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Le scadenze fiscali del 31 ottobre

Alla fine del mese, il 31 ottobre, i contribuenti persone fisiche che non sono titolari di una Partita Iva devono effettuare il versamento della quinta rata delle imposte risultanti dalle dichiarazioni annuali. Questo vale per coloro che hanno scelto di rateizzare il pagamento.
Entro il 31 ottobre i sostituti di imposta devono presentare il modello 770/2023.
Coloro che hanno aderito al ravvedimento speciale devono versare entro il 31 ottobre l’importo della seconda rata. Gli ulteriori versamenti sono previsti con scadenza il 30 novembre, il 20 dicembre e il 31 marzo, il 30 giugno 2024, il 30 settembre 2024 e il 20 dicembre 2024 e vedono l’applicazione di interessi al tasso del 2% annuo.
Per chi ha aderito alla rottamazione quater, articolo 1, commi da 231 a 252, (definizione agevolata carichi affidati all’agente della riscossione dal 1° gennaio 2000 al 30 giugno 2022), cade il 31 ottobre la scadenza del pagamento della prima o unica rata.
Scade il 31 ottobre 2023 anche il pagamento della prima rata prevista per la regolarizzazione degli errori formali. In questo caso stiamo parlando del provvedimento di pace fiscale previsto nella legge di Bilancio 2023, articolo 1, commi da 166 a 173. Con il decreto bollette n. 34/2023 l’originaria scadenza del 31 marzo 2023 per il pagamento della prima rata è stata fatta slittare al 31 ottobre 2023.
Si invitano i lettori a non confondere le scadenze della rottamazione quater con quelle del ravvedimento speciale e con la regolarizzazione degli errori formali: sebbene si tratti in tutti i casi citati di misure di pace fiscale previste nella stessa legge, prevedono adempimenti diversi e che potrebbero cumularsi.

Superbonus, per la cessione del 110% non basta pagare i lavori entro fine anno

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Le detrazioni per la sostituzione del climatizzatore

L’Agenzia delle Entrate torna sul tema delle detrazioni legate alla sostituzione del climatizzatore attraverso una domanda fatta da un contribuente online su “La posta di FiscoOggi”.

Nello specifico, il contribuente si è rivolto alle Entrate spiegando che deve sostituire il climatizzatore presente nella propria abitazione con un impianto dotato di pompa di calore. A tal proposito il contribuente ha chiesto se può richiedere la detrazione relativa alla “manutenzione straordinaria” del 50% oppure può richiedere la detrazione al 65% per la riqualificazione energetica.

In risposta il Fisco ha spiegato che, in generale, la sostituzione, integrale o parziale di un vecchio impianto di climatizzazione con un climatizzatore a pompa di calore rientra tra gli interventi finalizzati al conseguimento di risparmio energetico, per i quali si può richiedere la detrazione prevista dall’articolo 16-bis, lettera h), del Tuir. Infatti, si tratta di un intervento che può essere assimilato alla “manutenzione straordinaria” (articolo 123, comma 1, del Testo unico sull’edilizia), per il quale si può richiedere la detrazione del 50% delle spese sostenute (bonus ristrutturazione), per un tetto massimo di 96.000 euro.

L’Agenzia delle Entrate ha spiegato anche che lo stesso intervento di sostituzione del climatizzatore può rientrare, in alternativa, tra quelli per i quali è prevista la detrazione del 65% delle spese sostenute (ecobonus), nel limite massimo di 30.000 euro. Per richiedere questo tipo di agevolazione, però, è necessario che l’intervento rispetti i valori limite indicati nella tabella 1 dell’allegato F del Decreto Ministeriale del 6 agosto 2020. Il Fisco prosegue ricordando anche che per approfondire i requisiti tecnici dell’intervento può essere utile consultare il vademecum pubblicato sul sito dell’ENEA relativo alle pompe di calore.

