Risoluzione consensuale di una compravendita è possibile in caso di rigetto del mutuo.
L’istante ha acquistato un immobile, con atto registrato presso l’Ufficio Territoriale dell’Agenzia delle Entrate. Nell’atto le parti hanno pattuito il saldo del prezzo all’erogazione del mutuo. Il mutuo viene però respinto. Le parti, quindi, si accordano per la risoluzione del contratto de quo, per il tramite del medesimo notaio che aveva formato l’atto, al fine di ricominciare l’iter previsto per la richiesta del mutuo
Le parti hanno stabilito che per la risoluzione del contratto, non sarà previsto alcun corrispettivo, né restituzione di quanto versato. Ciò posto, l’istante chiede quale sia il corretto trattamento tributario, ai fini della tassazione indiretta, applicabile all’atto di risoluzione della compravendita di immobile.
L’Agenzia delle Entrate, con Risoluzione n. 3 del 18 gennaio 2022, fornisce chiarimenti sulla tassazione dell’atto di risoluzione di compravendita consensuale o “mutuo dissenso”
In particolare, l’articolo 1372 del Codice Civile, nel disciplinare l’efficacia del contratto, stabilisce: “Il contratto ha forza di legge tra le parti. Non può essere sciolto che per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge. Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge”.
Lo scioglimento consensuale del rapporto contrattuale, cosiddetto “mutuo consenso”, rientra nella più vasta categoria degli eventi risolutivi del contratto. Esso è, infatti, espressione dell’autonomia negoziale dei privati, i quali sono liberi di regolare gli effetti prodotti da un precedente negozio e, quindi, di sciogliere il vincolo contrattuale, anche indipendentemente da eventuali fatti o circostanze sopravvenute, impeditive o modificative dell’attuazione dell’originario regolamento di interessi.
Con il “mutuo dissenso” le parti concludono volontariamente un nuovo contratto di natura solutoria e liberatoria, con contenuto uguale e contrario a quello del contratto originario.
Con riferimento al trattamento tributario applicabile, ai fini della tassazione indiretta, si osserva che l’articolo 28 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, prevede: “La risoluzione del contratto è soggetta all’imposta in misura fissa se dipende da clausola o da condizione risolutiva espressa contenuta nel contratto stesso, ovvero stipulata mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata entro il secondo giorno non festivo successivo a quello in cui è stato concluso il contratto. Se è previsto un corrispettivo per la risoluzione, sul relativo ammontare si applica l’imposta proporzionale prevista dall’art. 6 o quella prevista dall’art. 9 della parte prima della tariffa. In ogni altro caso l’imposta è dovuta per le prestazioni derivanti dalla risoluzione, considerando comunque, ai fini della determinazione dell’imposta proporzionale, l’eventuale corrispettivo della risoluzione come maggiorazione delle prestazioni stesse”.
Ai fini fiscali, occorre quindi distinguere l’ipotesi di clausola risolutiva espressa, più o meno contestuale al contratto originario, dall’ipotesi in cui le parti, mediante autonoma espressione negoziale, optino per la risoluzione del medesimo contratto originario.
La risoluzione dell’originario contratto realizzata mediante apposito negozio prevede la tassazione in misura proporzionale, da applicare “alle prestazioni derivanti dalla risoluzione”; la medesima tassazione proporzionale si applicherà, inoltre, all’eventuale corrispettivo della risoluzione.
L’Agenzia delle Entrate cita inoltre la sentenza n. 5745 del 9 marzo 2018, con cui la Suprema Corte, ribadendo il proprio orientamento, ha affermato: “Il mutuo dissenso, che è un nuovo contratto, con contenuto eguale e contrario a quello originario, è soggetto ex art. 28, comma 2, d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, alla regola residuale applicabile a tutti gli alti risolutivi di negozi giuridici che non trovino la loro fonte in clausole o condizioni contenute nel negozio da risolvere (o in patto autonomo stipulato entro il secondo giorno successivo alla sua conclusione” (cfr. ex plurimis Cass. n. 4134/2015; n. 8132/2016).
Dunque, la retrocessione della proprietà del bene oggetto del precedente atto di compravendita quale prestazione patrimoniale del contratto di mutuo consenso, rientra nell’ambito applicativo del comma 2 del citato articolo 28 e, pertanto, deve essere tassata autonomamente ai fini dell’imposta registro con applicazione dell’aliquota in misura proporzionale prevista per i trasferimenti immobiliari dall’articolo 1 della Tariffa, Parte Prima allegata al d.P.R. n. 131 del 1986.
