Per parlare di regime delle distanze in edilizia è necessario fare riferimento al diritto civile, in quanto è l’art. 873 a stabilire che tra le costruzioni deve essere assicurata una distanza minima. A questo, si aggiungono eventuali ulteriori indicazioni regolamentari, ad esempio contenute nei singoli Regolamenti edilizi comunali o leggi speciali che intervengono in materia, come ad esempio il DM 1444/68.
L’articolo 873 del codice civile: la distanza tra due costruzioni
L’articolo 873 del codice civile è il punto di partenza per approfondire il tema del regime delle distanze in edilizia. Il codice civile, con questo articolo, definisce che tra due costruzioni, anche se su fondi non contigui, devono essere assicurati almeno 3 metri di distanza. I regolamenti edilizi, poi, possono essere ulteriormente stringenti e aumentare quanto previsto dal codice civile.
Lo scopo è quello di assicurare che tutti gli edifici possano contare su adeguate condizioni di igiene e salubrità.- Una vicinanza eccessiva, infatti, potrebbe incidere negativamente sulla quantità di aria e di luce che raggiunge gli ambienti interni abitati, con conseguenze sul loro comfort e sulla qualità dell’aria. Per questo motivo, sono state introdotte la cosiddetta “zona di rispetto” e il criterio di prevenzione.
Il criterio di prevenzione e le possibilità di chi costruisce per primo
La zona di rispetto, secondo il criterio minimo di prevenzione, ha l’obiettivo di evitare intercapedini dannose. Tramite il principio di prevenzione, proprio per assicurare lo scopo appena detto, si offre a chi edifica per primo la possibilità di scegliere come costruire.
La scelta è triplice e prevede la possibilità di:
Costruire ad una distanza dal confine pari alla metà di quella totale che va rispettata tra due fabbricati. Quindi- se è di 3 metri- l’edificio verrà realizzato a 1,5 metri dal limite del fondo di proprietà.
Costruire ad una distanza inferiore rispetto alla metà di quella che andrebbe garantita tra i due fabbricati, a scelta del proprietario;
Costruire sul confine della proprietà, senza alcun distanziamento.
Da ciò deriva l’obbligo di chi costruisce successivamente di adeguarsi a quanto già realizzato e definire la distanza del proprio edificio da quello esistente in base ai limiti e alle condizioni previste per legge. Nel dettaglio, sono gli art. 873, 875 e 877 a regolare il principio di prevenzione.
Cosa può fare chi costruisce in un secondo momento
Quando si costruisce un edificio a fianco di uno esistente, quindi, si dovranno rispettare i limiti sopra definiti. Se il vicino ha costruito a 1,5 metri, ad esempio, anche chi realizza il secondo edificio dovrà rispettare la medesima distanza.
In alcuni casi, però, ci sono delle alternative valide. Ad esempio, nel caso ci sia un edificio esistente costruito sul confine, il secondo non è costretto ad arretrare di 3 metri. Una prima soluzione, infatti, è quella di costruire in appoggio, chiedendo la comunione forzosa del muro, o in aderenza e arrivando fino ad esso con il proprio edificio.
Si parla di costruzioni appoggiate se sono unite da un punto di vista strutturale e il muro è condiviso, di costruzioni in aderenza se i due edifici sono tra loro autonomi, ma senza alcuna intercapedine che li divide.
Una scelta simile può essere fatta anche quando il vicino ha costruito ad una distanza inferiore alla metà di quella totale prevista. In questo caso, chi costruisce per secondo può arrivare fino al fabbricato esistente, pagando il valore del muro, che diventerà comune, e del suolo occupato- . In realtà, in alcuni casi è anche possibile chiedere l’arretramento del fabbricato esistente o la demolizione di alcuni muri. Ad esempio, se l’edificio esistente presenta delle rientranze che non permettono la costruzione in linea retta lungo il confine, è possibile chiederne l’eliminazione.
Quando le distanze tra due edifici aumentano
L’art. 9 del DM 1444/1968 tratta di densità edilizia, altezze, distanze tra fabbricati e pone ulteriori limiti. Un primo aspetto da considerare riguarda la distanza tra due edifici antistanti separati da una strada.
