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L’AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO E LA PERIODICITÀ D’INCASSO DEL COMPENSO

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]

Circa il compenso dell’amministratore di condominio è ormai noto che, chi svolge tale attività, deve, ora, portare a conoscenza dell’assemblea (affinché l’accetti), in sede di conferimento (o di rinnovo) dell’incarico, la retribuzione richiesta, sia per le competenze relative a prestazioni di carattere ordinario sia per quelle relative ad attività di natura straordinaria. E questo, a seguito della riscrittura, ad opera della legge di riforma (l. n. 220/2012), dell’art. 1129 cod. civ., secondo cui l’amministratore, “all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo deve specificare analiticamente” l’importo dovuto a titolo di compenso; pena: la “nullità della nomina stessa”.

Ciò posto, è altrettanto importante sottolineare l’importanza di definire in sede assembleare la periodicità con cui l’amministratore possa incassare il proprio compenso. Infatti, in assenza di una decisione sul punto (oppure di una norma del regolamento che tratti della questione), deve ritenersi – anche sulla base della disciplina sul mandato, alla quale lo stesso art. 1129 cod. civ. rimanda per regolare i rapporti tra condòmini e amministrazione condominiale (e da cui non emerge, salvo naturalmente diverso accordo tra le parti, la possibilità di un pagamento frazionato del compenso concordato) – che l’amministratore non possa percepire quanto convenuto se non alla scadenza (annuale) dell’incarico. Con l’effetto che eventuali incassi in corso di mandato potrebbero essere ritenuti illegittimi e quindi causare all’interessato problemi di vario genere (anche di natura penale). Problemi che, necessariamente, si proietterebbero sulla compagine condominiale, la quale verrebbe ad essere coinvolta in complessi quanto delicati contenziosi.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Muore cadendo dal tetto

per sistemare l’antenna 

Tragedia domestica in provincia di Latina, dove un uomo di 50 anni ha perso la vita precipitando dal tetto della sua villetta a schiera. Da una prima ricostruzione dell’accaduto, sembra che la vittima fosse salito sul tetto della propria abitazione, un edificio di tre piani, per effettuare dei piccoli lavori di manutenzione o per sistemare un’antenna. A quel punto, per cause ancora da accertare, avrebbe perso l’equilibrio, cadendo rovinosamente al suolo. L’intervento dell’elisoccorso è stato tempestivo, anche grazie alla prontezza dei vicini di casa che hanno chiamato subito il 118, ma per il 50enne non c’è stato nulla da fare.

Inquilino sotto sfratto

mette la casa in vendita

Era già noto alle forze dell’ordine l’uomo di 55 anni, residente nell’hinterland genovese, arrestato per aver venduto l’immobile dove viveva in affitto e dal quale era appena stato sfrattato per morosità. Il truffatore, grazie all’aiuto di altri 4 complici, era riuscito a vendere l’immobile ad un ignaro assicuratore, per un ammontare di 180mila euro. Vittime del raggiro anche due notai, che avevano avallato l’atto di compravendita. A scoprire l’inganno è stato il vero proprietario, un medico di Vercelli, che si era recato nell’appartamento per rintracciare l’inquilino, trovandosi di fronte l’assicuratore.

Occupa un alloggio

e ruba l’elettricità

È stato denunciato dai carabinieri con l’accusa di furto aggravato, occupazione abusiva di abitazione e detenzione illecita di sostanze stupefacenti l’uomo di 30 anni, originario della Nigeria, che aveva preso possesso di un casolare in provincia di Frosinone, naturalmente all’insaputa del proprietario. A scoprirlo sono stati i militari dell’Arma, nel corso di un’operazione di prevenzione e repressione del commercio di droga. Nel corso della perquisizione è stato appurato che il 30enne, oltre a detenere 6 grammi di marijuana, aveva creato un allaccio abusivo alla rete elettrica pubblica. 