FONTE: Agenzia delle Entrate
“Un quadro preoccupante” dove la criminalità organizzata non ha avuto difficoltà ad insinuarsi.
Il direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, descrive così la situazione creatasi negli ultimi mesi intorno al boom dei bonus edilizi, a partire dal Superbonus.
In Parlamento, dove praticamente tutte le forze politiche premono per modificare l’ultima stretta antifrodi varata dal governo con le limitazioni alle cessioni del credito, Ruffini porta un dato monstre: 4,4 miliardi di crediti inesistenti individuati da Agenzia delle Entrate e Guardia di finanza. Al 31 dicembre scorso, spiega, “le prime cessioni e gli sconti in fattura comunicati all’Agenzia attraverso l’apposita piattaforma sono stati quasi 4,8 milioni, per un controvalore complessivo di oltre 38,4 miliardi di euro”.
Su questi numeri si è innestato il meccanismo fraudolento, “gravi irregolarità connesse alla creazione, anche da parte di organizzazioni criminali ramificate su tutto il territorio nazionale, di crediti d’imposta inesistenti per importi di vari miliardi di euro che, dopo articolate concatenazioni di cessioni a società e persone fisiche interposte, sono stati in parte monetizzati presso istituti di credito o altri intermediari finanziari”. E in alcuni casi, “i proventi delle frodi sono stati veicolati all’estero”.
Ruffini illustra la situazione nel dettaglio: la circolazione dei crediti d’imposta, “qualora attuata tramite una catena di cessioni particolarmente articolata e simulata con perizia, rende complesso per l’intermediario finanziario valutare, nell’esercizio dell’ordinaria diligenza professionale, la liceità dell’operazione, con il rischio di prendere parte involontariamente a condotte fraudolente, contigue anche al riciclaggio di denaro”.
Il pressing per la modifica della norma inserita nel decreto Sostegni-ter però rimane. Davanti alla stessa Commissione Bilancio del Senato che sta esaminando il provvedimento, i proprietari immobiliari di Confedilizia e gli artigiani riuniti in Cna, Confartigianato e Confapi hanno continuato a chiedere il ritorno alla possibilità di cessione multipla del credito per esorcizzare il blocco venutosi a creare immediatamente dopo l’approvazione della stretta. La palla passa ora al governo, che – tra ipotesi ‘bollino’ o operazioni permesse solo tra soggetti vigilati – dovrà trovare velocemente un giusto equilibrio tra lotta alle frodi e necessità dell’economia.
FONTE: Ansa
Il raggiungimento della percentuale del 30%, che nell’ambito del Superbonus consente la fruizione delle opzioni sconto in fattura o cessione del credito, va verificato separatamente
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In un intervento di demolizione di due edifici con conseguente ricostruzione di un’unica unità abitativa, lo stato di avanzamento lavori pari al 30% del lavoro complessivo, che consente la fruizione dell’opzione cessione del credito, di cui l’istante intende beneficiare, deve essere riferito separatamente per ciascuno dei due interventi ammessi al Superbonus (efficientamento energetico e intervento antisismico), fermo restando il rispetto di tutte le altre condizioni previste dalla normativa. È in sintesi la risposta n. 53 del 27 gennaio 2022 dell’Agenzia delle entrate.
L’Agenzia ricorda la norma del Dl “Rilancio”, secondo cui per gli interventi ammessi al Superbonus, l’esercizio dell’opzione della cessione del credito o dello sconto in fattura è soggetto alla condizione che ciascun Sal si riferisca ad almeno il 30% dell’intervento complessivo e che non siano emessi più di due stati di avanzamento dei lavori (“L’opzione di cui al comma 1 può essere esercitata in relazione a ciascuno stato di avanzamento dei lavori. Ai fini del presente comma, per gli interventi di cui all’articolo 119 gli stati di avanzamento dei lavori non possono essere più di due per ciascun intervento complessivo e ciascuno stato di avanzamento deve riferirsi ad almeno il 30 per cento del medesimo intervento” – comma 1-bis articolo 121 del Dl n. 34/2020).