In queste circostanze, la distanza minima corrisponde alla dimensione della strada che li divide, maggiorata di:
– 5 metri per lato se la larghezza della strada è inferiore ai 7 metri;
– 7,50 metri per lato, per strade tra 7 e 15 metri;
– 10 metri per lato, per strade di larghezza superiore a 15 metri.
Inoltre, nel decreto, viene fatta una distinzione tra le differenti zone territoriali omogenee secondo quanto indicato dalla Legge 6 agosto 1967, n. 765, secondo cui la Zona A raccoglie gli agglomerati urbani di carattere storico, artistico o di pregio ambientale; la Zona B le altre parti edificate; la Zona C le aree destinate alle nuove costruzioni.
Le indicazioni specifiche per queste aree, che modificano la regola dei 3 metri nel caso di almeno una parete finestrata, sono:
– Zone A: in caso di ristrutturazioni e risanamenti si deve mantenere almeno la distanza preesistente, senza considerare però eventuali costruzioni aggiuntive successive, di alcun valore storico, artistico o ambientale;
Tutti i nuovi edifici ricadenti in altre zone devono garantire almeno 10 metri di distanza tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
Se i nuovi edifici sono più alti di 12 metri, però, la distanza cresce e diventa pari all’altezza dell’edificio più alto dei due che si fronteggiano.
I termosifoni sono ormai indispensabili in tutte le abitazioni. Servono per riscaldare l’ambiente, prevengono la muffa lontana e spesso costituiscono un elemento di design per impreziosire la casa. Grazie ai numerosi bonus edilizi attualmente in vigore è possibile, almeno fino alla fine dell’anno in corso, detrarre la spesa per l’acquisto e il montaggio di nuovi caloriferi, radiatori e pannelli a pavimento o a parete.
La detrazione spetta a chi sostiene la spesa, anche se si tratta del nudo proprietario o dell’inquilino in affitto.
La sostituzione dei termosifoni è considerata un intervento trainato. Pertanto la legge richiede che, per usufruire delle agevolazioni fiscali, venga eseguito almeno un lavoro trainante, quale la sostituzione del generatore di calore con un impianto nuovo a condensazione con efficienza pari a quelle di Classe A; oppure l’isolamento termico dell’edificio; o, ancora, la sostituzione degli impianti di climatizzazione invernale esistenti con impianti centralizzati con efficienza almeno pari alla classe A, pompa di calore, ibridi o geotermici.
I richiedenti dell’agevolazione fiscale devono indicare nel modello 730 la spesa sostenuta per l’acquisto dei nuovi termosifoni e per il loro montaggio da parte della ditta incaricata. Fondamentale, per portare in detrazione la spesa, è che i pagamenti siano avvenuti tramite mezzi tracciabili, quindi con bonifico bancario o postale, e non in contanti o con carte di credito o debito. Il bonifico, inoltre, affinché sia riconosciuto dall’Agenzia delle Entrate, deve riportare le seguenti informazioni: data e numero della fattura emessa; codice fiscale o numero di partita IVA della ditta che riceve il pagamento; causale del bonifico “Detrazione del 50% ai sensi dell’art. 16/bis del DPR del 22 Dicembre 1986 n. 917 e successive modifiche”, dicitura espressamente indicata all’articolo 16-bis del Dpr 917/1986; codice fiscale del richiedente.
Il bonus termosifoni consiste nella detrazione IRPEF del 50% suddivisa in 10 quote annuali di pari importo. Il richiedente, a sua discrezione, può indicare il metodo che preferisce tra sconto in fattura da richiedere al fornitore, oppure la cessione del credito.
La detrazione massima spettante è pari a 48.000 euro, cioè il 50 per cento di 96.000 euro, il tetto massimo previsto dalla legge per ogni appartamento.
La detrazione del 50% sulla sostituzione dei termosifoni non richiede alcuna comunicazione al Comune di residenza e nemmeno all’amministratore se l’immobile è ubicato in un contesto condominiale. Questa tipologia d’intervento non è infatti considerata né manutenzione straordinaria, e neppure ristrutturazione interna. La ditta che esegue i lavori e il richiedente non sono quindi tenuti a comunicare l’inizio e la fine dei lavori all’ENEA, qualora si richieda il Bonus ristrutturazioni. L’unica documentazione obbligatoria per legge al fine di ottenere le agevolazioni fiscali è la certificazione della ditta.
Invece, chi acquista nuovi termosifoni richiedendo il bonus al 65% deve conservare l’asseverazione tecnica. Prima di eseguire i lavori è comunque opportuno verificare sul sito del Comune se anche per questa tipologia d’intervento sia richiesta una documentazione specifica.
Qui i soggetti che per legge possono usufruire delle agevolazioni fiscali per la sostituzione dei termosifoni sono i proprietari dell’immobile sul quale sono eseguiti i lavori; chi ne ha il diritto di godimento o la nuda proprietà; gli affittuari con regolare contratto di locazione. Sono autorizzati a detrarre la spesa coniuge, componente dell’unione civile, parenti entro il terzo grado e affini entro il secondo grado.
L’inquinamento e i relativi problemi di salute continuano ad aumentare in Europa. Fanalino di coda per l’Italia, dove secondo l’Agenzia europea dell’ambiente (Aea) l’inquinamento atmosferico miete più vittime nel nostro Paese che nel resto del continente. A questa notizia si aggiunge anche il report Mal’aria 2022 di Legambiente, il quale afferma che nelle 13 città italiane monitorate nessuna di queste rispetta i valori suggeriti dall’Oms e 3 li hanno “ampiamente” superati.
IL REPORT DI LEGAMBIENTE
I livelli di inquinamento atmosferico nel nostro Paese sono estremamente preoccupanti. A lanciare l’allarme è Legambiente, che nel suo report afferma: “In Italia l’emergenza smog è sempre più cronica e con la stagione autunnale-invernale la situazione rischia di peggiorare”.
Il documento fa il punto, da inizio anno ai primi di ottobre 2022, sulla qualità dell’aria di 13 città italiane, ponendo l’attenzione anche sul tema delle politiche sulla mobilità urbana.
CODICE ROSSO PER LE TRE CITTÀ PIÙ INQUINATE
Per quanto riguarda il PM10 (materiale particolato solido o liquido disperso finemente nella bassa atmosfera), la soglia di 35 giorni da non superare con una media giornaliera superiore ai 50 microgrammi/metro cubo, è stata ampiamente superata con almeno una delle centraline, in 3 delle 13 città analizzate. Le tre città in codice rosso, che si trovano quindi fuori dai limiti di legge sono Torino, Milano e Padova, rispettivamente con 69, 54 e 47 giornate di sforamento.
CODICE GIALLO: TUTTE LE ALTRE 10 CITTÀ
Va leggermente meglio per le altre 10 città prese in considerazione. Ma anch’esse, seppur in misura minore, superano i limiti di legge.
Codice giallo quindi per Parma (25), Bergamo (23), Roma (23) e Bologna (17), che hanno già consumato la metà dei giorni di sforamento. A seguire, Palermo e Prato (15), Catania e Perugia (11) e Firenze (10).
TUTTI I LIMITI NON RISPETTATI
Nessuna delle 13 città monitorate rispetta poi nessuno dei tre valori suggeriti dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): il PM10 (15 microgrammi/metro cubo), il PM2,5 (5 microgrammi/metro cubo) e l’NO2 (10 microgrammi/metro cubo).
Il PM10 – afferma la ricerca – ha una media annuale, eccedente il valore Oms, che oscilla dal +36% di Perugia, passando per città come Bari (+53%) e Catania (+75%), fino ad arrivare al +121% di Torino e +122% di Milano.
Situazione ancora più critica per quanto riguarda il PM2,5 (ovvero le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 micron), dove lo scostamento dai valori Oms oscilla tra il +123% di Roma al +300% di Milano.
Male anche per il biossido di azoto (NO2): l’eccedenza dei valori medi registrati rispetto al limite dell’Oms varia tra il +97% di Parma fino al +257% di Milano.
L’IMPATTO SULLA SALUTE
Questi dati, oltre a rendere l’Italia suscettibile a nuove procedure d’infrazione e multe miliardarie, porta con sé anche importanti ricadute anche sulla salute. Infatti, secondo le ultime stime dell’Agenzia europea ambiente (Eea), il 17% dei morti per inquinamento in Europa è italiano (1 su 6).
L’Italia, afferma l’Eea, è tra i Paesi con i maggiori rischi per la salute in termini di decessi prematuri e anni di vita persi attribuibili all’esposizione sia del PM2,5 che dell’NO2 e dell’ozono (O3).
In particolare, nel 2019 in Italia l’esposizione al PM 2,5 è stata collegata a: 49.900 morti premature, 504.400 anni di vita persi e 843 anni di vita persi per 100.000 abitanti.
L’esposizione all’NO2, invece, è stata collegata a: 10.640 morti premature, 107.600 anni di vita persi e 180 anni di vita persi per 100.000 abitanti.
Infine, all’esposizione all’O3 sono attribuiti: 3.170 morti premature, 33.200 anni di vita persi e 55 anni di vita persi per 100.000 abitanti.
L’INSOSTENIBILE MANCANZA DI SOSTENIBILITÀ
Intervenire subito non è più un’opzione ma una necessità. Infatti, per ridurre le emissioni di gas serra del 55% (rispetto al 2005) entro il 2030, come stabilito a livello europeo, secondo il direttore generale di Legambiente, bisogna agire su due fronti distinti, ma complementari.
“Il primo – ha detto Zampetti – riguarda la formulazione di misure di incentivo che favoriscano la scelta del trasporto pubblico locale e altre forme di mobilità sostenibile, nonché disincentivi all’utilizzo dell’auto privata. Il secondo è relativo alla formulazione di mobilità alternativa all’automobile. Necessaria, soprattutto, un’accelerazione negli investimenti a sostegno del Traporto Pubblico Locale e delle infrastrutture, come tram e ferrovie urbane. Il nuovo governo ha dunque un’importante sfida di fronte a sé: avviare la transizione green della mobilità del Paese, adottando le linee guida del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibili”.
Articolo ripreso da EnergiaOltre
Gli investimenti in costruzioni hanno segnato due anni di “crescita record”, del 20% nel 2021 e del 12% nel 2022, secondo i dati dell’Osservatorio congiunturale dell’Ance. Ma nel 2023 il centro studi dell’associazione dei costruttori prevede un ritorno del segno negativo con un calo degli investimenti del 5,7%.
In particolare “la riqualificazione degli immobili, con lo scadere degli incentivi per le unifamiliari, subirà una brusca frenata (-24%)” mentre è atteso un “incisivo aumento delle opere pubbliche (+25%) von l’avvio dei cantieri Pnrr”.
A trainare il settore delle costruzioni sono i bonus edilizi, secondo l’osservatorio congiunturale dell’Ance. Il “protagonista principale” della ripresa degli investimenti è il comparto della riqualificazione immobili residenziali (+22% nel 2022) che rappresenta il 40% dell’intero mercato delle costruzioni. “Tale risultato – per l’Ance – è stato raggiunto grazie ai bonus edilizi e al meccanismo della cessione del credito”.
Fonte: Agenzia Ansa
Un accordo di collaborazione esclusiva è stato siglato tra I-am, società di Altea Federation specializzata in monitoraggio delle infrastrutture e sicurezza impianti, e Confedilizia, associazione che riunisce i proprietari immobiliari in Italia.
L’obiettivo – si legge in una nota – è realizzare strumenti digitali e tecnici per la valorizzazione degli immobili. Il progetto si basa su tre punti cardine, per offrire una migliore gestione del patrimonio immobiliare italiano: gestione predittiva e preventiva dei rischi; gestione dei cicli manutentivi; gestione della sostenibilità degli interventi.
La collaborazione sarà in primo luogo volta a informare i proprietari immobiliari sulle potenzialità dei servizi per gli edifici, in relazione ai processi di digitalizzazione, monitoraggio, manutenzione e gestione predittiva dei rischi, conformità ed efficientamento del ciclo di gestione degli investimenti, sostenibilità e salvaguardia della vita umana.
Confedilizia e I-am si sono inoltre impegnate a definire proposte normative sulle tematiche di reciproco interesse da sottoporre all’attenzione dell’esecutivo e del Parlamento. “Confedilizia ha sempre avuto nella sua strategia di servizio associativo la volontà di sviluppare la cultura della qualità nel campo immobiliare”, commenta Domenico Andreis, ceo e General Manager di I-am. “In perfetta coerenza con questa logica di crescita e collaborazione, I-am ha sviluppato innovativi strumenti digitali e tecnici di gestione avanzata della proprietà e di asset immobiliari complessi”. “L’innovazione e la tecnologia sono elementi imprescindibili per lo sviluppo dei servizi negli edifici. Se adeguatamente governati, potranno fungere da moltiplicatori di conoscenza e da volano per la crescita dei valori immobiliari e del comparto”, rileva Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia.
Fonte: Agenzia Ansa
A chi spettano la manutenzione, la riparazione e la sostituzione della caldaia? Al proprietario o all’inquilino? Se per quanto riguarda la sostituzione e la riparazione la risposta può sembrare scontata, non è così per quanto riguarda la manutenzione, che può essere ordinaria o straordinaria.
La manutenzione ordinaria della caldaia spetta all’inquilino, così come la sostituzione di piccoli componenti che con il corso del tempo e l’utilizzo si possono usurare. Anche la pulizia periodica dei filtri a ogni cambio di stagione è di competenza dell’inquilino, così come la Certificazione di conformità obbligatoria e il pagamento della tassa alla Asl.
Diverso, invece, il caso di riparazione di una caldaia o di sostituzione di pezzi più importanti. Lo ha stabilito la sentenza n. 19.744 del 2014, che differenzia la manutenzione ordinaria da quella straordinaria. Per “manutenzione straordinaria” si intende proprio il rifacimento dell’impianto in seguito alla rottura di uno dei componenti dell’impianto. Può accadere anche che la responsabilità non sia dell’inquilino, è che la caldaia sia rimasta danneggiata da fulmini o sbalzi di corrente, e quindi in questi casi sarà comunque il proprietario a dover pagare le spese di riparazione.
L’adeguamento dell’impianto della caldaia spetta sempre al locatore. Se invece il guasto alla caldaia è dovuto all’inquilino, cioè alla mancanza di manutenzione ordinaria, le spese dovrà pagarle l’inquilino.
In sintesi, dunque, l’inquilino è responsabile della manutenzione ordinaria; mentre il proprietario dell’abitazione è responsabile della manutenzione straordinaria.
Con gli aumenti delle bollette, l’inflazione alle stelle e i prezzi record dei beni alimentari, risparmiare è la parola d’ordine. È fondamentale, quindi, bilanciare i costi ed evitare gli sprechi.
I metodi per risparmiare energia e abbattere i costi degli aumenti in bolletta sono molti. È comunque importante sapere che molto spesso fino al 75% del consumo totale di elettricità è dovuto ai cosiddetti carichi fantasma: gli apparecchi consumano energia anche quando sono in stand-by, quindi è necessario staccare le prese per evitare di consumare anche quando i dispositivi non vengono utilizzati.
Per risparmiare energia in cucina, lasciando da parte la cottura della pasta senza fuoco, è possibile adottare molti metodi. Per esempio, utilizzando il forno è bene non aprirlo inutilmente quando è in funzione, oppure utilizzare la cottura ventilata, che consente di velocizzare la cottura degli alimenti e quindi di risparmiare sui tempi di funzionamento. Una buona abitudine è anche quella di pulire il forno dopo ogni utilizzo così da mantenerlo sempre pulito: i residui di cibo provocano infatti un notevole dispendio di energia durante l’accensione. Inoltre, è bene ricordare che il forno a microonde consuma la metà rispetto a quello tradizionale. Per risparmiare tra i fornelli, è inoltre necessario ricordare di utilizzare soltanto pentole metalliche; cucinare grandi quantità di cibo da conservare e consumare in seguito; utilizzare il coperchio quando è possibile; utilizzare il fornello adeguato alle dimensioni della pentola che si sta utilizzando; assicurarsi che la fiamma del fornello sia di colore blu (una fiamma di colore diverso indica un’inefficienza nella combustione); mantenere le pentole lucide e pulite; utilizzare pentole a pressione.
Cala la bolletta gas per le famiglie ancora in tutela. Nonostante i record nei mercati all’ingrosso della scorsa estate, con l’applicazione del nuovo metodo di aggiornamento mensile dell’ARERA si sono potute intercettare le significative riduzioni di costo della materia prima delle ultime settimane.
La famiglia tipo (che ha consumi medi di gas di 1.400 metri cubi annui), per i consumi effettuati nel mese di ottobre, riceverà una bolletta con una riduzione del -12,9% rispetto al costo del III trimestre 2022.
In base al nuovo metodo di calcolo introdotto a luglio dall’ARERA, la componente del prezzo del gas a copertura dei costi di approvvigionamento (CMEMm), applicata ai clienti ancora in tutela, viene aggiornata come media mensile del prezzo sul mercato all’ingrosso italiano (il PSV day ahead) e pubblicata entro i primi 2 giorni lavorativi del mese successivo a quello di riferimento.
Per il mese di ottobre il prezzo della materia prima gas (CMEMm), per i clienti con contratti in condizioni di tutela, è quindi fissato in 78,05 €/MWh*, pari alla media dei prezzi rilevati quotidianamente durante tutto il mese appena trascorso.
In termini di effetti finali, la spesa gas per la famiglia tipo nell’anno scorrevole (compreso tra il 1° novembre 2021 e il 31 ottobre 2022) è di circa 1.702 euro, +67% rispetto ai 12 mesi equivalenti dell’anno precedente (1° novembre 2020 – 31 ottobre 2021).
Per chi avesse ricevuto, nelle scorse settimane, una bolletta con il valore in acconto della componente CMEMm, il ricalcolo sarà effettuato nella prima bolletta utile con il valore effettivo (più basso) pubblicato oggi. Lo stesso valore CMEMm dovrà essere usato dai venditori per fatturare, a titolo di acconto, i consumi del mese di novembre nelle bollette inframensili.
“Non abbassiamo la guardia. Il costo del gas per ottobre registra un calo rispetto al trimestre precedente – afferma Stefano Besseghini, presidente di ARERA – ma le percentuali non devono trarre in inganno. I valori rimangono molto alti rispetto al passato e, se è vero che hanno avuto un impatto modesto per le famiglie nel periodo estivo, determineranno bollette più impegnative con il crescere dei consumi della stagione invernale, con prezzi che sono previsti in risalita per la maggiore domanda dei mesi freddi. L’invito resta quindi quello a fare attenzione al risparmio e all’efficienza energetica. L’impegno dell’Autorità resta massimo, per garantire la tenuta dell’intero sistema energetico quale prima condizione necessaria per la tutela del consumatore”.
Si ricorda che, come previsto dal decreto “Aiuti Bis”, per tutto il IV trimestre ARERA ha azzerato gli oneri generali di sistema anche per il settore gas, confermando anche l’applicazione della componente negativa UG2 a vantaggio dei consumi gas fino a 5.000 smc/anno.
Interventi che, assieme alla conferma della riduzione Iva sul gas al 5%, supportano la generalità delle utenze gas. Sempre in rispetto del DL Aiuti bis, fino alla fine dell’anno è confermato anche il potenziamento del bonus sociale per il gas, rivolto alle famiglie con un livello di ISEE fino a 12.000 euro (soglia che sale a 20.000 euro per le famiglie numerose). I bonus sono erogati direttamente in bolletta a tutte le famiglie aventi diritto, a condizione che abbiano richiesto un ISEE per l’anno 2022.
Comunicato Stampa Arera
Il peso dell’inflazione si farà sentire in maniera particolare per chi è in affitto, considerando che l’importo del canone dovuto può essere soggetto ad adeguamento periodico sulla base dell’aumento dei prezzi al consumo calcolato dall’ISTAT.
L’adeguamento degli affitti riguarda i contratti che prevedano espressamente tale possibilità, e ammonta fino al 100 per cento della variazione registrata dall’ISTAT per quelli a canone libero, mentre non può superare il 75 per cento per i contratti a canone concordato.
Questa la regola generale che, però, lascia fuori i contratti d’affitto per i quali il locatore ha optato per il regime di tassazione a cedolare secca.
Il comma 11, articolo 3 del decreto legislativo n. 23/2011 prevede infatti: “Nel caso in cui il locatore opti per l’applicazione della cedolare secca è sospesa, per un periodo corrispondente alla durata dell’opzione, la facoltà di chiedere l’aggiornamento del canone, anche se prevista nel contratto a qualsiasi titolo, inclusa la variazione accertata dall’ISTAT dell’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nell’anno precedente.”
La cedolare secca blocca quindi l’adeguamento del canone all’inflazione.
L’aumento del costo della vita registrato nel corso del 2022, e che ad agosto ha toccato la soglia del +8,1 per cento rispetto allo scorso anno, non avrà quindi ripercussioni sui contratti d’affitto assoggettati all’imposta sostitutiva del 21 o del 10 per cento.
Bisognerà invece valutare caso per caso la convenienza della cedolare secca.
Considerando il parametro registrato ad agosto, pari all’8,1 per cento, su un canone di importo pari a 1.000 euro la rivalutazione monetaria è pari a 81 euro mensili, ossia 972 euro all’anno. Questo l’importo al quale dovrebbe “rinunciare” chi sceglie di applicare la cedolare secca in luogo delle ordinarie aliquote IRPEF.
La convenienza del regime di tassazione sostitutivo di IRPEF, addizionali, imposte di bollo e di registro dovrà quindi essere valutata considerando il risparmio garantito dalla cedolare secca, rispetto all’incremento del canone d’affitto previsto in caso di tassazione ordinaria.
In linea di massima risulta quasi sempre più vantaggiosa l’applicazione della cedolare secca del 10 per cento, prevista tuttavia in pochi e specifici casi.
Più cautela invece se si applica la cedolare secca del 21 per cento e, in questo caso, per valutare se conviene o meno la tassazione sostitutiva sarà fondamentale valutare il proprio scaglione IRPEF e le eventuali deduzioni o detrazioni spettanti che riducono l’imposta dovuta.
Un calcolo da fare quindi caso per caso, valutando la propria situazione specifica. Quello che è certo è che l’aumento del costo della vita registrato dall’ISTAT nel 2022, e che potrebbe salire ben oltre l’8,1 per cento di agosto, avrà più conseguenze e impatterà anche sul fronte delle scelte fiscali delle famiglie.
Televisori, forni a microonde, telefoni cordless, computer, console videogiochi, stampanti, anche se spenti, finiscono quindi per incidere sulla bolletta. Di solito non ci si fa caso, nella convinzione che il loro consumo sia davvero irrisorio. Ma con il costo dell’energia elettrica salito alle stelle, ecco che l’incidenza sulla bolletta si fa importante, soprattutto se i dispositivi in stand by sono cinque o sei. In questo periodo, risparmiare sul costo delle bolletta energetica è diventato importante. È quindi fondamentale gestire correttamente anche i dispositivi solitamente lasciati in stand by, staccandoli dalla presa di corrente quando abbiamo finito di utilizzarli. Si tratta di piccoli e semplici accorgimenti, che se adottati permettono di ricevere una bolletta più economica.
I dispositivi che consumano di più in stand by, sono, nell’ordine: Forno a microonde: circa 27 kWh; Console videogiochi: circa 10 kWh; Caffettiera elettrica: 8 kWh; Televisore: circa 5 kWh; Cordless: 2,9 kWh; Computer desktop: da 1,5 a 5,5 kWh; Caricabatterie: 0,26 kWh.
Anche il caricabatterie del cellulare sempre inserito in corrente ma non utilizzato consuma, così come il modem wi-fi per connettersi ad internet e spesso lasciato accesso h24.
Tutti questi elettrodomestici lasciati in corrente, anche quando non è necessario, sprecano un’enormità di energia. Si stima che a livello mondiale lo spreco valga circa 60 miliardi di euro. Per una singola famiglia italiana, le lucine degli elettrodomestici in stand by incidono sul costo della bolletta per circa l’8%.
Quanto ai consumi annui un’analisi effettuata dal team di E.ON su 1300 clienti domestici ha stimato che ogni utente consuma in media 2400 kWh/anno. Su questo consumo, il totale sprecato dagli elettrodomestici lasciati in stand by è di 600 kWh/anno. Che vuol dire circa il 25%.