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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Case a prova di intrusi con il Bonus Sicurezza

Fino al 31 dicembre 2024 si potrà fruire, a specifiche condizioni, del bonus fiscale per la sicurezza, ossia di una detrazione dall’Irpef al 50 per cento per l’acquisto di strumenti finalizzati a prevenire il rischio del compimento di atti illeciti da parte di terzi e quindi proteggere la propria casa da intrusi ed effrazioni.

Gli interventi agevolabili
Come ricorda l’Agenzia delle Entrate nella sua guida online, per “atti illeciti” si intendono quelli penalmente illeciti (per esempio, furto, aggressione, sequestro di persona e ogni altro reato la cui realizzazione comporti la lesione di diritti giuridicamente protetti).
La detrazione è pertanto applicabile unicamente alle spese sostenute per realizzare interventi sugli immobili. Non rientra nell’agevolazione, per esempio, il contratto stipulato con un istituto di vigilanza.
Tra le misure che invece possono fruire dell’agevolazione al 50% ci sono:
• rafforzamento, sostituzione o installazione di cancellate o recinzioni murarie degli edifici;
• apposizione di grate sulle finestre o loro sostituzione;
• porte blindate o rinforzate;
• apposizione o sostituzione di serrature, lucchetti, catenacci, spioncini;
• installazione di rilevatori di apertura e di effrazione sui serramenti;
• apposizione di saracinesche;
• tapparelle metalliche con bloccaggi;
• vetri antisfondamento;
• casseforti a muro;
• fotocamere o cineprese collegate con centri di vigilanza privati;
• apparecchi rilevatori di prevenzione antifurto e relative centraline.

Come ottenere il bonus sicurezza
Fino al 31 dicembre 2024, il limite massimo di spesa sul quale calcolare la detrazione del 50% è di 96 mila euro per ciascuna unità immobiliare. Questo limite è annuale e riguarda il singolo immobile e le sue pertinenze unitariamente considerate, anche se accatastate separatamente.
La detrazione deve essere ripartita in 10 quote annuali di pari importo, nell’anno in cui è sostenuta la spesa e in quelli successivi. Il contribuente che, pur avendone diritto, non ha usufruito dell’agevolazione in uno o più anni (ad esempio, per incapienza o perché esonerato dalla presentazione della dichiarazione dei redditi), nei successivi periodi d’imposta può comunque beneficiare della detrazione, indicando in dichiarazione il numero della rata corrispondente.
Per ottenere la dtrazione è sufficiente indicare nella dichiarazione dei redditi i dati catastali identificativi dell’immobile e, se i lavori sono effettuati dal detentore, gli estremi di registrazione dell’atto che ne costituisce titolo e gli altri dati richiesti per il controllo della detrazione.
Per fruire della detrazione inoltre è necessario che i pagamenti siano effettuati con bonifico bancario o postale (anche “on line”), da cui risultino la causale del versamento, con riferimento alla norma (articolo 16-bis del Dpr n. 917/1986), il codice fiscale del beneficiario della detrazione e il codice fiscale o numero di partita Iva del beneficiario del pagamento.
Al momento del pagamento del bonifico, banche e Poste Italiane Spa devono operare una ritenuta dell’8 per cento a titolo di acconto dell’imposta sul reddito dovuta dall’impresa che effettua i lavori.
I contribuenti che usufruiscono dell’agevolazione devono conservare ed esibire, a richiesta degli uffici dell’Agenzia delle Entrate una serie di documenti, quali:
• ricevuta del bonifico;
• fatture o ricevute fiscali relative alle spese effettuate per la realizzazione dei lavori di ristrutturazione;
• domanda di accatastamento, se l’immobile non è ancora censito;
• ricevute di pagamento dell’imposta comunale (Imu), se dovuta;
• delibera assembleare di approvazione dell’esecuzione dei lavori e tabella millesimale di ripartizione delle spese, per gli interventi sulle parti condominiali;
• dichiarazione di consenso all’esecuzione dei lavori del possessore dell’immobile, per gli interventi effettuati dal detentore dell’immobile, se diverso dai familiari conviventi;
• abilitazioni amministrative richieste dalla vigente legislazione edilizia in relazione alla tipologia di lavori da realizzare (concessioni, autorizzazioni, eccetera) o, se la normativa non prevede alcun titolo abilitativo, dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà in cui indicare la data di inizio dei lavori e attestare che gli interventi realizzati rientrano tra quelli agevolabili.