Ricorda poi la misura che prevede, per la fruizione del Superbonus, l’asseverazione da parte dei tecnici abilitati (commi 13 e 13-bis dell’articolo 119 del decreto “Rilancio”), da eseguire distintamente per le due tipologie di interventi (efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico) richiedendo ciascuna differenti competenze tecniche. Al riguardo, l’Agenzia menziona le apposite linee guida approvate per le distinte asseverazioni, contenute nel decreto del ministero dello Sviluppo economico 6 agosto 2020 (“Requisiti tecnici per l’accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici”, “Requisiti delle asseverazioni per l’accesso alle detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici”) e nel decreto del ministero delle Infrastrutture n. 58 del 28 febbraio 2017 (“Sisma Bonus – Linee guida per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni nonché le modalità per l’attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati”).
Ebbene, le due tipologie di interventi richiedono differenti competenze tecniche ai fini dell’asseverazione dell’efficacia degli stessi, nonché del rispetto dei requisiti tecnici e della congruità delle spese.
In conclusione, nel caso in cui le due villette a schiera di proprietà dell’istante siano demolite per ottenere un’unica abitazione e sullo stesso immobile saranno effettuati sia interventi di efficienza energetica e sia interventi antisismici, la verifica dello stato di avanzamento dei lavori dovrà essere effettuata separatamente per ciascuna categoria di intervento agevolabile.
https://www.fiscooggi.it/rubrica/normativa-e-prassi/articolo/interventi-energetici-e-antisismici-ciascuno-suo-stato
Fisco Oggi, la rivista telematica dell’Agenzia delle Entrate, riporta al risposta al quesito di un contribuente. La domanda: “Si chiede conferma della possibilità di non dover richiedere il visto di conformità quando per gli interventi ammessi al superbonus si chiede la detrazione del 110% in dichiarazione e non la cessione del credito d’imposta”.
Nel fornire la risposta, il Fisco ha ricordato che per gli interventi agevolabili con il superbonus 110 per cento, “il contribuente che intende esercitare l’opzione per la cessione del credito o per lo sconto in fattura, prevista dall’articolo 121 del decreto legge n. 34/2020, o utilizzare la detrazione nella dichiarazione dei redditi, deve richiedere il visto di conformità dei dati relativi alla documentazione, che attesta la sussistenza dei presupposti che danno diritto alla detrazione d’imposta (articolo 119, comma 11, del medesimo decreto)”.
La stessa norma, però, esclude l’obbligo di richiedere il visto di conformità se il contribuente sceglie di usufruire del superbonus 110% nella dichiarazione dei redditi (modello 730 o Redditi) e presenti quest’ultima direttamente, o tramite il sostituto d’imposta, all’Agenzia delle Entrate.
Dunque, nel caso la dichiarazione sia presentata direttamente dal contribuente attraverso il modello 730 o Redditi precompilato all’Agenzia delle Entrate, ovvero tramite il sostituto d’imposta che presta l’assistenza fiscale, è escluso l’obbligo del visto di conformità per beneficiare della detrazione relativa alle spese per gli interventi che rientrano nel superbonus 110 per cento.
Si ricorda che il visto di conformità è il documento, elaborato da un professionista abilitato, necessario per verificare la regolarità delle dichiarazioni e delle documentazioni prodotte per ottenere i bonus edilizi.
FONTE: FiscoOggi
Sono diversi gli appuntamenti con il Fisco nel mese di febbraio.
Dal 1º febbraio si aprono i termini per l’invio telematico della dichiarazione Iva. Assieme al modello Iva si può inoltrare anche la Lipe (comunicazioni delle liquidazioni periodiche Iva) relative al quarto trimestre 2021, compilando il rigo VP. In caso di invio congiunto, il termine ultimo cade il 28 febbraio 2022.
Il 10 febbraio scadono invece i termini per il versamento dell’imposta di bollo, assolta in modo virtuale, per gli assegni circolari rilasciati in forma libera in circolazione relativi al quarto trimestre 2021. Il pagamento si effettua tramite il modello F23 per istituti di credito, Sim, altri intermediari finanziari e società fiduciarie.
Il 16 febbraio scadono i termini per: il versamento Iva relativo a gennaio 2022 per i contribuenti mensili (tramite modello F24, con codice tributo 6001 nella sezione Erario); il versamento Irpef relativo alle ritenute d’acconto effettuate dai sostituti d’imposta sui redditi di lavoro dipendente e assimilati di gennaio, comprensivo di addizionali comunali e regionali, e sui redditi da lavoro autonomo (tramite modello F24 con codice tributo 1040 e competenza 01/2022); il pagamento dei contributi Inps da parte del datore di lavoro sulle retribuzioni di gennaio.
