Nel 2022 il settore delle costruzioni si è riavvicinato ai livelli del 2007: un risultato che nel 2019 era impensabile. Inoltre, se si considerano i valori correnti, gli investimenti in costruzioni nel 2019 valevano 141 miliardi di euro, nel 2022, 232 miliardi. Le costruzioni del 2022, infatti, costano il 15/20% in più di quanto costavano nel 2019 secondo le fonti ufficiali, il 25/30% secondo le analisi del Cresme.
I dati arrivano dal XXXIII Rapporto congiunturale e previsionale ‘Il mercato delle costruzioni 2023’ redatto dal Cresme e presentato nei giorni scorsi.
Quantità e prezzo hanno dunque determinato due anni eccezionali di crescita delle costruzioni, con tassi da anni ’60, trainati da incentivi fiscali per la ristrutturazione e dalle opere pubbliche, spiega il Cresme. A crescere, anche le nuove costruzioni residenziali e non residenziali. E anche il mercato immobiliare è cresciuto: le compravendite di abitazioni hanno infatti raggiunto, e in diverse realtà superato, i livelli del 2006-2007.
L’inflazione ha poi cominciato a incidere anche sui prezzi delle case, quindi sui comportamenti della domanda, anche perché stipendi e salari non vengono adeguati.
“La nuova fase che stiamo vivendo – precisa il Cresme – riporta sul mercato il tema dell’inflazione e dei tassi di interesse: cosa succederà nei prossimi due anni e come questo inciderà sul mercato delle costruzioni e dell’immobiliare è uno dei temi chiave da affrontare”.
Boom nel 2021-2022
Negli ultimi due anni il mercato delle costruzioni è stato alimentato da importanti risorse private (il risparmio accumulato dalle famiglie e dalle imprese nel 2020 e nel 2021) e da importantissime risorse pubbliche: l’eccezionale stagione degli incentivi e il PNRR, ma anche da stanziamenti per le opere pubbliche che arrivano dal 2014/2015 e che sono diventate aggiudicazioni di lavori a partire dal 2021, hanno fatto crescere il mercato in due anni con una accelerazione da Paese in via di sviluppo.
Nella riqualificazione e nelle aggiudicazioni dei bandi di opere pubbliche la crescita è stata del 45/50% in un solo anno. Si è entrati in una fase di eccessi, una fase irragionevole rispetto al rapporto tra domanda e offerta.
Le prospettive per i prossimi anni
Nel mercato della riqualificazione l’inversione è attesa per il 2023. Sarà più lenta di quanto dovrebbe essere, perché il 2022 non basterà a coprire l’onda della domanda. Gli incentivi andranno riducendosi e fermeranno il principale motore che ha trainato le costruzioni.
Ma nel 2023, a maggio, quando si presenteranno i bilanci del 2022, si faranno anche i conti con i crediti fiscali accumulati e con i rischi di tenuta di molti operatori.
La forte crescita del PIL nel 2021 e nel 2022 ha però radici profonde nelle costruzioni e nel superbonus. La frenata degli incentivi darà una frenata per il PIL, e come si fermerà e come proseguirà questo mercato è uno dei grandi temi chiave del Rapporto del Cresme.
Risparmiare vuole anche dire intervenire sulle proprie abitudini, modificando le attività che contribuiscono allo spreco di energia elettrica andando a incidere sul costo delle bollette. In questo periodo gli inviti all’utilizzo parsimonioso degli elettrodomestici più dispendiosi a livello di corrente si sprecano. È però difficile riuscire a quantificare l’impatto sulle nostre tasche di ogni singolo strumento. Ad esempio, quanto incide sulla bolletta l’utilizzo del televisore?
Vivere con la TV accesa è una realtà comune a tanti. Per molti è un sottofondo che non può mancare. Non manca chi lascia il televisore acceso anche di notte perché si addormenta mentre lo sta guardando. Numerose, poi, le persone che lasciano la tv accesa anche quando escono, affinché l cane o il gatto non si sentano troppo soli.
Ma quanto consuma un televisore lasciato acceso tutto il giorno?
Non ci sono valori assoluti. L’unica cosa certa è che le TV a schermo LCD sono molto più dispendiose in termini energetici rispetto a quelle a LED. Inoltre, un aspetto che incide notevolmente sui consumi è la grandezza dello schermo: più la superficie è estesa, più l’elettrodomestico consuma energia. Per esempio, un LCD da 32″ consuma circa 90-130 Watt, mentre un 37 pollici che può arrivare anche a 150 Watt. Con più pollici, (40) un LCD arriverà a consumare 175 W. Confrontando questo valore con quello della tecnologia LED la differenza è sostanziale: una tv a LED delle stesse dimensioni arriva a 95 W.
