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ARCHIVIO DEL CONDOMINIO

Plusvalenza immobiliare: spetta al Fisco individuare i plurimi indizi di evasione

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Lavori di ristrutturazione in condominio e percentuali di detrazione

ristrutturazione interni

L’Agenzia delle Entrate chiarisce alcuni dubbi relativi alle percentuali di detrazione che riguardano il bonus ristrutturazione per i lavori effettuati in condominio, soprattutto nei casi in cui i pagamenti e i lavori vengono svolti a cavallo di anni diversi, anni in cui sono state attuate delle modifiche normative inerenti all’agevolazione in oggetto.

Nel caso analizzato, un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, tramite La Posta di FiscoOggi, spiegando di voler alcuni chiarimenti in merito ai lavori di ristrutturazione condominiali. Il contribuente spiega che i versamenti che i condòmini effettuano nel 2024 al condominio saranno fatturati dalla ditta esecutrice in parte nel 2024 e in parte nel 2025.

Il contribuente ha, quindi, chiesto al Fisco se per le somme versate nel 2024 ma pagate e fatturate nel 2025 i condomini hanno diritto della detrazione del 50% o del 36%.

In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha confermato che se non ci sarà una nuova proroga, la detrazione per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica degli edifici scenderà dal 1° gennaio 2025 dal 50% al 36%, così come stabilito dall’art. 16-bis del Tuir.

Per ciò che concerne i lavori di ristrutturazione effettuati sulle parti comuni degli edifici, l’aliquota dell’agevolazione dipende dall’anno di effettuazione del bonifico inoltrato dall’amministratore di condominio.

A tal proposito, infatti, il Fisco evidenzia che non hanno importanza le date in cui i singoli condomini versano le proprie quote, sulla base dei millesimi di proprietà, al condominio, poiché la data a cui far riferimento è solo quella del pagamento inoltrato dall’amministrazione condominiale.

A fronte di quanto appena detto, l’Agenzia delle Entrate ha concluso rispondendo al contribuente che i condomini potranno beneficiare del bonus ristrutturazione con aliquota al 50% per i bonifici che l’amministratore di condominio effettuerà nel corso del 2024.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

La durata nel tempo di un impianto fotovoltaico

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Superbonus, la plusvalenza per chi vende prima dei dieci anni

Sono proprietario di un appartamento acquisito per successione nel 1961, che non è la mia abitazione principale. Abbiamo beneficiato del Superbonus con sconto fattura. In caso di vendita dell’appartamento sono tenuto a pagare la tassa sulla plusvalenza o sono esente, avendo acquisito l’immobile per successione oltre 60 anni fa?

La legge di bilancio 2024 ha previsto l’assoggettamento a tassazione delle plusvalenze realizzate con la cessione a titolo oneroso di beni immobili per i quali si è beneficiato del Superbonus con lavori conclusi da non più di 10 anni.

La norma non si applica però agli immobili acquisiti per successione – quindi lei non viene colpito dalla nuova norma – e a quelli che sono stati adibiti ad abitazione principale per la maggior parte dei dieci anni antecedenti la cessione o per la maggior parte del periodo se il possesso ha durata inferiore.
L’aliquota è del 26%, salvo opzione per la tassazione con le aliquote progressive Irpef, normalmente meno favorevole.

Le sanzioni per l’autorimessa senza certificato antincendio

Un condominio dispone di un’autorimessa, ubicata al secondo piano interrato, con dodici box auto e una superficie di circa 600 metri quadrati. I Vigili del fuoco, in passato, hanno notificato ai condòmini il divieto di parcheggiare nell’autorimessa, in quanto non a norma con le disposizioni antincendio. Quali sanzioni possono essere irrogate ai condòmini che, nonostante la diffida dei Vigili del fuoco, parcheggiano comunque nell’autorimessa? L’amministratore in carica, che non fa rispettare il divieto e che non si attiva per far eseguire i lavori di messa a norma, può essere sanzionato?

Il certificato di prevenzione incendi è stato oggi sostituito dalla Scia (segnalazione certificata inizio attività) antincendio. Si tratta di un documento che viene redatto da un tecnico abilitato o dai Vigili del fuoco. Esso attesta che un determinato luogo rispetta la normativa vigente riguardante la prevenzione incendi.

Il decreto autorimesse (Dpr 151/2011), poi integrato dal Dm Interno 21 febbraio 2017 e successivamente dal Dm Interno 15 maggio 2020, che contiene nuove regole per i garage di superficie superiore a 300 metri quadrati, stabilisce l’obbligo, per chi è responsabile di un edificio, cioè l’amministratore di un condominio, di ottenere il certificato di prevenzione incendi, sotto pena di propria responsabilità penale, anche per il mancato rinnovo periodico della conformità antincendio (Cassazione, n. 3921/2022).

Il fondamento della responsabilità penale dell’amministratore risiede negli articoli 1130, numeri 3 e 4, e 1135, secondo comma, del Codice civile, norme che incardinano una posizione di garanzia da cui scaturisce l’obbligo di vigilare sulle parti comuni e di adottare tutte le misure idonee a prevenire pericoli per l’incolumità pubblica derivanti dalle cose comuni.

