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Bollette digitali: dire addio alla carta fa risparmiare 36 l’anno

L’invio in formato elettronico delle fatture di luce, gas, internet e di tutte le utenze domestiche ci permette di alleggerire il portafoglio. Almeno di 36 euro l’anno, ma anche molti di più se abbiamo diverse case. Si tratta, inoltre, di una scelta ecosostenibile e al passo con i tempi. SOStariffe.it ha passato in rassegna i motivi per cui è bene che le bollette cartacee cedano il passo a quelle digitali

È ormai una possibilità offerta da tutti i fornitori. Consente di ricevere le fatture in tempi rapidi, salvaguardare l’ambiente e soprattutto risparmiare in media 36 euro ogni anno, tra bolletta di internet casa, luce e gas. Ricevere le fatture in formato elettronico, inoltre, spesso dà modo di accedere a sconti extra. Il focus dell’ultimo studio SOStariffe.it è sulle bollette digitali e su tutti i vantaggi che derivano dall’addio al vecchio formato cartaceo.

Restare fermi alla carta costa: in media 36 euro l’anno

Se la transizione al formato digitale di bolletta ci spaventa, pensiamo anzitutto ai vantaggi per la tasca. Le compagnie spingono sempre di più per il formato elettronico. Perché? Anzitutto perché inviare una bolletta cartacea tramite posta ordinaria ha un costo.

Possiamo individuarlo nelle condizioni contrattuali e ritrovarlo, per trasparenza, anche nel testo della fattura. Di solito sono 2 euro di commissione aggiuntiva che si aggiungono alla spesa dovuta per ciascuna bolletta, ma ogni operatore stabilisce il costo aggiuntivo.

Se calcoliamo pertanto che un utente medio riceve 18 bollette cartacee l’anno, tra connessione fissa, luce, e gas, in tutto dovrà sborsare circa 36 euro in più solo per vedersi recapitare in formato lettera tradizionale il riepilogo scritto dei propri consumi e dei rispettivi costi.

Ma la cifra può anche salire considerato che le società stanno alzando i costi di invio delle bollette cartacee proprio in funzione deterrente, per convertire gli ultimi nostalgici della carta. Se poi si hanno più proprietà immobiliari allora la cifra si impenna. Il vecchio bollettino cartaceo inviato per posta è destinato a finire in soffitta, travolto dall’innovazione tecnologica.

Una scelta con molti pro e pochi contro

A conti fatti la bolletta digitale è la versione in formato pdf della fattura tradizionale di carta. In genere viene inviata dalla compagnia nella casella di posta elettronica personale, oppure è consultabile online sul sito della compagnia. Se si fa eccezione per gli anziani e per chi non ha un grado minimo di alfabetizzazione digitale, la gran parte dei consumatori oggi dispone di una casella di posta elettronica.

Ovviato l’ostacolo tecnologico, dunque, la bolletta elettronica presenta molti vantaggi: non è possibile perderla, come potrebbe accadere con la carta, e non è soggetta a ingiallimento e usura. Viene recapitata con regolarità ed è sempre reperibile nell’area clienti sul sito della compagnia.

Inoltre, è semplice da conservare nei “cassetti digitali” dei propri device o su un eventuale cloud. Ci sono anche alcune compagnie che per incentivare il passaggio alla bolletta elettronica offrono sconti extra per chi opta per la fattura digitale o vincolano al solo formato di bolletta elettronica i consumatori che attivano alcune offerte.

Spesso, inoltre, le compagnie puntano a promuovere oltre alla bolletta elettronica anche la domiciliazione delle fatture. Una possibilità già attiva da molti anni, ma ancora sconosciuta ad alcuni. Non è altro che la possibilità di addebitare le proprie utenze domestiche direttamente sul proprio conto corrente, una carta di pagamento o una carta conto.

Il versamento diventerà a questo punto un automatismo, una faccenda di cui non preoccuparsi. Non sarà più necessario presentarsi di persona a pagare le fatture, magari accodandosi a lungo davanti a un ufficio postale, poiché l’importo dovuto sarà prelevato in automatico, grazie alla pre-autorizzazione concessa, senza che siano applicati i costi di commissione.

Come attivare la bolletta digitale

Il passaggio alle fatture elettroniche dal vecchio formato cartaceo può avvenire sempre e senza dover sostenere ulteriori costi. Tutte le aziende offrono questa possibilità, a basso impatto ambientale ed economico.

In genere le modalità per farne richiesta dipendono dalla nostra compagnia di riferimento. Avvalendoci dei canali di comunicazione messi a disposizione (negozi fisici, servizio clienti telefonico, apposita sezione nel portale del fornitore o nell’app della compagnia) dunque, sarà possibile effettuare lo switch in tempi rapidi.