Il range possibile per le televisioni è inoltre molto ampio: richiedono una potenza minima di 50 W ma possono arrivare anche a 600 W.
Per quanto riguarda la spesa effettiva, si può dire che il costo medio dell’energia elettrica è di 0,25 €/kWh e, che conoscendo le proprie abitudini di consumo, sarà semplice calcolare la propria spesa.
Il problema insomma non è quanto consuma la TV, ma per quante ore e quante volte al giorno la accendiamo.
Calcolando l’impatto giornaliero di un LCD medio potremmo dire che il suo costo sarà di circa 1 euro, quindi quasi 360 euro di energia in un anno.
Una strategia di risparmio è quella di tener sotto controllo le ore di alimentazione perché la luce stand-by può sembrare un consumo irrisorio quando, in realtà, stiamo parlando di 3 Watt all’ora, quindi 72 W al giorno. In un anno insomma la spia rossa che rimane accesa quando la tv è in stand-by ci viene a costare circa 6 euro. La soluzione è semplice e veloce: scollegare l’apparecchio la sera collegandolo a una ciabatta a interruttore. Si potrà evitare di staccare ogni volta la spina della TV ma il risparmio sarà assicurato.
La crisi climatica accelera sempre di più la sua corsa insieme agli eventi estremi, che stanno avendo impatti sempre maggiori sui Paesi di tutto il mondo, a partire dall’Italia. Nei primi dieci mesi del 2022 sono stati registrati nella Penisola 254 fenomeni meteorologici estremi, il 27% in più di quelli dello scorso anno. Preoccupa anche il bilancio degli ultimi 13 anni: dal 2010 al 31 ottobre 2022 si sono verificati in Italia 1.503 eventi estremi con 780 comuni colpiti e 279 vittime. Tra le regioni più colpite: Sicilia (175 eventi estremi), Lombardia (166), Lazio (136), Puglia (112), Emilia-Romagna (111), Toscana (107) e Veneto (101).
È quanto emerge, in sintesi, dalla fotografia scattata dal nuovo report “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima 2022 realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol, e sintetizzato nella mappa del rischio climatico, aggiornata nel layout e nella grafica e con un focus sul progetto europeo LIFE+ AGreeNet che ha l’obiettivo di rendere le città della costa del Medio Adriatico più resilienti al cambiamento climatico attraverso vari interventi.
OSSERVATORIO CITTÀCLIMA 2022
Una fotografia nel complesso preoccupante quella scattata dal report “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima 2022 realizzato da Legambiente, con il contributo del Gruppo Unipol e presentata oggi, nel giorno finale della COP27 in corso in Egitto, per lanciare un doppio appello: se da una parte al livello internazionale è fondamentale che si arrivi ad un accordo ambizioso e giusto in grado di mantenere vivo l’obiettivo di 1.5°C ed aiutare i Paesi più poveri e vulnerabili a fronteggiare l’emergenza climatica, dall’altra parte è fondamentale che l’Italia faccia la sua parte.
Entrando nello specifico, infatti, il nuovo report “Il clima è già cambiato” dell’Osservatorio CittàClima 2022, evidenzia che su 1.503 fenomeni estremi ben 529 sono stati casi di allagamenti da piogge intense come evento principale, e che diventano 768 se si considerano gli effetti collaterali di altri eventi estremi, quali grandinate ed esondazioni; 531 i casi di stop alle infrastrutture con 89 giorni di blocco di metropolitane e treni urbani, 387 eventi con danni causati da trombe d’aria. Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città con diverse conferme tra quelle che sono le aree urbane del Paese più colpite in questi 13 anni: da Roma – dove si sono verificati 66 eventi, 6 solo nell’ultimo anno, di cui ben oltre la metà, 39, hanno riguardato allagamenti a seguito di piogge intense; passando per Bari con 42 eventi, principalmente allagamenti da piogge intense (20) e danni da trombe d’aria (17). Agrigento, con 32 casi di cui 15 allagamenti e poi Milano, con 30 eventi totali, dove sono state almeno 20 le esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni.
L’APPELLO DI LEGAMBIENTE
Legambiente, in una nota, al Governo Meloni e al Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin chiede, in primis, che venga aggiornato e approvato entro la fine dell’anno il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNACC), rimasto in bozza dal 2018, quando era presidente del Consiglio Paolo Gentiloni e ministro Gian Luca Galletti.
