoproduzione di energia, che riduce in modo significativo la dipendenza dalla rete elettrica nazionale.
Naturalmente, il livello di indipendenza varia a seconda della tipologia di edificio, del profilo di consumo dell’utente e dalla predisposizione di tecnologie, quali i sistemi di accumulo.
Nel caso specifico del condominio, però, ci sono alcune importanti informazioni da conoscere.
Fotovoltaico e solare termico in condominio: impianto centralizzato e privato
Quando si decide di installare un impianto fotovoltaico o solare termico in condominio la prima questione da affrontare riguarda la proprietà dello stesso.
Il discorso vale principalmente per il fotovoltaico, dato che un impianto può essere centralizzato e, quindi, di proprietà del condominio, oppure privato, ossia di un solo condòmino.
A seconda delle circostanze, cambia la modalità con cui si utilizza l’energia prodotta dai pannelli. Nel caso si tratti di un impianto privato, l’energia viene consumata dal condòmino che ha sostenuto l’investimento, all’interno del proprio appartamento. Nel caso sia invece un impianto centralizzato, l’energia prodotta non viene ripartita tra i vari condòmini per usi domestici, bensì è utilizzata per ammortizzare la spesa sostenuta per gli spazi comuni, come l’illuminazione o il funzionamento dell’ascensore.
La comunità energetica di condominio
Esiste, poi, una terza strada: la comunità energetica condominiale.
In questo caso, viene costituita una comunità energetica i cui membri sono i diversi condòmini. Una comunità energetica è un insieme di utenti singoli che, tramite un apposito documento di costituzione e uno specifico regolamento, producono e scambiano energia pulita.
Può essere costituita tra soggetti dislocati sul territorio, ma se il confine è il condominio, si parla di comunità energetica condominiale.
In questo caso, l’impianto produce energia e tutti i condòmini che aderiscono possono beneficiarne. Da qui deriva la definizione di autoconsumo collettivo, dato che l’energia viene virtualmente distribuita sulla base del fabbisogno rilevato in quel momento.
Per costituire una comunità energetica non è necessario che tutti i condomini partecipino, ma ne sono sufficienti due.
Naturalmente, prima di procedere nella costituzione di una comunità energetica condominiale, è bene procedere con uno studio di fattibilità, finalizzato a verificare le superfici disponibili e la conformazione dell’immobile, ma anche a mappare i consumi degli utenti e calcolare i benefici che si otterrebbero.
Le autorizzazioni necessarie per fotovoltaico e solare in condominio
Per quanto riguarda il tema delle autorizzazioni necessarie, si deve precisare che nel caso si tratti di un impianto fotovoltaico di proprietà del condominio è necessaria un’assemblea e una votazione favorevole da parte di almeno la metà dei condomini. L’iter è stato semplificato con la Riforma del Condominio, che ha agevolato innovazioni quali l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile. Nel caso vi siano condòmini contrari, non si potrà chiedere loro di sostenere le spese per l’acquisto e l’installazione del fotovoltaico. Allo stesso tempo, però, non potranno godere dei benefici derivanti dallo stesso.
Se, invece, si tratta di impianti privati, siano essi fotovoltaici o solari termici, è possibile per il singolo condòmino procedere all’installazione sia su parti comuni, sia sulle proprietà che gli appartengono. In questo secondo caso, non serve una preventiva comunicazione all’assemblea. Mentre in caso di superfici comuni, come quella della copertura, è necessario comunicare all’amministratore quanto si vuole realizzare, in modo che questi possa convocare un’assemblea condominiale e informare tutti i condòmini ed eventualmente verificare la fattibilità e la conformità dell’intervento.
L’esito del confronto in assemblea può riguardare indicazioni in merito al progetto e all’installazione, ma non è possibile negare l’uso di spazi comuni per l’installazione di impianti per la produzione di energia rinnovabile, purché non siano compromessi stabilità e decoro architettonico dell’edificio.
Impianti fotovoltaici: le alternative al tetto o agli spazi comuni
In alternativa agli spazi comuni, come lastrici solari e coperture, i singoli condòmini sono liberi di installare un impianto privato sulle rispettive proprietà. è comunque bene ricordare che ci sono anche alcune alternative alle classiche ubicazioni.