Per ricercare i prezzi più bassi per le forniture di casa e tentare di alleggerire il nostro bilancio mensile è sempre possibile utilizzare i tanti strumenti di comparazione SOStariffe.it, grazie ai quali sono stati rilevati alcuni tra i dati di questo studio: https://www.sostariffe.it/

fonte: ufficio stampa SOStariffe.it

Bonus, Ecobonus e incentivi: ad oggi utilizzato solo il 12,9% delle somme messe a disposizione dal Governo. Un fallimento totale

Fonte: Consumerismo No Profit

Bonus ed Ecobonus varati dal Governo per sostenere i cittadini durante la pandemia ed aiutare l’economia si sono rivelati un flop totale, riscuotendo basse adesioni da parte dei cittadini, e non va meglio per strumenti quali Cashback e Lotteria degli Scontrini.

Lo denuncia oggi l’associazione dei consumatori Consumerismo No profit, che rende noto un report relativo ai fondi stanziati dal Governo tra il 2020 e il 2021 per i vari incentivi e i numeri sulle somme ad oggi effettivamente utilizzate dai cittadini.

E si scopre che i bonus si sono rivelati, nei fatti, un enorme fallimento: su 9,3 miliardi di euro di previsione di spesa, solo poco più di 1,2 miliardi (il 12,9%) è stato realmente utilizzato dagli italiani.

Si parte col “Bonus Vacanze”, incentivo da 500 euro a famiglia lanciato lo scorso anno in pompa magna dal Governo Conte per sostenere le imprese del turismo in grave crisi a causa del Covid: ebbene ad oggi, stando ai dati ufficiali forniti dal Governo, sono stati generati 1.885.802 bonus, ma di questi solo 771.586 sono stati effettivamente utilizzati – spiega Consumerismo – Questo significa che sui 2,4 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato per il bonus vacanze, solo 829,4 milioni di euro (il 34,5% del totale) sono stati effettivamente spesi dalle famiglie.

Andamento analogo per il “Bonus Pc e tablet”, incentivo (sempre da 500 euro) teso ad aiutare le famiglie ad acquistare strumenti elettronici e connessioni telefoniche: dei 200 milioni di euro stanziati, ad oggi sono stati attivati o prenotati in totale 69,2 milioni di euro, il 34,7% dei fondi a disposizione.

C’è poi il l’ “Ecobonus Auto” – incentivo fino a 10mila euro per l’acquisto di nuove autovetture, variabile a seconda delle emissioni inquinanti – per il quale a marzo 2021 gli italiani hanno utilizzato 344.096.318 euro dei 700 milioni stanziati (il 49,1%).

Il fallimento più grande, tuttavia, è quello relativo all’ “Ecobonus al 110%”, detrazione del 110% delle spese sostenute per gli interventi che migliorano l’efficienza energetica degli edifici e che riducono il rischio sismico: sui 6 miliardi di euro detrazioni previste da Governo e Ance entro fine 2021, a febbraio scorso erano stati raggiunti appena 340 milioni di euro in detrazioni per finanziare 3.100 interventi, il 5,6% rispetto a quanto previsto.

Per quanto riguarda gli altri rimborsi e incentivi istituiti di recente, il “Cashback”, ossia il rimborso delle spese eseguite tramite carte e bancomat, ad oggi vede l’adesione di 8,1 milioni di cittadini, mentre la Lotteria degli Scontrini, per la prima estrazione dell’11 marzo, ha registrato la partecipazione di appena 4 milioni di italiani.

“Il flop di bonus, incentivi ed ecobonus è da ricercare nella eccessiva burocrazia che accompagna tali misure, e procedure macchinose e complesse per accedere ai fondi che scoraggiano milioni di italiani – spiega il presidente di Consumerismo, Luigi Gabriele – I numeri, d’altronde, parlano chiaro: su 9,3 miliardi di euro messi a disposizione dallo Stato tra il 2020 e il 2021, le famiglie ne hanno spesi appena 1,2 miliardi”.

Fondi stanziati 2021 Fondi utilizzati ad oggi % fondi utilizzati sul totale
Bonus Vacanze 2,4 miliardi di euro 829,4 milioni di euro 34,5%
Ecobonus al 110% 6 miliardi di euro (stime a fine 2021) 340 milioni di euro 5,6%
Ecobonus auto 700 milioni di euro 344 milioni di euro 49,1%
Bonus Pc e tablet 200 milioni di euro 69,2 milioni di euro 34,7%
TOTALE 9,3 miliardi di euro 1,2 miliardi di euro 12,9%
Adesioni a marzo 2021 Adesione sul totale della popolazione
Cashback 8,1 milioni 13,5%
Lotteria degli scontrini 4,092 milioni 6,8%

Fonte: elaborazioni Consumerismo No profit su dati Mef, Agenzia delle Dogane, Mise.