Ad oggi sono saliti a 24 i Paesi europei che hanno adottato un piano nazionale o settoriale di adattamento al clima. Grande assente l’Italia che per altro in questi ultimi 9 anni – stando ai dati disponibili da maggio 2013 a maggio 2022 e rielaborati da Legambiente – ha speso 13,3 miliardi di euro in fondi assegnati per le emergenze meteoclimatiche (tra gli importi segnalati dalle regioni per lo stato di emergenza e la ricognizione dei fabbisogni determinata dal commissario delegato). Si tratta di una media – sottolinea l’associazione in una nota – di 1,48 miliardi/anno per la gestione delle emergenze, in un rapporto di quasi 1 a 4 tra spese per la prevenzione e quelle per riparare i danni.
INTERVENTI PER LA PREVENZIONE
Nel report dell’Osservatorio CittàClima 2022, Legambiente fa anche il punto su questi due aspetti. Se guardiamo alla spesa realizzata in questi anni per gli interventi programmati di messa in sicurezza e prevenzione, emerge come dal 1999 al 2022 sono stati 9.961 gli interventi avviati per mitigare il rischio idrogeologico in Italia per un totale di 9,5 miliardi di euro (elaborazione Legambiente su fonte Ispra, piattaforma Rendis), con una media di 400 milioni di euro l’anno. In parallelo, i dati della Protezione Civile sugli stati di emergenza da eventi meteo-idro dal maggio 2013 a maggio 2022 parlano di 123 casi, segnando un lieve incremento rispetto al 2021 (quando però i dati includevano il periodo fino a ottobre), ma comunque in aumento deciso rispetto ai 103 nel 2020. E poi ci sono i fondi assegnati per le emergenze che, sempre in questo arco di anni, arrivano a poco meno di 13,3 miliardi di euro.
OSSERVATORIO CITTÀCLIMA 2022: BUONE PRATICHE
Infine nel report dell’Osservatorio CittàClima 2022 si segnalano anche alcune buone notizie e buone pratiche. In primis come buona notizia il successo del programma sperimentale d’interventi per l’adattamento ai cambiamenti climatici in ambito urbano, emanato nel 2021 dal MITE che prevede finanziamenti in decine di aree urbane italiane. Tra queste, ad esempio, Cremona con i Boschi della Villetta e La strada in Verde, Lucca con Le scuole verdi di Lucca, a Ferrara dove le azioni di adattamento riguarderanno Piazza Cortevecchia, a L’Aquila progetti di riforestazione urbana.
Passando alle buone pratiche, c’è Milano con il suo Piano Aria e Clima, finalizzato a ridurre l’inquinamento atmosferico e a rispondere all’emergenza climatica. Genova con l’Action Plan Genova 2050, uno strumento che comprende un pacchetto di azioni concrete sulla sostenibilità ambientale, l’adattamento e la mitigazione dei cambiamenti climatici, per migliorare la qualità della vita dei residenti e non solo. Da Forlì arriva l’esempio del Giardino dei Musei: nato come azione all’interno del progetto Life SOS4life e finanziato con fondi statali, comunali e dal contributo della Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, si pone come obiettivo la riqualificazione e la valorizzazione dell’area, adibita a parcheggio sopraelevato, sostituendola con un’area a verde pubblico. Da Perugia – si evidenzia nel report dell’Osservatorio CittàClima 2022 – l’esempio dei GIS (Geographic Information System) per acquisire e analizzare i dati integrando la dimensione geografica, per monitorare in tempo reale i fenomeni e pianificare efficacemente la costruzione del futuro, raccontando con precisione cosa sta succedendo in una città.
Infine, dall’estero tra le buone pratiche c’è quella di Los Angeles, in California, dove è stato approvato un Piano per il riciclo delle acque reflue che prevede che il 70% dell’acqua sia di provenienza locale entro il 2035 per passare al programma degli incentivi per la permeabilità delle superfici voluto dall’amministrazione di Washington DC, in un’ottica di miglioramento del deflusso delle acque.
PAROLA AGLI ESPERTI
“Nella lotta alla crisi climatica – dichiara in una nota Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – da troppi anni l’Italia sta dimostrando di essere in ritardo. Continua a rincorrere le emergenze senza una strategia chiara di prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse economiche spese per i danni provocati da eventi estremi, alluvioni, piogge e frane, e non approva il Piano nazionale di adattamento al clima, dal 2018 fermo in un cassetto del Ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica. È fondamentale approvare entro fine anno il Piano, ma anche definire un programma strutturale di finanziamento per le aree urbane più a rischio, rafforzare il ruolo delle autorità di distretto e dei comuni contro il rischio idrogeologico e la siccità, approvare la legge sul consumo di suolo, e cambiare le regole edilizie per salvare le persone dagli impatti climatici e promuovere campagne di informazione di convivenza con il rischio per evitare comportamenti che mettono a repentaglio la vita delle persone”.