Ad ogni modo, rispondendo al quesito posto dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate ha concluso spiegando che non è possibile richiedere entrambe le agevolazioni descritte, pertanto il contribuente dovrà scegliere quale delle due agevolazioni richiedere e di conseguenza rispettare gli adempimenti previsti in relazione alla detrazione scelta.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Prima casa, residenza di famiglia se c’è comunione dei beni

Due coniugi (titolari del diritto di abitazione, ciascuno per il 50% indiviso), unitamente ai due figli (titolari della nuda proprietà, ancora ciascuno per il 50% indiviso) – acquirenti di un immobile a uso abitativo – presentavano ricorso avverso l’avviso di liquidazione e irrogazione sanzioni loro notificato, con cui l’ufficio delle Entrate di Bari recuperava a tassazione il maggior importo per Iva all’aliquota del 10%, oltre agli accessori.
L’atto impositivo veniva emesso a causa del rilevato mancato trasferimento della residenza nel comune ove era ubicato l’immobile, da parte di uno dei coniugi, entro i 18 mesi dal rogito, con conseguente decadenza dai benefici “prima casa” di cui al n. 21, Tabella A, parte seconda, allegata al Dpr n. 633/72.

I restanti acquirenti venivano ritenuti responsabili in solido col predetto.
La Ctp di Bari accoglieva parzialmente il ricorso rilevando che poiché uno dei due coniugi e i due figli avevano assolto l’onere di trasferire la propria residenza entro il termine di legge, la decadenza dal beneficio fiscale era illegittima nei loro confronti, mentre non altrettanto poteva dirsi nei confronti dell’altro soggetto rimasto inerte nel trasferimento della residenza.

Tutti i ricorrenti proposero appello avverso detta decisione la quale, comunque, venne confermata dalla Ctr della Puglia.
I giudici di secondo grado osservarono, in particolare, che correttamente la Corte di prima istanza aveva rigettato il ricorso del coniuge inadempiente poiché, secondo la giurisprudenza di legittimità, la condizione affinché l’altro coniuge non residente, possa comunque godere del beneficio di cui in parole, è che l’acquisto ricada nella comunione legale in quanto verrebbe in risalto il concetto di “residenza della famiglia”.

I contribuenti – rimasti parzialmente soccombenti nel giudizio di secondo grado – hanno proposto ricorso per la cassazione di quella pronuncia sulla base di un unico motivo con il quale è stata denunciata violazione e falsa applicazione degli articoli 143, 144, 1100 e 1022 del codice civile, nonché dell’articolo 1, nota II-bis, della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr n. 131/1986, in relazione all’articolo 360, comma 1, n. 3, codice di procedura civile.

Secondo l’impostazione adottata dai ricorrenti, l’acquisto dell’immobile era avvenuto in regime di comunione ordinaria sia quanto al diritto di abitazione (50% indiviso tra i coniugi) sia quanto al diritto di nuda proprietà (50% indiviso tra i figli).
In quelle condizioni, tenuto conto della particolare funzione del diritto reale parziario in discorso (l’articolo 1022 cc stabilisce che “Chi ha il diritto di abitazione di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”), diventa trascurabile che tra i coniugi fosse vigente il regime della separazione patrimoniale dei beni poiché gli effetti dell’acquisto di quel cespite immobiliare si sono estesi a tutti i componenti, per l’appunto, della famiglia.
Pertanto, il concetto di residenza deve poter coincidere, nel caso in discussione, con quello più esteso di famiglia, al contrario di quanto ritenuto dal giudice d’appello.

L’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 3123 del 2 febbraio scorso, ha rigettato il motivo di gravame così proposto poiché infondato condannando, altresì, le parti ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
In via preliminare, i giudici di piazza Cavour hanno richiamato la costante giurisprudenza della Corte sul punto, la quale afferma, in estrema sintesi, che “in tema di imposta di registro e dei relativi benefici per l’acquisto della prima casa, ai fini della fruizione degli stessi, il requisito della residenza nel Comune in cui è ubicato l’immobile va riferito alla famiglia, con la conseguenza che, in caso di comunione lega/e tra coniugi, quel che rileva è che l’immobile acquistato sia destinato a residenza familiare, mentre non assume rilievo in contrario la circostanza che uno dei coniugi non abbia la residenza anagrafica in tale Comune, e ciò in ogni ipotesi in cui il bene sia divenuto oggetto della comunione ai sensi dell’art. 177 c.c., quindi sia in caso di acquisto separato che in caso di acquisto congiunto del bene stesso” (cfr Cassazione n. 22557/2022; conferma Cassazione n. 16604/2018 e n. 13335/2016).