Ad esempio, sempre più spesso si sente parlare del fotovoltaico “da balcone”, che può essere installato senza alcuna autorizzazione. L’intervento rientra infatti tra le opere di edilizia libera e sul mercato si trovano piccoli impianti installabili anche in totale autonomia. Chiaramente si tratta di impianti che consentono piccole produzioni, inferiori a 1 kWh. Hanno costi accessibili e occupano poco spazio, tanto da essere installati anche sulle sole ringhiere. Per quanto non sia necessaria una delibera d’assemblea, però, è sempre meglio dare comunicazione all’amministratore di quanto si vorrebbe realizzare e installare.
Il testo del Disegno di legge presentato al Senato lo scorso ottobre. La proposta è stata presentata dal Senatore Giorgio Maria Bergesio, che anche nella scorsa legislatura aveva sollevato il tema
Il presente disegno di legge è finalizzato all’istituzione del Registro nazionale degli amministratori di condominio allo scopo di introdurre garanzie a tutela sia dei singoli condomini sia della professionalità degli operatori del settore, che non sono adeguatamente tutelati dalla vigente normativa.
I requisiti per lo svolgimento dell’incarico di amministratore di condominio sono disposti dall’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n.220.
Tuttavia l’attuale previsione legislativa non garantisce la professionalità dell’amministratore, qualora sia interno allo stabile e quindi condòmino, in quanto non contempla il possesso di un diploma di scuola secondaria di secondo grado né lo svolgimento di un corso di formazione iniziale, oltre a quello di aggiornamento periodico regolamentato dal Decreto del Ministero della Giustizia 13 agosto 2014, n. 140.
È doveroso segnalare che nel nostro ordinamento l’attività professionale di amministratore di condominio non è ancora regolamentata, seppure tale figura rivesta un’importanza fondamentale, in quanto gli amministratori di condominio sono i gestori del patrimonio immobiliare italiano.
Il legislatore ha inteso regolamentare molteplici professioni quali, ad esempio, l’acconciatore, l’assistente sociale, l’autoriparatore, il direttore tecnico di agenzia di viaggi e turismo, ma non l’amministratore di condominio.
L’esigenza di istituire un Registro scaturisce dalla mancanza, all’interno del nostro ordinamento, di un sistema selettivo che valuti i requisiti di accesso alla professione.
Il citato articolo 71-bis, primo comma, delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie stabilisce che: “Possono svolgere l’incarico di amministratore di condominio coloro che:
• a) hanno il godimento dei diritti civili;
• b) non sono stati condannati per delitti contro la pubblica amministrazione, l’amministrazione della giustizia, la fede pubblica, il patrimonio o per ogni altro delitto non colposo per il quale la legge commina la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, a due anni e, nel massimo, a cinque anni;
• c) non sono stati sottoposti a misure di prevenzione divenute definitive, salvo che non sia intervenuta la riabilitazione;
• d) non sono interdetti o inabilitati;
• e) il cui nome non risulta annotato nell’elenco dei protesti cambiari;
• f) hanno conseguito il diploma di scuola secondaria di secondo grado;
• g) hanno frequentato un corso di formazione iniziale e svolgono attività di formazione periodica in materia di amministrazione condominiale”.
Ma non vi è alcun ente che verifica la sussistenza dei suddetti requisiti.
In relazione a quanto previsto dalla lettera g) del primo comma del citato articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, è opportuno segnalare che in Italia sono operative ben oltre cinquanta associazioni di categoria che organizzano corsi di avviamento e aggiornamento per la professione di amministratore di condominio. Ma solo un terzo di queste risulta iscritta nell’apposito elenco del Ministero delle Imprese e del Made in Italy, previsto per quelle associazioni che rilasciano un attestato di qualità e di qualificazione professionale dei servizi prestati dai soci.
È evidente che la semplice frequenza di un corso all’avviamento della professione, o di aggiornamento annuale, seppur tenuto da un’associazione di categoria, non costituisce un elemento utile a fornire alcuna garanzia in merito alla professionalità degli amministratori di condominio.
Si può affermare, senza ombra di dubbio, che un qualsiasi soggetto potrebbe esercitare la professione di amministratore di condominio, e quindi gestire denaro altrui, senza alcun controllo in ordine al possesso dei requisiti previsti dalla legge.