“Anche quest’anno il Rapporto CittàClima – spiega in una nota Marisa Parmigiani, head of Sustainability del Gruppo Unipol – ci evidenzia un peggioramento nell’esposizione ai rischi climatici. Come denunciamo da tempo il nostro paese è fortemente esposto in primis al rischio idrogeologico, ma ultimamente vediamo crescere, anche nei nostri sinistri, i fenomeni della grandine e delle trombe d’aria. Dobbiamo operare congiuntamente, secondo un approccio di partnership pubblico/privato, per adottare e sviluppare un adeguato Piano di Adattamento, perché non è più sufficiente intervenire sulla mitigazione in un contesto in cui il clima è già cambiato”.
Cambiamenti in vista, dal 20 dicembre, per i telespettatori: da questa data il digitale terrestre trasmetterà ogni programma in alta definizione. A partire dal giorno successivo, la Tv potrà essere vista solo in Hd.
È questo il risultato della transizione tecnologica prevista da Rai, Mediaset e dagli altri broadcaster. Dopo mesi di riposizionamento delle frequenze, il formato video Mpeg2, che risale a trent’anni fa, va in pensione per lasciare il posto al più efficiente Mpeg4, con codifica H264.
Entro il 31 dicembre l’Italia dovrà quindi completare questo switch-off, in quanto a partire dal 2023 dovrebbe completarsi il passaggio definitivo allo standard Dvb-T2 con codifica Hevc (H265).
Lo switch-off rientra nel progetto Nuova Tv Digitale, che prevede l’abbandono delle frequenze in banda 700 MHz, a favore della connettività mobile 5G, per aprirsi a una Tv digitale qualitativamente superiore. La transizione al Dvb-T2 Hevc inizierà da gennaio 2023, ma ci vorrà del tempo poiché il parco ricevitori da sostituire o integrare è comunque consistente.
Questo processo è stato avviato da circa un anno, in modo che l’abbandono del precedente formato fosse graduale. Eppure, sono ancora molte le persone che si domandano come poter vedere canali preferiti e cosa fare se non si è in possesso di un decoder.
A partire dal 21 dicembre, dunque, non sarà più possibile utilizzare il formato video Mpeg2, ma solo l’Mpeg4 con il risultato di vedere i programmi in alta risoluzione. Vi è però ancora un dubbio per molti telespettatori, ossia se chi non ha il decoder debba comprare un decoder o un nuovo televisore.
A questa domanda non esiste però una risposta univoca, in quanto tutto dipende dalla tipologia di televisore.
In Italia la maggior parte delle famiglie, secondo le indagini di mercato, dispone di smart Tv o Tv compatibili con lo standard Mpeg4, in quanto è stato introdotto nei dispositivi da oltre 10 anni. Inoltre dal 22 dicembre 2018 sono stati venduti solo televisori con decoder integrato Dvb-T2, lo standard di riferimento del prossimo anno. Si tratta, quindi, di televisori compatibili con Hevc (H265) per un’alta efficienza e risoluzione dei video e il profilo Main 10. In questo caso, quindi, non sarà necessario comprare un nuovo decoder.
Se si possiede un televisore ad alta risoluzione (dal Full Hd in poi), la compatibilità dovrebbe essere garantita e non sarà necessario un decoder. Per averne certezza basterà verificare che i canali Rai e Mediaset siano disponibili ai primi numeri. Se si possiede un Televisore Hd, ma con i programmi Rai disponibili dal canale 501 e/o Mediaset dal 104, o se si possiede una smart Tv acquistata prima del 2018, gli utenti non dovranno cambiare la Tv ma comprare un nuovo decoder Dvb-T2.
Se si è in possesso di un Televisore che non supporta l’Hd, sarà necessario comprare almeno un decoder Dvb-T2 per vedere i canali, anche se a causa della risoluzione della Tv non saranno in Hd. Per avere una migliore esperienza visiva è quindi consigliabile comprare direttamente una nuova Tv.
Infine, per verificare se la propria Tv e il proprio decoder sono in grado di affrontare lo switch-off al nuovo digitale terrestre, gli utenti possono effettuare un semplice test. Sintonizzandosi sui canali 100 (Rai) o 200 (Mediaset) , si può constatare la presenza della scritta Test Hevc Main10. Nel caso i dubbi dovessero permanere, il ministero delle Imprese e del Made in Italy ha messo a disposizione due strumenti. Si potrà chiamare un call center, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 18 allo 06 87 800 262, oppure si potrà chiedere aiuto via WhatsApp, scrivendo al numero 340 1206348.