Ovviamente, detto principio di diritto è estensibile all’Iva.
A detta dei ricorrenti, nella vicenda – in cui è risultato pacifico che l’acquisto del diritto reale di godimento, tra i coniugi, era avvenuta in regime di separazione patrimoniale – il diritto conseguente acquisito sarebbe da ricondurre nell’alveo del “diritto di abitazione” di cui all’articolo1022 cc a mente del quale, come detto, il titolare “può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia”. In pratica, l’acquisizione del diritto da parte della moglie (soggetto che ha trasferito la residenza) accomuna la fattispecie suddetta a quella dell’acquisto in comunione legale in quanto – seppur vigente in concreto il regime di separazione – nella sostanza si sarebbe determinata un’originaria destinazione univoca e complessiva della destinazione dell’abitazione a residenza familiare (completata dall’acquisto del diritto di usufrutto da parte dei figli).

La Cassazione non ha inteso aderire a tale prospettazione in quanto la ratio della giurisprudenza appena richiamata è che, poiché l’acquisto in comunione legale si estende ex lege alla posizione dell’altro coniuge, a prescindere dal proprio personale apporto, anche finanziario, in tal caso rileva la posizione della famiglia in sé, cui occorre dunque riferire la verifica della residenza.
Il che rende sufficiente che anche uno solo dei coniugi rispetti il requisito soggettivo della residenza nel comune del luogo in cui si trova l’immobile oggetto di compravendita.

Nel caso in esame, invece, l’acquisto del diritto assume una prerogativa per così dire “egoistica” (o “individualistica”) in capo a ciascuno dei coniugi, e i bisogni della famiglia non sono riferiti al diritto del nucleo familiare in quanto tale.
A quest’ultimo si attribuisce rilevanza in via indiretta, cioè per il tramite del titolare del diritto di abitazione, che resta il “protagonista” della fattispecie.
Pertanto, la Cassazione, con la pronuncia in esame, non ha inteso discostarsi dal consolidato indirizzo prima evocato, neanche in relazione alle peculiarità offerte dalla vicenda controversa portata al suo diretto vaglio.

https://www.fiscooggi.it/rubrica/giurisprudenza/articolo/prima-casa-residenza-famiglia-ma-se-ce-comunione-dei-beni

Cessione dei crediti da bonus edilizi: annullare la ripartizione in 10 rate annuali

Il Provvedimento del 22 settembre 2023 pubblicato dall’Agenzia delle Entrate e con oggetto “Annullamento della comunicazione di ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui derivanti dalla cessione o dallo sconto in fattura relativi alle detrazioni spettanti per taluni interventi edilizi ai sensi dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176 – Annullamento dell’opzione per l’utilizzo in compensazione tramite modello F24 dei crediti tracciabili”, ha disciplinato la possibilità di annullamento della comunicazione di ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui relativi ai bonus edilizi e derivanti dalla cessione o dallo sconto in fattura.

Date le numerose richieste di correzione inoltrate dai contribuenti, il Fisco ha fornito nel dettaglio le informazioni necessarie per richiedere l’annullamento delle precedenti comunicazioni.

Nello specifico, dal citato Provvedimento si evince che sarà possibile chiedere l’annullamento per:
• le opzioni per l’utilizzo in compensazione dei bonus edilizi tracciabili tramite F24;
• la ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui.

La richiesta di annullamento deve essere inoltrata dal titolare dei crediti o da un suo intermediario, attraverso la “Piattaforma cessione crediti”, ovvero una funzionalità specifica che verrà attivata nell’area riservata del sito dell’Agenzia delle Entrate.