Mercato immobiliare 2023, le previsioni degli esperti

Il 2022 del mercato immobiliare italiano e internazionale si è chiuso con qualche scossone dovuto alle incerte condizioni legate all’inflazione e alla guerra. Cosa aspettarsi dal 2023?
“Quello che ci aspettiamo è un rallentamento del mercato, già in atto dalla seconda metà del 2022 e che sicuramente sarà confermato dai dati dell’ultimo trimestre”, commenta Dario Castiglia, Ceo e founder di Re/Max Italia. “Per il 2023 – PROSEGUE – non prevediamo una vera crisi immobiliare perché, nonostante gli aumenti, i tassi di interesse sono a livelli ancora interessanti se comparati ai picchi raggiunti in anni passati. Le condizioni sono sicuramente differenti rispetto ai minimi storici degli ultimi anni, ma crediamo che gli acquirenti si abitueranno al nuovo regime”.
Quali saranno le conseguenze dell’inflazione sul mattone italiano? “Sostanzialmente riteniamo che il mattone si confermerà bene rifugio contro l’inflazione in un mercato più equilibrato che tenderà a riallinearsi ai trend di crescita del 2019, con una buona domanda favorita da un appiattimento della curva dei prezzi”, risponde Castiglia.
Gli italiani compreranno ancora casa nel 2023? “Il dinamismo del periodo 2020 e 2021 è stato fin troppo esuberante, – spiega il Ceo di re/Max Italia. – Un’effervescenza che si è vista anche nei primi mesi del 2022 e che ha portato a chiudere l’anno con un numero di compravendite in linea con quello del 2021, nonostante la flessione dell’ultimo trimestre. In termini di transato per il 2023 prevediamo una contrazione dell’8/9 per cento rispetto al 2022 ma con un numero di compravendite superiori al 2019. Molto probabilmente il prossimo biennio vedrà una fase di rallentamento temporaneo che offrirà interessanti opportunità per investire nell’immobiliare. Questo perché sarà un mercato leggermente calmierato con condizioni più favorevoli per chi dispone di liquidità o ha la possibilità di accedere al credito”.

Un anno di incognite per l’immobiliare
“Mentre il 2022 ha confermato il trend positivo post pandemico cominciato nel 2021, – segnala Marco Speretta, direttore generale del Gruppo Gabetti, – e chiuderà probabilmente oltre le 700.000 compravendite, il 2023 è un anno che si apre con più incognite dettate da una situazione geopolitica, energetica e inflattiva volatile. Per il 2023, la determinante che più inciderà sull’andamento del mercato residenziale, è certamente l’andamento dei tassi di interesse sui mutui, il cui aumento registrato nel 2022 non ha per il momento inciso sulle compravendite. Questo a conferma del fatto che ci troviamo di fronte a un aumento dei tassi che però non è ancora ritenuto oltre il livello di guardia tanto da generare allarmismo tra investitori e potenziali acquirenti. Tuttavia, è chiaro che un ulteriore innalzamento della curva inflattiva, che spingerebbe ancora la BCE a aumentare i tassi, potrebbe determinare una contrattura nella domanda di acquisto”.
Cosa aspettarsi dal 2023? “Il mercato continuerà a essere guidato da chi cerca abitazioni più grandi (anche come conseguenza dello smartworking), – è l’opinione di Speretta, – da chi punta all’efficienza energetica cercando abitazioni più ecosostenibili e dalla crescente sensibilità verso la domotica e la tecnologia che spingerà molti verso l’acquisto di nuove costruzioni”.

Mutui e compravendite, previsioni 2023
Tiene il mercato immobiliare sostenuto dai mutui: secondo Nomisma il 2022 si chiuderà con 55,2 miliardi di euro di mutui erogati (contro i 55,7 preconizzati a febbraio), 44,4 miliardi nel 2023 (contro i 54,2 previsti a febbraio), 45 miliardi nel 2024 (contro i 58 previsti a febbraio) e 48,2 nel 2025.
A livello di compravendite, secondo l’istituto di Bologna il 2022 si concluderà con 767 mila compravendite, più delle 741 previste a febbraio, per poi calare bruscamente a 665 mila nel 2023 e 659 mila nel 2024 (contro la precedente previsione a 725 e 736 mila compravendite immobiliari).