Faida condominiale

finisce a colpi di pistola

Se la caverà con un piccolo intervento chirurgico e qualche giorno di convalescenza il panettiere di 40 anni, residente in provincia di Siracusa, aggredito a colpi di pistola dal vicino di casa, un uomo di 46 anni, attualmente in carcere per tentato omicidio. Secondo quanto accertato dai carabinieri il gesto sarebbe scaturito al termine dell’ennesima lite condominiale. Già nel 2013 i due si erano resi protagonisti di un episodio simile ma a ruoli invertiti: in quel caso la vittima era stato il 46enne dirimpettaio, preso a coltellate dal 40enne. In casa dell’assalitore sono stati rinvenuti e sequestrati una pistola caricata a salve, una sciabola e una balestra.

Ladro d’appartamento

incastrato” dal vicino 

È stato scoperto e arrestato dalla polizia il giovane 17enne, proveniente dalla provincia di Foggia, ritenuto responsabile del furto perpetrato in un’abitazione di Campobasso. Il ladruncolo era stato individuato dalle forze dell’ordine nei giorni successivi il colpo, mentre si aggirava nei pressi di alcuni condomini del capoluogo molisano. Dopo una serie di pedinamenti il giovane è stato bloccato nella città d’origine, anche grazie ai rilevamenti della Scientifica. Decisiva ai fini del fermo la testimonianza del vicino di casa proprietario dell’appartamento svaligiato, che era stato addirittura minacciato con un piede di porco mentre tentava di ostacolare la fuga del ladro. 