Nel frattempo che tale funzionalità venga attivata, i contribuenti potranno effettuare tale richiesta attraverso la compilazione di un modello ad hoc denominato “Richiesta di annullamento della ripartizione in dieci rate annuali dei crediti residui”, dopodiché lo stesso modulo dovrà essere sottoscritto digitalmente o con firma autografa da parte del titolare del credito. Qualora si procedesse tramite firma autografa, sarà necessario allegare la copia del proprio documento di identità. Il modello dovrà essere, infine, trasmesso all’Agenzia delle Entrate tramite posta elettronica certificata all’indirizzo: annullamentoaccettazionecrediti@pec.agenziaentrate.it

Entro 30 giorni dalla richiesta, verrà inviato l’esito della stessa ai contribuenti interessati. Nel caso in cui l’esito fosse positivo e, quindi, la richiesta venisse accolta, verrà ridotto in automatico l’ammontare dei crediti fruibili dalla ripartizione in dieci rate annuali e verrà ripristinata la rata del credito originario, alla quale saranno poi attribuiti il codice tributo, l’anno di riferimento e la scadenza iniziale.
In ultimo, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che dato che il provvedimento del 3 febbraio 2022 aveva definito l’obbligo di comunicare attraverso la “Piattaforma cessione crediti” l’opzione per la fruizione in compensazione dei crediti tracciabili tramite modello F24, anche in relazione a questa opzione è possibile procedere con l’annullamento di tale richiesta.

Difatti, dal 5 ottobre 2023 sarà disponibile la funzione per richiedere l’annullamento totale o l’annullamento di una o più rate.

L’accoglimento di tale richiesta di annullamento comporterà la riduzione dell’ammontare dei crediti fruibili per i quali era stata comunicata l’opzione per l’utilizzo in compensazione, con conseguente facoltà di cessione delle relative rate.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Superbonus 90% e contributo a fondo perduto

Dopo la pubblicazione del DM del Ministero e delle Finanze del 31 luglio 2023 in Gazzetta Ufficiale, attraverso il quale sono state definite le modalità di erogazione del contributo a fondo perduto destinato alle persone con basso reddito che hanno realizzato lavori agevolati con il Superbonus 90%, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato l’ultimo step per utilizzare tale fondo, ovvero il Provvedimento del 22 settembre 2023 con oggetto “Definizione del contenuto informativo, delle modalità e dei termini di presentazione dell’istanza per il riconoscimento del contributo a fondo perduto di cui all’articolo 9, comma 3, del decreto-legge 18 novembre 2022, n. 176, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 gennaio 2023, n. 6”.

È importante ricordare che il DL Aiuti-quater ha introdotto la possibilità per i contribuenti con redditi bassi che nel 2023 hanno realizzato lavori agevolati sulle prime case con il Superbonus 90%, di richiedere un contributo fino al 10% a copertura della quota rimasta a loro carico.

Con il Provvedimento del 22 settembre 2023 l’Agenzia delle Entrate ha fornito le istruzioni per poter richiedere l’erogazione del contributo a fondo perduto e il modello di istanza da presentare in via telematica. Il Fisco ha definito anche i termini per l’invio della richiesta, difatti questa andrà presentata dal 2 al 31 ottobre tramite una procedura web disponibile nell’area riservata dell’Agenzia delle Entrate e tale richiesta potrà essere fatta direttamente dal richiedente o attraverso un intermediario.

Ricordiamo che il Fondo messo a disposizione dal Governo è pari a 20 milioni di euro, un importo che verrà accreditato ai beneficiari in base al numero di richieste validamente presentate.

Per quanto concerne i beneficiari, per accedere a tale contributo è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:
• essere titolari di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare oggetto dell’intervento o, per gli interventi effettuati dai condomini, sull’unità immobiliare facente parte del condominio;
• aver effettuato i lavori sull’unità adibita ad abitazione principale;
• avere un reddito di riferimento dell’anno 2022 non superiore a 15.000 euro.

Inoltre, tra i beneficiari, il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate include anche gli eredi che conservano la detenzione materiale e diretta dell’immobile, in relazione agli interventi sostenuti dal de cuius, ovvero dalla persona defunta.

Il modello della domanda fornito dalle Entrate prevede che il richiedente dichiari innanzitutto di essere in possesso dei requisiti richiesti e fornisca il proprio codice fiscale e l’iban del suo conto corrente. Dopo aver presentato la richiesta, il contribuente riceverà una prima email di conferma di presa in carico della sua richiesta e una comunicazione successiva relativa all’esito della stessa.