A causa dei costi dell’energia, per l’edizione 2022 del Natale in tanti rinunceranno a luci e addobbi, nel nome del risparmio e del contenimento dei costi. È però innegabile che l’albero addobbato e con tante lucine colorate rappresenti un simbolo magico, per molti irrinunciabile.
Stabilire il costo dei consumi di un albero di Natale acceso non è facile. Dipendere infatti da diversi fattori, a partire dalle dimensioni, per arrivare alla quantità e al tipo di luci.
Numerosi siti web hanno pubblicato simulazioni dei consumi di un albero di Natale con gli attuali costi delle forniture energetiche dalle quali si evince che l’impatto sulla bolletta abbastanza contenuto.
Il costo di un albero di Natale addobbato con lucine led accese 24 ore su 24 per due mesi di fila ammonta a circa 18 euro per tutto il periodo. Il consumo, infatti, sarebbe di circa 0,5 kWh. Ipotizzando quindi l’accensione delle lucine per 6 ore al giorno per un mese e mezzo, la spesa non supererebbe i 65 centesimi totali.
Non esiste, comunque, una regola valida per tutti gli alberi di Natale. Ma utilizzando luci efficienti dal punto di vista energetico, il consumo non dovrebbe superare i 0,5 kWh. In media, una classica fila di addobbi con circa 500 luci led può consumare circa 1,5 kilowattora per 10 ore di accensione.
Si chiama ‘CityTree’ ed è l’innovativa infrastruttura vegetale mobile che migliora la qualità dell’aria in città, grazie alla sua capacità di abbattere in modo sensibile le concentrazioni di polveri sottili. Pensata come soluzione di arredo urbano green per strade e piazze ma anche per scuole, centri commerciali, aziende e aeroporti, il dispositivo tecnologico è stato testato nell’ambito del progetto europeo ‘CityTree Scaler’, che ha visto la partecipazione di ENEA, Cnr – Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (ISAC) e Consorzio Proambiente, in collaborazione con la start-up tedesca Green City Solutions che ha prodotto il pannello. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista online open source Atmosphere.
CityTree può fungere da vero e proprio filtro vegetale con un effetto potenziale pari a 275 alberi in città: consiste in un pannello autoportante lungo 3 metri, alto 4 metri e profondo 60 centimetri ricoperto da una varietà di muschio in grado di assorbire fino a 240 tonnellate di CO2 l’anno. Si tratta di una soluzione di arredo urbano pensata per quei quartieri o aree hot-spot prive di parchi, giardini e aree vegetate dove l’inquinamento dell’aria è particolarmente elevato. “La sua efficacia è localizzata nella zona in prossimità del pannello, che corrisponde a un’area grande circa 200 metri quadrati”, sottolinea Felicita Russo, ricercatrice ENEA del Laboratorio Inquinamento Atmosferico.
CityTree si avvale di un impianto di irrigazione completamente automatizzato, dotato di un sistema per la raccolta di acqua piovana e di rilevatori di temperatura e umidità che garantiscono la massima efficienza delle colture e il minore consumo di acqua.
Per valutare l’efficacia di questa infrastruttura i ricercatori del Cnr e del Consorzio Proambiente hanno condotto campagne di misura in tre diversi condizioni meteorologiche a Modena, che si trova in una delle aree più inquinate d’Italia, la Pianura Padana. “A partire da questi risultati, abbiamo riprodotto, con strumenti modellistici e grazie al supercomputer di ENEA CRESCO6, le concentrazioni di inquinanti osservate sul campo e studiato le effettive riduzioni di PM10 e ossidi di azoto (NOx) ottenute grazie a CityTree, insieme all’estensione dell’area interessata all’abbattimento. Nella modalità di filtraggio, il dispositivo garantisce una riduzione fino al 15% del PM10”, sottolinea Maria Gabriella Villani, ricercatrice ENEA del Laboratorio Inquinamento Atmosferico.
Ma i risultati sono stati molto incoraggianti per altre tipologie di particolato come il PM2.5 (fino a -20%), il PM1 (fino a -13%), le particelle ultrasottili (-38%) e il black carbon[4] (-17%), sempre nell’area circostante al pannello filtrante.
Attualmente, questa soluzione green ha trovato una certa diffusione in città come Londra e Berlino, dove sono stati installati sia in ambienti indoor (aeroporti, centri commerciali e dentro capannoni di produzione industriale) sia all’esterno come all’entrata di scuole, nei centri città e nei piazzali presso sedi di importanti aziende. In questi contesti, lo scopo delle installazioni è quello di ottenere zone di ‘aria fresca e pulita’, fornendo anche un luogo per una pausa, un punto d’incontro e d’informazione, un accesso internet e una postazione di ricarica elettrica. “Ma si può pensare di installare i CityTree anche al posto delle normali pensiline alle fermate degli autobus oppure nei canyon urbani, luoghi in cui le strade cittadine sono fiancheggiata da edifici su entrambi i lati che creano ambienti poco ventilati e, di conseguenza, molto inquinati. Una riduzione molto localizzata della concentrazione di inquinanti durante le ore di punta potrebbe essere interessante per limitare l’esposizione della popolazione allo smog”, sottolinea Villani.