LA REVOCA DELLA DELIBERA VIZIATA E LA TRANSAZIONE DEI DIRITTI IN CONDOMINIO

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]
Una delle possibili soluzioni del contenzioso condominiale riguarda la revoca di una delibera già impugnata con citazione in giudizio o che comunque è già materia del contendere, ad esempio perché è stata avviata la procedura di mediazione preventiva ed obbligatoria. In questi casi, è possibile bloccare il contenzioso condominiale, evitando le conseguenze del caso ma non le spese legali, attraverso l’applicazione dell’articolo 2377, ultimo comma, c.c. In forza di tale norma, palese dimostrazione di un intimo nesso tra comunione e società, per l’amministratore di condominio, che riceve un atto giudiziale di citazione da parte del tribunale, effetto dell’impugnazione di una delibera nulla o annullabile, è sufficiente convocare d’urgenza l’assemblea dei condòmini e far revocare la deliberazione oggetto del contenzioso oppure ratificarla eliminando i vizi già denunciati in corso di causa. 
In tal modo, il giudizio o il suo prosieguo è evitato, nel senso che si viene a determinare la cessata materia del contendere nel merito, rimane però la liquidazione delle spese. Detta liquidazione sarà operata in base al principio della soccombenza virtuale, nel senso che questa sarà posta a carico di chi sarebbe stato soccombente in base ai vizi già denunciati ed alla loro sussistenza o meno. (Il nuovo condominio – Ed. Giappichelli 2013 – Marco Andrighetti-Formaggini pagg. 666 e ss.)
LA TRANSAZIONE DEI DIRITTI
Risulta oltremodo difficile operare una panoramica di tutte le possibili difficoltà che potrebbero verificarsi in concreto nella transazione dei diritti nelle liti tra un condomino o un terzo che vedono i loro interessi contrapposti a quelli del condominio. 
In primo luogo, occorre precisare che è l’assemblea all’uopo convocata che deve esprimersi sul punto e che il condomino in conflitto di interessi non può nemmeno partecipare alla votazione. Ciò premesso, iniziamo a specificare che eventuali decisioni che avessero riguardo ai diritti propri del condomino sarebbero completamente nulle e come tali non possono essere oggetto di transazione alcuna. Vedi ad esempio la delibera assembleare con cui il condominio neghi ad un condomino l’autorizzazione ad allacciare il proprio immobile destinato a magazzino alla rete idrica. (Cass. N. 21832 del 17.10.2007). Ovvero è pure nulla la delibera con la quale l’assemblea addebiti al condomino le spese di una lite per la quale egli ha manifestato il proprio dissenso. (Cass. 11126 del 15.05.2006).
Come è completamente nulla la delibera che ponga a completo carico del condomino le spese del legale del condominio senza una sentenza che ne sancisca la soccombenza. (Cass. 3946 del 26.04.1994). Lo stesso dicasi per la delibera condominiale che autorizza l’amministratore a nominarsi un difensore in un giudizio penale contro di lui instaurato sulla cattiva gestione dei beni in comune (Cass. 5163 del 10.06.1997). Come sarebbe nulla la delibera che approva una spesa pluriennale obbligatoria per tutti i condòmini (Cass. 7706 del 21.08.1996). Per cui occorre preliminarmente stabilire che l’oggetto della trattazione deve essere nella disponibilità degli interessi delle parti. In particolar modo occorre stabilire che la disponibilità del diritto spetta proprio all’assemblea dei condòmini.
Vi è poi una seconda categoria di deliberazioni: quella che necessità dell’unanimità dei condòmini per poter essere valida. Ad esempio, occorre l’unanimità per approvare un’utilizzazione particolare da parte del singolo condomino di un bene comune qualora tale diversa utilizzazione rechi pregiudizi notevoli all’utilizzo da parte degli altri condòmini. (Cass. 9130 del 15.04.1994). Come è nulla la delibera dell’assemblea di esecuzione di opere, nell’interesse comune anche sulle proprietà dei condòmini senza il loro consenso (Cass. 13116 del 30.12.1997).
Possiamo quindi affermare che, in genere, le delibere anche se adottate nell’interesse comune o per adempiere un obbligo di legge, qualora violano i diritti del condomino sono completamente nulle. Per tale motivo anche se il condomino interessato vi ha partecipato senza sollevare obiezioni potrà sempre impugnarle in seguito (Cass. 9981 del 24.05.2004 cd. nullità relativa perché può essere eccepita solo da questi interessati). 
RECIPROCHE RINUNCE
Infine, può accadere che, nel corso dell’assemblea, le parti contrapposte assemblea e condomino operino rinunce reciproche consacrando così la loro volontà di accordo. In questi casi la votazione dell’assemblea deve pur sempre rispettare le maggioranze previste dalla legge con l’astensione del condomino interessato. Ad esempio è inefficace nei confronti del dissenziente la clausola del regolamento approvato dall’assemblea a maggioranza che reca il divieto di destinare gli immobili ad affittacamere (Cass. 1368 del 04.05.1954). Dissenso che potrebbe venire meno in un accordo transattivo successivo.
Può anche accadere che con una successiva delibera l’assemblea del condominio, al fine di operare una transazione, vada a revocare o modificare una precedente delibera. In questa evenienza occorre solamente che l’argomento sia riproposto all’ordine del giorno e non è nemmeno necessario scrivere revoca o modifica. In quanto l’effetto revocatorio determinato da una diversa manifestazione di volontà, validamente espresso con una delibera successiva, non è condizionato dal formale inserimento della questione della revoca tra gli argomenti posti all’ordine del giorno. (Sulla riproduzione della nuova manifestazione di volontà dell’assemblea allo scopo di revocare, modificare o innovare le precedenti determinazioni prese al riguardo vedi: Cass 1281 del 12.04.1976; Cass. 2246 del 19/10/1961). 
Sul punto ho riportate alcune pronunce giurisprudenziali, ma ritengo necessario al fine di una corretta informazione dei condòmini che l’amministratore con apposita relazione allegata alla convocazione assembleare illustri il perché e la posizione delle parti. Solo così ogni condomino sarà compiutamente informato e la relativa decisione sarà presa con più facilità e senza contestazioni successive. Al riguardo si sottolinea che le maggioranze per la revoca sono sempre le stesse maggioranze necessarie per l’approvazione. Ne consegue che se anche in prima battuta la deliberazione fosse stata approvata all’unanimità ciò non significa che si è elevata a rango di contratto. Per tale motivo per la revoca sarà sufficiente l’ordinaria maggioranza che era sufficiente per la sua approvazione.

CONDOMINIO E REGOLAMENTO CONTRATTUALE: PUÒ LIMITARE IL DIRITTO DI VENDERE?

