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CONDOMINIO GIURIDICO

La mala gestione dell’ex amministratore del supercondominio deve essere provata

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Condominio, i danni provocati dai ponteggi per lavori di manutenzione straordinaria dell’edificio

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Spese condominiali e locazione appartamento

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I confini del risarcimento del danno da violazione della privacy

La linea ora è tracciata: se la richiesta di risarcimento avanzata dall’interessato verso l’amministratore è sorretta dalla prova della serietà della lesione e, quindi, non si rinviene la mera violazione delle prescrizioni formali in tema di trattamento del dato, il risarcimento viene riconosciuto.

Deve essere però comprovato che, concretamente, il trattamento illecito offenda la portata effettiva del diritto alla riservatezza, nel qual caso vige la regola della probatio diabolica, cioè sta all’amministratore di condominio provare di aver attuato tutte quelle misure atte ad evitare il verificarsi del danno.

Lo afferma l’ordinanza della Cassazione – sezione I – pubblicata il 12 maggio 2023, numero 13073, che si riferisce al caso di un Comune che aveva pubblicato sul proprio sito istituzionale una determina relativa al pignoramento per un certo importo dello stipendio di una dipendente comunale. Anche se nella determina era stata omessa la pubblicazione dei dati della debitrice, questi si rinvenivano dalla nota contabile allegata. La condanna era già stata espressa dal Tribunale di primo grado, in quanto il trattamento era comunque (oggettivamente) avvenuto in violazione del Gdpr, avendo quest’ultimo pubblicato i dati “reputazionali” (come ammesso dallo stesso ente), violando i principi di necessità e minimizzazione.

Secondo il giudice di prime cure, è irrilevante il fatto che l’illecito sia derivato da un errore umano, distrazione o altro, rispondendo il titolare del trattamento anche per il fatto colposo dei propri dipendenti. Questa presa di posizione ci riporta all’articolo 2049 Codice civile, che disciplina la materia della responsabilità civile.

Secondo il giudice di primo grado il danno non patrimoniale risarcibile si collega ad una lesione del diritto fondamentale alla protezione dei dati personali tutelato costituzionalmente (Costituzione articoli 2 e 21 e articolo 8 della Cedu – Corte europea per i diritti dell’uomo).

La casistica è perfettamente applicabile al caso dell’amministratore e del danno che il suo operato può causare ai condòmini amministrati.

L’articolo 82 Gdpr, infatti, stabilisce che chiunque subisca un danno materiale o immateriale causato da una violazione del regolamento ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno dal titolare del trattamento o dal responsabile del trattamento.

Nello stesso tempo, il Considerando 146 del Gdpr, integra la disposizione stabilendo che il titolare del trattamento o il responsabile del trattamento dovrebbe risarcire i danni cagionati a una persona da un trattamento non conforme al regolamento, ma può esserne esonerato se è in grado di dimostrare che l’evento dannoso non gli è in alcun modo imputabile.

Dura, dunque, la vita per l’amministratore, posto che il concetto che ne deriva è che il soggetto danneggiato da un trattamento illecito può ottenere il risarcimento di qualunque danno occorsogli, «anche se la lesione è marginale».

L’orientamento pone come unico limite che il diritto al risarcimento «non si sottrae alla verifica della gravità della lesione e della serietà del danno perché anche per tale diritto opera il bilanciamento con il principio di solidarietà ex Costituzione, articolo 2, di cui quello di tolleranza della lesione minima è un precipitato».

Spetta dunque il risarcimento se la lesione «concretamente offenda la portata effettiva del diritto alla riservatezza del dato», indipendentemente dalla circostanza che il danno dipenda da un mero errore materiale o da un illecito trattamento che si sia configurato per un periodo limitato. Ad evitare la condanna poi, non basterebbe neppure un intervento del titolare o del responsabile effettuato appena si sia venuti a conoscenza dell’errore.

Non può quindi bastare per l’amministratore di condominio nemmeno difendersi asserendo che si è trattato di un mero errore oppure dell’errore di un suo dipendente. L’illecito trattamento, infatti, infatti, non è scusabile.

Un’ancora di salvezza però l’amministratore può trovarla nella circostanza che non necessariamente l’illecito deve comportare la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 83 Gdpr, evitabile se lo studio di amministrazione ha attuato le procedure tecniche ed organizzative adeguate, tali da mitigare i rischi sulle libertà e i diritti delle persone fisiche.

Ma se l’errore porta ad un illecito tale da potersi configurare come “concreto”, anche laddove il danno non sia quantificabile in quanto di natura immateriale, il risarcimento è comunque dovuto.

