A seguito della recente morte di mia suocera, mia moglie, sua sorella e suo fratello sono diventati proprietari del suo appartamento. Ora i figli possiedono 1/3 dell’appartamento a testa in comunione ereditaria. Poiché due dei tre figli vorrebbero trasformare l’appartamento in un B&b contro la volontà del terzo, è possibile comunque procedere o serve il consenso di tutti e tre i fratelli? In caso affermativo, è necessaria l’approvazione del condominio?
Dal momento che con la morte della suocera si è creata automaticamente una comunione ereditaria (che funziona, a grandi linee, come un “piccolo condominio”), la maggioranza può decidere cosa fare dell’immobile.
Si può considerare la destinazione a bed and breakfast come ordinaria amministrazione, per la quale serve la maggioranza semplice delle quote, che in questo caso i due fratelli favorevoli già rappresentano.
In ogni caso il condominio non può di per sé vietare o permettere l’attività con una delibera in assemblea.
I problemi possono invece venire dal regolamento condominiale – quasi sempre richiamato nel rogito di ogni appartamento e quindi modificabile solo all’unanimità – dove è spesso contenuto un divieto di svolgere attività di “pensione o affittacamere”.
Il B&B non rientra formalmente in queste attività (in genere i regolamenti risalgono a tempi abbastanza remoti), anche perché affittacamere e pensione sono due attività commerciali per cui occorre presentare la Scia in Comune, aprire la Partita Iva e iscriversi alla Camera di Commercio.
Mentre per il B&B occasionale non serve praticamente nulla se non la Scia e adeguarsi alla normativa regionale.
Molti condomini, proprio facendo riferimento al regolamento, hanno cercato di bloccare i B&B (e anche gli affitti brevi tipo Airbnb) ma i giudici non hanno sempre la stessa opinione: la Cassazione ha dato torto al condominio (sentenza 109/2016) mentre prima era favorevole al divieto (sentenza 26087/2010). Da ultimo, il Tribunale di Milano ha chiarito che ospitare persone senza alcun tipo di attività ricettiva non rientra nel concetto di affittacamere (sentenza 1030/2024).
Con il nuovo anno, nonostante le numerose richieste di una proroga presentate dagli interessati e dalle loro associazioni di riferimento, sono entrati in vigore obblighi e sanzioni regolate dall’articolo 13 Ter del Decreto Anticipi, che è stato approvato a fine 2023 per assicurare la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato e per contrastare forme irregolari di ospitalità.
Pertanto coloro che gestiscono stanze, appartamenti, immobili sono stati chiamati a dotarsi del CIN, il Codice Identificativo Nazionale nato per monitorare e censire il panorama ricettivo italiano, entro la scadenza del 1° gennaio 2025.
Dalla Sicilia al Trentino Alto Adige, tutti gli spazi destinati a ospitare viaggiatori e turisti devono far parte della Banca dati nazionale delle Strutture Ricettive e degli immobili destinati a locazione breve o per finalità turistiche (BDSR).
Lo scorso 3 giugno è arrivata online la piattaforma BSDR, utile per presentare la richiesta e verificare la presenza delle diverse strutture per affitti brevi e turistici nella banca dati. È quindi partita la fase sperimentale delle novità legate al CIN che si è chiusa ufficialmente con l’arrivo del nuovo anno: obblighi e sanzioni previste dall’articolo 13 Ter del DL n. 145 del 2023 sono ora, quindi, pienamente applicabili.
Entro la scadenza del 1° gennaio chi gestisce case, stanze e strutture per affitti brevi e turistici doveva aver ottenuto il CIN. Per essere in regola il codice deve essere esposto nello stabile e anche in tutti i relativi annunci.
Come si legge sul portale del Ministero del Turismo, coloro che non hanno richiesto la sequenza identificativa per la loro struttura sono suscettibili di sanzione per non aver rispettato gli obblighi di ottenimento, comunicazione e pubblicazione del CIN.
Secondo i dati pubblicati sul portale istituzionale, il 20 per cento circa delle strutture ricettive non risulta ancora censito.