Consumerismo No Profit

È in arrivo l’ipoteca, l’alert non necessita di motivazione

La segnalazione ha lo scopo di mettere in guardia il contribuente che potrà evitare l’iscrizione pagando il debito entro 30 giorni.

SINTESI: In tema di preavviso di iscrizione ipotecaria non deriva alcun particolare onere motivazionale in capo all’Agente della riscossione, che, attraverso il preavviso di iscrizione ipotecaria, si limita ad informare il contribuente moroso che, in caso di mancato pagamento entro trenta giorni, si procederà ad iscrizione di ipoteca sull’immobile. Per valutare la legittimità dell’iscrizione ipotecaria, ai sensi degli artt. 76 e 77 del DPR n. 602 del 1973, è sufficiente l’indicazione del valore del credito per cui si procede.

Ordinanza n. 7233 del 15 marzo 2021 (udienza 10 dicembre 2020)
Cassazione civile, sezione VI – 5 – Pres. Greco Antonio – Est. Russo Rita
Preavviso di iscrizione ipotecaria – Non necessita di alcuna particolare motivazione – L’iscrizione è legittima se contiene l’indicazione del valore del credito per cui si procede.

Fonte: FiscoOggi

Senza piano comunale, niente sconto sull’acquisto dell’immobile popolare

Alla cessione realizzata dall’ente locale, nell’ambito di un più generale programma di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio deve essere applicata la tassazione ordinaria.

Con l’ordinanza n. 1899 del 28 gennaio 2021, la Corte di cassazione, nel respingere il ricorso del contribuente, ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia delle Entrate, che aveva disconosciuto, in relazione a un atto di trasferimento immobiliare, la spettanza del regime agevolativo di cui all’articolo 32 del Dpr n. 601/1973.
In particolare, già in esito al giudizio di primo grado, la competente Commissione tributaria provinciale aveva dichiarato legittimo l’avviso di liquidazione relativo all’atto di compravendita, in ragione del fatto che tale atto non poteva beneficiare dell’imposta di registro in misura fissa e dell’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale, di cui al richiamato articolo 32.
Anche la competente Ctr, nel confermare in appello l’esito del giudizio di primo grado, negava le agevolazioni, in quanto l’atto di compravendita non risultava posto in essere per l’attuazione di programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui all’articolo 32, avendo il Comune ceduto l’immobile per esigenze finanziarie.

La Corte suprema, nella pronuncia in commento, delinea il quadro normativo vigente in materia.
In particolare, il menzionato articolo 32 del Dpr n. 601/1973, al comma 2, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecaria e catastale per gli “…atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge (n. 865/1971) e gli atti di concessione del diritto di superficie sulle aree stesse…”.
Lo stesso trattamento di favore si applica in relazione “agli atti di cessione a titolo gratuito delle aree a favore dei comuni o loro consorzi nonché agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale di cui al titolo IV della legge (n. 865 del 1971)”.

Con la previsione di interpretazione autentica recata dall’articolo 1, comma 58, della legge n. 208/2015, a mente della quale “…l’ articolo 32, secondo comma del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, si interpreta nel senso che l’imposta di registro in misura fissa e l’esenzione dalle imposte ipotecarie e catastali si applicano agli atti di trasferimento della proprietà delle aree previste al titolo III della legge 22 ottobre 1971, n. 865, indipendentemente dal titolo di acquisizione della proprietà da parte degli enti locali”, il legislatore ha disposto l’applicazione del trattamento di favore agli atti di trasferimento indicati, a prescindere dal titolo di acquisizione delle aree da parte del Comune, anche laddove la stessa, invece che tramite una procedura espropriativa, avvenga con una ordinaria compravendita stipulata in regime di diritto privato.

In materia di programmi pubblici di edilizia residenziale, l’articolo 48 della legge n. 865/1971 stabilisce che “nel triennio 1971-1973, i programmi pubblici di edilizia residenziale, di cui al presente titolo, prevedono: la costruzione di alloggi destinati alla generalità dei lavoratori…” e al successivo articolo 50 che “nei comuni che abbiano provveduto alla formazione dei piani di zona ai sensi della legge 18 aprile 1962, n. 167, le aree per la realizzazione dei programmi pubblici di edilizia abitativa previsti dal presente titolo sono scelte nell’ambito di detti piani”.