Questa situazione si ripercuote negativamente sia sui condòmini, in quanto sovente si crea un disorientamento in merito alla scelta del professionista cui affidare l’amministrazione dello stabile, sia su tutti quegli amministratori di condominio che, pur operando con competenza e correttezza, sono confusi con i colleghi meno professionali e trasparenti, che compiono illeciti e, con il loro operato, ingenerano le numerose controversie che, purtroppo, si registrano nel settore.
È il caso di riferire che oggi, presso i tribunali italiani, pendono circa due milioni di giudizi civili che hanno ad oggetto contenziosi di natura condominiale.
Tale situazione può essere superata con un processo di valorizzazione della figura dell’amministratore di condominio, anche in considerazione del mutato contesto nel quale si trova oggi ad operare. Un contesto nel quale, alle peculiarità proprie del patrimonio e della proprietà immobiliare del nostro Paese, si sono aggiunte nuove e articolate esigenze.
Tra emergenze abitative, frammentazione della proprietà immobiliare e vetustà dei fabbricati, a cui hanno fatto seguito misure di riqualificazione energetica e antisismica che comportano l’acquisizione di ulteriori e complesse competenze, l’amministratore di condominio è chiamato a ricoprire una pluralità di ruoli che, a loro volta, richiamano molteplici adempimenti e responsabilità. Da ciò scaturisce la necessità di individuare strumenti adeguati per stimolare una crescita professionale e, nel contempo, per responsabilizzare maggiormente gli operatori rispetto al contesto nel quale operano, soprattutto a tutela dei condòmini.
I dati del settore giustificano questa esigenza. Secondo la settima edizione del rapporto “Gli immobili in Italia” del 2019, curato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dall’Agenzia delle Entrate, in collaborazione con la Società generale d’informatica Spa (Sogei), il patrimonio immobiliare è composto da oltre 63 milioni di unità immobiliari, di cui oltre 34 milioni (il 54 per cento) sono abitazioni. Si stima, inoltre, che i condòmini siano oltre 1.200.000, mentre, secondo una ricerca della Confederazione europea delle professioni immobiliari (CEPI), il numero degli amministratori di condominio è pari a circa 300.000.
Questa professione assume particolare rilievo in relazione a due peculiarità del contesto italiano: la vetustà degli edifici e la distribuzione della proprietà immobiliare.
Due elementi che pongono con forza al centro della gestione del fabbricato l’amministratore condominiale, diviso tra il ruolo di mediatore tra le diverse volontà e i diversi interessi degli inquilini e dei proprietari, di gestore della manutenzione del bene immobile, di consulente e interprete delle misure che incentivano la riqualificazione dell’abitazione, con la gestione anche di consistenti flussi di denaro.
A questo proposito è il caso di segnalare che, per quanto attiene alla vetustà del patrimonio abitativo, dai dati del 15° Censimento dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) della popolazione e delle abitazioni del 2011 emerge che:
• il 53,7 per cento delle abitazioni ha più di quarant’anni ed è quindi stato costruito prima dell’entrata in vigore dellaLegge 30 aprile 1976, n. 373, per il contenimento del consumo energetico per usi termici degli edifici;
• il 31 per cento del patrimonio abitativo è stato edificato nel ventennio successivo;
• il 7,4 per cento del patrimonio abitativo è stato edificato nel periodo 1991-2000;
• soltanto il restante 7,69 per cento del patrimonio abitativo è stato edificato dopo il 2001.
Per quanto riguarda, invece, la distribuzione della proprietà immobiliare, il citato rapporto “Gli immobili in Italia” sostiene che il 75,2 per cento delle famiglie, tre su quattro, risiede in una casa di proprietà. La frammentarietà della proprietà accentua il ruolo di mediatore dell’amministratore di condominio in un contesto nel quale il patrimonio immobiliare rappresenta un valore complessivo di oltre 6.000 miliardi dieuro.
Il presente disegno di legge prevede, ai fini di un controllo della regolare iscrizione dell’amministratore al Registro nazionale degli amministratori di condominio, che l’accesso alle agevolazioni fiscali connesse agli interventi sugli immobili sia subordinato all’iscrizione al Registro da parte dell’amministratore dell’immobile, e che, ai fini dell’apertura del conto corrente del condominio, le banche incaricate verifichino preventivamente l’iscrizione dell’amministratore del condominio al Registro.