“Tecnologie come CityTree rappresentano soluzioni innovative in continua evoluzione e lavorare su questo ambito è uno dei maggiori interessi del nostro laboratorio. Certamente da sole non possono risolvere il problema dell’inquinamento atmosferico in città, ma rappresentano comunque soluzioni smart per migliorare non solo la qualità dell’aria ma, più in generale, la qualità di vita, tutelando la biodiversità, riducendo gli effetti delle isole di calore e riqualificando il tessuto urbano con nuovi luoghi di aggregazione”, conclude Russo.
L’Amministrazione Comunale di Verbania, per andare incontro alla difficile situazione economica, ha ridefinito, con una delibera approvata dal Consiglio Comunale nei mesi scorsi, i criteri per l’applicazione della riduzione ISEE della Tassa Rifiuti, prevedendo una riduzione pari al 40% del totale del tributo, in favore delle utenze domestiche per famiglie a basso reddito. Lo segnala il sindaco Silvia Marchionini.
“Per accedere a questa riduzione – sottolinea l’assessore al bilancio Anna Bozzuto – bisogna essere residente nel Comune di Verbania ed essere in possesso dei seguenti requisiti: nuclei famigliari con ISEE non superiore a 12 mila euro o nuclei famigliari con ISEE non superiore a 20 mila euro con almeno 4 figli a carico”. Una riduzione per il 2022 della Tassa Rifiuti è stata inoltre applicata (da un minimo del 3% a un massimo del 9% in base al numero dei componenti del nucleo famigliare) per tutte le utenze domestiche, mentre per le utenze non domestiche si è ridotta per negozi, bar, ecc. del 12%, e per le attività alberghiere tra il 17 e il 22%.
La richiesta può essere compilata direttamente on-line dai moduli presenti sul sito del Comune di Verbania www.comune.verbania.it. Oppure, è possibile presentare la domanda presso lo sportello TARI o inviarlo alla mail tributi@comune.verbania.it.
Alla domanda deve essere allegata l’attestazione ISEE in corso di validità alla data della presentazione. La richiesta dovrà essere presentata, a pena di decadenza, entro il termine del 16 dicembre 2022. Non saranno prese in considerazione le domande incomplete dei dati richiesti e/o prive degli allegati richiesti. L’Amministrazione Comunale procederà ad effettuare i controlli sulle dichiarazioni rese e pertanto, in caso di falsità dei dati dichiarati, si provvederà al recupero della riduzione concessa.
E’ morto il 10 dicembre Corrado Sforza Fogliani, avvocato cassazionista e banchiere, 83 anni (ne avrebbe compiuti 84 il 15 dicembre), presidente del comitato esecutivo della Banca di Piacenza, istituto di credito che ha presieduto dal 1986 al 2012, presidente di Assopopolari (l’associazione che riunisce le banche popolari) e presidente del centro studi di Confedilizia, confederazione guidata da Giorgio Spaziani Testa. Era stato anche vicepresidente dell’Abi (Associazione bancaria italiana), nonché, per 25 anni, presidente nazionale di Confedilizia. Politicamente da sempre aderente al Partito Liberale e fervente ammiratore di Luigi Einaudi. Lascia la moglie Antonietta e la figlia Maria Paola.
IL RICORDO DI CORRADO SFORZA FOGLIANI FIRMATO DAL POLITOLOGO CARLO LOTTIERI PER IL SITO DI NICOLA PORRO:
Con la scomparsa di Corrado Sforza Fogliani, perdiamo molto. Sui giornali si dirà che l’avvocato piacentino è stato un importante liberale, il dominus per un quarto di secolo di Confedilizia e una figura cruciale del mondo bancario. Si tratta, però, di formule riduttive, che dicono davvero ben poco dell’uomo e dell’intellettuale che egli fu.
Ho avuto modo di conoscere Sforza Fogliani molti anni fa, al tempo del vecchio Pli. Egli apparteneva – come chi scrive – alla schiera di quanti avversavano la svolta liberal che a fine anni Settanta fu impressa da Valerio Zanone, che nei fatti sviluppò quanto già Giovanni Malagodi aveva avviato, dopo un’opposizione al centro-sinistra che non gli aveva dato grandi frutti elettorali. Da einaudiano, Sforza Fogliani non poteva certo accettare quello slittamento verso sinistra: una scelta che forse andava incontro alle mode del tempo, ma che avrebbe reso ancor più inutile la presenza di quel partitino sulla scena pubblica.
