La legge di Bilancio per il 2024 prevede un significativo inasprimento delle sanzioni pecuniarie nel caso di mancato rispetto degli obblighi anagrafici e delle prescrizioni in caso di trasferimento della residenza all’estero.
Obiettivo delle nuove disposizioni è quello di contrastare la condotta di chi mantiene illegittimamente l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente in Italia al fine di godere di benefici connessi.
Due specifici commi della Legge 213 del 2023, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 30 dicembre, sono infatti dedicati al tema.
In base alle nuove disposizioni le pubbliche amministrazioni che, nell’esercizio delle loro funzioni, acquisiscono “elementi rilevanti” che indichino la residenza di fatto all’estero da parte del cittadino italiano, devono comunicarli al Comune di iscrizione anagrafica e all’ufficio consolare competente, per i provvedimenti da assumere, anche ai fini della verifica dell’adempimento degli obblighi anagrafici e di comunicazione di residenza.
A sua volta, il Comune dovrà comunicare le iscrizioni e le cancellazioni d’ufficio dall’Anagrafe degli italiani all’estero (AIRE) all’Agenzia delle Entrate, per i controlli fiscali di competenza legati ad eventuali fenomeni di fittizia residenza fiscale all’estero.
In particolare, il comma 242 eleva l’importo della sanzione amministrativa pecuniaria per inottemperanza agli obblighi anagrafici e per quelli relativi al trasferimento di residenza all’estero o dall’estero introducendo, al contempo, una mitigazione della misura delle sanzioni nel caso di comunicazioni tardive, rese entro novanta giorni dal termine di legge.
Il comma 243 introduce invece i commi 9-ter e comma 9-quater all’articolo 6 della legge n. 470 del 1988, relativa all’anagrafe e censimento degli italiani all’estero. Nello specifico, prevede che le pubbliche amministrazioni comunichino al Comune di iscrizione anagrafica e all’ufficio consolare competente gli elementi “rilevanti” tali da indicare una residenza di fatto all’estero del cittadino italiano. Il Comune dovrà a sua volta comunicare all’Agenzia delle Entrate le iscrizioni e cancellazioni d’ufficio dall’anagrafe degli italiani all’estero per i controlli fiscali conseguenti.
Per quanto attiene alle violazioni degli obblighi anagrafici sanciti dalla legge n. 1228 del 1954 sull’Ordinamento delle anagrafi della popolazione nazionale, la sanzione amministrativa, che fino ad oggi era compresa tra 25,82 e 129,11 euro, dal 1° gennaio 2024 è elevata ad una somma compresa tra 100 e 500 euro.
È tuttavia prevista la possibilità di un abbattimento dell’onere sanzionatorio nell’ipotesi in cui il soggetto si adegui alle prescrizioni di legge entro con un ritardo non superiore a novanta giorni. In tal caso la sanzione è ridotta a 10 euro, ossia un decimo del minimo, sempreché la violazione non sia stata già constatata e comunque non siano iniziate attività amministrative di accertamento delle quali l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza.
Per quanto invece riguarda la comunicazione della residenza nel caso di trasferimento dall’estero, l’articolo 11 della legge n. 1228 dispone una sanzione amministrativa pecuniaria in caso di inadempimento, per un importo che fino ad oggi era compreso tra 51,65 e 258,23 euro. L’obbligo di comunicazione in caso di trasferimento all’estero è disposto dall’articolo 6 della legge n. 470 del 1988 (“Anagrafe e censimento degli italiani all’estero”).
Anche per questo genere di obbligo di comunicazione, la Legge di Bilancio per il 2024 prevede un aumento della sanzione amministrativa pecuniaria, in cui importo è ora compreso tra 200 e 1.000 euro per ciascun anno in cui perduri l’omissione. È comunque prevista la riduzione della sanzione a un decimo del minimo (dunque a 20 euro), se la comunicazione ai fini dell’ottemperanza agli obblighi anagrafici sia effettuata con ritardo non superiore a novanta giorni. Sempre a condizione, però, che la violazione non sia già stata constatata e comunque non siano già state avviate attività amministrative di accertamento, delle quali l’autore della violazione abbia avuto formale conoscenza.