Il disegno di legge è così articolato:
• l’articolo 1 definisce l’oggetto e le finalità della legge;
• l’articolo 2 stabilisce che il Registro è istituito presso il Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia, nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente;
• l’articolo 3 indica le modifiche da apportare all’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie;
• l’articolo 4 definisce i requisiti per richiedere l’iscrizione al Registro da parte di coloro che già svolgono l’attività;
• l’articolo 5 disciplina la materia dei corsi di qualificazione e di aggiornamento;
• all’articolo 6 è prevista l’individuazione delle norme deontologiche alle quali improntare i comportamenti degli iscritti al Registro;
• l’articolo 7 disciplina le modalità di iscrizione al Registro;
• l’articolo 8 prevede le attività subordinate all’iscrizione al Registro medesimo.
DISEGNO DI LEGGE
Art. 1 – Oggetto e finalità
– 1 – La presente legge disciplina l’istituzione del Registro nazionale degli amministratori di condominio, come riconosciuti ai sensi degli articoli 1129 e seguenti del Codice civile.
– 2 – La presente legge disciplina altresì le modalità di formazione e di tenuta del Registro, i requisiti per l’iscrizione e le cause di cancellazione dal medesimo Registro.
– 3 – La presente legge è finalizzata a:
• a) conseguire la rigorosa applicazione di quanto disposto dall’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 318, per lo svogimento dell’attività di amministratore di condominio;
• b) tutelare i diritti e gli interessi dei proprietari di immobili e dei loro inquilini;
• c) garantire e attestare la professionalità dei soggetti esercenti l’attività di amministratore di condominio;
• d) promuovere una generale valorizzazione della figura dell’amministratore dicondominio, tenuto conto delle implicazioni sociali della professione e della crescente complessità delle funzioni che è chiamato a svolgere.
Art. 2 – Registro nazionale degli
amministratori di condominio
– 1 – Presso il Dipartimento per gli Affari di Giustizia del Ministero della Giustizia è istituito il Registro nazionale degli amministratori di condominio, di seguito denominato “Registro”, a cui sono tenuti obbligatoriamente a iscriversi tutti i soggetti che, informa singola o associata, svolgono o intendono svolgere tale attività professionale.
– 2 – La formazione del Registro e la sua revisione, nonché l’istituzione di eventuali sezioni separate, la cui formazione dovesse ritenersi necessaria, sono disciplinate con appositi decreti del Ministro della Giustizia. Il Registro è pubblicato nel sito internet istituzionale del Ministero della Giustizia.
– 3 – All’istituzione e alla tenuta del Registro si provvede nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali del Ministero della Giustizia disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per il bilancio dello Stato.
Art. 3 – Modifiche all’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie
– 1 – All’articolo 71-bis delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo 1942, n.318, sono apportate le seguenti modificazioni:
• a) al primo comma, dopo la lettera g) è aggiunta la seguente: -g-bis) che sono iscritti al Registro nazionale degli amministratori di condominio;
• b) il secondo comma è abrogato.
Art. 4. – Requisiti per l’iscrizione al Registro
– 1 – In sede di prima applicazione della presente legge, possono chiedere l’iscrizione al Registro, secondo quanto disposto all’articolo 7, commi 1 e 2, della presente legge, purché in possesso dei requisiti soggettivi previsti dall’articolo 71-bis, primo comma, lettere da a) a f), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo1942, n. 318:
• a) coloro che abbiano compiuto il diciottesimo anno di età;
• b) i cittadini italiani o i cittadini di uno degli Stati membri dell’Unione europea, o i cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea residenti nel territorio della Repubblica italiana, a condizione di reciprocità, salvo il caso degli apolidi;
• c) i soggetti in possesso dell’attestato di qualifica professionale rilasciato dalle associazioni di categoria o equipollenti e dei successivi attestati di aggiornamento periodico, previsti dal regolamento di cui al Decreto del Ministro della Giustizia 13 agosto 2014, n.140.