In seguito è stato soprattutto grazie a Confedilizia che ho avuto modo d’incontrarlo, e confesso che mi ha sempre colpito come una realtà istituzionalmente schierata a difesa dei ben precisi interessi (più che legittimi!) dei proprietari di case nelle sue mani sia divenuta molto di più: un solido baluardo dei principi di libertà. Per Sforza Fogliani, in effetti, la tutela di chi ha una casa contro la voracità dello Stato tassatore era inscindibile dalla promozione – più in generale – di una società in cui gli individui e le famiglie fossero più forti e rispettati. Proprietà privata e libertà individuale dovevano andare di pari passo.
Anche quando lasciò l’associazione nelle mani di Giorgio Spaziani Testa, che ha continuato a governare la Confedilizia lungo le linee programmatiche definite da chi l’aveva preceduto, l’avvocato rimase sempre molto attento a quanto riguardava l’autonomia degli italiani da un potere pubblico sempre più soffocante.
Ricordo bene, ad esempio, che quando nel 2020 la pandemia cominciò a diffondersi egli mi contattò, chiedendomi di buttar giù un manifesto contro quella che egli volle giustamente definire la “pandemia statalista”. Sapeva bene come la peggior politica nazionale – da Giuseppe Conte a Mario Draghi – avrebbe sfruttato a proprio favore questa crisi per angariare ancor più tutti noi. E un giorno egli mi confidò anche che, quando fu imposto l’obbligo vaccinale ai lavoratori dipendenti, fece tutto il possibile e anche di più per tutelare quei lavoratori della Banca di Piacenza che (per le ragioni più diverse) non avevano alcuna intenzione di subire il trattamento sanitario imposto dai poteri pubblici.
Alcune questioni erano per lui fuori discussione. Egli non avrebbe mai voluto una società dominata da obblighi e restrizioni, e anche per questo fu un accesso oppositore dell’Unione europea, burocratica e centralizzatrice. Aveva ben chiaro quali fossero le origini del progetto e in quale baratro esso rischi di trascinarci. D’altra parte, proprio alla guida di Confedilizia egli aveva voluto dare spazio a tutta una serie di tesi in tema di città private (“privatopie”) che non soltanto riaffermavano il legame tra libertà e proprietà, ma oltre a ciò s’opponevano alle logiche prevalenti in un establishment che vorrebbe controllare e regolare ogni cosa.
Uno dei tratti più rilevanti della sua personalità era riconoscibile nel suo saper sfidare i luoghi comuni. A dispetto degli abiti gessati e dell’aria rassicurante e pacata, Sforza Fogliani aveva un animo rivoluzionario: perché era una persona curiosa e in cerca della verità, perché detestava lo stile e le scelte delle nostre classi dirigenti, perché non doveva piacere a nessuno ma voleva invece essere fedele ai principi in cui credeva.
Anche per questo si batté, alla guida della banca della sua città (Piacenza), per un sistema bancario più plurale e vicino alle esigenze dei territori, facendo del suo istituto un centro propulsore della vita culturale della provincia.
Non è scomparso un liberale, un uomo di Confedilizia e un banchiere. È scomparso un grande uomo.
L’Istat ha reso noti i dati della raccolta differenziata. L’ultimo report si riferisce al biennio 2020-2021, e registra che nel primo anno di Covid-19 “diminuisce la produzione di rifiuti urbani rispetto al 2019, (-3,6%) mentre raggiunge il 63% la quota di raccolta differenziata che nel 2019 era pari al 61,3%”.
I NUMERI DELL’ISTAT SUI RIFIUTI URBANI
Sono tanti i numeri messi in fila dall’Istituto di statistica. Che evidenza, tra l’altro, la crescita delle famiglie (il 90%) “che dichiarano di aver sempre effettuato la raccolta differenziata nel 2021 (91,8% per la carta, 90,8% per la plastica e 91,1% per il vetro).
Sempre guardando alle famiglie, il 54% del totale utilizza le stazioni ecologiche per lo smaltimento dei rifiuti nel 2021.
“La flessione si è verificata in tutte le ripartizioni”, dettaglia il rapporto. E “in modo più consistente nel Centro (-5,4%), seguono Nord (-3,4%) e Mezzogiorno (-2,6%)”. Nel 2020, “la raccolta differenziata raggiunge il 63% del totale dei rifiuti urbani”, che vale “1,8 punti percentuali in più rispetto al 2019”. Anche se, “la crescita rallenta rispetto all’aumento medio annuo rilevato nel triennio precedente (+2,9 punti percentuali)”.