Prezzi e canoni d’affitto, le previsioni 2022-2024
La crescita dei prezzi e dei canoni immobiliari reggerà nei prossimi anni nelle 13 città monitorate da Nomisma, e questo mette al riparo le città italiane dal rischio bolla. Nel 2022 si è vista una variazione semestrale del +2,1 per cento nei prezzi immobiliari e del +0,6 per cento annuo. Il 2022 si concluderà con un aumento del 2,7 per cento per la media delle 13 principali città italiane (con Milano a +5,9% e Venezia a -0,9).
Allo stesso modo si prevede un aumento del 2 per cento in media per i canoni di affitto (con Milano a +4,4 per cento e Palermo a -0.5 per cento) con un occhio al fenomeno degli affitti brevi che sottraggono alloggi alla locazione di lungo termine, meno redditizia.
Come si evidenzia nel rapporto Nomisma, infatti, per raggiungere la stessa redditività annuale di un contratto in affitto tradizionale per un appartamento da 50-70 mq, a Milano bastano 141 giorni di occupazione, a Venezia 116, a Bologna 119, a Firenze 125, a Roma 188, a Napoli 205.
In generale per i prezzi di compravendita delle abitazioni si prevede un aumento del 2,9 per cento nel 2022 per quanto riguarda le principali 13 città italiane; dello 0,7 per cento nel 2023 e dello 0,5 per cento nel 2024.
Per quanto riguarda il segmento uffici, l’aumento dei prezzi di compravendita sarà dello 0,5 per cento nel 2022 per poi passare a un calo dello 0,4 per cento nel 2023 e dello 0,1 per cento nel 2024 mentre per quanto riguarda i negozi si prevede un aumento dei prezzi dello 0,6 per cento nel 2022, dello 0,1 per cento nel 2023 e dello 0.3 per cento nel 2024.

Superbonus 90, previsioni per il 2023
Il 2023 è l’anno che vede ridursi il Superbonus, che tanto ha sostenuto il mercato delle ristrutturazioni, dal 110 al 90 per cento. Secondo Nomisma sono 2,4 milioni le famiglie che aderiranno nel 2023 alla nuova norma del superbonus con aliquota al 90%. Rispetto al 2022 i dati evidenziano un tasso di abbandono del 12% per la domanda che intende usufruire della nuova misura. Una riduzione che riguarderà quindi circa un terzo delle famiglie interessate rispetto alle previsioni di 3.613.000 che erano state fatte considerando la normativa in vigore fino al 25 novembre 2022.
“L’aliquota al 90% non determinerà un abbandono di interesse da parte delle famiglie italiane verso la misura”, sottolinea Marco Marcatili, Responsabile Sviluppo di Nomisma. “Dall’indagine del nostro 110% Monitor emerge come le famiglie abbiano incorporato la consapevolezza che il superbonus non sarà totalmente gratuito. Per recuperare parte delle famiglie rinunciatarie occorre garantire una copertura economica della quota di incentivo mancante, attraverso ad esempio prodotti finanziari dedicati o attraverso sistemi di remunerazione dell’investimento in modalità Esco, vale a dire attingendo ai benefici economici garantiti dai risparmi in bolletta. Ritengo che i tempi siano maturi per questo tipo di prodotto che potrà fornire una maggiore stabilità e incentivare una domanda reale. C’è da dire – prosegue Marcatili – che tutto ciò avverrà a condizione che venga reso nuovamente operativo il meccanismo dello sconto in fattura”.

Il real estate europeo: cosa succederà nel 2023
L’aumento dei tassi di interesse, mitigato dalla scarsa offerta di immobili residenziali in Europa, farà sì, secondo S&P, che i prezzi calino nell’area Euro ma non crollino. Per il 2023 il massimo calo di prezzo è previsto in Portogallo, -4,4 per cento, mentre in Svizzera – al di fuori dell’area Euro, – è previsto un lieve aumento dei prezzi dello 0,5 per cento. L’Italia vede una sostanziale stabilità con un aumento dell’1,5 per cento nei prezzi 2022 che sarà annullato completamente nel 2023, per poi vedere aumenti dell’1 per cento sia nel 2024 sia nel 2025.
Secondo Scenari Immobiliari, nel comparto residenziale si prevede che a fine anno 2022 i prezzi delle case nei cinque Paesi più industrializzati registreranno un aumento medio del 4,5 per cento, mentre la stima per l’anno successivo è fissata al +6,5 per cento medio annuo. Sul fronte delle transazioni immobiliari residenziali l’Italia, dopo l’eccezionale performance del 2021, si prevede che chiuderà già in leggero calo il 2022 con una diminuzione degli scambi del 5,3 per cento, attestandosi sulle 710mila compravendite. Per il 2023 si prevede una ulteriore discesa, che dovrebbe comunque restare inferiore ai 6 punti percentuali e circa 670mila compravendite.
Il comparto retail continua ad offrire un quadro piuttosto travagliato sul fronte dei prezzi, che nel 2022 registrano una crescita dello 0,8 per cento annuo, mentre la previsione per il 2023 è di un aumento del 4,3 per cento. Segnali positivi per il comparto retail arrivano dagli investitori che nella prima parte dell’anno corrente hanno aumentato, rispetto al primo semestre 2021, del 31 per cento i loro volumi giungendo a un totale di 10,3 miliardi di euro.
Nel 2024 inflazione
e real estate europeo
Secondo Daniel While, Head of Research, Strategy and Sustainability di Primonial REIM, il principale fattore d’incertezza per il 2023 riguarda l’inflazione.
La maggior parte degli osservatori ritiene che l’inflazione raggiungerà un plateau. Visti i pericoli per la sostenibilità del debito pubblico (ma anche di quello privato) e i rischi politici di una crisi sociale, ci si può aspettare che i rialzi dei tassi siano più moderati. Detto questo, non si vede alcun segno di perdita di interesse da parte degli investitori per il settore immobiliare, soprattutto per i settori aciclici come l’immobiliare sanitario o come, più in generale, i prodotti con driver demografici di performance, tra cui l’edilizia abitativa, dove non si assiste ancora ad un’inversione di tendenza. È possibile ritenere che, non appena il momento sarà adeguato, gli investitori torneranno, soprattutto perché il mercato degli affitti sta procedendo bene, anche nel settore degli uffici di alta qualità.