Condominio e limiti imposti dal regolamento contrattuale. Un argomento sempre di stretta attualità quello oggetto di un quesito indirizzato da un amministratore alla rubrica di consulenza legale del Tg del Condominio. di seguito, una sintesi della vicenda e il parere fornito dall’avvocato Emanuele Bruno

IL QUESITO

Un regolamento di natura contrattuale (risalente al 1936) di un condominio che amministro, prevede quanto segue: “Il subaffitto totale o l’eventuale vendita degli alloggi deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”. In articolo successivo, viene poi stabilita la procedura da seguire in caso di subaffitto totale o vendita degli alloggi. Ora, la domanda è la seguente: a mio parere la disposizione in questione è, oggi, illegittima, e quindi da considerare “caducata”, perché in contrasto con un “principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato”, che è quello della “libera circolazione dei beni”. Che cosa ne pensate?

RISPONDE L’AVVOCATO E. BRUNO

Il regolamento condominiale dell’anno 1936 ha come presupposto la disciplina del diritto di proprietà normata dallo Statuto Albertino e dal Codice civile del 1865. 

Lo Statuto Albertino statuiva che “la proprietà privata è sacra, inviolabile, intangibile e solo in casi rarissimi ed eccezionali può essere sacrificata”; contestualmente, il codice civile del 1865, all’art. 436, affermava che “la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”.

La seconda parte del periodo della clausola regolamentare è così formulata: “(…) deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”.

La norma limita certamente il libero trasferimento/godimento della proprietà; tuttavia, emerge con forza la volontà di regolamentare la cessione, ovvero, indicare ai condòmini presupposti e modalità per trasferire l’uso o la proprietà con l’obbiettivo espresso di salvaguardare l’equilibrio sociale già presente all’interno del condominio [(…) potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”]. 

La volontà di salvaguardare l’equilibrio condominiale o, meglio, lo status della proprietà, è lampante, tanto che il regolamento disciplina la procedura da seguire per vendere o subaffittare. 

Si osservi anche la non regolamentazione del subaffitto parziale, pratica estremamente diffusa all’epoca (locazione di una stanza), quasi a ritenere che il proprietario/conduttore garantisse per il conduttore/sub conduttore parziario. 

Dunque, la norma regolamentare pone limite al trasferimento della proprietà, ma tale limitazione lascia trasparire – con forza – la volontà di salvaguardare modalità di utilizzo degli spazi, quindi, si tratta di limitazione orientata a salvaguardare la destinazione d’uso dell’intero complesso. Sarebbe interessante capire, per esempio, se, come si è indotti a pensare, trattasi di immobile di particolare pregio. 

Quale possibilità di applicazione oggi?

L’art. 42 della Costituzione attuale afferma: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La libera circolazione della proprietà non è anarchica ma orientata alla funzione sociale. 

La norma citata è stata più volte applicata dalla Cassazione che riconosce al regolamento condominiale contrattuale la possibilità di limitare l’ampiezza del diritto di proprietà: “Il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare. In quest’ultimo caso per evitare ogni equivoco in una materia atta ad incidere sulla proprietà dei singoli condòmini, i divieti e i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela. Infatti, la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condòmini deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze”, Cass. Civ. n. 21307/2016.

In conclusione, oggi, si può limitare in modo chiaro ed espresso la facoltà di godimento (perseguimento della funzione sociale) ma non si può semplicemente escludere la libera vendita della proprietà privata. Ciò vuol dire che il proprietario può vendere l’immobile inserito all’interno di un complesso condominiale a chi preferisce (indipendentemente dalla previsione regolamentare); tuttavia, l’acquirente potrà farne uso nei limiti previsti dal regolamento condominiale anche datato 1936 se espresso in modo chiaro e non abrogato (tacitamente e/o espressamente).

Sotto altro profilo, si può osservare che un regolamento del 1936 può, anche solo in parte, contenere regolamentazioni d’uso ancora valide ed efficaci ma, forse, non in linea con le esigenze attuali, quindi, perché non aggiornarlo?