Questo indipendentemente dal fatto che l’assemblea abbia o meno deliberato sul punto.

L’amministratore deve quindi attivarsi per eliminare i pericoli e non può trincerarsi dietro l’immobilismo dei condòmini (Cassazione penale, n. 34586/2021).

Resta ferma, in ogni caso, la sua revoca per grave irregolarità.

L’inottemperanza al divieto dell’uso dell’autorimessa imposto dai Vigili del fuoco integra – a carico dell’amministratore, e dunque, semmai, dei singoli condòmini disubbidienti – il reato ex articolo 650 del Codice penale, che prevede l’arresto fino a tre mesi o un’ammenda fino a 206 euro.

La revisione delle tabelle millesimali

All’interno dell’edificio condominiale che amministro, un condòmino ha recuperato il sottotetto sovrastante il suo appartamento e lo ha trasformato in abitazione, collegando le due unità immobiliari con una scala e accatastandole come unica unità immobiliare. È necessario procedere alla revisione delle tabelle millesimali? In caso di risposta positiva, chi dovrà sostenere le spese di questa revisione?

L’articolo 69 delle Disposizioni di attuazione del Codice civile stabilisce, al n. 2 del primo comma, che le tabelle millesimali possono essere rettificate – o modificate – anche nell’interesse di un solo condòmino, con la maggioranza prevista dall’articolo 1136, secondo comma, del Codice civile (maggioranza degli intervenuti e metà del valore dell’edificio) nei seguenti casi:
• 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore;
• 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell’edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell’unità immobiliare anche di un solo condomino. In tal caso, il relativo costo è sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione. È stato però chiarito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza 17391 del 17 giugno 2021, che “la notevole alterazione del rapporto tra i valori proporzionali non è necessariamente correlata ad una modificazione materiale dello stabile, potendosi anche avere la creazione di un nuovo piano con mantenimento degli originari valori proporzionali” (la Suprema corte si è riferita a un orientamento consolidato; si vedano le sentenze della Cassazione: sezioni unite, n. 6222 del 9 luglio 1997, e sezione seconda, n. 9579 del 13 settembre 1991, n. 15094 del 22 novembre 2000, n. 7300 del 26 marzo 2010).

Al di là di queste regole, sarà comunque il giudice del merito a verificare nel caso concreto che il mutamento delle condizioni dei luoghi o le opere realizzate siano tali da implicare la revisione delle tabelle millesimali.

Così dovrà essere anche per il caso prospettato, ove si dovrà verificare se la creazione di una nuova unità abitativa autonoma e il mutamento della destinazione del sottotetto, nonché la fusione di questo con il piano sottostante, comporti necessariamente la revisione delle tabelle millesimali secondo la norma citata.

Amministratore condominiale e obbligo di redigere il registro dei trattamenti

Elemento centrale della nuova disciplina del trattamento dei dati personali, introdotta con il GDPR – REG. UE 2016/679, è certamente il registro dei trattamenti, un documento di autoanalisi che, se compilato con attenzione, permette di sapere precisamente quali dati vengono trattati e come questi vengono, e devono essere, protetti.
Non solo. Compilare bene il registro dei trattamenti significa, per il Titolare, avere una guida già pronta per la redazione delle Informative Privacy ai sensi degli articoli 13 e 14, GDPR.

L’articolo 30 del GDPR prevede, in capo ad ogni Titolare del trattamento e ad ogni Responsabile del trattamento, la tenuta di un registro delle attività di trattamento svolte sotto la propria responsabilità.
Tale registro deve contenere, come minimo:
• nome (o denominazione) del Titolare e suoi dati di contatto, nome (o denominazione) e dati di contatto del rappresentante del Titolare e, ove nominato, del Responsabile della Protezione dei Dati (DPO, Data Protection Officer);
• le finalità dei trattamenti;
• una descrizione delle categorie degli Interessati e delle categorie di dati personali (solo comuni o anche Particolari e Giudiziari);
• le categorie dei destinatari cui i dati verranno comunicati, compresi i destinatari collocati in Paesi terzi (rispetto all’UE) o le organizzazioni internazionali;
• l’eventuale trasferimento dei dati verso un Paese terzo o un’organizzazione internazionale, compresa l’identificazione del Paese terzo o dell’organizzazione;
• se possibile, i termini ultimi per la cancellazione delle diverse categorie di dati;
• ove possibile, una generale descrizione delle misure di sicurezza tecniche e organizzative adottate secondo l’articolo 32, GDPR

I soggetti obbligati alla tenuta del registro sono:
• aziende con almeno 250 dipendenti; tuttavia, sono obbligate anche le imprese o organizzazioni con meno di 250 dipendenti qualora si tratti di:
• aziende che effettuino trattamenti che possono presentare un rischio per i diritti e le libertà dell’interessato;
• aziende che effettuino trattamenti non occasionali e che effettuino profilazione;
• aziende che richiedano particolari tipologie di dati (sulla salute, giudiziari ecc., descritti nell’art. 9 del GDPR).