Le sfide del 2023
Prezzi in aumento del 2 per cento nel 2023 per l’immobiliare residenziale “prime” globale. È la previsione di Knight Frank, che corregge al ribasso la previsione di sei mesi prima fissata ad un aumento del 2,7 per cento.
L’inflazione si fa dunque sentire sui prezzi immobiliari, ma segnala comunque una crescita superiore a sei degli ultimi dieci anni nel segmento immobiliare di pregio.
Madrid è tra le città che più vedranno crescere i prezzi immobiliari nel 2023. Milano, è al momento al “sicuro” non solo da un aumento incontrollato dei prezzi che potrebbe portare a un rischio bolla, ma anche da una crescita dei prezzi immobiliari che collochi la città troppo fuori dal mercato.
Secondo Nuveen Real Estate nel 2022 il settore immobiliare ha registrato performance superiori rispetto alla maggior parte degli altri settori a livello globale, premiando gli investitori che nell’ultimo decennio hanno continuato ad incrementare la loro esposizione su questo settore.
Si prevedono tuttavia delle fasi di flessione nel 2023, con perdite di valore su alcuni mercati e segmenti. Ma anche in caso di rallentamento del mercato, continueranno a presentarsi opportunità nel real estate commerciale.
Tra i principali driver del settore, secondo Nuveen, il rallentamento della crescita: l’aumento dei tassi di interesse ha esercitato infatti una pressione al ribasso sui valori.
Per quanto questa non sia la dinamica ideale, ci sono però ragioni per nutrire un moderato ottimismo. L’apprezzamento significativo del capitale ha contribuito a generare rendimenti superiori negli ultimi anni, ma molti investitori puntano sul real estate privato per i rendimenti costanti, spesso attingendo ai loro portafogli investiti in reddito fisso per aumentare l’esposizione sul settore immobiliare.
Da questo punto di vista, il real estate è ben posizionato, con solidi fondamentali che supporteranno rendimenti stabili nel 2023.
La forte domanda sostiene inoltre i valori: i problemi delle catene di fornitura, che continuano a spingere l’inflazione, hanno anche un risvolto positivo per i proprietari degli immobili esistenti. Costruire nuovi edifici è stato complesso, e questa situazione ha comportato una minore attività di sviluppo e un rallentamento dei ritmi di consegna. Di conseguenza, in molti mercati il numero di posti sfitti è al di sotto dei livelli medi di lungo periodo, il che suggerisce un contesto in grado di continuare a sostenere la crescita degli affitti e la resilienza dei livelli di occupazione.

A cura di: Redazione IDEALISTA

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Barriere architettoniche, bonus prorogato fino al 2025

La Legge di Bilancio 2023 (Legge n. 197 del 29 dicembre 2022) ha prorogato il bonus barriere architettoniche, con due novità rispetto alle precedenti disposizioni.
Innanzitutto sono state modificate le regole per l’approvazione dei lavori in condominio: dovranno essere deliberati con una maggioranza semplificata dei partecipanti (come per il Superbonus) che rappresenti un terzo del valore millesimale dell’edificio.
Inoltre, la detrazione fiscale del 75% per la rimozione delle barriere architettoniche negli edifici esistenti varrà fino al 31 dicembre 2025, mentre nella Manovra precedente la misura era prevista soltanto per un anno.

Le regole
Possono beneficiare del bonus barriere architettoniche 2023 le persone fisiche, gli esercenti, gli enti pubblici e privati che non svolgono attività commerciale, le società semplici, le associazioni tra professionisti e i soggetti che conseguono reddito d’impresa (persone fisiche, enti, società di persone, società di capitali).
Sono esclusi dal bonus barriere architettoniche, invece, coloro che hanno solamente redditi assoggettati a tassazione separata o a imposta sostitutiva, perché l’agevolazione consiste in una detrazione del 75% dall’imposta lorda (Circolare n. 23/2022 dell’Agenzia delle Entrate).