Con l’entrata in vigore delle novità del Decreto Anticipi è inoltre necessario rispettare precisi standard di sicurezza a cui si legano, in caso di mancato rispetto, sanzioni che cambiano in base alla dimensione della struttura o dell’immobile.
Queste le sanzioni previste:
• Mancata richiesta del CIN: da 800 a 8mila euro;
• Mancata esposizione del CIN: da 500 a 5mila euro.
Inoltre, per le unità immobiliari gestite nelle forme imprenditoriali, sono previste ulteriori sanzioni nazionali e comunali per il mancato rispetto degli obblighi di sicurezza:
• Mancata installazione di dispositivi per la rilevazione di gas, monossido di carbonio ed estintori: da 600 a 6mila euro;
• Mancata presentazione della SCIA al SUAP: da 2.000 a 10mila euro.
Sono in partenza le prime lettere dell’Agenzia delle Entrate, indirizzate ai contribuenti che hanno beneficiato del Superbonus e non hanno inviato la dichiarazione catastale.
Come stabilito dal provvedimento dello scorso 7 febbraio, le PEC e le raccomandate hanno lo scopo di invitare chi ha usufruito del Superbonus e non ha provveduto ad aggiornare la rendita catastale dell’immobile oggetto del beneficio a mettersi in regola o a fornire elementi per documentare la propria posizione e l’assenza di obbligo di trasmissione della dichiarazione.
L’invio delle lettere non sarà a tappeto: in una prima fase interesserà soltanto gli intestatari degli immobili privi di rendita catastale o con valori catastali modesti rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi agevolati.
I chiarimenti in Commissione Finanze
A fornire i chiarimenti è stata la sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, intervenuta nel corso dell’interrogazione a risposta immediata presentata dall’on. Emiliano Fenu, lo scorso 12 febbraio presso la Commissione Finanze della Camera. Oggetto dell’interrogazione è stato proprio quello di conoscere i criteri utilizzati dall’Agenzia delle Entrate per la predisposizione delle liste selettive di contribuenti cui inviare le comunicazioni di compliance.
Fenu ha quindi domandato in che modo l’Agenzia possa evitare l’invio generalizzato ai contribuenti, in particolare verso chi non ha alcun obbligo di presentazione della dichiarazione di variazione catastale, ma anche come si possa evitare di generare confusione tra i contribuenti, aggravando il carico amministrativo per i cittadini e per l’amministrazione finanziaria stessa.
I destinatari delle lettere del Fisco
Ogni volta che vengono eseguiti lavori sugli immobili, gli intestatari hanno l’obbligo di verificare se gli interventi abbiano determinato modifiche alla consistenza o un impatto sull’attribuzione della categoria e della classe dell’immobile stesso.
In tali casi, infatti, sono previste conseguenze sulla rendita catastale. Pertanto i contribuenti sono chiamati a presentare una dichiarazione catastale di cui all’articolo 1, commi 1 e 2, del decreto del Ministro delle finanze del 19 aprile 1994, n. 701.
Per tale dichiarazione, che segue la verifica attraverso il supporto di un professionista abilitato alle operazioni in catasto, deve essere effettuata attraverso la procedura Docfa, di aggiornamento degli archivi catastali sulla base dei commi 1 e 2 dell’art. 1 del DM 701/1997.
Nel caso degli interventi del Superbonus, la Legge di Bilancio 2024 ha previsto l’intensificazione dei controlli nei casi in cui siano stati realizzati interventi che rientrano nella maxi detrazione prevista dal decreto Rilancio senza la trasmissione della dichiarazione catastale.
In attuazione dell’articolo 1, commi 86 e 87, della legge 30 dicembre 2023, n. 213, l’Agenzia delle Entrate ha approvato il provvedimento dello scorso 7 febbraio, che stabilisce le modalità di invio delle comunicazioni delle Entrate ai contribuenti.