La nozione di edilizia residenziale pubblica, richiamata dall’articolo 32 del Dpr n. 601/1973, è stata individuata dapprima dall’articolo 1, comma 2, del Dpr n. 1035/1972 e successivamente dall’articolo 1, comma 1, della legge n. 560/1993, che in materia di alienazione ha ricompreso, tra gli alloggi di edilizia residenziale pubblica “quelli acquisiti, realizzati o recuperati, ivi compresi quelli di cui alla legge 6 marzo 1976, n. 52, a totale carico o con concorso o con contributo dello Stato, della regione o di enti pubblici territoriali, nonché con i fondi derivanti da contributi dei lavoratori ai sensi della legge 14 febbraio 1963, n. 60, e successive modificazioni, dallo Stato, da enti pubblici territoriali, nonché dagli Istituti autonomi per le case popolari (IACP) e dai loro consorzi comunque denominati e disciplinati con legge regionale”.
Ciò premesso, la Corte sottolinea che il regime di favore, di cui all’articolo 32, comma 2, del Dpr n. 601/1973, si applica agli atti e contratti relativi all’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale, che possono articolarsi con diverse modalità e che risultano prevalentemente finalizzati alla costruzione (o ristrutturazione) di alloggi destinati a soddisfare bisogni di classi sociali disagiate, con riferimento al bene primario della propria abitazione o comunque finalizzati a favorire direttamente o indirettamente la soddisfazione di tali bisogni.

In base alle disposizioni recate dagli articoli 50 e 51 della legge n. 865/1971, tali programmi devono essere realizzati nelle aree comprese nei piani di zona, se il Comune li ha già formati ovvero, in mancanza, nelle aree indicate dal Consiglio comunale, nell’ambito delle zone destinate all’edilizia residenziale dai piani regolatori generali e dai programmi di fabbricazione.

La Cassazione ha pertanto ribadito che, in ragione della natura agevolativa rivestita dall’articolo 32, che richiede una stretta interpretazione, va esclusa l’applicazione del regime di favore in esame per tutti quegli atti e contratti che, benché relativi al settore dell’edilizia economica e popolare, non riguardino in via diretta e immediata l’attuazione dei programmi pubblici di edilizia residenziale.
La Corte quindi condivide le conclusioni cui è pervenuta la competente Ctr, laddove ha negato la spettanza del regime di favore, avendo riscontrato l’estraneità di tale finalità nell’atto di compravendita oggetto di accertamento.
Al riguardo, fa notare che la cessione, in relazione alla quale il contribuente invoca l’applicazione del regime di favore, è stata posta in essere da parte di un Comune nell’ambito di un più generale piano di dismissioni pubbliche per esigenze di bilancio e non al fine di attuare un programma pubblico di edilizia residenziale.

Fonte: FiscoOggi.it

Occorre una procura speciale per redigere il regolamento di condominio

A cura di: Avv. Giuseppina Maria Rosaria Sgrò

Per la stesura del regolamento condominiale è necessaria una procura speciale, altrimenti la clausola contenuta nell’atto di acquisto è nulla per indeterminatezza dell’oggetto. Ciò è quanto stabilito dal Tribunale di Torino con la sentenza n. 297 del 21 gennaio 2021.

Nel caso in esame, gli attori chiamavano in giudizio tutti gli altri condòmini ed il condominio stesso in persona dell’amministratore pro tempore, affinché venisse accertata e dichiarata dal Tribunale la nullità del regolamento condominiale in essere.

Costituitasi in giudizio, la società costruttrice e condomina lamentava il fatto che gli attori non avessero espressamente formulato domanda di nullità della clausola contrattuale contenente il mandato alla stipula del regolamento e sul cui presupposto si fondava la domanda di nullità dello stesso.

Difatti, dagli atti di causa emergeva che il regolamento di condominio in questione fosse stato redatto dalla società costruttrice dell’edificio molti anni dopo la costituzione del condominio in forza di una clausola contenuta negli atti di compravendita immobiliare stipulati dagli attori e dagli altri condòmini. Secondo detta clausola, “l’acquirente conferisce alla società venditrice mandato irrevocabile per addivenire alla stipula di tutti gli atti di obbligo e di vincolo che venissero comunque richiesti dalle competenti autorità amministrative, nonché per addivenire al deposito del regolamento di condominio dello stabile, con le più ampie facoltà e poteri al riguardo, compresi quelli di individuare le parti comuni del fabbricato, nonché le porzioni ad uso esclusivo (ad esempio posti auto esterni), redigere le tabelle di comproprietà delle parti comuni e di concorso nelle relative spese, e compiere in genere quant’altro necessario per l’espletamento del mandato stesso, senza alcuna limitazione o riserva”.