Sebbene dalla lettura dell’art. 30 del GDPR l’amministratore di condominio, e il condominio stesso, sembrerebbe essere escluso dalla tenuta del registro, il Garante Privacy italiano è intervenuto indicando i soggetti che sono comunque obbligati alla tenuta del registro e tra questi troviamo:
• qualsiasi tipo di attività ed esercizi commerciali (bar, ristoranti, officine, negozi ecc.) con almeno 1 dipendente: in questo caso infatti, secondo il Garante, viene fatto un trattamento non occasionale;
• qualsiasi tipo di attività ed esercizi commerciali che trattino dati sensibili dei clienti (parrucchieri, ottici, tatuatori ecc.);
• liberi professionisti che trattino categorie particolari di dati (commercialisti, avvocati, fisioterapisti, notai ecc.);
• associazioni che trattino dati particolari, come dati sulla salute, giudiziari, sull’orientamento politico ecc.;
• tutti i condomini che richiedano dati sensibili (per esempio in caso di delibere per abbattimento delle barriere architettoniche ai sensi della Legge n. 13/1989, richieste di risarcimento danni per spese mediche in caso di sinistri).

L’amministratore di condominio è quindi tenuto a redigere il registro dei trattamenti qualora:
• tratti sinistri con lesioni a persone;
• vi siamo delibere relative all’abbattimento di barriere architettoniche;
• amministri almeno due condomini;
• abbia almeno un dipendente, sia che si tratti dell’ufficio dell’amministratore stesso o sia che si tratti di dipendente del condominio (per esempio, il portiere);
• svolga l’attività in forma societaria.

Il registro dei trattamenti deve essere tenuto in forma scritta, in formato cartaceo o elettronico.
L’amministratore di condominio dovrà quindi tenere due registri dei trattamenti, uno relativo ai trattamenti che egli svolge in qualità di Titolare del trattamento, come datore di lavoro in relazione alla sua attività professionale e ai suoi dipendenti o o fornitori, ed uno per i trattamenti eseguiti come Responsabile del trattamento, in qualità di amministratore dei condomini che gestisce.

Il registro dei trattamenti non deve essere solo predisposto una tantum, ma deve essere sempre aggiornato in relazione ai nuovi trattamenti di dati che l’amministratore effettua.

La mancata tenuta del registro dei trattamenti determina, a carico dell’amministratore di condominio, sanzioni amministrative pecuniarie importanti.

A cura di: Dott. Marco Massavelli – Consulente e Formatore Privacy

Bonus ristrutturazione: i conviventi di fatto possono ottenere la detrazione?

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema del bonus ristrutturazione, in particolare sulla possibilità di usufruire di tale agevolazione da parte delle coppie di fatto.

Nel caso esaminato, una contribuente si è rivolta al Fisco, tramite “La Posta di FiscoOggi”, spiegando che in qualità di convivente di fatto, sosterrà le spese di ristrutturazione su un’abitazione acquistata dal compagno.

A tal proposito, la contribuente chiede se potrà usufruire dell’agevolazione prevista dall’articolo 16-bis del TUIR, anche se, al momento, lei e il suo compagno convivono in una casa diversa da quella oggetto di ristrutturazione. La contribuente specifica, infine, che la coppia è regolarmente registrata presso il Comune come “coppia di fatto”.

L’Agenzia delle Entrate, in risposta al quesito posto, ha spiegato che la normativa italiana dal 2016, in particolare l’art. 16-bis del TUIR, prevede che può richiedere la detrazione per il recupero del patrimonio edilizio, se sostiene le spese relative, anche il convivente di fatto del possessore o detentore dell’immobile oggetto degli interventi, anche in assenza di un contratto di comodato.

Tale agevolazione si applica alle spese sostenute per gli interventi effettuati su una delle abitazioni nelle quali si manifesta il rapporto di convivenza, anche se diversa dall’abitazione principale della coppia di conviventi.

Ciò nonostante è di fondamentale importanza rispettare il requisito della “stabile convivenza”. Per l’accertamento di tale requisito, la legge n.76 del 20/05/2016 definisce la “famiglia anagrafica” come l’unità che può essere dimostrata tramite i registri anagrafici comunali o, in alternativa, si può ricorrere all’autocertificazione, da rendere ai sensi dell’articolo 47 del Dpr n. 445/2000.

Ricordiamo che si intendono “conviventi di fatto” due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

L’Agenzia delle Entrate, inoltre, evidenzia che è importante che lo status di convivenza sia già in essere al momento in cui si attiva la procedura o alla data di inizio dei lavori, ed è necessario che lo status di convivenza perduri durante tutto il periodo in cui si sostengono le spese ammesse in detrazione.

Pertanto, i documenti necessari che dovrà fornire il convivente che desidera fruire dell’agevolazione sono la registrazione anagrafica o l’autocertificazione che attesti lo status di convivenza e le ricevute, nonché la documentazione fiscale, relative alle spese sostenute.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Rivalutazione Istat, la rinuncia non si registra

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La notifica dell’istanza di mediazione interrompe i termini per l’opposizione a decreto ingiuntivo

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