I criteri adottati dal Fisco per l’invio di PEC o raccomandate
La sottosegretaria di Stato per l’Economia e le Finanze, Lucia Albano, ha spiegato: “L’Agenzia delle entrate, al fine di garantire efficienza al processo di comunicazione di posizioni potenzialmente meritevoli di denuncia di variazione catastale, contenendo al massimo l’impatto sui contribuenti, ha previsto che l’invio delle lettere di compliance riguarderà, in una prima fase, gli intestatari catastali di immobili oggetto degli interventi di cui all’articolo 119 del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, che risultano all’attualità iscritti in Catasto privi di rendita catastale o con valori catastali di modesta entità rispetto ai costi sostenuti per effettuare gli interventi edilizi in argomento”.
In prima battuta, quindi, riceveranno le lettere i contribuenti il cui immobile oggetto di interventi del superbonus:
• risulti privo di rendita catastale;
• abbia un valore catastale modesto rispetto ai costi sostenuti per gli interventi realizzati.
La motivazione è legata al fatto che in entrambe le situazioni è ragionevole ipotizzare che l’esecuzione degli interventi di recupero del patrimonio edilizio abbia inciso in modo netto sulla determinazione della categoria e della classe dell’immobile, richiedendo quindi l’adempimento della dichiarazione catastale.
Lucia Albano ha assicurato che l’Agenzia ha escluso un invio generalizzato di comunicazioni di compliance a tutti i contribuenti e ha ricordato che il contribuente può dimostrare di non avere l’obbligo di procedere all’aggiornamento catastale.
Non è però escluso che possano successivamente essere individuati nuovi destinatari per accertare che siano stati rispettati gli obblighi relativi all’adeguamento delle informazioni catastali.
Come rispondere alle lettere del Fisco
In linea generale devono provvedere a mettersi in regola quanti abbiano realizzato un incremento di oltre il 15 per cento della rendita catastale dell’immobile, oppure abbiano svolto interventi di demolizione e ricostruzione dell’edificio con aumento della superficie dello stesso.
Per regolarizzare la situazione i contribuenti dovranno:
• trasmettere la dichiarazione catastale;
• provvedere al pagamento delle imposte dovute, in misura ridotta attraverso lo strumento del ravvedimento operoso;
• pagare gli interessi, calcolati sulla base dei giorni di ritardo nell’adempimento.
In alternativa alla regolarizzazione il contribuente ha comunque la possibilità di dimostrare che l’obbligo di aggiornamento dei dati catastali non sussiste, fornendo elementi a riprova della posizione.
In altre parole il soggetto potrà “dimostrare” che l’invio della dichiarazione catastale non è dovuto, fornendo la documentazione del caso.
Il decreto legislativo n.139/2024, di attuazione della riforma fiscale, ha stabilito le regole per la razionalizzazione dei tributi indiretti diversi dall’IVA.
Tale decreto ha inoltre stabilito la consultazione telematica ipotecaria e catastale per tutti i contribuenti.
Le modalità per la consultazione, come stabilito dall’art. 7 dalla norma, sono affidate al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate che è stato adottato il 30 dicembre.
Tra le novità principali ci sono:
• l’accesso ai servizi online tramite l’area riservata del portale dell’Amministrazione finanziaria, a seguito dell’accettazione delle condizioni generali di utilizzo;
• la gratuità, a partire dal 1° gennaio 2025, per tale accesso.
La consultazione telematica degli atti catastali potrà quindi essere effettuata anche presso gli sportelli catastali decentrati autogestiti.
In questo caso dovrà essere stipulata un’apposita convenzione basata sullo schema allegato al provvedimento dell’Agenzia delle Entrate.
Tale provvedimento prevede, infatti, la possibilità di stipulare apposite convenzioni per soddisfare specifiche esigenze informative per fini istituzionali.
Un successivo provvedimento stabilirà le regole per il servizio di consultazione telematica presso le postazioni degli enti, senza la necessità della stipula di una convenzione con l’Amministrazione finanziaria.
In occasione di opere di ristrutturazione edilizia, può accadere che sia compromesso, più o meno intensamente, il pacifico godimento di unità immobiliari locate. Vorrei sapere se si è affermata una prassi per la riduzione (e, nel caso di risposta affermativa, in quale misura) dei canoni concordati a ristoro del disturbo che tali iniziative possano arrecare ai locatari.
L’articolo 1583 del Codice civile stabilisce che, se nel corso della locazione la cosa ha bisogno di riparazioni che non possano differirsi fino al termine del contratto, il conduttore deve tollerarle anche quando comportino la privazione del godimento di parte della cosa locata.