I requisiti per accedere al bonus
Per accedere al bonus barriere architettoniche, i lavori per l’abbattimento di ostacoli alla mobilità devono essere in linea con i requisiti previsti dal decreto ministeriale 14 giugno 1989, n. 236, che regola dal punto di vista tecnico i criteri di accessibilità, adattabilità e visitabilità degli edifici privati e di edilizia residenziale pubblica sovvenzionata e agevolata.
La detrazione del 75% spetta anche per gli interventi di automazione degli impianti degli edifici e delle singole unità immobiliari funzionali ad abbattere le barriere architettoniche nonché, in caso di sostituzione dell’impianto, per le spese relative allo smaltimento e alla bonifica dei materiali e dell’impianto sostituito.

Le opere agevolate
I lavori per i quali è possibile beneficiare della detrazione al 75% prevista dal bonus barriere architettoniche sono:
• installazione ascensori e montacarichi;
• installazione montascale;
• realizzazione di un elevatore esterno;
• costruzione rampe;
• interventi atti a favorire la mobilità interna attraverso l’utilizzo della comunicazione, della robotica e di ogni altro mezzo di tecnologia più avanzata;
• ristrutturazione viali d’accesso per ipovedenti;
• sistemazione posti auto con la creazione di aree di parcheggio riservate ai disabili;
• interventi di adeguamento di servizi igienici e lavori di sistemazione di impianti elettrici e citofoni e domotici, per consentire a tutti piena accessibilità, manovrabilità e utilizzo degli apparecchi.
Più in generale, spiega l’Agenzia delle Entrate, rientrano nell’agevolazione le spese sostenute per ascensori e montacarichi, per elevatori esterni all’abitazione, per la sostituzione di gradini con rampe, sia negli edifici che nelle singole unità immobiliari, e quelle per la realizzazione di strumenti che, attraverso la comunicazione, la robotica e ogni altro mezzo tecnologico, favoriscono la mobilità interna ed esterna delle persone portatrici di handicap grave.
La detrazione non si applica, invece, per il semplice acquisto di strumenti o beni mobili, anche se diretti a favorire la comunicazione e la mobilità della persona con disabilità.

Come ottenere il bonus
Si accede alla detrazione del 75% del bonus barriere architettoniche 2023 per le spese documentate sostenute fino al 31 dicembre 2025. L’agevolazione deve essere ripartita tra gli aventi diritto in 5 quote annuali di pari importo.
È possibile recuperare il 75% delle spese effettivamente sostenute fino al 31 dicembre 2015 in tre modi:
• tramite la classica detrazione fiscale da riportare nella dichiarazione dei redditi in cinque quote annuali di pari importo;
• tramite la cessione ad altri soggetti del credito d’imposta corrispondente alla detrazione spettante;
• tramite un contributo, sotto forma di sconto sul corrispettivo dovuto, fino a un importo massimo pari al corrispettivo stesso, anticipato dai fornitori che hanno effettuato gli interventi agevolati (cosiddetto sconto in fattura).

I limiti di spesa
La detrazione deve essere calcolata su un importo complessivo non superiore a:
• 50.000 euro, per gli edifici unifamiliari o per le unità immobiliari situate all’interno di edifici plurifamiliari che siano funzionalmente indipendenti e dispongano di uno o più accessi autonomi dall’esterno;
• 40.000 euro, moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio, per gli edifici composti da due a otto unità immobiliari;
• 30.000 euro, moltiplicati per il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio, per gli edifici composti da più di otto unità immobiliari.

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Arera, il nuovo regolamento in vigore dal primo marzo

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Contro il caro energia, riduzione dell’Iva su pellet e teleriscaldamento

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Mutui per la casa: gli effetti del rialzo dei tassi di interesse

casa e mutuo ipotecario

Il contestato rialzo dei tassi di interesse da parte della Banca Centrale Europea (Bce) si abbatte su moltissime famiglie italiane che hanno il mutuo sulla casa, spesso la prima casa.
“Bisogna aspettarsi che la rata mensile per i finanziamenti a tasso variabile salga ulteriormente rispetto ad oggi”, si legge sul sito specializzato www.telemutuo.it.
La difficile situazione nasce dal graduale aumento dei tassi di interesse cominciato nel corso del 2022. All’inizio dell’anno, infatti, si era ancora ai minimi storici, come ormai da tempo.
Il primo tasso d’interesse a crescere, la scorsa primavera, è stato l’indice Irs (detto anche Eurirs), il parametro di indicizzazione dei mutui a tasso fisso. A luglio è stata registrata una breve frenata, ma poi l’indice è tornato a salire: per fare un esempio, se a fine gennaio l’Irs 10 anni era intorno allo 0,4 per cento, a ottobre ha sfondato quota 3 per cento ed ora si attesta intorno a +2,7 per cento. Risultato: il tasso (Tan) per un mutuo a tasso fisso oggi parte da almeno il 3,5 per cento, a seconda delle offerte più o meno vantaggiose delle banche.
A differenza dell’Eurirs, l’Euribor, l’indice più diffuso per i mutui a tasso variabile, è aumentato più lentamente nel corso dell’anno, passando dal terreno negativo a quello positivo soltanto nel mese di agosto, quando ha cominciato la sua corsa al rialzo.
A fine estate la differenza tra tasso fisso e variabile ha incominciato a ridursi gradualmente, anche se al momento chi sceglie questa seconda opzione (oggi si parte da un tasso variabile pari al 2,5 per cento) può ancora contare su una rata più bassa, come si può vedere facendo una simulazione con il comparatore di mutui online messo a disposizione da TeleMutuo.