L’autorità competente all’accertamento e all’irrogazione della sanzione è il Comune nella cui anagrafe è iscritto il trasgressore. Mentre la notifica dell’atto impositivo deve avvenire, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui risulti il mancato adempimento o l’omissione dell’obbligo anagrafico o della comunicazione di residenza.
Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate, attraverso la “Posta di FiscoOggi” chiedendo se è possibile usufruire della detrazione per le spese sostenute in merito a un intervento di sostituzione di un portone di un singolo appartamento con unica anta in legno, con portone blindato con due ante, intervento effettuato mantenendo la stessa dimensione del telaio blindato.
In risposta l’Agenzia delle Entrate ha chiarito al contribuente che nel caso analizzato è possibile fruire del bonus porte blindate il quale prevede le stesse condizioni del bonus ristrutturazione.
Difatti, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che è possibile fruire dell’agevolazione “qualora si rispettino gli adempimenti previsti dalla legge per richiedere la detrazione del 50% delle spese sostenute per il recupero del patrimonio edilizio (tra i quali, ad esempio, l’obbligo di pagamento con l’apposito bonifico dedicato) e si possieda la relativa documentazione”.
Il Fisco ha proseguito chiarendo che il montaggio di porte blindate o rinforzate rientra tra i lavori effettuati sulle singole unità immobiliari e sulle parti comuni, finalizzati alla prevenzione degli atti illeciti da parte di terzi, così come stabilito dall’art. 16-bis, comma 1 del Testo unico sulle imposte sui redditi.
Ciò detto, quindi, il proprietario o il detentore dell’immobile sul quale è stato effettuato tale intervento, ha la possibilità di richiedere la detrazione delle spese in dieci rate annuali di pari importo.
A tal proposito, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che per “atti illeciti” si intendono gli atti perseguibili penalmente, ad esempio furti o aggressioni o qualsiasi altro reato che comporta il superamento di limiti fisici posti a tutela di diritti giuridicamente protetti.
Ricordiamo, infine, che il bonus per la sostituzione di una porta con una porta blindata, consiste in un’agevolazione del 50% delle spese sostenute e resterà tale sino al 31 dicembre 2024. Dal 2025 l’aliquota scenderà al 36%.
A cura di: Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Di norma, alla morte del beneficiario le agevolazioni fiscali legate alla casa si trasmettono agli eredi, che possono continuare a detrarre le rate residue. Questo è possibile a una condizione: che l’erede in questione conservi la detenzione materiale e diretta del bene.
Questo principio, però, non si applica indistintamente ai tutti i bonus edilizi.
L’Agenzia delle Entrate è intervenuta in più occasioni per fare chiarezza in merito, precisando i casi di trasmissione agli eredi dei bonus-casa e i requisiti da rispettare. In particolare, ha ribadito una limitazione importante per chi richiede il bonus barriere architettoniche: l’agevolazione non si trasmette agli eredi in caso di morte del beneficiario. Le rate residue non godute saranno quindi “perdute”, senza possibilità di compensazione o di recupero.
Con la Circolare n. 17/E del 26 giugno 2023, l’Agenzia delle Entrate ha infatti precisato: “In assenza di specifiche disposizioni, la detrazione non utilizzata in tutto o in parte non si trasferisce in caso di decesso del contribuente che ha sostenuto le relative spese”.
Tuttavia in caso di compravendita, cessione o donazione (ma non successione mortis causa), chi ha eseguito i lavori sull’immobile e sostenuto le relative spese può continuare a detrarre la restante parte, nonostante la cessione.
Il divieto di trasferire la detrazione agli eredi, in vigore per il bonus barriere architettoniche, non si estende a tutti i bonus edilizi. Diverse agevolazioni si trasmettono infatti agli eredi alla morte del beneficiario originale. È il caso del bonus Ristrutturazioni, del Superbonus e dell’Ecobonus.