Il 25 febbraio, infine, scadono i termini, per gli operatori comunitari con obbligo mensile, per inviare gli elenchi riepilogativi Intrastat delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi effettuate nel mese precedente nei confronti di soggetti UE. Anche in questo caso l’invio avviene tramite modello F24.
Pronto il nuovo modello per i ruoli affidati dal 1° gennaio 2022, in conseguenza della revisione della disciplina degli oneri di funzionamento del servizio nazionale di riscossione
Con il provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate del 18 gennaio 2022, è stato approvato il nuovo modello di cartella di pagamento, che “annuncia” le novità contenute nell’ultima legge di bilancio in tema di eliminazione, dal 1° gennaio 2022, dell’aggio dovuto dai debitori, per rimborsare le spese di gestione del servizio nazionale di riscossione.
L’articolo 1, comma 15 e seguenti, della legge n. 234/2021, ha infatti previsto che il costo di remunerazione del servizio, per i carichi affidati al gestore della riscossione nazionale a decorrere dal 1° gennaio 2022, graverà prevalentemente sul bilancio dello Stato. Ora la novella è evidenziata nel contenuto informativo delle relative cartelle che invitano al pagamento delle somme iscritte a ruolo.
In particolare, in conseguenza della nuova disciplina, è stata abolita la quota di oneri di riscossione a carico del debitore nella misura fissa del 3% delle somme iscritte a ruolo, in caso di pagamento entro il sessantesimo giorno dalla notifica della cartella e del 6% delle somme iscritte a ruolo e dei relativi interessi di mora in caso di assolvimento del debito oltre il suindicato termine di legge. Allo stesso modo, per le ipotesi di riscossione spontanea (articolo 32, Dlgs n. 46/1999), non è più dovuta, dal debitore, la quota pari all’1% delle somme iscritte a ruolo.
In ogni caso, a carico del debitore restano invece le spese relative alle procedure esecutive e cautelari e le spese di notifica della cartella di pagamento e degli eventuali ulteriori atti di riscossione.
Come detto, il nuovo modello, che non fa più alcun riferimento agli oneri di riscossione a carico del debitore, verrà utilizzato per le cartelle di pagamento relative ai carichi affidati agli Agenti della riscossione a decorrere dal 1° gennaio 2022, mentre, per quelli affidati fino al 31 dicembre 2021, indipendentemente dalla data di notifica della cartella che potrà avvenire anche successivamente, dovrà essere usato il modello precedente, quello approvato con il provvedimento del 14 luglio 2017.
FONTE: FiscoOggi
Il box auto, per essere considerato pertinenza, non deve essere distante più di un chilometro e 300 metri dall’abitazione. Questa è la risposta dell’Agenzia delle Entrate a un interpello (interpello n. 33 del 19 gennaio).
Nell’interpello l’istante spiega che i due immobili si trovano a una distanza di circa 1300 metri (percorso stradale) e precisa che “è sua abitudine usare una biciletta elettrica pieghevole” per raggiungere il box.
Egli dichiara che il suddetto appartamento costituisce il proprio domicilio e chiede se il box auto che intende acquistare può essere destinato a pertinenza della descritta abitazione potendosi avvalere della disposizione di cui all’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che calcola la base imponibile secondo i principi di favore indicati nell’articolo 52, commi 4 e 5, del Dpr n. 131/1986. La disposizione deroga all’articolo 43 del Tur, che lega la base imponibile delle imposte di registro, ipotecaria e catastale al valore venale del bene o del diritto trasferito, individuando detta base imponibile nel “valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5” del Tur, comunemente denominato valore catastale.
L’Agenzia delle Entrate specifica che, come chiarito dalla risoluzione 11 aprile 2008, n. 149/E in campo fiscale non esiste una nozione di pertinenza divergente da quella di cui agli articoli 817 e seguenti del codice civile, secondo cui “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”.
Per la qualificazione della natura pertinenziale di un bene anche da un punto di vista fiscale si deve verificare la sussistenza di due requisiti:
a) uno oggettivo, per cui il bene pertinenziale deve porsi in collegamento funzionale o strumentale con il bene principale;
b) uno soggettivo, consistente nella effettiva volontà dell’avente diritto di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento del bene principale (cfr. anche Cass. n. 13742 del 2019).