VIDEOSORVEGLIANZA: CREDITO D’IMPOSTA PARI AL 100% DELL’IMPORTO RICHIESTO

[A cura di: FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

Lo sconto fiscale, introdotto dalla Stabilità 2016 sotto forma di credito d’imposta per le persone fisiche che, lo scorso anno, hanno sostenuto spese per l’installazione di sistemi di videosorveglianza o di allarme, o per contratti stipulati con istituti di vigilanza, trova tutti gli strumenti per poter essere utilizzato. Con un provvedimento datato 30 marzo 2017, infatti, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver esaminato le istanze presentate dagli interessati entro il 20 marzo (termine ultimo), ha fissato al 100% dell’importo richiesto la percentuale massima di credito spettante e, con parallela risoluzione n. 42/E, il codice tributo6874”, da indicare nel modello l’F24 per l’utilizzo in compensazione.

L’ITER

Con l’occasione ripercorriamo, in sintesi, l’iter normativo dell’agevolazione pensata e strutturata con lo scopo di venire incontro alla necessità di prevenire le attività criminali. “Madre” del credito d’imposta, come anticipato, è stata la Stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 982, legge 208/2015), seguita dal propedeutico decreto attuativo del 6 dicembre scorso. Nell’ordine, poi, sono arrivati il modello di richiesta (provvedimento del 14 febbraio scorso) e, dopo pochi giorni, il software per trasmetterlo on line.

Oltre a comunicare la percentuale massima di credito spettante a ciascun richiedente, il nuovo provvedimento fornisce indicazioni sulle modalità di utilizzo del bonus, ricordando che l’unica via percorribile per usufruirne è quella offerta dai canali telematici dell’Agenzia (Entratel o Fisconline); in caso contrario, il versamento si considera come non eseguito. In alternativa, il contribuente persona fisica non titolare di redditi d’impresa o di lavoro autonomo può utilizzare il credito spettante in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi.

COMPILAZIONE

Le “dritte” su come compilare il modello di pagamento unificato, invece, sono dettate dalla risoluzione 42/2017, che ha istituito la “griffe” del credito, cioè il codice tributo che lo identifica inequivocabilmente: “6874” andrà riportato in corrispondenza dell’ammontare indicato nella colonna “importi a credito compensati” della sezione “Erario”, mentre nel campo “anno di riferimento” si dovrà scrivere 2016 (anno di sostenimento della spesa). Lo stesso codice serve anche in caso di riversamento dell’agevolazione indebitamente fruita; in tale ipotesi, bisogna far riferimento alla colonna “importi a debito versati”.

I CONDÒMINI SONO PARTI ORIGINARIE DEL PROCESSO INSTAURATO DALL’AMMINISTRATORE

[A cura di Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.com]

Il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini. L’amministratore lo rappresenta nella sua interezza ed unitarietà, e i condòmini sono pertanto parti originarie del processo instaurato dall’amministratore: per eccepire la mancanza di responsabilità a loro carico, devono intervenire nel giudizio. L’argomento è stato oggetto della sentenza di Cassazione numero 4436/2017. Vediamo gli estremi della vicenda.

IL CASO

Il Tribunale condannava un condominio, in solido con la società che gestiva la manutenzione degli ascensori, e con condanna alla compagnia assicurativa in manleva della società, al pagamento di circa 750mila euro per i danni subiti da una bambina precipitata nel vano ascensore riportando lesioni gravissime. La Corte di Appello riformava la sentenza del Tribunale, ravvisando la esclusiva responsabilità condominiale, assolveva la società; condannava il condominio a pagare, e la danneggiata a restituire le somme corrisposte dalla compagnia assicurativa.

Alcuni condòmini proponevano successivamente opposizione di terzo, ex art. 404 codice di procedura civile, deducendo che il condominio era un edificio composto da quattro scale indipendenti, e che pertanto sussisteva un condominio parziale; di conseguenza, ritenevano che i condòmini tenuti a pagare fossero solo quelli della scala interessata dall’incidente. In via subordinata, chiedevano di veder dichiarato che la sentenza fosse a carico del condominio, e non solidalmente né nominativamente, a carico dei singoli condòmini.

La Corte di Appello dichiarava inammissibile l’opposizione di terzo per carenza dei presupposti di cui all’art. 404 c.p.c., non essendo i condòmini terzi rispetto alla pronuncia opposta. Avverso tale decisione proponevano ricorso per cassazione i condòmini delle altre scale, ma la Suprema Corte rigetta il ricorso.