Le prospettive per i prossimi mesi
Come ha annunciato la governatrice della Bce Christine Lagarde, probabilmente i tassi d’interesse continueranno a crescere, considerata l’incertezza dello scenario geopolitico. Questo farà salire le rate dei mutui, soprattutto quelli a tasso variabile.
È anche vero che in una fase così incerta è molto difficile fare previsioni, quindi bisogna valutare attentamente i mercati in tempo reale: imprevedibili eventi futuri potrebbero influire sia in positivo sia in negativo. Attualmente le proiezioni per i prossimi cinque anni segnano un Euribor 3 mesi pari all’incirca a +3,2 per cento a dicembre 2023, +3,1 per cento a dicembre 2025, +3,3 per cento a dicembre 2027.
Comprare casa resta in ogni caso conveniente, perché in generale stiamo parlando di tassi d’interesse comunque vantaggiosi, sia in relazione al valore attuale dell’inflazione, sia rispetto all’andamento storico, come emerge dal rapporto mensile dell’Abi (Associazione banche italiane): se a ottobre 2022 il tasso medio sulle nuove operazioni per l’acquisto di abitazioni è stato del 2,73 per cento (a dicembre 2021 era 1,74 per cento), è anche vero che a fine 2007 era addirittura del 5,72 per cento.
Anzi, la grande propensione degli italiani all’acquisto dell’abitazione, sia per uso proprio sia come investimento, potrebbe favorire nei prossimi mesi una maggiore concorrenza nel mercato dei mutui e un abbassamento dei prezzi nel settore immobiliare.

Individuare il tasso più conveniente
In questo scenario così variabile viene naturale chiedersi come individuare il tasso più conveniente. Se fino all’inizio del 2022 la quasi totalità dei mutuatari sceglieva il fisso, nel corso dell’anno è aumentata rapidamente la domanda di tasso variabile. Ma ora lo scenario è cambiato di nuovo.
Di fronte alla crescita dell’Euribor, e soprattutto in vista di ulteriori rialzi (secondo gli analisti si arriverà al 3 per cento entro l’estate 2023), i mutuatari stanno tornando a considerare l’ipotesi del tasso fisso, non tanto per risparmiare quanto per tutelarsi dal rischio di possibili stangate. Secondo i consulenti del credito di Telemutuo, quella del mutuo a tasso fisso è in questo momento la soluzione ottimale, perché, pur essendo più che triplicato rispetto a un anno fa, siamo comunque molto lontani dai livelli ante 2010.
Un discorso che vale a maggior ragione se si considera l’attuale contesto inflattivo: negli ultimi dieci anni, infatti, i tassi fissi si sono mantenuti sempre al di sopra rispetto alla svalutazione del denaro, e solo negli ultimi mesi si è verificata questa situazione inusuale in cui sono nettamente inferiori rispetto all’11 per cento su cui si attesta attualmente l’inflazione.
Sul mercato sono comunque disponibili anche soluzioni alternative che, pur avendo un tasso variabile, permettono di mettere un tetto massimo agli aumenti, ovvero il mutuo a rata costante (in cui è la durata complessiva del finanziamento a variare) e il mutuo con cap (tetto massimo).
Si tratta però di prodotti da valutare con la massima attenzione, considerando la propria situazione personale e il contesto generale.
Al di là della scelta tra tasso fisso e tasso variabile, secondo gli esperti di www.telemutuo.it esistono numerose tipologie di mutuo da valutare.
Accanto ai tradizionali mutuo prima casa (anche nella versione mutuo 100 per cento) e mutuo seconda casa, per chi ha intenzione di comprare un’abitazione ad alta efficienza energetica c’è il mutuo green o “verde”, indicato anche se si acquista un immobile costruito secondo i principi della bioedilizia oppure se si ristruttura un vecchio appartamento, migliorandone le prestazioni.
Se invece si vogliono sfruttare le agevolazioni edilizie previste dal governo, come il Bonus Ristrutturazione o il Superbonus 110%, si può chiedere il mutuo ristrutturazione oppure un mutuo liquidità.
Per chi invece sta già pagando un finanziamento per l’acquisto della casa, c’è sempre l’opzione della surroga, ovvero il passaggio a un nuovo mutuo, stipulato con una banca diversa.
Una possibilità che in passato, con i tassi ai minimi storici, è stata sfruttata da molti mutuatari e che ora può essere una strada percorribile per chi, di fronte agli aumenti del tasso variabile, vuole tutelarsi passando ad un mutuo a tasso fisso o ad un variabile con cap.