– 2 – Entro sei mesi dalla data di entrata invigore della presente legge, possono altresì presentare domanda di iscrizione al Registro, secondo quanto disposto all’articolo 7,commi 1 e 2, della presente legge, i soggetti in possesso di partita IVA che abbiano esercitato continuativamente, per almeno due anni, la professione di amministratore di condominio, purché in possesso dei requisiti soggettivi di cui al citato articolo 71-bis,primo comma, lettere da a) a f), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie.
– 3 – La mancata iscrizione al Registro preclude l’esercizio dell’attività di amministratore di condominio.
Art. 5. – Corsi di qualificazione e di aggiornamento professionale
– 1 – In considerazione di quanto stabilito dall’articolo 71-bis, primo comma, lettera g), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 318, e per le finalità di cui all’articolo 1 della presente legge, le associazioni di categoria iscritte nell’apposito elenco tenuto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy o gli altri soggetti deputati alla formazione iniziale e periodica degli amministratori di condominio sono tenuti a promuovere e organizzare:
• a) corsi di formazione professionale per il conseguimento della relativa qualifica;
• b) corsi di aggiornamento annuali per i soggetti già iscritti al Registro, con riconoscimento dei relativi crediti formativi.
Art. 6. Regolamento
– 1 – Il Ministro della Giustizia, con regolamento da adottare ai sensi dell’articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, disciplina:
• a) le norme comportamentali e profesionali al cui rispetto è subordinata la permanenza dell’iscrizione al Registro, definite all’interno di un codice deontologico;
• b) le modalità di verifica della permanenza dei requisiti di cui all’articolo 4 della presente legge e dei requisiti soggettivi previsti dall’articolo 71-bis, primo comma, lettere da a) a f), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 318;
• c) l’importo annuale da versare quale quota di iscrizione al Registro.
Art. 7. Domanda di iscrizione al Registro
– 1 – L’iscrizione al Registro avviene su domanda scritta del soggetto interessato, contenente i dati anagrafici e fiscali, l’indirizzo di posta elettronica certificata (Pec), la località di prevalente svolgimento dell’attività professionale, nonché l’attestazione del possesso dei requisiti di cui all’articolo 71-bis, primo comma, lettere da a) a g), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, di cui al Regio Decreto 30 marzo 1942, n. 318.
– 2 – L’iscrizione è disposta con provvedimento del dirigente responsabile del competente ufficio, previo accertamento dei requisiti di cui al citato articolo 71-bis, primo comma, lettere da a) a g), delle disposizioni per l’attuazione del Codice civile e disposizioni transitorie, nonché previa verifica del versamento della quota di iscrizione annuale di cui all’articolo 6, comma 1, lettera c), della presente legge.
– 3 – Con la medesima procedura di cui al comma 2 sono disposti il diniego della domanda di iscrizione e l’accettazione della domanda di cancellazione.
– 4 – I provvedimenti di cui ai commi 2 e 3 sono adottati entro sessanta giorni dall’espressione del parere da parte dell’ufficio competente e, comunque, non oltre centottanta giorni dalla presentazione della domanda ai sensi del comma 1, e devono essere motivati e comunicati all’interessato mediante lettera raccomandata con avviso diricevimento o PEC.
– 5 – L’ufficio di cui al comma 2 provvede alla tenuta del Registro, alla revisione e all’aggiornamento periodici in relazione al permanere dei requisiti professionali richiesti dalla legge, nonché alla cancellazione dal Registro dei nominativi dei soggetti che ne avanzino richiesta o che perdano i requisiti soggettivi o che violino le norme comportamentali e professionali di cui al regolamento previsto dall’articolo.
– 6 – All’interno del Registro sono riportate le informazioni contenute nella domanda di iscrizione di cui al comma 1.
Art. 8. – Attività subordinate all’iscrizione al Registro
– 1 – L’accesso alle agevolazioni fiscali previste per gli interventi sugli immobili è subordinato all’iscrizione al Registro dell’amministratore di condominio dell’immobile.
– 2 – Ai fini dell’apertura del conto corrente del condominio, le banche incaricate verificano l’iscrizione al Registro dell’amministratore del condominio.
Con il voto di fiducia al Senato, lo scorso 24 maggio è stato convertito il decreto legge n. 34/2023, meglio conosciuto come “Decreto Bollette”, recante “Misure urgenti a sostegno delle famiglie e delle imprese per l’acquisto di energia elettrica e gas naturale, nonché in materia di salute e adempimenti fiscali”.