L’articolo 1584 del Codice civile stabilisce inoltre che, qualora l’esecuzione delle riparazioni si protragga per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all’intera durata delle riparazioni stesse e all’entità del mancato godimento, salvo chiedere la risoluzione del contratto se l’esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l’alloggio del conduttore e della sua famiglia.
Dunque, le norme citate non prevedono alcun particolare criterio per determinare l’entità della riduzione del canone nel caso in cui le opere si protraggano per oltre venti giorni, né esistono prassi in questo senso.
L’ultima parola sull’entità della riduzione compete ai giudici, in base alla fattispecie in concreto e alla cosiddetta riduzione dell’utilità.
Per esempio, in presenza di ponteggi sulla facciata si può tenere conto della diminuzione della superficie dell’alloggio disponibile (si supponga che esso non goda più dell’uso di una grande terrazza esterna e della funzione aeroilluminante di alcune finestre) e ridurre proporzionalmente il canone di locazione.
Chi ha ristrutturato il proprio immobile beneficiando del Superbonus deve procedere all’aggiornamento delle rendite catastali. I contribuenti che non hanno ancora fatto l’adeguamento riceveranno una lettera da parte dell’Agenzia delle Entrate successivamente all’incrocio dei dati.
Lo ha annunciato il direttore uscente delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, nella sua relazione di fine anno.
Quanti potrebbero essere gli interessati? In base a quanto indicato dall’Enea, sono 496.963 gli edifici nei quali si è intervenuto con il Superbonus. In proporzione, le richieste di variazione catastale registrate sono pochissime.
Le disposizioni normative
La Legge di Bilancio 2024 prevede, ai commi 86 e 87 dell’art. 1, che l’Agenzia delle Entrate verifichi, in relazione alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati dal Superbonus, la presentazione delle dichiarazioni di variazione dello stato dei beni, anche ai fini di eventuali effetti sulle rendite dell’immobile presenti nel catasto dei fabbricati.
Nei mesi scorsi il Ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti ha annunciato in più occasioni una verifica sull’attuazione di tali misure e la necessità di procedere alla revisione dei valori catastali degli immobili migliorati con il Superbonus.
Nella sua relazione di fine anno il direttore uscente dell’Agenzia delle Entrate ha annunciato che nei primi mesi del 2025 l’Agenzia “nell’ambito delle attività finalizzate all’aggiornamento della banca dati catastale”, oltre alle attività ordinarie di verifica e controllo, “avvierà la campagna di compliance relativa al Superbonus” con l’invio di lettere per chiedere ai contribuenti di chiarire la propria posizione.
Nella relazione viene inoltre spiegato che la lista dei destinatari della lettere di compliance sarà generata dall’incrocio dei dati derivanti dalle “comunicazioni dell’opzione relativa agli interventi di recupero del patrimonio edilizio, efficienza energetica, rischio sismico, impianti fotovoltaici e colonnine di ricarica” e “le risultanze della banca dati catastale, per gli immobili per i quali non risulta essere stata presentata, ove prevista, la dichiarazione di variazione catastale”.
Pertanto, chi ha avviato una pratica di Superbonus effettuando la cessione del credito senza presentare la variazione catastale riceverà la lettera del Fisco.
Ricevuta la lettera, ci sarà la possibilità di spiegare perché la variazione catastale non è stata effettuata. Infatti, non sempre la legge richiede questo adempimento. In caso di omissioni, è previsto il ravvedimento operoso. Mentre, se il comportamento è stato corretto, andranno presentate le proprie controdeduzioni, supportate da una perizia tecnica.
La dichiarazione di variazione catastale
Le disposizioni contenute nella Legge di Bilancio 2024 lasciano intendere che la presentazione della dichiarazione di variazione sia un “adempimento automatico” richiesto in ogni caso al termine dei lavori agevolati con Superbonus.
Il Testo Unico dell’edilizia, infatti, prevede che entro 30 giorni dalla fine dell’intervento il direttore dei lavori debba depositare in Comune la prova dell’avvenuta presentazione della variazione catastale o una dichiarazione che gli interventi non hanno comportato una modifica del classamento.