Infine, la percentuale di ripartizione del contributo in base alle risorse disponibili e all’ammontare complessivo delle richieste pervenute e accettate sarà comunicata dall’Agenzia delle Entrate tramite un ulteriore provvedimento, entro il 30 novembre 2023.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Le scadenze fiscali del 2 ottobre

Si concentrano lunedì 2 ottobre le scadenze fiscali generalmente ricadenti al 30 settembre, che slittano a causa della sospensione prevista per il sabato e la domenica.
Il 2 ottobre è l’ultimo giorno utile per la presentazione della dichiarazione dei redditi con il modello 730/2023.
In questa data scadono inoltre i termini per il versamento dell’imposta di bollo per le fatture elettroniche relative al 2° trimestre 2023.
Sempre entro il 2 ottobre, tutti coloro che utilizzano il registratore telematico devono effettuare l’adeguamento obbligatorio ai fini della fruibilità dello stesso per la lotteria degli scontrini istantanea.
Per coloro che hanno aderito al ravvedimento speciale previsto nella legge di bilancio 2023 per regolarizzare le violazioni commesse sulle dichiarazioni validamente presentate relative al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2021 e ai periodi d’imposta precedenti, entro il 2 ottobre deve essere versata l’unica rata per chi ha scelto questa soluzione, o la prima delle rate per chi ha scelto il pagamento rateizzato. Il ravvedimento speciale (legge di bilancio 2023 commi da 174 a 178) prevede la rimozione dell’irregolarità o dell’omissione e il pagamento dell’imposta, degli interessi e delle sanzioni, queste ultime ridotte a 1/18 del minimo edittale previsto.

Superbonus 90%: modalità di erogazione per prime case e redditi bassi

Con il DM del 31 luglio 2023 sono state definite le modalità di erogazione del Fondo messo in campo dal Governo e destinato ai proprietari che hanno un basso reddito di riferimento e che hanno realizzato lavori agevolati con il Superbonus 90%.
Il 25 agosto, nella Gazzetta Ufficiale, è stato il DM del Ministero e delle Finanze del 31 luglio 2023 con oggetto “Definizione dei criteri e delle modalità per l’erogazione del contributo relativo alle spese sostenute per gli interventi di efficienza energetica, sisma bonus, fotovoltaico e colonnine di ricarica di veicoli elettrici” attraverso il quale sono state stabilite le modalità di erogazione del contributo a fondo perduto destinato alle persone con basso reddito che hanno realizzato lavori agevolati con il Superbonus 90%.
Il DL Aiuti-quater ha introdotto il Superbonus al 90% per le abitazioni unifamiliari adibite a prima casa in cui il proprietario abbia un “reddito di riferimento” fino a 15.000 euro. Per tale agevolazione è stato istituito un Fondo ad hoc pari a 20 milioni di euro per il 2023, il quale verrà erogato per le spese sostenute fino al 31 ottobre 2023.
I requisiti per accedere al Superbonus al 90% sono i seguenti:
a) il richiedente deve avere un reddito di riferimento non superiore a 15.000 euro;
b) il richiedente è titolare di diritto di proprietà o di diritto reale di godimento sull’unità immobiliare oggetto dell’intervento o, per gli interventi effettuati dai condomini, sull’unità immobiliare facente parte del condominio;
c) l’unità immobiliare è adibita ad abitazione principale del richiedente.
Quando si parla di reddito di riferimento, questo si determina dividendo la somma dei redditi complessivi posseduti dalle parti del nucleo familiare di riferimento, nell’anno precedente a quello di sostenimento della spesa, per il numero di parti stesse.
In fase di richiesta dell’agevolazione, il richiedente dovrà indicare l’importo del contributo richiesto che non potrà essere superiore al 10% delle spese ammesse. Il Fondo serve, quindi, a rimborsare della quota rimanente coloro che hanno fruito del Superbonus 90%.
Per quanto concerne l’entità del contributo, questa sarà calcolata sull’ammontare complessivo dei contributi richiesti, pertanto qualora l’ammontare delle richieste superasse i 20 milioni di euro messi a disposizione dal Governo, i richiedenti otterranno una somma inferiore a quella richiesta. Inoltre, l’erogazione del contributo seguirà l’ordine cronologico delle date del primo bonifico effettuato dai richiedenti.
Ricordiamo che per ottenere tale contributo è necessario inviare la richiesta all’Agenzia delle Entrate entro il 31 ottobre 2023.