Con la risoluzione è stato precisato che affinché il meccanismo del ” prezzo-valore” risulti applicabile alle pertinenze di un immobile abitativo, nell’atto di cessione deve essere evidenziato il vincolo che rende il bene servente una proiezione del bene principale (cfr. circolare 1 marzo 2007, n. 12/E) e l’immobile pertinenziale deve essere suscettibile di valutazione automatica, dotato quindi di una propria rendita catastale.
La Suprema Corte ha più volte sottolineato l’esigenza che nella “relazione pertinenziale”, l’utilità sia arrecata dalla cosa accessoria a quella principale e non al proprietario
Infatti, seppure, nella pronuncia richiamata dall’istante n. 5550 del 2021 (tra l’altro, con riferimento all’ICI), la Corte di Cassazione ha precisato che “il vincolo pertinenziale non presuppone necessariamente contiguità fisica tra i due beni, in quanto il collegamento tra il bene principale e quello pertinenziale non è di tipo materiale ma di natura economico-funzionale”, la stessa giurisprudenza di legittimità ha ribadito che al fine della configurabilità del vincolo pertinenziale la destinazione del bene accessorio a servizio di quello principale deve essere durevole, attuale ed effettiva e l’utilità deve essere oggettivamente arrecata al bene principale e non al proprietario di questa.
In materia fiscale, la prova dell’asservimento pertinenziale, che grava sul contribuente deve essere valutata con maggior rigore rispetto alla prova richiesta nei rapporti di tipo privatistico
Con riferimento al trattamento fiscale previsto per l’acquisto della “prima casa”, con circolare n. 38/E del 12 agosto 2005, è stato chiarito che, di regola, il bene servente non può ritenersi oggettivamente destinato in modo durevole a servizio o ornamento dell’abitazione principale qualora sia ubicato in un punto distante o addirittura si trovi in un Comune diverso da quello dove è situata la “prima casa”.
Tale precisazione è volta a chiarire che, affinché si possa concretizzare un effettivo rapporto di pertinenzialità e il bene accessorio possa accrescere durevolmente ed oggettivamente l’utilità dell’abitazione principale è, comunque necessario, che i due beni siano ubicati in luoghi “prossimi” tra loro, non rilevando la sola volontà manifestata dalla parte.
Nella fattispecie in esame, non sono stati forniti elementi sufficienti per la valutazione della sussistenza del requisito oggettivo per il riconoscimento della pertinenzialità nel senso indicato dalla Cassazione ai fini del quale il bene accessorio deve arrecare un’utilità al bene principale e non al proprietario di esso.
Alla luce di tali argomentazioni, non si ritiene che siano integrati i requisiti per il riconoscimento della pertinenzialità nel senso indicato e, pertanto, non possa essere riconosciuta l’applicazione della disposizione di cui all’articolo 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005 richiesta dall’istante.
FONTE: Agenzia delle Entrate
Può succedere che la richiesta del contributo a fondo perduto per la riduzione dell’affitto del 2021 venga respinta dalla procedura web. Di solito avviene perché l’istante ha pattuito una prima riduzione per l’anno 2020 e una seconda per il 2021, ma il sistema riporta in automatico un canone iniziale errato, non consentendo quindi la conclusione dell’operazione. Il contribuente, tenuto conto dell’importo della rinegoziazione in diminuzione rispetto al canone iniziale pattuito, può richiedere l’indennizzo, a patto che trasmetta via Pec all’Agenzia delle Entrate una istanza volta alla revisione, in autotutela, dell’esito del rigetto o, in alternativa, invii la domanda in forma cartacea, a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno, con gli allegati previsti. E’ la sintesi della risposta dell’Agenzia delle Entrate n. 38 del 20 gennaio 2022.
L’istante fa sapere che per l’anno 2020 ha accettato e registrato la riduzione del canone da 9.000 a 6.800 euro. Lo sconto è stato riproposto anche per il 2021 con una diminuzione del canone da 9.000 a 7.200 euro. Tuttavia la procedura automatica per l’istanza di ottenimento del Cfp per riduzione del canone di affitto delle abitazioni, prevista dal decreto “Ristori” (articolo 9-quater del Dl n. 137/2020), non riconosce la riduzione, in quanto il sistema propone in automatico un canone iniziale ridotto e non quello originario di 9.000 euro.