L’obbligo di presentare una dichiarazione di variazione catastale è previsto dall’articolo 20 del Rdl 652/1939, secondo cui i titolari di immobili già censiti sono obbligati a denunciare le variazioni che implichino mutazioni, per l’attribuzione della categoria e della classe.
L’obbligo di variazione catastale
In linea di principio, molti lavori di Superbonus non comportano l’obbligo di effettuare la variazione della rendita. Tale obbligo, di norma, sussiste solo quando venga aumentato il numero di vani, venga incrementata la volumetria o siano apportate variazioni planimetriche.
Determinano l’obbligo di revisione gli interventi con cui si realizza:
• la costruzione di nuove unità fuori terra ed interrate;
• una rilevante redistribuzione degli spazi interni;
• un cambiamento dell’utilizzazione di superfici scoperte, quali balconi o terrazze;
• modifiche interne, quali lo spostamento di porte e tramezzi;
• la modifica alla destinazione d’uso di vani o singoli ambienti;
• modifiche che incidano direttamente sulla consistenza, sulla classe o sulla rendita catastale (rientrano in questo caso gli interventi su edifici collabenti, il recupero del sottotetto a fini abitativi, l’installazione di impianti che aumentano naturalmente il valore dell’immobile, l’installazione dell’impianto fotovoltaico, impianti di automazione, ascensori).
Non c’è invece obbligo di variazione catastale per:
• l’esecuzione di interventi di ordinaria e straordinaria manutenzione (pavimenti, wc, infissi, tetto, facciata, rinforzi strutturali, messa a norma impianti) con materiali comparabili con gli originari;
• l’installazione di impianti fotovoltaici a servizio di singole unità se la potenza installata è inferiore a KW 3 per il numero di unità immobiliari servite.
Obbligo di revisione della rendita per aumento del valore del 15 per cento
Anche in assenza delle condizioni indicate, l’aggiornamento della rendita deve essere effettuato se il valore dell’immobile, a seguito di una ristrutturazione, viene incrementato di almeno il 15 per cento.
Più precisamente, la revisione della rendita è sempre dovuta in caso di interventi edilizi di cui all’art. 3 del Testo Unico dell’Edilizia (ristrutturazioni; manutenzioni straordinarie; variazioni nelle caratteristiche tipologiche, distributive e/o impiantistiche; restauro e risanamento conservativo) che comportino un incremento stimabile in misura non inferiore al 15 per cento del valore di mercato e della relativa redditività (soglia corrispondente alla variazione di una classe catastale), quando gli stessi abbiano comportato una variazione della consistenza ovvero delle caratteristiche tipologiche distributive ed impiantistiche originarie delle unità immobiliari o, nel caso di interventi di restauro e risanamento conservativo, qualora abbiano interessato l’intero edificio.
Il riferimento è alle circolari 10/2005 e 1/2006 dell’Agenzia del Territorio e alla Determinazione del 16 febbraio 2005 che – nell’ambito dell’applicazione dell’art. 1 della Legge 311/2004, comma 336 – individua il 15 per cento come soglia incrementale del valore dell’immobile da considerare, indicatore sintetico e parametro di riferimento per la revisione della rendita.
Dopo il Superbonus poche variazioni catastali
Secondo quanto emerge dal rapporto 2023 dell’Enea sulle detrazioni fiscali, il 77,5 per cento degli immobili ristrutturati con Superbonus ha ottenuto un salto di almeno tre classi energetiche, il 65,7 per cento di almeno quattro classi.
Stime contenute in uno studio pubblicato dalla Banca d’Italia nel dicembre del 2023 sostengono che l’incremento medio del valore di mercato per il passaggio dalla classe G alla classe A, al momento della vendita, è di circa il 25 per cento. Quindi, già con un salto di tre classi è molto probabile lo sforamento del limite del 15 per cento.
In pratica, tre immobili su quattro, tra quelli sui quali è stato effettuato un intervento agevolato con il Superbonus, avrebbero dovuto adeguare la rendita catastale.