L’amministratore di condominio, quindi, deve risultare “accountability” al punto da riuscire anche a prevenire eventuali errori, non semplicemente attivandosi appena questi emergono, ma anche ragionando secondo i dettami di cui all’articolo 25 Gdpr, che impone di predisporre le procedure tecniche ed organizzative a tutela dei dati personali degli interessati, in maniera preventiva rispetto all’esecuzione dei trattamenti, secondo i dettami della privacy by design e by default.

Non basta quindi operare come buon padre di famiglia, bensì si deve dimostrare di aver svolto l’attività come professionista attento e scrupoloso alla norma, attuando procedure che valutino con estrema attenzione il percorso dei dati all’interno dello studio, affrontando anche nei dettagli tutti i passaggi.

A cura di: Avv. Carlo PIKLER – Responsabile Centro Studi – A.T.P. Academy

La mediazione in materia condominiale

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Condominio: Superbonus e conflitti di interesse tra amministratore, progettista e impresa

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Risarcisce i danni il condòmino che lascia le finestre aperte durante un nubifragio

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Plusvalenza immobiliare: spetta al Fisco individuare i plurimi indizi di evasione

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Riscaldamento condominiale centralizzato e malfunzionamento dell’impianto

Se un singolo condòmino riscontra problemi con il funzionamento efficiente del riscaldamento centralizzato limitatamente alla propria abitazione, può rivalersi sul condominio?
Il Tribunale di Torino, con la sentenza n. 1271 del 23 marzo 2023, affronta il caso, con le dovute distinzioni tra responsabilità della cosa ben custodita da chi ne è responsabile (il condominio in questo caso) e il verificarsi di una causa esterna (caso fortuito) che esuli dalle competenze del custode.
Prima di esaminare il caso, si ricorda che l’obbligo di contabilizzazione del calore, per i condomini dotati di impianto di riscaldamento centralizzato, è stato introdotto in ottemperanza al “Protocollo 20-20-20” dell’Unione Europea, che mira a ridurre le emissioni di anidride carbonica (CO2). Questa normativa è stata recepita nel D.Lgs. 141/16, il quale ha modificato il precedente decreto sull’efficienza energetica (D.Lgs. 102/2014). Per chi non si adegua alla normativa sono previste sanzioni, che possono variare da 500 a 2.500 euro.

Il caso
Un condòmino, residente al piano rialzato dello stabile, lamenta il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento centralizzato.
Nei mesi invernali, infatti, la temperatura del proprio appartamento non supera i 17-18°C, mentre ai piani alti del medesimo condominio le temperature risultano addirittura troppo elevate.
In un primo momento il condominio si era proposto di risolvere l’inconveniente attraverso alcune opere di coibentazione, ma tali opere non erano state realizzate.
Così, il condòmino affida a proprie spese a un tecnico l’incarico per la redazione di una perizia finalizzata a scoprire le cause alla base dell’inefficienza dell’impianto che persisteva limitatamente al suo appartamento.
Dalla perizia emerge che le cause del cattivo funzionamento dell’impianto di riscaldamento a pavimento, risalente agli anni ’50, potessero essere riconducibili:
• al cattivo stato delle finestre dello scantinato sottostante;
• alla mancanza di coibentazione isolante tra il piano cantina ed il piano rialzato;
• soprattutto, alla mancata irradiazione di calore dalle serpentine a pavimento dovuta, a sua volta, dall’accumularsi negli anni di detriti e fanghi verso i piani più bassi.
Sulla base dell’esito della perizia, il condòmino decide di citare in Tribunale il condominio per la responsabilità derivante dall’art. 2051 del Codice civile, che impone al custode di adottare tutti gli accorgimenti idonei ad evitare il prodursi degli effetti dannosi connaturati alla cosa custodita ed, in particolare, gli imponeva di rimediare ai danni derivanti dalle predette inadempienze.
Oltre alla realizzazione tempestiva di tutte le opere necessarie a consentire il pieno e corretto godimento della sua proprietà, il condòmino chiede il risarcimento della somma di 2.440 Euro, spesi per la perizia.
Il condominio citato in giudizio chiede il rigetto della domanda. Sostiene a sua difesa che l’art. 2051 del Codice civile non é applicabile al caso e che di conseguenza non aveva alcuna responsabilità civile in merito al cattivo funzionamento dell’impianto, circoscrivendo e imputando al condòmino la responsabilità della parte di impianto relativa al suo appartamento.