L’Agenzia ritiene che l’istante, rientrando nei parametri stabiliti dalla norma che prevede l’erogazione del contributo per i locatori che dal 25 dicembre 2020 al 31 dicembre 2021 hanno ridotto l’importo del canone del contratto di affitto, per tutto o parte dell’anno 2021, e avendo rispettato anche il requisito temporale per l’ammissione alla richiesta del contributo, in quanto il contratto “iniziale” era ancora in essere alla data del 29 ottobre 2020, considerando l’importo della rinegoziazione in diminuzione rispetto al canone iniziale pattuito, possa senz’altro ottenere il beneficio presentando all’Agenzia delle entrate una istanza volta alla revisione, in autotutela, dell’esito del rigetto, sulla base di quella già trasmessa in pendenza dei termini (cfr. anche risoluzione n. 65/2020).
In particolare, il contribuente dovrà trasmettere l’istanza via Pec alla Dp competente per il domicilio fiscale, firmata digitalmente e contenente tutti i dati previsti dal provvedimento dell’Agenzia del 6 luglio 2021, allegando la documentazione probatoria relativa alla rinegoziazione del canone di locazione. Il modello inoltre dovrà essere accompagnato da una nota in cui sono spiegati i motivi dell’errore.
https://www.fiscooggi.it/rubrica/normativa-e-prassi/articolo/fondo-perduto-riduzione-affitto-sanabile-listanza-respinta-dal
Le Associazioni della filiera termoidraulica, dalla fabbricazione e distribuzione alla progettazione fino alla costruzione e installazione di impianti (AiCARR, ANGAISA, Assistal, Assoclima e Assotermica federate Anima Confindustria, CNA Installazione Impianti, Confartigianato Impianti), reclamano maggior stabilità soprattutto in un ambito nel quale, negli ultimi mesi, sono state ripetutamente modificate le regole intervenendo talvolta anche sui contratti in essere.
La stretta sullo sconto in fattura e la cessione del credito contenuta nell’art. 28 del DL sostegni-ter, pubblicato lo scorso 27 gennaio in Gazzetta Ufficiale, è solo l’ultimo e più lampante esempio di come si cerchi di affrontare un problema, quello delle frodi legate al meccanismo della cessione dei crediti, penalizzando però la stragrande maggioranza delle imprese che lavorano seriamente e cercano di pianificare le loro attività su basi certe.
“Chiediamo con forza che quanto previsto dall’art. 28 possa essere ritirato al più presto. Sappiamo che potranno esservi modifiche nel corso dell’esame in Parlamento per la conversione in legge, ma abbiamo bisogno di certezze fin da subito perché l’impatto negativo lungo tutta la filiera è reale e si sta già facendo sentire” hanno dichiarato i portavoce delle Associazioni della filiera. “È indubbio che tutto ciò introduca incertezze tra gli operatori e blocchi un mercato che ha invece bisogno di chiarezza e semplificazioni; basti pensare che ancor prima della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del testo molte imprese si sono viste rinegoziare le condizioni finanziarie inizialmente pattuite per la cessione del credito con notevoli perdite.
Come ampiamente riconosciuto siamo nella “decade decisiva” per contenere l’aumento della temperatura globale e abbattere le emissioni di CO2 e dobbiamo prioritariamente cercare di accelerare il tasso di riqualificazione impiantistica ed efficientamento energetico del parco immobiliare italiano, ancora oggi molto datato. Oggi sappiamo infatti che il problema non è l’offerta tecnologica, ampia ed eterogenea e vero punto di forza di tutta la nostra filiera, che l’Europa ci invidia, ma la consapevolezza da parte dell’utente finale di poter avere un ruolo nella sfida della transizione ecologica e di poterlo esercitare con strumenti di supporto semplici, tangibili e immediati.
La conclusione delle citate Associazioni della filiera termoidraulica, sottolineata a gran voce e con convinzione è pertanto che “si faccia maggiormente sistema tra chi opera quotidianamente lungo tutta la catena del valore e chi stabilisce le regole del settore perché, ancor più in un momento così delicato, i risultati si raggiungono solamente con una vera unità d’intenti. Al contrario il rischio è di introdurre interventi come quelli dell’art. 28, che sono molto lontani dagli obiettivi auspicati.