Mutuo prima casa under 36
Notizie positive, inoltre, per quanto riguarda i mutui per under 36, molto richiesti negli ultimi anni, grazie agli importanti sgravi fiscali previsti dal governo per aiutare i giovani a comprare casa.
Con un emendamento al Decreto Aiuti-ter, innanzitutto il Governo ha modificato il meccanismo alla base dei mutui fissi al 100% per i giovani, che negli ultimi mesi erano scomparsi dal mercato a causa della crescita dei tassi di interesse: in pratica, a differenza di quanto succedeva prima, ora il Teg – Tasso Effettivo Globale, potrà superare il Tegm – Tasso Effettivo Globale Medio, pubblicato dal Mef. Le banche hanno quindi ricominciato a proporre questo tipo di finanziamento per chi rientra nella giusta fascia d’età.
Non solo. Con la nuova Legge di Bilancio è stata infatti prorogata fino al 31 marzo 2023 la possibilità di chiedere al Fondo di Garanzia Mutui Prima Casa, istituito nel 2013 e gestito da Consap, di fare da garante fino all’80 per cento del valore dell’immobile di fronte alla banca che deve concedere il prestito, ottenendo così un mutuo al 100%. Una misura a cui possono accedere gli under 36 (ma anche i nuclei monogenitoriali con figli minori) che possiedono determinati requisiti, tra cui un indicatore ISEE non superiore a 40.000 euro annui.
Inoltre, per gli under 36 è prevista per tutto il 2023 l’esenzione dalle imposte di registro, ipotecaria e catastale in sede di rogito, il riconoscimento di un credito d’imposta per chi compra da impresa soggetta ad Iva e l’esenzione dall’imposta sostitutiva del mutuo.
In alternativa, i giovani possono valutare le offerte di mutui oltre l’80 per cento che alcune banche hanno ideato per questa fascia d’età, anche senza la garanzia Consap.

Fondo Gasparrini
Infine, un’altra novità riguarda il Fondo Gasparrini, Fondo di solidarietà per la sospensione delle rate mutui prima casa. Come già successo nella prima fase dell’emergenza Covid-19, anche per il 2023 la possibilità di accesso viene allargata a una platea più ampia grazie a uno stanziamento di 430 milioni di euro.
Attraverso questo fondo possono chiedere di sospendere il pagamento delle rate del mutuo alcune specifiche categorie di persone, come i lavoratori che sono in cassa integrazione o che hanno perso il lavoro, i liberi professionisti o le partite Iva con difficoltà economiche, le cooperative edilizie.