A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI

Se l’inquilino non paga il canone di locazione si può evitare il pagamento delle imposte

Il canone di locazione rappresenta una delle poche tipologie di reddito per le quali si applica il principio di competenza e non il principio di cassa. Questo implica che gli introiti derivanti dal canone di locazione devono essere generalmente indicati nella dichiarazione dei redditi dell’anno in cui gli stessi maturano e non in quella in cui sono effettivamente riscossi.
Questa particolare norma può generare dei problemi dovuti a imposte da versare su redditi non riscossi e che non sempre si riescono a incassare.
Vediamo quindi cosa può fare il locatore nel caso in cui si trovi di fronte un inquilino che non paga il canone per non dichiarare le somme nel 730/2023 e quindi per evitare di pagare imposte su canoni non percepiti.
L’articolo 25 del Tuir ( decreto 917 del 1986) definisce redditi fondiari quelli derivanti da terreni e fabbricati. Ne consegue che i canoni di locazione devono essere annoverati in tale categoria.
L’articolo 26 del Tuir prevedeva che i redditi fondiari concorressero, indipendentemente dalla percezione (principio di cassa), a formare il reddito complessivo dei soggetti titolari di immobili a titolo di proprietà, enfiteusi, usufrutto o altro diritto reale.
Allo stesso tempo stabiliva che i redditi derivanti da canoni di locazione non dovevano essere dichiarati nel caso in cui nel frattempo fosse stato concluso un procedimento giurisdizionale di convalida dello sfratto. In Italia questa procedura richiede molto tempo, di conseguenza il locatore si ritrovava a dover pagare anche per anni imposte su canoni di locazione effettivamente mai riscossi. In merito a questi importi era stabilito che tali versamenti fossero da considerare come credito di imposta e se effettivamente non riscossi potevano essere utilizzati in compensazione al termine del procedimento di convalida di sfratto.
Questa disciplina è sembrata al legislatore eccessivamente penalizzante per il locatore, soprattutto nel periodo di emergenza Covid, quando gli inquilini morosi sono aumentati e i locatori si sono trovati ad affrontare difficoltà economiche non di poco conto.
Proprio per evitare distorsioni, si è provveduto con il decreto legge 34/2019, decreto Crescita, art. 3 quinquies, a modificare tali norme.
Ora, in tema di canone da locazione, continua a trovare applicazione il principio di competenza e non il principio di cassa. La modifica importante riguarda però i tempi. Infatti per far valere nel modello 730 del 2023 la morosità dell’inquilino, non occorre più attendere la conclusione del procedimento di convalida dello sfratto, ma basta dimostrare la mancata percezione degli introiti con l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità.
Questa norma trova applicazione per le mensilità non percepite a partire dal primo gennaio 2020, data di entrata in vigore della norma in oggetto.
Il nuovo testo dell’articolo 26 del Tuir recita: “I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito, purché la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento”.
Sebbene non debbano essere dichiarati gli importi dei canoni di locazione maturati dopo l’ingiunzione di pagamento o ingiunzione di sfratto per morosità, nella dichiarazione 730/2023 deve comunque essere dichiarata la rendita catastale dell’immobile.
Per evitare di pagare le imposte sui canoni di locazione non percepiti, è necessario indicare nel modello 730/2023 nei righi B1-B6, colonna 7 (casi particolari) il codice 4. Se nello stesso anno una parte dei canoni sono stati percepiti, nella colonna 6 devono essere indicate le somme percepite, mentre nella colonna 7 il codice 4.

La riforma fiscale 2023 in pillole

La Legge delega per la riforma fiscale (legge 111 del 9 agosto 2023) è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 189 del 14 agosto 2023 ed è entrata in vigore lo scorso 29 agosto. Il Governo ha ora 24 mesi di tempo per adottare decreti legislativi per attuare quanto previsto dalla legge e rendere effettiva la riforma fiscale.
La legge delega affronta diversi aspetti che andranno ad incidere sulla vita dei contribuenti: dalla riforma dell’Irpef alle regole che cambieranno l’interpello, fino al complessivo riordino del sistema fiscale italiano.