Tra le varie modifiche e novità, la legge introduce l’art. 7-bis attraverso il quale viene semplificata l’installazione dei pannelli fotovoltaici sui tetti delle strutture turistiche e termali.
Difatti, secondo quanto previsto dalla legge di conversione, fino al 30 giugno 2024 nelle strutture turistiche e termali sarà possibile collocare gli impianti fotovoltaici su coperture piane o falde, di potenza fino a 1MW e destinati all’autoconsumo, presentando semplicemente la DILA (Dichiarazione di Inizio Lavori Asseverata).
Per quanto riguarda le strutture turistiche e termali site nei centri storici o in aree sottoposte a vincolo paesaggistico, è possibile utilizzare la procedura semplificata per il fotovoltaico sul tetto a patto che ricorrano le seguenti condizioni:
• gli impianti non siano visibili dagli spazi esterni e dai punti panoramici;
• i manti delle coperture non siano realizzati con prodotti e materiali della tradizione locale.
La DILA andrà presentata al Comune o in via telematica o in formato cartaceo, insieme ad una relazione sottoscritta da un progettista abilitato che attesti il rispetto delle norme igienico-sanitarie, antisismiche e di sicurezza. Per quanto concerne gli impianti da realizzarsi nei centri storici o nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico, è necessario anche presentare una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà del progettista abilitato che attesti che gli impianti fotovoltaici non siano visibili da spazi pubblici esterni limitrofi e dai punti panoramici.
La citata normativa e la relativa semplificazione in materia di installazione del fotovoltaico nelle strutture turistiche e termali, si pone in continuità con quanto disposto lo scorso anno dal “Decreto Aiuti”, convertito con legge n. 91/2022, il quale ha consentito l’utilizzo della DILA per gli impianti destinati all’autoconsumo e siti al di fuori dei centri storici e delle aree tutelate.
In seguito il “Decreto Aiuti bis” (legge n. 142/2022) ha definito la possibilità di realizzare impianti fotovoltaici a terra nelle strutture turistiche e termali site nei centri storici e nelle aree sottoposte a vincolo paesaggistico a condizione che vi sia un’attestazione del progettista che dichiari che gli impianti non sono visibili dagli spazi pubblici esterni limitrofi.
Inoltre, la semplificazione introdotta dal “Decreto Bollette” in merito all’installazione dei pannelli fotovoltaici sui tetti delle strutture turistiche e termali arriva anche dopo il cosiddetto “Decreto Energia” (legge n. 34/2022) attraverso il quale sono stati classificati come interventi di manutenzione ordinaria (quindi non subordinati all’acquisizione di permessi, autorizzazioni o atti amministrativi di assenso) l’installazione di impianti fotovoltaici e termici su edifici, strutture e manufatti fuori terra, compresa la realizzazione di tutte le opere funzionali alla connessione alla rete elettrica e l’installazione di pannelli integrati nelle coperture in regime di edilizia libera, purché questi non siano visibili dagli spazi pubblici esterni e dai punti panoramici nei centri storici e nelle aree tutelate.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Come ormai chiaro, in questi ultimi anni tutti gli Stati Europei stanno lavorando per avvicinarsi all’obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 per una necessaria tutela dell’ambiente e in quest’ottica si punta sempre più anche all’incremento delle auto elettriche. Questa strategia si inserisce in una cornice più ampia in cui ogni governo europeo sta adottando politiche per incentivare l’acquisto e l’uso di auto elettriche, inoltre, l’approvazione europea sul taglio delle emissioni di CO2 per auto e veicoli, imporrà, salvo altre modifiche, l’elettrificazione delle vendite sin dal 2035.
Di conseguenza, in molti edifici e condomini, anche grazie alle agevolazioni dedicate, sta crescendo sempre più la necessità di installare le colonnine elettriche.
L’installazione delle colonnine di ricarica elettrica in condominio è normata dall’art. 17-quinquies del Decreto legge 83/2012 rubricato “Semplificazione dell’attività edilizia e diritto ai punti di ricarica”, il quale stabilisce che: “Fatto salvo il regime di cui all’articolo 1102 del codice civile, le opere edilizie per l’installazione delle infrastrutture di ricarica elettrica dei veicoli in edifici in condominio sono approvate dall’assemblea di condominio, in prima o in seconda convocazione, con le maggioranze previste dall’articolo 1136, secondo comma, del codice civile.”