L’esame
Per il Tribunale di Torino, la domanda del condòmino è fondata e il condominio deve provare il caso fortuito che ha provocato il malfunzionamento del riscaldamento centralizzato
Dall’art 2051 del Codice civile, premettono i giudici, si legge che: “Ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito”.
Ed ancora, in passato la giurisprudenza ha più volte affermato che: “Il singolo condomino può agire a norma dell’art. 2051 del Codice civile nei confronti del condominio per il risarcimento dei danni sofferti per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni dell’edificio – dalle quali provengono infiltrazioni d’acqua pregiudizievoli per gli ambienti di sua proprietà esclusiva – ponendosi quale terzo nei confronti del condominio stesso, tenuto alla custodia ed alla manutenzione delle parti e degli impianti comuni dell’edificio (Cass sez lav. n. 1500/ 1987)”.
I giudici chiariscono che l’esistenza di un dovere di manutenzione in capo al condominio delle parti comuni dell’edificio e degli impianti a servizio deriva dalla disciplina in materia e precisamente dagli artt. 117, 1123 e 1130 n. 3 del Codice civile, dai quali sorge l’obbligo di vigilanza e controllo onde evitare che producano danni a terzi.
Sussiste, quindi, la legittimazione attiva del condòmino e quella passiva del condominio per i danni causati dalla cosa comune come correttamente esposto dall’attore.
Il danno lamentato dal condòmino attore è rappresentato dal costo sostenuto per la perizia e dal disagio derivante dall’impossibilità di raggiungere una temperatura superiore ai 17-18 gradi nell’alloggio di sua proprietà.
Il danneggiato, spiegano i giudici, deve provare che il malfunzionamento e il danno consequenziale siano stati prodotti dalla cattiva gestione della cosa in custodia (l’impianto centralizzato) o se la causa di tutto sia stato un agente esterno e al di sopra delle possibilità di controllo del custode.
Ma in questo caso, la prova del danno e del nesso causale sussistente tra il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento e il danno stesso è stata raggiunta con la documentazione versata in atti (perizie di parte) e, in special modo, con la CTU disposta in corso di causa, che hanno provato una cattiva manutenzione dell’impianto stesso.
Il Consulente Tecnico ha infatti concluso che “il malfunzionamento dell’impianto di riscaldamento lamentato dalla parte attrice possa essere dovuto al formarsi, dal 1962 ad oggi, di una considerevole quantità di depositi (incrostazioni) quali: fanghi, calcare, ossidi di ferro e detriti derivanti da successive corrosioni; formazioni microbiologiche quali: biofilm, alghe batteri, funghi, lieviti. Questi possono aver creato, in una prima fase, dei piccoli depositi che hanno causato delle perdite di carico (perdita di pressione) distribuite e concentrate sia nelle serpentine dei pannelli radianti, sia in un numero imprecisato di valvole di regolazione/arresto dell’impianto stesso.
Successivamente il cronicizzarsi del fenomeno ha contribuito inevitabilmente ad un aumento di spessore dei depositi creando ostruzioni più importanti che hanno portato, negli anni, al malfunzionamento generale dell’impianto manifestandosi, in misura maggiore, negli alloggi cosiddetti più “sfavoriti”.
Di contro, la prova liberatoria che gravava sul convenuto condominio, ovvero la dimostrazione positiva del caso fortuito, fatto estraneo alla sua sfera di custodia, non è stata fornita dal condominio.
In altre parole, l’esistenza di una condizione eccezionale (caso fortuito) e imprevedibile che ha impedito al custode di operare la necessaria manutenzione dell’impianto non è, invero, stata neppure allegata dal condominio convenuto che risponde quindi del danno lamentato.
La richiesta è, quindi, accolta, per cui il condominio dovrà provvedere con tutte le opere del caso da farsi, ed in più, rimborsare le spese della perizia fatta eseguire dal condòmino.
La parte convenuta, pertanto, dovrà provvedere al pagamento a favore della parte attrice della somma di euro 2440 a titolo di risarcimento del danno. Inoltre dovrà eseguire in favore della parte attrice i seguenti interventi, come da Consulenza Tecnica agli atti:
• 1 – ripristino del funzionamento delle valvole di regolazione/arresto dell’impianto di distribuzione;
• 2 – implementazione in centrale termica della strumentazione utile all’esecuzione delle opere di cui al punto successivo;
• 3 – trattamento acqua dell’impianto secondo il DM 26/06/2015;
• 4 – isolamento intradosso soletta soffitta piano cantinato;
• 5 – sistemazione finestrotti su piano cantinato lato cortile.
Infine, la convenuta dovrà anche rifondere alla parte attrice tutte le spese di lite.

È annuale la scadenza dell’obbligo formativo degli amministratori di condominio, ma non scatta il 9 ottobre

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