In queste tre ipotesi, le detrazioni richieste in vita si trasmettono per via ereditaria a figli, nipoti, coniuge superstite o altri soggetti indicati nel testamento nella misura in cui restano da fruire.
Tuttavia, affinché il bonus possa essere trasferito agli eredi, devono essere soddisfatti alcuni requisiti imprescindibili.
– Innanzitutto le rate residue si trasmettono unicamente all’erede che ha la disponibilità materiale dell’immobile. Questo vuol dire che chi eredita la casa su cui sono stati eseguiti gli interventi dovrà abitarvi, se vuole usufruire del bonus. Se invece l’immobile in questione viene affittato o venduto, il diritto si perde.
– Il secondo requisito, dispone che il beneficiario della detrazione debba essere a tutti gli effetti erede del defunto. Infatti l’agevolazione non si estende tra conviventi non sposati che non hanno legalmente la qualità di “erede”.
– Inoltre, i bonus non si trasmettono se un altro soggetto diverso dall’erede vanta un diritto reale di godimento sull’immobile, ad esempio un usufrutto.
Le cose cambiano nel caso di vendita dell’immobile o di donazione tra parenti. Infatti, in questa eventualità, l’Agenzia delle Entrate ha stabilito che le rate residue si trasferiscono automaticamente a favore dell’acquirente o donatario, al momento della sottoscrizione dell’atto notarile.
Il beneficiario originario della detrazione, cioè colui che ha sostenuto le spese di ristrutturazione, efficientamento energetico e così via, se vuole può però continuare a beneficiare della detrazione. Questa circostanza però deve essere espressamente specificata nell’atto di vendita o donazione.
L’Agenzia delle Entrate torna sul tema delle detrazioni relative alle spese di ristrutturazione di un immobile sostenute da un familiare convivente e non direttamente dal proprietario.
Nel caso preso in esame, una contribuente scrive all’Agenzia delle Entrate attraverso “La Posta di FiscoOggi”, spiegando di essere la figlia convivente del proprietario di un immobile, attualmente non affittato, in cui sono stati realizzati lavori di ristrutturazione. A tal proposito, infatti, la contribuente spiega che inoltrerà a suo nome la comunicazione per lavori di manutenzione straordinaria (Cila).
Inoltre, avendo intenzione di portare in detrazione al 50% nei prossimi dieci anni (bonus ristrutturazioni) le spese che sosterrà per intero, la contribuente chiede al Fisco se il padre, proprietario dell’immobile, potrà mettere in affitto tale immobile dopo la ristrutturazione senza che lei perda il diritto all’agevolazione.
L’Agenzia delle Entrate, in risposta al quesito, ha ricordato che le agevolazioni per il recupero del patrimonio edilizio spettano anche al familiare convivente del possessore o detentore dell’immobile oggetto degli interventi.
A tal proposito, come già esplicitato nella Circolare n. 17/E, lo status di convivenza deve sussistere già al momento in cui si attiva la procedura (o alla data di inizio dei lavori) e deve sussistere al momento in cui si effettuano le spese ammesse in detrazione.
Sempre nella citata circolare viene precisato, inoltre, che la disponibilità dell’immobile e lo status di convivenza non è necessario che permangano per l’intero periodo di fruizione della detrazione, ciò significa che non è necessario che la convivenza duri per tutto il periodo di fruizione della detrazione, perciò il contribuente che ha sostenuto le spese di ristrutturazione ha diritto a fruire dell’agevolazione anche se la convivenza si interrompe prima dei 10 anni.
Di conseguenza, quindi, l’agevolazione spetta al convivente che sostiene le spese anche se i titoli abitativi sono intestati al proprietario dell’immobile e non al familiare che usufruisce dell’agevolazione. Inoltre, non è richiesto che l’immobile oggetto dei lavori sia adibito ad abitazione principale del proprietario o del familiare convivente.