A fronte di questi dati, le statistiche catastali più recenti non hanno registrato un aumento diffuso delle rendite: molti di coloro che avrebbero dovuto comunicare la revisione al catasto non l’hanno fatto.
Se si fa riferimento ai criteri di selezione annunciati dall’Agenzia delle Entrate (pratiche Superbonus con cessione del credito), potrebbero essere interessati dall’operazione circa 500mila immobili.
La verifica delle Entrate sulla variazione catastale dopo interventi Superbonus
Il comma 86 della Legge di Bilancio 2024 prevede che l’Agenzia delle Entrate verifichi se sia stata presentata – ove prevista – la dichiarazione di variazione di cui all’art. 1 del D.M. 701/1994, commi 1 e 2, con riferimento alle unità immobiliari oggetto degli interventi agevolati con Superbonus.
Tale verifica deve essere condotta sulla base di specifiche liste selettive elaborate con l’utilizzo delle moderne tecnologie di interoperabilità e analisi delle banche dati, anche ai fini degli eventuali effetti sulla rendita dell’immobile presente in atti nel catasto dei fabbricati.
Facendo un passo indietro, è utile ricordare che la norma citata – l’art. 1 del D.M. 701/1994, comma 3 – prevede che la rendita proposta dal contribuente rimanga negli atti catastali come “rendita proposta” fino a quando l’Agenzia delle Entrate non provvede con mezzi di accertamento informatici o tradizionali, anche a campione, e comunque entro 12 mesi dalla data di presentazione delle dichiarazioni, alla determinazione della rendita catastale definitiva.
Come disposto dall’art. 4 del D.L. 853/1984, comma 21, l’Agenzia delle Entrate ha facoltà di verificare le caratteristiche degli immobili oggetto delle dichiarazioni, ed eventualmente modificarne le risultanze censuarie iscritte in catasto.
Ora, l’Agenzia delle Entrate verifica che sia stata presentata, ove prevista, la dichiarazione per i lavori di Superbonus recante l’aggiornamento della rendita dell’immobile riportata negli atti del catasto dei fabbricati.
Se tale dichiarazione non risulta presentata, l’Agenzia delle Entrate può inviare al contribuente una comunicazione specifica – lettera di compliance – per sollecitare l’adempimento richiesto. Grazie a questa comunicazione preventiva il contribuente può presentare controdeduzioni, motivare la mancata presentazione della dichiarazione di variazione, dimostrare l’avvenuto adempimento o ravvedersi.
Qualora il contribuente – supportato dal suo tecnico – dovesse accertare l’esistenza dell’obbligo di aggiornamento del classamento catastale e convenire con quanto indicato nella comunicazione ricevuta dall’Agenzia delle Entrate, potrà correggere l’omissione, presentando la dichiarazione di variazione catastale e avvalendosi del ravvedimento operoso, che consente di ridurre la sanzione (172 euro anziché 1.032 euro a unità immobiliare) per l’adempimento tardivo.
Se invece il contribuente ritiene di non dover assolvere all’obbligo di aggiornamento catastale, dovrà fornire gli opportuni chiarimenti.
In caso di inadempimento entro il 90 giorni, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento e interviene in surroga per aggiornare le rendite e applicare la sanzione.
Variazione catastale: l’iter ordinario
Nei confronti del contribuente che non provvede alla richiesta di attribuzione della nuova rendita catastale, l’Agenzia delle Entrate notifica un avviso di accertamento con il quale l’amministrazione tributaria procede in automatico all’aggiornamento, rendendo noto il procedimento al contribuente coinvolto.
In seguito alle verifiche tecniche effettuate dagli uffici dell’Agenzia, gli intestatari delle unità immobiliari urbane interessate ricevono un avviso di accertamento, con la rideterminazione del classamento e l’attribuzione di una nuova rendita catastale.
Se l’avviso di accertamento viene ritenuto corretto, i destinatari non dovranno procedere ad alcun ulteriore adempimento catastale, perché i dati sono aggiornati direttamente dall’Agenzia.
Il destinatario che, invece, considera l’atto non fondato, potrà chiederne il riesame in autotutela oppure presentare ricorso. La domanda di riesame in autotutela non sospende i termini per la presentazione di un eventuale ricorso al giudice tributario.