Il Tribunale di Torino sottolineava che, una volta sorto il condominio, non è più possibile che il costruttore stili il regolamento sulla base della delega contenuta nei diversi atti di acquisto delle singole unità immobiliari.

Il Giudice piemontese, rifacendosi a costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, affermava che l’acquirente/condomino che, con il contratto di acquisto di un’unità immobiliare di un fabbricato, abbia assunto l’obbligo di rispettare il regolamento condominiale che sarà predisposto dal costruttore, non vale a conferire a quest’ultimo il potere di stilare un qualsiasi regolamento, né può comportare l’approvazione di un regolamento in quel momento inesistente, in quanto lo scopo di una clausola del genere è esclusivamente quello di richiamare nel singolo atto di acquisto il valore cogente di un regolamento già esistente (ovvero già predisposto e conosciuto), che viene richiamato per relationem, quale parte integrante del contratto di compravendita.

Nella questione sottoposta al Tribunale di Torino non veniva messa in dubbio la validità del regolamento di condominio stipulato sulla base di una procura speciale, ma la nullità del regolamento stipulato in forza di un mandato senza rappresentanza, dal contenuto generico e indeterminato. Ed è per l’eccessiva indeterminatezza della clausola contrattuale in questione che il Giudice piemontese dichiarava la nullità della stessa e del conseguente regolamento condominiale, tra l’altro, redatto diversi anni dopo la stipula dei contratti di compravendita immobiliare.

L’asseverazione tardiva blocca la detrazione da Sismabonus

18 Marzo 2021
In base alla disciplina in vigore al momento della vicenda, la documentazione andava presentata insieme alla richiesta di autorizzazione all’inizio degli interventi antisismici

Con la risposta n. 192 del 18 marzo 2021, l’Agenzia delle entrate chiarisce un ulteriore dubbio riguardante la tempistica relativa alla presentazione della asseverazione del rischio sismico degli edifici necessaria per usufruire Sismabonus. In particolare il quesito riguarda la corretta applicazione dell’articolo 16, comma 1-quater del Dl n. 63/2013.

L’interpello è di una società che oltre all’attività principale svolge un’attività secondaria rappresentata dalla compravendita e costruzione di immobili destinati principalmente all’esercizio dell’attività principale.
L’istante, con cinque diversi rogiti, ha acquistato tra il 2017 e il 2019, alcuni edifici con lo scopo di ristrutturarli tramite demolizione e ricostruzione con ampliamento della metratura. A fine lavori il progetto prevede la realizzazione di due edifici da utilizzare nell’esercizio dell’attività di impresa della ditta.
Il permesso a costruire è stato rilasciato nel dicembre 2020.
Gli immobili in questione sono situati nella zona sismica 2 e dopo gli interventi avranno superfici più ampie e una maggiore cubatura rispetto agli edifici preesistenti.
La società ha presentato due distinte richieste di permesso a costruire nel 2019, la seconda delle quali consisteva in una variante dell’autorizzazione ricevuta nel 2018. Nel 2020, con documentazione integrativa, ha prodotto le asseverazioni attestanti il rischio sismico accertato prima dell’intervento in quanto l’opera deve essere ancora realizzata.

La società ritiene di poter usufruire del Sismabonus “ordinario” previsto dal combinato disposto degli articoli 16-bis, lettera i) del Tuir e 16 del Dl n. 63/2013, usufruendo della detrazione del 50% delle spese sostenute, nel limite di 96mila euro per ciascun immobile e per ogni anno, da suddividere in 5 quote annuali di pari importo, o delle maggiori detrazioni del 70% e 80% a seconda che vi sia la diminuzione di una o due classi di rischio.
E in relazione a tale agevolazione chiede se potrà beneficiare del Sismabonus ordinario e possa applicare la detrazione nel limite massimo di 96mila euro per ogni edificio esistente prima della demolizione.

L’Agenzia delle entrate, sulla base delle informazioni emerse dalla lettura dell’interpello, esclude che l’istante possa beneficiare dell’agevolazione.
La conclusione sfavorevole per il contribuente emerge dal quadro normativo che disciplina l’agevolazione richiamata dalla società. L’amministrazione, come di consueto, ricorda in quali casi spetta la detrazione prevista dall’articolo 16-bis del Tuir e dall’articolo 16 del Dl 63/2013.
In particolare, l’Agenzia ricorda che il decreto n. 58/2017 del Mit detta le linee guida per la determinazione del rischio sismico degli immobili e definisce e le modalità per l’attestazione, da parte di professionisti abilitati, dell’efficacia degli interventi effettuati. Il Dm stabilisce che chi progetta l’intervento strutturale deve asseverare la classe di rischio dell’edificio prima dei lavori e quella conseguibile a fine intervento.
In relazione al caso in esame è importante rilevare che l’articolo 3, comma 3, di tale decreto, in vigore al momento della presentazione delle richieste di permesso a costruire da parte dell’istante, prevedeva la contestuale presentazione dell’asseverazione insieme alla richiesta del titolo abilitativo.
Nel caso in esame, quindi, l’asseverazione prodotta nel 2020, successivamente alla richiesta di autorizzazione a costruire (2019 e con variante all’autorizzazione 2018), impedisce alla società di accedere al Sismabonus, come chiarito con la circolare n. 19/2020 in base a cui l’accesso all’agevolazione è precluso in caso di asseverazione tardiva.

Solo successivamente ai fatti dell’interpello è entrata in vigore la modifica prevista dal decreto Mit n. 24/2020, che ha previsto che “il progetto degli interventi per la riduzione del rischio sismico e l’asseverazione di cui al comma 2, devono essere allegati alla segnalazione certificata di inizio attività o alla richiesta di permesso di costruire, al momento della presentazione allo sportello unico competente di cui all’articolo 5 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, per i successivi adempimenti, tempestivamente e comunque prima dell’inizio dei lavori”.
Tale disposizione è valida per i titoli abilitativi chiesti a partire dalla data di entrata in vigore del provvedimento (16 gennaio 2020).

In conclusione la società, non avendo allegato le previste asseverazioni alle richieste di permesso a costruire nel 2019, come variante del 2018, non può beneficiare, in base alla disciplina all’epoca vigente, del Sismabonus. La conclusione assorbe anche gli altri quesiti dell’istante.

Fonte: FiscoOggi

Per la fruizione del Superbonus l’immobile deve essere esistente

16 Marzo 2021
Tale requisito non sussiste per le unità che sono iscritte nel Catasto con la categoria F/3 in quanto si tratta di fabbricati ancora in corso di costruzione, esclusi, pertanto, dal beneficio

Gli appartamenti di un condominio risultanti “al grezzo” e accatastati F/3 non possono accedere al Superbonus. Nel caso di ampliamento di edificio esistente il “Super ecobonus” non si applica alla parte eccedente il volume ante-operam. Una cooperativa a proprietà divisa non potrà fruire del Superbonus in assenza della costituzione in condominio. Sono alcuni dei chiarimenti dell’Agenzia forniti rispettivamente con le risposte n. 174, n. 175 e n. 184 del 16 marzo 2021.

risposta n. 174/2021

Un condominio costituito da 5 piani fuori terra e composto da 18 appartamenti e 3 magazzini di cui 5 appartamenti che risultano “al grezzo” e accatastati nella categoria F/3 “unità in corso di costruzione”, non potrà fruire del Superbonus per gli interventi eseguiti sugli immobili F/3 in quanto non sono definibili quali unità “esistenti” di natura residenziale, ma in corso di costruzione. Viene meno infatti un requisito fondamentale per l’applicazione dell’agevolazione.
La presenza delle cinque unità immobiliari accatastate nella categoria F/3 non preclude, tuttavia, la possibilità al condominio istante di accedere al Superbonus, considerato che le restanti unità immobiliari sono diversamente accatastate e hanno natura residenziale, sempre che vengano rispettate tutte le condizioni richieste dalla normativa.
Il condominio potrà beneficiare, per gli interventi di efficientamento energetico (trainanti e trainati), della detrazione calcolata su un ammontare complessivo delle spese di importo variabile in funzione di 13 unità immobiliari, restandone escluse quelle censite come unità F/3.

risposta n. 175/2021

Per gli interventi da eseguire, in mancanza del titolo edilizio, non ancora richiesto al Comune competente, la detrazione delle relative spese è subordinata alla condizione che lo stesso titolo evidenzi che le opere consistono in un intervento di conservazione del patrimonio edilizio esistente e non in un intervento di nuova costruzione. L’intervento deve riguardare edifici o unità immobiliari “esistenti”, non essendo agevolati gli interventi realizzati in fase di nuova costruzione. A differenza del Super sismabonus, la detrazione fiscale legata al Super ecobonus non si applica alla parte eccedente il volume ante-operam. Ne consegue che, nel caso in esame, relativo ad interventi da eseguirsi su un edificio composto da 3 unità abitative e 4 unità pertinenziali di proprietà di due soggetti, sussistendo la prevalenza residenziale, si potrà accedere al Superbonus sia per gli interventi antisismici che per gli interventi di efficientamento energetico, ma per tali ultimi interventi si potrà fruire delle detrazioni per le sole spese relative alla parte esistente.
Con l’Ape, ante e post intervento, rilasciato da un tecnico abilitato nella forma della dichiarazione asseverata, deve essere dimostrato che dagli interventi realizzati derivi il miglioramento di almeno due classi energetiche o il conseguimento della classe energetica più alta. Nel caso di interventi di ristrutturazione con demolizione che includono l’ampliamento, l’Ape post operam deve essere redatto considerando l’edificio nella sua configurazione finale.
Riguardo il limite di spesa ammissibile al Superbonus si considera il numero delle unità immobiliari esistenti prima dell’inizio dei lavori. Il calcolo deve tener conto anche delle pertinenze all’interno di edifici in condominio, dovendosi escludere invece quelle collegate in un edificio diverso da quello oggetto di intervento. Nell’istanza in esame, il limite di spesa per gli interventi di Sismabonus è pari a 96mila euro per le 7 unità complessive che costituiscono l’edificio.
Quando si esegue un intervento antisismico ammesso al Superbonus sono agevolabili anche le spese di manutenzione ordinaria o straordinaria, (pareti esterne e interne, pavimenti, soffitti, impianto idraulico ed elettrico) necessarie per completare l’intervento nel suo complesso. Anche tali spese concorrono al limite dei 96mila euro per immobile, a condizione, tuttavia, che l’intervento a cui si riferiscono sia effettivamente realizzato (circolare n. 24/2020). Anche per i lavori per l’adozione di misure antisismiche vale il principio secondo cui l’intervento di categoria superiore assorbe quelli di categoria inferiore ad esso collegati. L’istante potrà beneficiare delle agevolazioni Superbonus con riferimento agli interventi di riduzione del rischio sismico in funzione del numero delle unità immobiliari di cui si compone l’edificio comprese le pertinenze, se non collocate fuori dal condominio, per un numero massimo di 7 unità. L’istante inoltre potrà beneficiare delle agevolazioni rientranti nella disciplina del Superbonus, per gli interventi di efficientamento energetico, per le sole spese relative alla parte esistente (volume ante-operam).
La circostanza che la cessione del credito avviene a favore di una società a responsabilità limitata nella quale l’istante è socio e membro del consiglio di amministrazione, infine, non è una causa ostativa alla fruizione del Superbonus nelle modalità di cui all’articolo 121 del decreto “Rilancio”.
Sono, in sintesi, le cinque soluzioni interpretative fornite dall’Agenzia delle entrate con la risposta n. 175/2021, concernenti lavori di ristrutturazione edilizia su unità A2 e C6 con demolizione e ampliamento, oltre a interventi energetici su un condominio.

risposta n. 184/2021

Una cooperativa a proprietà divisa, che vuole eseguire degli interventi di risparmio energetico, non potrà beneficiare del Superbonus, considerato che dall’istanza non emerge la costituzione di un condominio nell’accezione richiesta dalla disciplina civilistica, requisito che consente l’accesso all’agevolazione. È, in estrema sintesi, il chiarimento all’istante, che, invece, riteneva di poter rientrare nel campo di applicazione dell’articolo 119 del decreto “Rilancio”, sulla base dell’equiparazione della “concessione d’uso amministrativo ai fini edilizi ed urbanistici”, in suo possesso, e il diritto di proprietà.
L’Agenzia, inoltre, ricorda che, ai sensi della lettera d), comma 9, dell’articolo 119, rientrano nell’ambito di applicazione del Superbonus le “cooperative di abitazione a proprietà indivisa, per interventi realizzati su immobili dalle stesse posseduti e assegnati in godimento ai propri soci”, fattispecie diversa dalla qualifica dell’istante come cooperativa a proprietà divisa.

Fonte: fiscoggi

Immobili non residenziali, prosegue la parziale ripresa

Tax credit “affitti” per l’Enc sul canone versato a lordo Iva

8 Marzo 2021
Per determinare la soglia degli introiti non superiore a 5 milioni di euro, si devono considerare i soli ricavi rilevanti ai fini Ires, con esclusione di quelli derivanti da attività svolte per scopi istituzionali.

L’Agenzia delle entrate, con la risposta n. 160 dell’8 marzo 2021, per i canoni di locazione relativi agli immobili adibiti a sede istituzionale, dà il via libera all’utilizzo del bonus “affitti” all’ente non commerciale, che svolge solo, occasionalmente, attività commerciale ed è privo di partita Iva. Il credito d’imposta, in tale ipotesi, va determinato sull’importo dell’affitto al lordo dell’Iva, in quanto l’imposta rappresenta per l’ente non commerciale un costo che incrementa il canone di locazione corrisposto.

L’istante è un Enc privo di partita Iva e, al tempo stesso, associazione privatistica senza fini di lucro. Le sue risorse finanziarie derivano dalle quote associative e dalle attività non commerciali (articolo 148, comma 3 del Tuir), per un importo annuale superiore a 5 milioni di euro. L’ente svolge, inoltre, occasionalmente attività commerciali finalizzate agli scopi istituzionali, con ricavi marginali, dichiarati ai fini Ires come redditi diversi, quali royalties, subaffitti di impianti sportivi e incassi di gare di spareggio per la conclusione dei campionati. L’associazione opera, in tutto il territorio nazionale, in immobili per i quali paga canoni di affitto a fronte di fatture sottoposte a Iva.
L’istante chiede se può beneficiare del credito di imposta previsto dall’articolo 28 del decreto “Rilancio” in relazione ai canoni corrisposti e se deve tener conto del limite dei 5 milioni fissati dalla norma per usufruire dell’agevolazione. L’ente ritiene che gli introiti che superano tale tetto derivano da attività non commerciale e, quindi, non rilevanti ai fini del bonus in questione e incassa il sì anche dell’amministrazione finanziaria.

Il credito d’imposta oggetto dell’interpello è stato introdotto dal decreto “Rilancio” per risarcire parzialmente gli esercenti dei canoni di locazione mensili degli immobili a uso non abitativo e affitto d’azienda corrisposti nonostante la chiusura forzata dell’attività dovuta all’emergenza da Covid-19. Possono beneficiare dell’agevolazione i contribuenti che svolgono attività d’impresa, arte o professione, che nel 2019 non hanno superato, tra ricavi o compensi, il tetto complessivo di 5 milioni di euro (comma 1).
La norma specifica che possono usufruire del tax credit anche gli enti non commerciali per il canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili a uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale (comma 4).
Per chi svolge attività economica il credito d’imposta è subordinato a una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi nel mese di riferimento di almeno il 50% rispetto allo stesso mese del periodo d’imposta precedente e, inoltre, la misura dell’agevolazione è commisurata “all’importo versato nel periodo d’imposta 2020 con riferimento a ciascuno dei mesi di marzo, aprile e maggio e giugno” (comma 5).

L’Agenzia delle entrate è intervenuta sull’argomento con diversi documenti di prassi. In particolare, con la circolare n. 14/2020 (vedi articolo “Credito d’imposta canoni di locazione. I primi chiarimenti delle Entrate”) e la risoluzione n. 68/2020 (vedi articolo “Credito d’imposta canoni di affitto esteso alla sublocazione dell’Asd”) ha chiarito che, come prevede la norma, possono fruire del credito di imposta gli enti non commerciali, comprese le organizzazioni del terzo settore, e gli enti religiosi civilmente riconosciuti, relativamente al costo sostenuto per il “canone di locazione, di leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività istituzionale”.
L’amministrazione osserva che, dalla lettura della disposizione, emerge che detti organismi possono usufruire del contributo anche se svolgono, oltre all’attività istituzionale, un’attività commerciale, in modo non prevalente o esclusivo.

Il quadro normativo, secondo l’Agenzia, esclude dal beneficio gli enti che esercitano, in via prevalente o esclusiva, un’attività in regime di impresa con ricavi superiori al limite di 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente.

Gli enti non commerciali, spiega la risoluzione n. 68/2020 richiamata, per determinare la soglia degli introiti non superiore a 5 milioni di euro, devono considerare i soli ricavi rilevanti ai fini Ires, con esclusione di quelli derivanti da attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali.

La circolare n. 14/2020 ha, inoltre, chiarito che, per la verifica dei flussi reddituali per gli Enc che svolgono attività commerciale non prevalente, il calcolo del limite dei 5 milioni di euro va determinato per ciascuna tipologia di soggetto in base alle proprie regole di definizione del reddito.
Al riguardo, gli enti che effettuano operazioni commerciali soltanto occasionalmente e, quindi, privi di partita Iva, devono calcolare il credito d’imposta sull’importo dell’affitto al lordo Iva, perché in tal caso l’imposta rappresenta per l’Enc un aggravio sul canone d’affitto dovuto.

In definitiva, conclude l’Agenzia, tornando al caso dell’interpello, l’ente istante può beneficiare del bonus “locazioni” per i canoni corrisposti in relazione agli immobili adibiti a sede istituzionale al lordo dell’Iva indicata nella fattura.

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