Infine, facendo un quadro generale, per quanto concerne le detrazioni per la ristrutturazione edilizia, è bene ricordare che i soggetti che possono beneficiare della relativa agevolazione sono:
• proprietari o nudi proprietari;
• titolari di un diritto reale di godimento quali usufrutto, uso, abitazione o superficie;
• soci di cooperative a proprietà divisa e indivisa;
• imprenditori individuali, per gli immobili non rientranti fra i beni strumentali o beni merce;
• soggetti indicati nell’art. 5 del TUIR, che producono redditi in forma associata (società semplici, in nome collettivo, in accomandita semplice e soggetti a questi equiparati, imprese familiari), alle stesse condizioni previste per gli imprenditori individuali;
• detentori (locatari, comodatari) dell’immobile;
• familiari conviventi;
• coniuge separato assegnatario dell’immobile intestato all’altro coniuge;
• conviventi more uxorio;
• futuro acquirente (nel caso in cui detenga il possesso dell’immobile, il compromesso sia stato registrato ed esegua gli interventi previsti a proprio carico).
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI
Un contribuente si è rivolto all’Agenzia delle Entrate ponendo un quesito attraverso la Posta di FiscoOggi inerente alla fruizione del bonus mobili.
Nel caso analizzato, il contribuente ha spiegato al Fisco di aver avviato degli interventi di manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio nel quale è proprietario di due unità abitative sulle tre totali. I lavori realizzati nelle parti comuni riguardano il rifacimento dell’intonaco e la pittura interna del vano scale, si tratta quindi di interventi che non necessitano di alcun titolo edilizio.
Premesso ciò, il contribuente ha chiesto all’Agenzia delle Entrate se può fruire del bonus mobili per l’acquisto di alcuni arredi destinati ad una delle due unità abitative di cui è proprietario.
In risposta, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato che quando si effettua un intervento di recupero del patrimonio edilizio sulle parti condominiali di edifici residenziali, compresi gli interventi di manutenzione ordinaria, i condòmini hanno diritto a fruire del bonus mobili, ciascuno in base alla propria quota e solo se i beni acquistati sono destinati ad arredare tali parti comuni.
Difatti, il bonus mobili non è riconosciuto a coloro che, invece, acquistano mobili ed elettrodomestici da destinare all’arredo della propria unità immobiliare. Ciò detto, quindi, il contribuente non potrà fruire dell’agevolazione richiesta.
A tal proposito è utile ricordare che la Circolare n. 29 del 2013 dell’Agenzia delle Entrate in merito all’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici ha specificato, al paragrafo 3.2, che i contribuenti in questione devono sostenere “ulteriori spese documentate”, rispetto a quelle sostenute per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio, per “l’acquisto di mobili e di grandi elettrodomestici, finalizzati all’arredo dell’immobile oggetto di ristrutturazione”.
Inoltre, la normativa inerente al bonus mobili stabilisce che al fine di ricevere l’agevolazione è necessario che si svolgano alcuni interventi quali:
• interventi di manutenzione straordinaria, restauro conservativo e ristrutturazione edilizia su singole unità abitative;
• interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria sulle parti comuni degli edifici residenziali;
• ricostruzione o ripristino di un immobile danneggiato da eventi calamitosi;
• restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia eseguiti da imprese di costruzione che venderanno l’immobile entro 18 mesi dal termine dei lavori.
Pertanto, la correlazione tra interventi edili e l’acquisto di mobili ed elettrodomestici per fruire della relativa agevolazione, è necessaria, anche se va specificato che gli interventi realizzati non devono obbligatoriamente qualificarsi come ristrutturazione edilizia ai sensi del Testo Unico edilizia (DPR n. 380/2001).
Infine, è importante ricordare che il bonus mobili, ovvero la detrazione Irpef del 50% per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici destinati ad arredare un immobile oggetto di interventi di recupero del patrimonio edilizio, è calcolata su un massimale di € 8.000 per l’anno 2023 e di € 5.000 per l’anno 2024.
A cura di Deborah Maria Foti – Ufficio Stampa ANAPI