Sostanzialmente, visto che l’installazione delle colonnine di ricarica per i veicoli elettrici può comportare delle modifiche all’impianto elettrico condominiale e perciò una variazione dell’immobile, in seconda convocazione è necessario ottenere il voto favorevole della maggioranza degli intervenuti e un numero di voti che rappresenti almeno un terzo del valore dell’edificio, ovvero i 333,33 millesimi.
Inoltre, visto che l’art. 1135 c.c. impone la costituzione di un fondo per opere che rientrano nella manutenzione straordinaria, in sede di assemblea si dovrà anche deliberare la costituzione di un fondo relativo all’installazione delle colonnine elettriche, senza il quale la delibera stessa è nulla. L’amministratore di condominio avrà, quindi, l’onere di dover riscuotere le quote previste prima dell’avvio dei lavori o a SAL (Stato Avanzamento Lavori).
Nel caso in cui la maggioranza richiesta in sede di assemblea non venisse raggiunta, il condomino interessato all’installazione delle colonnine elettriche (così come il gruppo di condòmini interessati), può decidere di procedere all’installazione a proprie spese. Difatti, l’art. 1102 c.c. riconosce a ciascun condomino la possibilità di usare le aree comuni per i propri scopi purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condòmini il pari uso. Se successivamente altri condòmini dovessero cambiare idea, potranno fruire dei vantaggi derivanti dall’innovazione, contribuendo alle spese di esecuzione e manutenzione dell’opera realizzata.
Ottenuta la delibera per l’installazione delle colonnine elettriche, qualora queste non fossero sufficienti per tutti i condòmini che dovranno fruirne, sarà necessario stabilire le modalità di utilizzo e individuare un criterio di imputazione e misurazione dei costi di ricarica in modo che l’amministratore di condominio possa addebitare correttamente le spese ai condòmini utilizzatori.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
La ripartizione della spesa per la pulizia delle scale va effettuata in base al criterio proporzionale dell’altezza dal suolo di ciascun piano o porzione di piano cui esse servono, in applicazione dell’articolo 1124 del Codice civile, il quale è espressione del principio generale posto dall’articolo 1123 del Codice civile, comma 2, e trova la propria ratio nella considerazione di fatto che i proprietari dei piani alti logorano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani bassi e, ugualmente, a parità di uso, i proprietari di piani più alti sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia.
Va dunque applicato il criterio composito di ripartizione delle relative spese tra i proprietari delle unità immobiliari a cui servono: metà della spesa si ripartisce in base al valore delle singole unità immobiliari e l’altra metà, invece, in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
L’amministratore dimissionario non ha diritto all’intero emolumento, ma a una frazione che può essere stabilita in proporzione al numero dei mesi in cui abbia effettivamente amministrato il condominio o anche forfettariamente, in base all’attività effettivamente svolta.
Quanto all’amministratore subentrato, si ritiene che il compenso, secondo l’articolo 1129, quattordicesimo comma, del Codice civile, debba comprendere, in assenza di una diversa pattuizione, anche la redazione dei rendiconti relativi alle precedenti gestioni non predisposti dall’amministratore uscente (per i principi espressi, si veda Cassazione, 28 aprile 2010, n. 10204).
Nulla vieta al nuovo amministratore di ritornare in assemblea e di chiarire, in via di accordo da assumere a maggioranza, che la redazione dei rendiconti e riparti riguardanti le precedenti gestioni non è compresa nel preventivo e deve avere un costo da specificare.
L’Agenzia delle Entrate torna a parlare di Superbonus 110% e Sismabonus tramite la Risposta n. 332/2023 con oggetto “Superbonus – omessa presentazione asseverazione – remissione in bonis – articolo 2-ter, decreto legge 16 febbraio 2023, n. 11” che ha fornito ulteriori chiarimenti sull’omessa presentazione dell’asseverazione sismica prima dell’inizio dei lavori.