Per questo la filiera si mette a completa disposizione delle Istituzioni non solo per quanto riguarda gli incentivi, ma per tutta la complessa partita della transizione energetica”.
FONTE: Comunicato Stampa
In un intervento di demolizione e ricostruzione di un edificio, sprovvisto di Ape, composto da due unità immobiliari di categoria F/2 collabenti, comprensivo di lavori di efficientamento energetico e riduzione del rischio sismico, l’ammontare massimo di spesa ammessa alla detrazione, ai fini del Superbonus, va riferito all’unità abitativa e alla sua pertinenza unitariamente considerate, anche se accatastate separatamente, quindi il limite massimo sarà di 96mila euro. È uno dei quesiti chiariti dall’Agenzia con la risposta n. 59 del 31 gennaio 2022.
L’istante precisa che delle 2 unità del fabbricato pericolante, di cui è proprietario, una si trova al primo piano ed è dotata di impianto di riscaldamento e l’altra, pertinenziale, è al piano terra e non riscaldata.
In merito ai lavori da eseguire l’istante chiede quale sia il limite di spesa detraibile, se l’agevolazione vale anche per la realizzazione dell’impianto elettrico ed idraulico, dell’impianto di smaltimento reflui e dell’impianto di adduzione d’acqua, per il recupero delle acque piovane e loro riutilizzo per le cassette di scarico dei bagni.
L’Agenzia nell’ambito delle misure per il Superbonus ricorda che per i lavori di riqualificazione energetica è necessario che gli edifici siano dotati di impianti di riscaldamento funzionante o riattivabile, condizione richiesta anche per gli edifici collabenti, nei quali il riscaldamento non funziona.
Per le spese ammesse viene ricordata la circolare n. 30/2020, secondo la quale nel caso di lavori finalizzati all’accorpamento di più unità vanno considerate quelle censite al catasto all’inizio dei lavori e non a intervento ultimato. Di conseguenza, il limite massimo di spesa ammesso in detrazione, da riferirsi alla casa e alla pertinenza unitariamente considerate, sarà pari a 96mila euro.
Nel predetto limite il Superbonus spetta anche per i costi sostenuti per la realizzazione degli impianti, purché i lavori siano strettamente collegati alla realizzazione e al completamento dell’intervento agevolato, come chiarito dalla stessa circolare n. 30/2020. L’individuazione delle spese connesse deve essere effettuata da un tecnico abilitato.
La detrazione spetta, inoltre, anche per la realizzazione di impianti fotovoltaici e di sistemi di accumulo. In base alle disposizioni normative vigenti, nel caso in cui, come rappresentato dall’istante, sia installato un impianto solare fotovoltaico, contestualmente a un intervento “trainante” antisismico, il limite massimo di spesa ammesso al Superbonus sarà costituito dalla somma degli importi previsti per ciascuno di tali interventi, fermo restando che rientrando l’intervento antisismico nella “ristrutturazione edilizia” (articolo 3, comma 1, lett. d), Dpr n. 380/2001) opera la riduzione prevista dal medesimo comma 5 dell’articolo 119 del decreto “Rilancio”.
Con riferimento, inoltre, agli interventi di efficienza energetica, l’Agenzia richiama il parere n. 1156 del 2 febbraio 2021 della Commissione consultiva per il monitoraggio dell’applicazione del decreto ministeriale n. 58/2017 e delle linee guida ad esso allegate, secondo cui in caso di interventi di demolizione e ricostruzione, sia pure inquadrabili come “ristrutturazione edilizia”, il Superbonus per interventi trainanti e trainati di efficienza energetica non si applica alle spese riferite alla parte eccedente il volume ante-operam.
In tal caso, il contribuente deve distinguere le fatture prima e dopo i lavori, limitazione che non si applica, invece, agli interventi antisismici ammessi al Superbonus.
Considerato, inoltre, che per la maxi-detrazione gli interventi trainati e trainanti di efficienza energetica devono assicurare il miglioramento di due classi energetiche o, ove non possibile, il conseguimento di quella più alta da dimostrare tramite Ape, , ante e post intervento, rilasciato da un tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata, nel caso di interventi di demolizione e ricostruzione con aumento volumetrico, l’Ape convenzionale post operam deve essere redatto considerando l’edificio nella sua configurazione finale.
https://www.fiscooggi.it/rubrica/normativa-e-prassi/articolo/ricostruzione-due-unita-collabenti-tetto-entrambe-e-96mila-euro