Ho richiesto all’amministratore condominiale di prendere visione di tutta la documentazione relativa alla sua gestione del condominio. L’amministratore sostiene che per tale richiesta è necessario pagare. Ha ragione? Sulla base di quale norma?
L’articolo 1130-bis del Codice civile, introdotto dalla Riforma del condominio, la Legge 220/2012, stabilisce, al primo comma, che “i condòmini e i titolari di diritti reali o di godimento sulle unità immobiliari possono prendere visione dei documenti giustificativi di spesa in ogni tempo ed estrarne copia a proprie spese”.
È quindi diritto dei condòmini prendere visione dei documenti della gestione, in particolare dei giustificativi di spesa, e pure a estrarne copia, anche se la spesa relativa resta a carico dei richiedenti.
Nell’ipotesi in cui il condòmino si limitasse invece a una semplice disamina dei documenti, non dovrà sostenere alcun costo.
Pertanto, nel caso in esame, si conferma la correttezza della pretesa da parte del condòmino di prendere visione dei giustificativi di spesa, comprese le fatture rilasciate al condominio, e, nel contempo, l’obbligo per lo stesso di sostenere gli eventuali costi correlati.
Il mercato energetico, dopo essersi messo alle spalle la crisi, deve fare i conti oggi con una nuova realtà, caratterizzata da prezzi più stabili rispetto ai picchi toccati negli ultimi anni, ma più alti rispetto ai livelli pre-crisi.
La nuova indagine dell’Osservatorio tariffe di Segugio.it mette in evidenza l’evoluzione del PUN, il prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica, e del PSV, il prezzo all’ingrosso del gas, nel corso degli ultimi 12 mesi.
Questi due indici governano tutti i prezzi che, a cascata, i fornitori applicano ai consumatori finali.
Inoltre, Segugio.it analizza l’evoluzione della quota fissa, un vero e proprio canone a prescindere dal consumo, parte integrante delle tariffe luce e gas.
Energia elettrica: dopo un calo, il PUN rimbalza
Per il settore dell’energia elettrica si registra un’importante inversione di tendenza del PUN.
Nel primo quadrimestre 2024 si è registrato un calo del 40 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Tuttavia, nel corso dell’anno, il prezzo all’ingrosso è aumentato del 32 per cento, se confrontiamo novembre con gennaio 2024.
Negli ultimi mesi, inoltre, assistiamo al ritorno prepotente delle offerte a prezzo bloccato che, a novembre 2024, risultano più convenienti del -24 per cento rispetto alle tariffe indicizzate. Questo ovviamente basando le proiezioni delle offerte variabili sui prezzi previsionali, cosiddetti forward.
Gas: in aumento il PSV
Per il gas, lo scenario che si evince dall’analisi del prezzo all’ingrosso (PSV), è simile. Il PSV medio del primo quadrimestre 2024 è -44 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023. Tuttavia, negli ultimi mesi il valore dell’indice è aumentato. Il confronto tra novembre 2024 e gennaio, infatti, vede un aumento del PSV del +46 per cento. Come per la luce, inoltre, le offerte a prezzo fisso sono tornate più convenienti delle offerte a prezzo variabile del -10 per cento.
Aumenta la quota fissa mensile delle forniture
L’indagine dell’Osservatorio mette in evidenza un’ulteriore tendenza del mercato: nel confronto tra il 2021 e il 2024 si registra un netto aumento della quota fissa mensile delle forniture che rappresenta, di fatto, un canone. Incremento del +24 per cento per la luce e del +48 per cento per il gas.
Secondo Paolo Benazzi, managing director per il mercato Utilities&Banking di Segugio.it, “la crisi energetica del 2022 ha inflazionato le cosiddette quote fisse di commercializzazione. Si tratta di canoni che il consumatore corrisponde per l’offerta di energia e di gas, a prescindere dai consumi. Parliamo di importi in media di 9 euro al mese per punto di fornitura (dai 7/8 euro ai 12/14 euro), e questo considerando le migliori tariffe. Nel 2021, questi stessi importi erano in media di circa 7 euro al mese”.