Nel caso analizzato, l’istante spiega di aver avviato un intervento edilizio su un immobile di proprietà accatastato in categoria C/6, ma destinato ad essere trasformato in abitazione alla fine degli interventi mirati alla riduzione del rischio sismico, nel limite di spesa previsto dall’agevolazione di 96.000 euro.
A tal proposito, l’Istante chiarisce di essersi avvalso di un ingegnere asseveratore, il quale ha provveduto a predisporre e sottoscrivere digitalmente la documentazione richiesta dalle norme edilizie vigenti, trasmessa mediante l’applicativo informatico ”OpenGenio”.
Tuttavia, alla comunicazione di inizio lavori presentata al SUE (Sportello Unico Edilizia) del Comune competente, non è stata allegata né l’asseverazione di rischio sismico ante operam, di cui all’art. 3 del D.M. n. 58/2017, né la relazione illustrativa della classificazione sismica, mentre risulta asseverata ed inviata al Genio Civile con firma digitale la relazione dovuta al SUE del Comune competente della documentazione sismica.
L’istante si è quindi rivolto all’Agenzia delle Entrate per chiedere se la citata omissione possa essere assimilata ad una violazione meramente formale che non pregiudica la fruizione della detrazione Superbonus 110%.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha premesso che l’articolo 3, comma 3, del D.M. n. 58/2017 prevede l’obbligo di depositare l’asseverazione contestualmente alla presentazione del progetto dell’intervento. Difatti, il citato comma 3, come sostituito dall’articolo 1, del decreto ministeriale 9 gennaio 2020, n. 24, stabilisce che: “il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione di cui al comma 2, devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente di cui all’articolo 5 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori.”
A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate ha ricordato che la necessità dell’asseverazione secondo le modalità stabilite dal DM n. 58/2017 è stata ribadita anche nella Circolare n.28/E del 25 luglio 2022.
Inoltre, l’art. 119, comma 13, lettera b) del Decreto Rilancio ha stabilito che è necessario che l’efficacia degli interventi antisismici sia asseverata, utilizzando il modello contenuto nell’allegato B del richiamato decreto ministeriale, “dai professionisti incaricati della progettazione strutturale, della direzione dei lavori delle strutture e del collaudo statico, secondo le rispettive competenze professionali, iscritti agli ordini o ai collegi professionali di appartenenza, in base alle disposizioni del decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti n. 58 del 28 febbraio 2017. I professionisti incaricati attestano altresì la corrispondente congruità delle spese sostenute in relazione agli interventi agevolati. Il soggetto che rilascia il visto di conformità di cui al comma 11 verifica la presenza delle asseverazioni e delle attestazioni rilasciate dai professionisti incaricati.”
Come chiarito dalla Circolare 28/2022, la tardiva o omessa presentazione dell’asseverazione non consente l’accesso al beneficio fiscale, perciò non si tratta di una violazione meramente formale, ma di una violazione che può ostacolare l’attività di controllo. Per sanare questa violazione, infatti, non è possibile ricorrere alla cosiddetta “Tregua Fiscale” una forma di sanatoria che però non si applica alle comunicazioni necessarie a perfezionare alcuni tipi di opzione o l’accesso alle agevolazioni fiscali.
Bensì, per questo tipo di situazioni c’è una via d’uscita, difatti il legislatore ha previsto l’istituto della remissione in bonis che permette ai contribuenti di sanare la violazione entro il termine della prima dichiarazione utile e pagando una sanzione.
Affinché il proprietario possa avvalersi della remissione in bonis, è necessario che:
a) abbia i requisiti sostanziali richiesti dalle norme di riferimento;
b) effettui la comunicazione entro il termine di presentazione della prima dichiarazione utile;
c) versi contestualmente l’importo pari alla misura minima della sanzione stabilita dall’articolo 11, comma 1, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, secondo le modalità stabilite dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, esclusa la compensazione ivi prevista.
L’Agenzia infine chiarisce che laddove l’istante abbia esercitato per le spese sostenute nel 2022 lo sconto in fattura o la cessione del credito, la remissione in bonis andrà esercitata prima della presentazione della comunicazione dell’opzione, comunicazione che a sua volta, ove non eseguita entro il 31 marzo 2023, potrà anch’essere sanata mediante la remissione in bonis entro il 30 novembre 2023.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI