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Incredibile! Ignoranza su Art. 13.2 Legge 220/12?

A cura di: Giorgio Cambruzzi – Presidente ANACI di Padova

Dal 2004 al 2012 il Senatore Franco Mugnai mise mano alla riforma del Codice Civile in materia di Condominio.

Si rese conto come ogni singolo articolo presentasse mille e più interpretazioni contrastanti che erano, di volta in volta, sviscerate dagli avvocati a seconda dell’indirizzo scelto nelle loro alterne vertenze.

Il Senatore Mugnai, con quanto stabilito al punto 4 dell’art. 13.2 della Legge 220/12 (ora punto 4 dell’art. 1135 Cod. Civ.) intendeva certamente tutelare l’Impresa esecutrice dei lavori straordinari, approvati dall’Assemblea, per la liquidazione dei lavori eseguiti, ma nel contempo intendeva garantire i condomini virtuosi a non essere coinvolti in controversie legali per il mancato rispetto economico.

Il Senatore Mugnai, negli anni dedicati alla riforma, aveva accertato con che faciloneria molti amministratori appaltavano lavori, anche economicamente importanti, senza l’accantonamento preventivo della spesa.

In quel tempo la naturale conseguenza era il Decreto Ingiuntivo richiesto dall’Impresa creditrice, non contro l’amministratore che incautamente aveva sottoscritto il contratto d’appalto perché semplice mandatario, ma contro il condominio.

Ottenuto il Decreto Ingiuntivo, l’Impresa notificava il precetto al condomino che palesemente sembrava essere il più facoltoso. Questi, prima insultava e contestava l’amministratore propagandandone la revoca, poi correva dai morosi per recuperare le singole quote,

Ora non è più così; l’Impresa che non ha incassato il saldo si fa rilasciare dall’amministratore l’elenco completo dei condomini morosi con la quota economica non corrisposta.

Singolarmente per ogni condomino moroso l’Impresa chiede ed ottiene il Decreto Ingiuntivo, comprensivo anche degli oneri legali, e notifica il tutto al moroso.

Se non ci saranno intoppi, entro un anno l’Impresa recupererà oneri legali e quota condominiale non corrisposta.

Se ci saranno intoppi, ossia: condomino nulla tenente; condomino fallito; condominio defunto; eccetera, allora la procedura inverte la rotta a 180°.

La procedura giudiziaria per accertare l’insolvenza, dura dai quattro ai sei anni.

Solo dopo la dichiarazione d’insolvenza, finalmente l’Impresa potrà rivolgersi al Condominio, richiedendo la quota del condomino moroso, oltre al rimborso di tutte le spese legali sostenute nei 4/6 anni di dibattiti.

Oltre alle varie problematiche discusse e dibattute dall’estate 2020 sul Bonus Fiscale 110%, da aprile 2021 tutti gli esperti (tecnici, opinionisti, legali, ecc. ecc.), nonché l’Agenzia delle Entrate, si sono dilettati a scrivere le interpretazioni più varie e fantasiose, nonchè esprimere giudizi imperiosi su come ci si deve comportare per risolvere l’imperativo “punto 4 art. 1135 Cod. Civ.”.

Che tristezza; volano talmente in alto che non ricordano la realtà terrena!

L’art. 1135 del Codice Civile è uno dei pochi articoli derogabili. In effetti non è elencato tra gli articoli inderogabili indicati nell’ultimo comma dell’art. 1138 del Codice Civile.

Perché accanirsi a scrivere teorie fantasiose prive di fondamento?

Perché aumentare la confusione interpretativa sul 1135.4 del C.C.?

Di che credibilità possono ancora vantarsi, constatata la loro superficialità macroscopica?

L’amministratore, sufficientemente preparato, come l’Associato ANACI Padova, indica all’ordine del giorno dell’Assemblea, tra gli altri punti:

  • Deroga Art. 1135.4 del Cod. Civ.

Il verbale dell’Assemblea, che ha approvato la deroga, deve essere scrupolosamente conservato, per essere eventualmente esibito ai Funzionari che dovessero verificare i documenti atti a ottenere le agevolazioni fiscali.

Anche questo trabocchetto del Bonus 110 è superato.

Quanto rumore per nulla!

È onere del condominio richiedere la proroga della mediazione qualora manchi la delibera assembleare

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Il Tribunale di Venezia, con la sentenza n. 1416 del 7 luglio 2021, ha stabilito che, nel caso in cui manchi la delibera dell’assemblea, spetta al condominio richiedere la proroga della mediazione.

Nel caso in esame, il condomino Caio instaurava una controversia ai fini dell’annullamento/nullità di una delibera assembleare del condominio Alfa, il quale, a sua volta, sollevava eccezione di irregolarità della procedura di mediazione.

Il Tribunale rigettava l’eccezione, osservando che, se da un lato è vero che, ai sensi dell’art. 71 quater, commi 3 e 4, disp. att. c.c. “Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1135, secondo comma, del codice” e che “Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone…idonea proroga della prima comparizione”, dall’altro è anche vero che la predetta proroga deve essere richiesta “su istanza del condominio”.

Nella vicenda in esame, la documentazione allegata dal patrocinio del condominio metteva in luce il fatto che l’Organismo di mediazione, con nota del 5/9/2019, invitava il condominio ad aderire alla procedura e che lo stesso Organismo, a fronte della risposta dell’amministrazione condominiale, pregava l’amministratore non solo di voler convocare l’assemblea nei tempi d’urgenza, ma anche di voler fornire una risposta in breve tempo. A tale richiesta formulata dall’Organismo di mediazione seguiva la totale inerzia del condominio convenuto, tant’è che si provvedeva a fissare il primo incontro alla presenza delle parti per il giorno 16/10/2019, dunque a distanza di oltre un mese dalla missiva.

Evincendosi dall’inciso “su istanza del condominio” di cui al suddetto disposto normativo come ricadesse in capo al condominio l’onere di attivarsi per ottenere la proroga, in verità quest’ultimo non aveva fatto più pervenire alcuna risposta all’Organismo di mediazione, né tantomeno alcuna nota giustificativa.

Il singolo condomino non ha diritto di appello

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

La Corte d’Appello di Milano, con la sentenza n. 2008 del 30 giugno 2021, ha stabilito che ai singoli condòmini non spetta il diritto di appellare la sentenza pronunciatasi sulla validità della deliberazione assembleare impugnata.

Legittimato a ciò è solo l’amministratore, in quanto trattasi di controversie che non hanno ad oggetto i diritti su di un bene o su di un servizio comune, ma la gestione di esso.

Nel caso in esame, l’appellante ha invocato il principio enunciato dalla Suprema Corte a Sezioni Unite, secondo cui “Nelle controversie condominiali che investono i diritti dei singoli condòmini sulle parti comuni, ciascun condòmino ha, in considerazione della natura dei diritti contesi, un autonomo potere individuale – concorrente, in mancanza di personalità giuridica del condominio, con quello dell’amministratore – di agire e resistere a tutela dei suoi diritti di comproprietario “pro quota”, sicché è ammissibile il ricorso incidentale tardivo del condòmino che, pur non avendo svolto difese nei precedenti gradi di merito, intenda evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio senza risentire dell’analoga difesa già svolta dallo stesso” (Cass., Sez. Unite, n. 10934 del 18 aprile 2019).

I giudici di merito, richiamando una decisione della giurisprudenza di legittimità, hanno sottolineato che “laddove oggetto del ricorso sia un diritto afferente alla sfera di ogni singolo condòmino, ciascuno di essi può autonomamente far valere la situazione giuridica vantata. A tal fine può avvalersi personalmente dei mezzi d’impugnazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio”.

Tuttavia, detto principio non si applica alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari (Cass., sent. n. 29748/2017); essendo in discussione esigenze di carattere collettivo, la legittimazione attiva e passiva spetta in via esclusiva all’amministratore, la cui acquiescenza alla sentenza esclude la possibilità di impugnare da parte del singolo condòmino.

Poi ancora la Corte distrettuale ha fatto riferimento ad un’altra pronuncia della Cassazione, secondo cui nelle controversie aventi a oggetto l’impugnazione di deliberazioni assembleari, dal momento che unico soggetto legittimato passivo è l’amministratore, l’eventuale intervento del singolo condòmino è adesivo dipendente, sicché questi non è ammesso a proporre gravame avverso la sentenza che abbia visto soccombente il condominio. “La legittimazione passiva esclusiva dell’amministratore del condominio nei giudizi relativi alla impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea promossi dal condomino dissenziente discende dal fatto che la controversia ha per oggetto un interesse comune dei condomini, ancorché in opposizione all’interesse particolare di uno di essi” (Cass., ord. n. 2623/2021).

Nel caso in esame, la condòmina appellante non ha allegato di essere in alcun modo, direttamente o indirettamente, lesa nei suoi diritti dall’esecuzione dei lavori avviati dal proprietario dei locali sottostanti il tetto comune, né la stessa ha esposto di aver subìto una lesione dei suoi diritti da parte del predetto condòmino, nemmeno quale comproprietaria pro quota.

Bonus facciate: l’Agenzia delle Entrate conferma l’estensione anche ai balconi

A Cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Il bonus facciate è un’agevolazione fiscale messa a disposizione dallo Stato per coloro che devono eseguire specifiche opere sulla facciata esterna di un edificio.

Più precisamente, trattasi di un’agevolazione consistente in una detrazione di imposta del 90% su determinati interventi eseguiti sulle parti esterne degli immobili.

Il bonus facciate riguarda esclusivamente gli immobili situati nei centri delle città, individuati come edifici urbani, che fanno parte dei centri storici o di zone contigue, e non trova applicazione durante la costruzione di nuovi edifici.

Per poter usufruire del bonus facciate, occorre specificare i dati dell’immobile al momento della dichiarazione dei redditi e presentare tutte le spese effettuate, con metodo tracciabile, per eseguire i lavori.

La detrazione consiste in un credito d’imposta applicato per il periodo di tempo di 10 anni, oppure è possibile richiedere l’accesso all’agevolazione attraverso i seguenti sistemi alternativi:

  • sconto in fattura: trattasi di uno sconto applicato direttamente da chi esegue gli interventi, a beneficio di chi usufruisce del bonus, direttamente in fattura;
  • cessione del credito: tale modalità prevede l’accumulo di un credito cedibile a terzi.

Possono beneficiare dell’agevolazione in questione i soggetti fisici, anche se svolgono attività professionale autonoma, ma anche gli enti e le società, dal momento che tale bonus è esteso anche nell’ipotesi in cui gli immobili vengano utilizzati come strutture per attività d’impresa.

Con Risposta ad interpello n. 482 del 15 luglio 2021, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il bonus facciate può essere esteso anche agli interventi da eseguire sui balconi.

L’interrogazione riguardava lavori da svolgere sui parapetti dei balconi di un hotel, con inclusa l’installazione di oggetti per l’illuminazione.

Questa la risposta fornita dall’Agenzia:

“Trattandosi di rinnovo degli elementi costitutivi dei balconi, l’Istante ritiene che l’intervento sui parapetti possa rientrare tra quelli agevolabili con il “bonus facciate” e pertanto sia consentita la detrazione delle spese relative al rifacimento dei parapetti stessi, secondo le ipotesi progettuali sopra descritte”. Inoltre, “Con riferimento all’installazione dei corpi illuminanti a soffitto o a parete, nel presupposto che si tratti di opere accessorie e di completamento dell’intervento sulle facciate esterne nel suo insieme i cui costi sono strettamente collegati alla realizzazione dell’intervento stesso (cfr. risposta n. 520 del 2020), il bonus facciate spetta nel caso in cui tali interventi si rendessero necessari per motivi “tecnici”.

Sfratti: in arrivo uno tsunami

Dal 1 luglio riprendono le esecuzioni di sfratto in applicazione delle sentenze emesse fino al 29 febbraio 2020. Poi altre scadenze saranno dal 30 settembre 2021 e dal 31 dicembre 2021. Già dal 1 luglio saranno circa 80.000 le richieste di esecuzione che si riverseranno sui commissariati, solo a Roma 4500.

Si sappia: i Comuni italiani non hanno alcuna possibilità di affrontare questa ondata di sfratti, non hanno case popolari per garantire il passaggio da casa a casa e le risorse per contributi affitto e morosità incolpevole o non sono stati utilizzate o neanche ripartite alle Regioni”. Così Walter De Cesaris, segretario nazionale Unione Inquilini. “C’è una evidente responsabilità politica che si sono assunti Governo, Regioni e Comuni che nei scorsi 16 mesi da una parte non hanno previsto ristori per proprietari, facendo così ulteriormente incancrenire i rapporti tra inquilini e proprietari- denuncia De Cesaris- e, dall’altra, non hanno utilizzato questo tempo per definire un piano nazionale per realizzare, attraverso il recupero e senza consumo di suolo, le 500.000 case popolari di cui in Italia c’è necessità”.

Cosi dal PNRR “è scomparsa una voce di finanziamento per quella che sarebbe stata ed è una grande opera infrastrutturale strategica sociale, ovvero dotare l’Italia di un numero adeguato di case popolari”, prosegue il segretario nazionale Unione Inquilini, “oggi il tempo è scaduto ed è necessario mettere in atto iniziative per tentare almeno di ‘governare’ gli sfratti impedendo che siano derubricati a questione di ordine pubblico.

Per l’Unione Inquilini “è necessario che:

a) presso le prefetture si attivino tavoli di crisi per l’esecuzione degli sfratti garantendo il passaggio da casa a casa;

b) che gli enti pubblici o a partecipazione pubblica ad esempio Inps, Ferrovie, Ministero della difesa, Ipab etc mettano a disposizioni dei comuni anche temporaneamente il loro patrimonio inutilizzato che consta di decine di migliaia di alloggi;

c) che il Ministero delle infrastrutture ripartisca immediatamente le risorse dei fondi contributi affitto e morosità incolpevole stanziati dall’ultima legge di bilancio”. A medio e lungo termine “è necessario che la questione abitativa entri nell’agenda politica italiana e si proceda alla definizione di un vero piano nazionale di edilizia residenziale pubblica a canone sociale”, prosegue Unione Inquilini. Infine, Unione Inquilini “raccoglierà le richieste di sfrattati per chiedere un intervento sul Governo italiano da parte del Relatore Onu sul diritto alla casa in quanto l’Italia ha aderito a convenzioni internazionali nelle quali si esplicita il diritto alla casa e che questi in casi di sgomberi e sfratti si attua prevedendo prima il passaggio da casa a casa”.

Le detrazioni fiscali dipendono dall’uso del bonifico “parlante”

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Escrementi di colombi in condominio: problem solving.

A Cura di: Dott. Emanuele Mascolo

Una problematica che non può passare inosservata, soprattutto alla stregua dell’emergenza sanitaria Covid19 che stiamo vivendo, quella degli escrementi di colombi in condominio è relativa soprattutto all’igiene in condominio e alla salubrità delle parti comuni.

Spesso i colombi nidificano sui cornicioni o sulle terrazze e gli escrementi finiscono o sui balconi di degli immobili sottostanti il cornicione oppure nel cortile, finendo per sporcare le parti comuni.

In entrambi i casi, deve chiarirsi che la questione riguarda l’intero condominio, quindi le spese per addivenire all’istallazione di dissuasori, vanno ripartite tra tutti i condomini in base alla porzione millesimale di proprietà.

Infatti, la dottrina sul punto sostiene che “anche se si tratta di installare dissuasori su un cornicione divenuto ricettacolo per i colombi che, stazionandovi, sporcano il balcone sottostante, l’intervento può considerarsi doveroso e la spesa va ripartita in ragione del valore proporzionale[1]. Allorquando la situazione divenga esasperata, ogni condomino può chiedere all’Amministratore di Condominio, di convocare l’assemblea per discutere il da farsi, tenendo conto che l’installazione dei dissuasori è da ritenere innovazione a tutti gli effetti, al fine di garantire la salubrità condominiale.

Ne discende che l’assemblea condominiale, ai sensi dell’articolo 1136, comma 2, del codice civile,  deve deliberare con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

A parere di chi scrive, la situazione potrebbe anche degenerare – tenuto conto anche dell’era Covid19 e dei rischi di infezioni – un una vera e propria emergenza condominiale, a tal punto che l’Amministratore pro tempore possa intervenire senza l’autorizzazione del deliberato assembleare, trattandosi di urgenza, come dispone expressis verbis, l’articolo 1135, comma 2, del codice civile, dovendone riferirne nella prima assemblea.

Va precisato che, sia nel caso in cui l’assemblea non deliberi, ovvero nel caso in cui l’Amministratore di Condominio non vi provveda in caso di urgenza, ciascun condomino che vi abbia l’interesse, può provvedervi in autonomia, previa comunicazione all’Amministratore pro tempore, richiedendone successivamente il rimborso delle spese sostenute.

Sul tema, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “il Condominio non incorre in responsabilità per i danni derivanti al condomino dalla presenza di piccioni, qualora, siano stati posizionati da parte del Condominio specifici offendicula”, non rilevandosi “alcuna condotta colposa idonea a dar luogo ad una ipotesi risarcitoria ex art. 2043 c.c.”, in quanto “tecnicamente altro non può fare per impedire molestie provenienti dall’esterno ed al di fuori della propria sfera di controllo”.[2]

Ex adverso, la giurisprudenza ha anche affermato “il dovere del proprietario di evitare che il proprio immobile diventi ricettacolo per piccioni, con pericolo di danni alla salute e ai beni dei vicini. Se i piccioni trovano rifugio in una parte comune, il dovere di intervenire graverà sul condominio”.[3]

Nel caso in cui, in Condominio si dovesse presentare una simile problematica e l’assemblea delibera favorevolmente, oppure l’Amministratore resta inerte o insensibile alla problematica, ciascun condomino può tutelarsi anche a mezzo diffida, rendendosi esente da responsabilità per danni a cose o persone causati dalla persistente situazione di fatto, poiché ogni condomino è obbligato anche a tener puliti gli ambienti di sua proprietà esclusiva.

 

 

 

[1] Spadaro C. P., “Quando i piccioni provocano danni. Privati e condomini, ecco come tutelarsi”, in www.retidigiustizia.it, 16 luglio 2018.

[2] Trib. Aosta, 14/07/2010.

[3] Trib. Bologna, 21/09/2005.

Per il meccanismo prezzo-valore l’asservimento pertinenziale va provato

Ai fini delle imposte di registro e ipocatastali la base imponibile può essere costituita dal valore catastale dell’immobile, solo se si dimostra che la pertinenza è funzionale al bene principale.

Una compravendita riguardante due immobili abitativi e i circostanti terreni agricoli potrà fruire della tassazione “prezzo-valore” limitatamente alle abitazioni, mancando per i terreni agricoli i necessari requisiti di pertinenzialità. È la sintesi del chiarimento fornito dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 420/2021.

Il notaio istante ritiene che nel caso in esame si possa applicare il regime “prezzo-valore”, secondo il quale per le sole compravendite nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, aventi a oggetto abitazioni e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore catastale dell’immobile a prescindere dal prezzo pattuito. In particolare, precisa l’istante, nella cessione in esame sussiste sia l’elemento soggettivo, cioè la volontà dell’acquirente di creare un vincolo di strumentalità e complementarietà funzionale tra due beni, sia l’elemento oggettivo essendo il terreno funzionale e a completo servizio dei fabbricati.

L’Agenzia ricorda la norma in base alla quale “per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico”, cioè dal valore catastale (articolo 1, comma 497, della legge n. 266/2005). La disposizione riguarda sia gli immobili a uso abitativo che le relative pertinenze.

L’Agenzia ricorda che per applicare il meccanismo del prezzo-valore alle pertinenze di un immobile abitativo devono ricorrere ulteriori condizioni, oltre al requisito oggettivo e soggettivo, così come chiarito dalla risoluzione n. 149/2008. In particolare l’atto di compravendita deve evidenziare il vincolo che rende il bene servente una proiezione del bene principale e, inoltre, la pertinenza deve avere una propria rendita catastale.

Secondo l’Agenzia, il fatto, riferito dall’istante, che la proprietà viene acquistata per concederla in comodato a un’associazione che si occupa di equini dedicati a bambini e disabili la cui rappresentante legale sarà proprio la futura acquirente, fa ritenere che il bene accessorio è servente rispetto al proprietario e non al bene principale. La stessa Cassazione ha più volte ribadito che nella relazione pertinenziale l’utilità deve essere arrecata dalla cosa accessoria a quella principale e non al proprietario (Cassazione, sentenza n. 11970/2018). La prova dell’asservimento pertinenziale, precisa inoltre la Suprema corte, grava sul contribuente e deve essere rigorosa, al fine di evitare il perseguimento della semplice attenuazione del prelievo fiscale

L’Agenzia in conclusione ritiene che nel caso prospettato per i terreni agricoli non sussistano i requisiti di pertinenzialità e, pertanto, il meccanismo del prezzo-valore potrà applicarsi alla sola compravendita degli immobili a uso abitativo.

Fonte: FiscoOggi

Bonus acqua potabile: le regole per lo sconto del 50 per cento

Definiti i criteri per la fruizione del credito d’imposta e approvato il modello di comunicazione che gli interessati devono trasmettere all’Agenzia dal 1° al 28 febbraio dell’anno successivo alla spesa.

Con il provvedimento del 16 giugno 2021, siglato dal direttore dell’Agenzia delle entrate, Ernesto Maria Ruffini, sono definiti i criteri e le modalità di fruizione del credito d’imposta per l’acquisto e l’installazione di sistemi utili a migliorare la qualità dell’acqua da bere in casa o in azienda e ridurre, di conseguenza, il consumo di contenitori di plastica. Approvati il modello di “Comunicazione delle spese per il miglioramento dell’acqua potabile” e le relative istruzioni, che i contribuenti devono trasmettere all’Agenzia delle entrate dal 1° al 28 febbraio dell’anno successivo a quello in cui hanno sostenuto la spesa, ai fini del riconoscimento del bonus fiscale. A febbraio 2022 la comunicazione delle spese sostenute nel 2021.

Di cosa si tratta
Per razionalizzare l’uso dell’acqua e ridurre il consumo di contenitori di plastica, l’articolo 1, commi da 1087 a 1089, della legge di bilancio 2021 ha previsto un credito d’imposta pari al 50%, fino a una disponibilità di 5 milioni di euro l’anno di spesa complessiva, delle spese sostenute tra il 1° gennaio 2021 e il 31 dicembre 2022 per l’acquisto e l’installazione di sistemi di filtraggio, mineralizzazione, raffreddamento e/o addizione di anidride carbonica alimentare E290, finalizzati al miglioramento qualitativo delle acque destinate al consumo umano erogate da acquedotti.

Il tax credit è riconosciuto alle persone fisiche e agli esercenti attività d’impresa, arti e professioni e agli enti non commerciali, compresi gli enti del Terzo settore e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, che sostengono le spese su immobili posseduti o detenuti in base a un titolo idoneo.

Come fruire dell’agevolazione
L’importo delle spese sostenute deve essere documentato tramite fattura elettronica o documento commerciale in cui sia riportato il codice fiscale del richiedente il credito. Per coloro che non sono tenuti a emettere fattura elettronica, invece, è considerata valida anche l’emissione di una fattura o di un documento commerciale nel quale deve essere riportato il codice fiscale del soggetto richiedente il credito.

Per l’imputazione delle spese, le persone fisiche, gli esercenti arti e professioni e gli enti non commerciali, nonché le imprese individuali e le società di persone in regime di contabilità semplificata, devono far riferimento al criterio di cassa (ossia alla data dell’effettivo pagamento), mentre le imprese individuali, le società, gli enti commerciali e quelli non commerciali in regime di contabilità ordinaria, al criterio di competenza.
Per i privati e in generale i soggetti diversi dagli esercenti attività d’impresa in regime di contabilità ordinaria, il pagamento va effettuato con versamento bancario o postale o con altri sistemi di pagamento diversi dai contanti.
In ogni caso, per le spese sostenute prima della pubblicazione dell’odierno provvedimento, sono fatti salvi i comportamenti in qualunque modo avvenuti ed è possibile integrare la fattura o il documento commerciale attestante la spesa annotando sui documenti il codice fiscale del soggetto richiedente il credito.

Le informazioni sugli interventi andranno trasmesse in via telematica all’Enea, per il monitoraggio e la valutazione della riduzione del consumo di contenitori di plastica per acque destinate a uso potabile conseguita a seguito della realizzazione degli interventi, in analogia a quanto previsto per le detrazioni fiscali per la riqualificazione energetica degli edifici. L’Enea elabora le informazioni pervenute e trasmette una relazione sui risultati degli interventi al ministro dell’Ambiente e della Tutela del territorio e del mare, al ministro dell’Economia e delle Finanze e a quello dello Sviluppo economico.

Comunicazione per il riconoscimento del credito d’imposta
Per il rispetto del limite di spesa pari a 5 milioni di euro per ciascun anno, il provvedimento odierno stabilisce che coloro che intendono avvalersi dello sconto fiscale devono comunicare all’Agenzia delle entrate l’ammontare delle spese agevolabili sostenute nell’anno precedente. A tal fine, viene approvato il modello di “Comunicazione delle spese per il miglioramento dell’acqua potabile”, con le relative istruzioni.

In particolare, viene previsto che la comunicazione:
a) va presentata nel periodo dal 1° al 28 febbraio dell’anno successivo a quello di sostenimento delle spese, inviando il modello approvato
b) va inviata esclusivamente con modalità telematiche, direttamente dal contribuente o da un intermediario, tramite applicativo web disponibile nell’area riservata del sito dell’Agenzia o trasmissione di un file nel rispetto dei requisiti definiti dalle specifiche tecniche allegate al provvedimento.
Una volta presentata la comunicazione, l’Agenzia rilascia, al massimo entro 5 giorni, una ricevuta, messa a disposizione del richiedente nella sua area riservata, che ne attesta la presa in carico o lo scarto, con l’indicazione delle relative motivazioni. E’ possibile inviare una nuova comunicazione, che sostituisce integralmente quella precedentemente trasmessa o presentare la rinuncia al bonus.

Modalità di utilizzo del bonus
L’agevolazione è utilizzabile:

dalle persone fisiche non esercenti attività d’impresa o di lavoro autonomo, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta di sostenimento delle spese agevolabili e in quelle successive fino al completo utilizzo del bonus ovvero in compensazione tramite modello F24
dai soggetti diversi dalle persone fisiche, in compensazione tramite modello F24.
Per l’utilizzo in compensazione:
– l’F24 deve essere presentato esclusivamente tramite i servizi telematici resi disponibili dall’Agenzia delle entrate, con l’apposito codice tributo che verrà istituito con successiva risoluzione
– se l’importo del credito utilizzato in compensazione è superiore all’ammontare massimo, anche tenendo conto di precedenti fruizioni, il modello F24 è scartato con comunicazione all’interessato
– non si applica il limite di cui all’articolo 34 della legge n. 388/2000.

L’ammontare del bonus
Il credito d’imposta, per ciascun beneficiario, è pari al 50% delle spese complessive sostenute risultanti dall’ultima comunicazione validamente presentata. L’importo massimo della spesa su cui calcolare l’agevolazione è fissato a:
• 1.000 euro per ciascun immobile, per le persone fisiche
• 5.000 euro per ogni immobile adibito all’attività commerciale o istituzionale, per gli esercenti attività d’impresa, arti e professioni e per gli enti non commerciali.

Tuttavia, considerato che il tetto per la spesa complessiva è di 5 milioni di euro l’anno, l’Agenzia calcolerà la percentuale rapportando questo importo all’ammontare complessivo del credito d’imposta risultante da tutte le comunicazioni validamente presentate.

Il provvedimento, infatti, precisa che:
a) l’ammontare del credito d’imposta fruibile è pari all’importo del credito indicato nella comunicazione validamente presentata, moltiplicato per la percentuale ottenuta dal rapporto tra il limite complessivo di spesa e l’ammontare complessivo del credito d’imposta risultante da tutte le comunicazioni validamente presentate. Se l’ammontare complessivo dello sconto risulta uguale o inferiore al limite di spesa, la percentuale è pari al 100%
b) entro il 31 marzo di ciascun anno, con riferimento alle spese sostenute nell’anno precedente, è resa nota la misura percentuale.

I termini di presentazione della comunicazione sono fissati nell’anno successivo a quello di realizzazione degli interventi, per assicurare a tutti i destinatari della misura agevolativa di accedere al beneficio, anche se in misura ridotta rispetto a quella prevista dalla norma, qualora l’ammontare complessivo del credito d’imposta derivante dalle comunicazioni validamente presentate risultasse superiore alle risorse stanziate per ciascun anno, e di ottimizzare l’impiego delle risorse stanziate.

Fonte: FiscoOggi

Umidità negli ambienti e rivestimento a cappotto

Quale relazione c’è tra l’umidità negli ambienti interni e il rivestimento a cappotto? Nessuna! 

Grazie all’aiuto della fisica tecnica degli edifici spiegheremo quanto imputare al cappotto termico le cause di condensa e muffa negli alloggi è scorretto e privo di ogni fondamento.

Come già spiegato dettagliatamente nel precedente capitolo LA TRASPIRABILITÀ DELLE PARETI COIBENTATE da l’Ing. Carlo Castoldi l’umidità negli ambienti interni è principalmente causata dall’uso che si fa dell’alloggio, dalla scarsa ventilazione degli ambienti e dalle caratteristiche costruttive poco attente alla creazione di ponti termici nelle strutture non opportunamente isolate.

In questo 5° capitolo della guida essenziale sul cappotto termico l’Ing. Carlo Castoldi ci spiega come sfatare la leggenda metropolitana dei muri traspiranti.


Chi ci racconta che la forte presenza di umidità negli ambienti interni è dovuta alla scarsa traspirabilità delle pareti esterne, viene smentito dai calcoli e dalle considerazioni tecniche di chi ha studiato ampiamente la Fisica degli edifici.

Le successive considerazioni ed i valori che esplicito sono in parte ripresi da una pubblicazione dell’inizio anni ’80 scritta dall’Ing. Alessandro Cocchi – Professore emerito Alma Mater Studiorum – Università di Bologna.

I ricambi d’aria normali (1/2 di finestre aperte in periodo invernale) consentono tra umidità che esce e quella che entra (considerando l’aria più fredda con minore contenuto di vapore ) un allontanamento di circa 1 kg del vapore contenuto nell’alloggio, in relazione alle condizioni termoigrometriche esterne.

La migrazione di vapore attraverso le pareti di tamponamento ( in relazione alle condizioni termoigrometriche esterne), se realizzate come si è usato fare sino agli anni ’80 con doppio tavolato 8 + 12 e camera d’aria vuota o con laterizio da 30 cm, viene valutata in 2,5 grammi di vapore/h per mq di superficie verticale opaca, ossia in 24 ore circa 3 kg.

Per un totale tra ricambi e migrazione di 4 kg di vapore eliminato in una giornata contro i 6 prodotti, il che significa che se non si interviene sui ricambi d’aria l’umidità negli ambienti interni aumenta di giorno in giorno ed è sicuro che sulle pareti dell’alloggio si possano trovare temperature prossime o inferiori alla temperatura di rugiada (soprattutto nei ponti termici non corretti) formando così condense che abbattono la presenza di umidità ma creano le condizioni per il proliferare sui muri di muffe ed alghe indipendentemente dalla capacità traspirante della parete.

L’esempio è stato fatto con la parete più traspirante che si possa trovare nelle nostre realtà costruttive, e poiché è facile trovare pareti o zone di parete (ponti termici ) con temperature inferiori o uguali alla temperatura di rugiada in quella specifica condizione igrometrica interna (che peggiora durante il cattivo uso dell’alloggio) non c’è traspirabilità di parete che tenga e la condensa, e di conseguenza le muffe, sono un fatto imprescindibile salvo intervenire su due fattori:

 

sulla T° interna delle pareti rivolte verso esterno 

sull’U.R. dell’alloggio riducendola 

Intervenire sulla T° interna delle pareti rivolte verso esterno alzandone il valore e omogeneizzando la temperatura della parete stessa significa isolare dall’esterno la parete con un cappotto termico che elimina buona parte dei P.T. tipici e innalza la temperatura interna della parete rivolta verso l’esterno rendendo il più uniforme possibile la temperatura della parete stessa.

E’ importante, con questo intervento, cercare la soluzione più idonea per la correzione dei ponti termici dell’edificio in esame. In particolare per quei ponti termici che manifestano presenza di condense/muffe all’interno degli alloggi.

Non sempre si riesce a correggere in modo definitivo i ponti termici presenti su un edificio esistente, progettato e costruito senza badare a queste problematiche poco studiate e poco considerate sino alla fine degli anni ’80.

Esempi tipici di difficile correzione con le solette dei balconi e i contorni delle finestre se non si vuole intervenire con invasivi interventi di demolizione.

Vedremo in successivo capitolo esempi e proposte di soluzioni possibili per correggere i Ponti Termici più comuni, mentre ora ci concentriamo sulle domande più ricorrenti sul tema umidità e muffe.

 

E’ SUFFICIENTE APPLICARE UN CAPPOTTO PER ASSICURARSI L’ELIMINAZIONE DELLE MUFFE?

Il cappotto applicato sulle pareti verticali opache dell’edificio è certamente in grado di alzare la temperatura interna della parete,e questo innalzamento avviene anche in corrispondenza dei ponti termici che sono stati corretti, quindi alzando la temperatura interna allontana il rischio di condensazioni sulla parete e nelle zone di ponte termico corretto, scongiurando così la formazione delle muffe.

Ma non tutti i ponti termici si possono correggere in modo soddisfacente, in particolare quando si interviene sull’esistente. 

inoltre non è detto che l’uso dell’alloggio su cui è stato applicato il cappotto sia corretto e vengano rispettati i parametri “standard” di temperatura e Umidità Relativa.

Capita di entrare in alloggi che sono particolarmente umidi U.R. > del 75% (non è così raro – bagni e camere da letto ove si vive per più ore), ed in tali casi si è al limite e non c’è cappotto che tenga.

Pertanto unitamente all’applicazione del cappotto l’umidità negli ambienti interni va ridotta con un ricambio forzato, recuperando il calore dell’aria umida espulsa, non solo per evitare condense ma per assicurare una confortevole abitabilità. Non solo si rende necessario progettare un cappotto risolvendo al meglio parete e ponti termici che penalizzano la parete stessa, ma è necessario valutare, in base alle condizioni che si verificano negli alloggi se è consigliabile intervenire anche adottando sistemi di Ventilazione Meccanica Controllata centralizzata o di tipo puntuale.

Qui occorre l’intervento del Progettista Termotecnico che può consigliare la soluzione più idonea intervento per intervento.

L’APPLICAZIONE DEL CAPPOTTO POTREBBE FAR CRESCERE L’UMIDITÀ ALL’INTERNO DELL’ALLOGGIO AGGRAVANDO IL PROBLEMA ANZICHÉ RISOLVERLO?

Mi rifaccio ai calcoli di permeabilità della parete senza e con cappotto per toccare con mano quanto un cappotto “normale” può incidere sulla traspirabilità dei muri.

RIPRENDO UNA TABELLINA CHE PORTO con me da anni e che nel lontano 1979 avevo rintracciato su una vecchia pubblicazione del Deutsches Institut für Bautechnik (DIBt) relativa ad uno studio del benessere all’interno di un alloggio.

Tra i vari fattori che incidono sul benessere dell’uso di un alloggio, riporta, riferendosi al muro di tamponamento:

TRE ESEMPI PER TOCCARE CON MANO LA PERMEABILITÀ DI UN TAMPONAMENTO

Nota A – Questa parete tipica delle costruzioni post belliche risulta essere una parete classificata insufficiente per il benessere di chi abita l’alloggio, e se facciamo mente locale (i più anziani) queste pareti unitamente a serramenti non a tenuta creavano situazioni interne di bassa umidità tant’è che si mettevano sui termosifoni contenitori d’acqua per alzare l’umidità degli ambienti interni onde evitare di alzarsi la mattina con la gola in fiamme.

Nota B – questa parete tipica delle costruzioni degli anni fine ‘60 – ’80 – con procedimento coffrage  tunnel è classificata NON AMMISSIBILE e gli alloggi in tali edifici hanno da subito mostrato una pessima qualità abitativa anche e soprattutto per un uso scorretto di alloggi fortemente predisposti ad accumulare l’umidità negli ambienti prodotta al loro interno dalle faccende domestiche e spesso da un sovraffollamento e dall’impossibilità di creare un corretto ricambio d’aria d’inverno durante la giornata.

COSA CAMBIA CON L’APPLICAZIONE DI UN ISOLAMENTO A CAPPOTTO

Nota C – lo schema rappresentato corrisponde ad uno degli interventi più diffusi quando si opera per riqualificare energeticamente una parete esistente. 

Prendiamo ad esempio la parete dello schema A, fortemente disperdente dal punto di vista termico, e consideriamo che sulla parete ci siano serramenti di vecchia generazione per fare una stima anche dal punto di vista igrometrico.

L’applicazione di un cappotto da 12÷14 cm di EPS, Lana Minerale, fibra di legno non fa altro che migliorare la qualità della parete, fermo restando tutte le considerazioni fatte e che faremo sui ponti termici, sulla necessità di migliorare i ricambi d’aria con sistemi meccanici.

La parete A da classificazione insufficiente, passa all’esempio C parete ottimale o quasi ottimale secondo la resistenza al passaggio del vapore aggiunta con l’applicazione del cappotto

Il cambio dei serramenti con prodotti di ultima generazione ad alta efficienza è assolutamente da prevedere unitamente ad una verifica della necessità di VMC.

A conclusione del mio approfondimento sulla traspirabilità delle pareti mi piace fare una riflessione semplice e personale: la resistenza offerta da un cappotto in EPS da 12 cm completo di rasatura e finitura – scartabellare tutti i Benestare ETA dei cappotti dei produttori Italiani ed Europei per avere conferma di quanto qui affermato – è pari alla resistenza costituita da meno di 5 metri d’aria.  Considerando che rischio di essere infettato stando a distanza di 2 metri come faccio a pensare che 5 metri siano una barriera al vapore?
– Ing. Carlo Castoldi – Comitato Tecnico Scientifico di Rete IRENE