Superecobonus, tanti edifici già in linea con la Direttiva Ue

Grazie al Superbonus 110% e all’Ecobonus, sono molti i cittadini italiani che hanno già reso – o stanno rendendo – le loro abitazioni più moderne e sostenibili.
Il Centro Studi del Consiglio Nazionale degli Ingegneri (Cni) stima infatti che negli ultimi due anni sono stati ristrutturati sotto il profilo energetico, attraverso il Superbonus 110%, 86 milioni di metri quadrati, per un totale di 359.440 edifici già completati. Ulteriori 122.000 edifici sono in fase di completamento. In tutto, quindi, quasi 482.000 edifici hanno effettuato il doppio salto di classe energetica.
A questi numeri si aggiungono gli interventi di risparmio energetico realizzati negli ultimi anni con l’Ecobonus “ordinario”: tra il 2014 ed il 2021 sono stati realizzati oltre 3,7 milioni di interventi per il miglioramento delle prestazioni energetiche delle abitazioni. Sebbene si tratti di interventi con un carattere meno organico rispetto al Superecobonus 110%, un parziale miglioramento delle prestazioni energetiche è stato comunque realizzato.
L’Italia, dunque, non è all’anno zero in termini di recupero ed efficientamento energetico degli edifici. Da questi dati di partenza occorre ora capire quanto tempo è necessario per portare il patrimonio edilizio almeno nella Classe energetica “D”, ed elaborare un piano nazionale di intervento.
I tempi non possono certo essere quelli strettissimi indicati dall’Ue. Ma è fondamentale definire rapidamente delle controproposte credibili per realizzare ciò di cui il nostro stesso Paese ha bisogno. Qui entrano in gioco alcune variabili determinanti, la prima delle quali è la disponibilità di dati che definiscano con esattezza millimetrica l’effettivo stato del patrimonio edilizio. I dati fino ad oggi pubblicati sulla vetustà del patrimonio edilizio, sull’anno di costruzione, sulla classe energetica dicono molto ma non possono essere ritenuti sufficienti, nella loro forma così aggregata, per controbattere alle proposte dibattute in sede europea.
Se è vero che gran parte del patrimonio edilizio è stato costruito prima del 1990 dovremmo comprendere se e quanta parte di questo patrimonio è stata eventualmente sottoposta a risanamento profondo o parziale. Se è vero che dal sistema Siape, che monitora le attestazioni di prestazione energetica degli edifici, oltre il 70% delle strutture residenziali ricade nelle classi G, F ed E, questi dati fanno riferimento a 2,5 milioni di Ape. Per quanto il dato possa essere rappresentativo ed affidabile, occorrerebbe capire con maggior precisione quale sia l’esatto perimetro su cui intervenire con maggiore urgenza.
Il patrimonio edilizio si compone infatti di oltre 12 milioni di edifici, di molti dei quali ci sarebbe la necessità di capire meglio lo stato in cui si trova. Servirebbe almeno disporre delle attestazioni di prestazione energetica in modo capillare e aggiornato per quantificare il quadro delle dispersioni energetiche.
Servirebbe, in tempo reale, il dato esatto dei metri quadrati su cui già il Superecobonus è intervenuto, i livelli di risparmio energetico per metro quadrato stimati e quanti edifici proprio negli ultimi due anni, pur solo con l’ecobonus, sono passati in classe D. Si potrebbe così scoprire che una parte di questi metri quadri non devono essere coinvolti negli interventi previsti dalla direttiva Ue. E in questo modo potremmo concentrare gli sforzi su un perimetro più definito, sicuramente più ridotto rispetto a quello finora stimato per grandi linee, massimizzando lo sforzo con risorse finanziarie scarse.
Il Governo, con l’ultima Legge di Bilancio, ha deciso di ridimensionare l’accesso al Superecobonus abbassando il livello di detrazione e mantenendo l’orizzonte temporale al 2025. Ma probabilmente adesso, alla luce della Direttiva Europea, dovrà rimodulare la decisione. Si sono sempre temuti i costi eccessivi di questa operazione, senza considerare gli introiti dello Stato in termini di gettito fiscale. E questo ha impedito al Paese di pensare ad una qualche forma di ecobonus utilizzabile per 10 o 20 anni.
Arrivati a questo punto, la ‘partita’ non può essere giocata solo dal Governo e non può risolversi solo in una interlocuzione di ordine politico con le istituzioni comunitarie, perché in questo caso gli aspetti eminentemente tecnici decideranno l’efficacia o meno di ciò che verrà programmato.
“Vanno ridiscussi – afferma in una nota Angelo Domenico Perrini, presidente del Cni – i tempi di attuazione della direttiva Ue per l’efficientamento energetico degli edifici. Il Paese deve proporre in sede europea un piano circostanziato sulle modalità, sui costi effettivi da sostenere, sul numero esatto di edifici da risanare, sugli edifici che richiedono interventi più urgenti. Proponiamo una rilevazione estensiva Ape per quantificare con esattezza il grado di dispersione termica degli edifici ed identificare aree più critiche e meno critiche. Trasformiamo sin da ora questo vincolo, ormai ineludibile, in una opportunità. Risanare il patrimonio edilizio, se fatto con criterio e con competenza, genera valore per il sistema-Paese”.
“Il Centro studi Cni – osserva Perrini – stima che gli investimenti in Superecobonus 110%, pari a 46,2 miliardi di euro spesi nel 2022, abbiano contribuito alla formazione dell’1,4% del Pil dello scorso anno. La sola produzione diretta attivata dal Superecobonus 110% nel 2022 si stima pesi per almeno il 3,4% del Pil. Tutto questo è accaduto nonostante norme confuse e contraddittorie. Mostriamo in sede Ue di avere un piano chiaro di risanamento del patrimonio edilizio alternativo ad un provvedimento che oggi percepiamo come imposto”.
“Un piano di risanamento energetico degli edifici – afferma Giuseppe Maria Margiotta, consigliere Cni e presidente del Centro studi Cni – specie se estremamente impegnativo come quello che si sta profilando in sede Ue, deve basarsi su dati analitici approfonditi e affidabili. Ciò di cui oggi disponiamo relativamente alle condizioni del patrimonio edilizio sono dati interessanti ma definiscono un quadro per molti aspetti approssimativo, e non è più tempo di approssimazioni. Chiediamo che l’interlocuzione con l’Ue si basi definendo con chiarezza il quadro operativo di intervento per poter realisticamente quantificare i tempi ed i costi di tale operazione. E questo non è un lavoro che, a nostro avviso, può essere svolto solo dal Governo e dagli uffici tecnici dei ministeri, ma deve coinvolgere i professionisti dell’area tecnica che meglio conoscono le complessità dei territori e dei cantieri”.

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