L’IMPORTANZA DELL’UE NELLA GESTIONE DEI RIFIUTI
Tanta la soddisfazione delle famiglie sulla raccolta porta a porta, sui costi anche economici della raccolta dei rifiuti. Ma è da evidenziare anche il coordinamento con le politiche europee.
“Al fine di disaccoppiare ciclo economico e pressione ambientale dovuta ai rifiuti, favorendo l’approdo all’economia circolare”, dice il rapporto, “l’Unione europea (Direttiva 2008/98/CE) mette al primo posto la prevenzione e la riduzione dei rifiuti attraverso buone pratiche e riuso, seguite dalla preparazione al riutilizzo e riciclaggio, da altri tipi di recupero (ad es. energetico) e, infine, dallo smaltimento di rifiuti non riciclabili. La gestione dei rifiuti in ogni sua fase deve essere, quindi, orientata al rispetto della sostenibilità, al fine di ridurre i danni alla salute umana e all’ambiente”.
E il lavoro, altrettanto, dei comuni è chiave. In chiave di “applicazione di politiche di prevenzione, riduzione e riciclo dei rifiuti urbani e di servizi per favorirne il corretto conferimento”.
In proposito, “le politiche di prevenzione e riduzione dei rifiuti urbani più diffuse nel 2020 riguardano le buone pratiche in uffici, scuole e nidi comunali”. E, tra l’altro, “particolarmente diffuse sono anche le campagne di sensibilizzazione in tema di prevenzione, svolte dal 54,6% dei capoluoghi”.
I lockdown fanno bene almeno ai rifiuti: cresce la raccolta differenziata
Cresce in Italia l’adozione di prodotti con funzionalità smart connessi a internet: 8 utenti su 10 (77%) sono propensi all’acquisto entro i prossimi due anni. Mentre 2 su 3 (67%) dichiarano di essere interessati a comprare almeno un oggetto tecnologico personale nello stesso arco temporale.
I risultati fanno parte di un’indagine condotta da Bva Doxa per Ul Solution, che si occupa di scienza della sicurezza applicata, su un campione di mille soggetti in Italia (50% uomini e 50% donne) tra i 18 e i 64 anni. Lo studio esamina quattro categorie di prodotti per la smart home, gestione della casa ed entertainment, elettrodomestici, safety & security ed efficienza energetica, e quattro nell’ambito dei dispositivi personali smart, oggetti indossabili per il fitness, prodotti per il monitoraggio della salute in tempo reale, sistemi di monitoraggio dei bambini e dispositivi per l’assistenza e il controllo delle persone fragili.
I lavoratori in smart working, in particolare quelli che hanno iniziato tra il 2020 e il 2021 sull’onda dell’emergenza pandemica, mostrano una propensione all’acquisto di prodotti smart maggiore rispetto al totale degli intervistati. Sono più frequentemente uomini (+8%) e con una concentrazione (+7%) nella fascia di età media (35-54enni).
Analizzando le tendenze d’acquisto, chi lavora da remoto ha comprato più dispositivi per la casa rispetto al totale del campione (+7%), in particolare più sistemi smart per l’efficientamento energetico (+ 9%), per la domotica e l’entertainment (+8%) ed elettrodomestici (+8%). La tendenza, da parte dei cosiddetti “smart workers” è ancora più evidente se si analizza il possesso di device personali (+12% nel complesso), in particolare i prodotti per l’health monitor (+9% negli ultimi due anni) e gli oggetti smart indossabili (+7%). Positiva, ma meno evidente, la differenza rilevabile per i prodotti per il monitoraggio e l’assistenza alle persone fragili (+3%).
Un dato rilevante è che, per tutte le tipologie di prodotti, c’è una richiesta di miglioramento delle funzionalità di privacy. La quota più alta, pari al 35%, spetta a chi ha acquistato un dispositivo connesso per il fitness, che chiede maggiore attenzione a privacy e riservatezza dei dati personali.
“Il sondaggio mette in luce la necessità di rafforzare la percezione della sicurezza e dell’affidabilità degli oggetti smart per rassicurare il consumatore” ha sottolineato Francesco Marenoni di Ul Solutions. “Per contribuire alla crescita del mercato è importante comunicare più chiaramente i vantaggi che derivano dall’utilizzo degli smart device poiché, come dimostra l’indagine, non sempre la portata e il possibile impatto positivo sul quotidiano risultano evidenti”.
Fonte: Agenzia Ansa