La legge delega per la riforma fiscale
La legge delega si suddivide in 23 articoli compresi in cinque diversi Titoli che nello specifico prevedono:
– Titolo I: in questa parte sono comprese le linee generali della legge delega e il calendario in base al quale saranno realizzate. Prevede inoltre i criteri secondo i quali sarà riformato lo statuto del contribuente che si focalizza in modo particolare sulle regole del nuove interpello.
– Titolo II: la parte che si incentra in modo particolare sui tributi.
– Titolo III: in questa parte della legge delega ci si concentra sull’adempimento spontaneo e sulle sanzioni.
– Titolo IV si concentra sui principi sui quali si fonderà il riordino della normativa tributaria.
– Titolo V enuncia i criteri che porteranno alla riorganizzazione delle norme fiscali.

I dieci cambiamenti più significativi

– 1) Detassazione della tredicesima e degli straordinari
Una misura volta ad aumentare il potere di acquisto dei lavoratori dipendenti con reddito più basso è la detassazione della tredicesima, degli straordinari e dei premi di produttività. Queste voci, fino a una certa soglia di reddito, non saranno più soggette a tassazione ordinaria ma sostitutiva (si è parlato del 15%).

– 2) Riforma dell’Irpef
Uno dei punti più importanti della riforma fiscale è la riduzione delle aliquote Irpef, sempre nel rispetto del principio di progressività sancito dalla Costituzione. Il primo passo dovrebbe essere quello di passare, nel progetto di transizione verso la flat tax, dalle attuali quattro aliquote e scaglioni, a tre scaglioni di reddito e tre aliquote Irpef già dal prossimo anno.

– 3) Versamenti degli autonomi
La legge delega per i versamenti dei lavoratori autonomi prevede la progressiva introduzione del cambiamento del carico fiscale fino ad arrivare ai versamenti mensili degli acconti e dei saldi. Questa formula potrebbe portare all’eliminazione del saldo di giugno e dell’acconto di novembre. Inoltre i lavoratori autonomi potranno rateizzare l’acconto di novembre.

– 4) Superbollo e multe
La riforma fiscale prevede il graduale superamento del superbollo nell’ottica del riordino delle tasse automobilistiche. Anche le multe (non solo per violazioni del codice della strada) dovrebbero cambiare, mediante addebito diretto in banca per pagare l’importo con una riduzione del dovuto.

– 5) Superamento dell Irap e novità per l’Ires
La delega fiscale prevede un graduale superamento dell’Irap, che potrebbe essere sostituita dal un’altra imposta calcata con le stesse regole dell’Ires. Quest’ultima, invece, è destinata ad essere ridotta sugli utili reinvestiti (anche per nuove assunzioni) o divisi per partecipazione dei dipendenti.

– 6) Revisione iva
L’Iva subirà una revisione, mediante la razionalizzazione del numero delle aliquote secondo i criteri stabiliti dall’Ue per cercare di omogeneizzare soprattutto i beni e i servizi primari.

– 7) Concordato biennale
Un passaggio importante della riforma fiscale riguarda il concordato biennale per partite Iva e piccole e medie imprese. Il Fisco, infatti, calcolerà le imposte dovute sui redditi per il biennio successivo. Ovviamente si tratta di una sorta di scommessa ma chi la accetta non riceverà contestazioni in caso di guadagni maggiori e avrà fin da subito la certezza degli importi che dovrà versare.

– 8) Nuove regole per i pignoramenti
Le intenzioni dell’esecutivo sono quelle di velocizzare il processo di riscossione e di superare il ruolo per arrivare ad ottenere le somme. Per questo motivo potrebbe cambiare anche il pignoramento.

– 9) Cedolare secca per gli esercenti
Il regime della cedolare secca potrà essere esteso anche per le locazioni di immobili non adibiti ad uso abitativo. Questo significa che potrà essere utilizzato anche qualora il conduttore sia chi esercita attività di impresa, arti o professioni o nel caso sia un esercente.

– 10) Riduzione delle sanzioni
Per quanto riguarda le sanzioni, quelle penali verranno alleggerite soprattutto se si è colpevoli di dichiarazioni infedeli. Infatti se il contribuente collabora e comunica preventivamente l’esistenza del rischio fiscale, non sarà soggetto al reato penale.