LA DECISIONE

La Cassazione riassume le richieste dei ricorrenti, e quindi passa ad esaminare i vari motivi di ricorso, tra i quali quello relativo alla legittimazione dei condòmini a proporre opposizione di terzo. Il Collegio rileva che, «per costante giurisprudenza, la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404, primo comma, cod. proc. civ.) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti (Cass., Sez. III, 13 marzo 2009, n. 6179; Cass., Sez. Lav., 14 aprile 2010, n. 8888). Va inoltre ribadito che il giudicato formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condòmini, pure se non intervenuti in giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini (Cass., Sez. II, 22 agosto 2002, n. 12343; Cass., Sez. III, 24 luglio 2012, n. 12911). Deve pertanto essere esclusa in capo ai condòmini istanti la legittimazione all’opposizione ordinaria ex art. 404 cod. proc. civ., non essendo essi terzi rispetto alla situazione giuridica affermata con la sentenza passata in giudicato».

E precisa poi a natura di parte dei condòmini: «I condòmini opponenti sono parti originarie rispetto alla lite conclusa con la sentenza impugnata con l’opposizione di terzo (Cass., Sez. III, 16 maggio 2011, n. 10717): infatti, è stato citato in giudizio il condominio nella sua interezza ed unitarietà e si è costituito il relativo amministratore senza sollevare eccezioni in relazione alla carenza di legittimazione passiva di una parte dei condòmini (i condòmini appartenenti alle scale A, B e C), i quali non hanno ritenuto di intervenire in giudizio per eccepire la mancanza di ogni responsabilità a loro carico».

Ne deriva che «I condòmini opponenti avrebbero dovuto intervenire nel giudizio in cui la difesa è stata assunta dall’amministratore o anche avvalersi, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione dell’appello o del ricorso per cassazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore (Cass., n. 10717 del 2011, cit.; Cass., Sez. II, 6 agosto 2015, n. 16562)».

La Cassazione ritiene infondate le censure mosse dai ricorrenti «le quali non colgono la ratio decidendi, perché mirano in realtà a vedere accertata, in questa sede, la natura parziale del condominio e la non appartenenza alla comunione della scala D ove si trova l’impianto di ascensore il cui mancato adeguamento alla prescritta disciplina regolamentare è stato riconosciuto essere stato la causa dell’incidente addebitabile al condominio, e ciò senza tenere conto che il condominio parziale è situazione configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, che non incide affatto sulla rappresentanza del condominio nella sua unitarietà in capo all’amministratore (cfr. Cass., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363)».

La Suprema Corte rigetta quindi il ricorso.

OSSERVAZIONI

La Cassazione ribadisce che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini, e che l’amministratore rappresenta il condominio nella sua interezza ed unitarietà. I condòmini sono pertanto parti originarie del processo instaurato dall’amministratore, e non terzi. Per eccepire la mancanza di responsabilità a loro carico, ammesso che ciò fosse fondato, avrebbero dovuto intervenire nel in giudizio.

GIURISPRUDENZA 

* Cass. 12343/2002

* Cass. 6179/2009

* Cass. 8888/2010

* Cass. 12911/2012

* Cass. 10717/2011

DISPOSIZIONI 

Codice civile

CAPO II – Del condominio negli edifici – Art. 1123 -Ripartizione delle spese

Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.

Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.

Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità.

Codice di procedura civile

CAPO V – Dell’opposizione di terzo – Art. 404 Casi di opposizione di terzo

Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.

Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno.

AMMINISTRATORE CONDOMINIALE REVOCATO: PUÒ ESSERE RINOMINATO? E SE SÌ, QUANDO?

[A cura di: Mauro Simone – vice segr. naz. Alac; pres. Area metropolitana Bari Appc-Alac]

Una criticità contenuta nella novella legislativa n. 220 del 2012 riguarda l’ipotesi di rinnovabilità della nomina ad amministratore di condominio per l’amministratore che sia stato revocato dall’incarico a seguito di un atto dell’Autorità giudiziaria. In vero, la disposizione di cui al comma 13 dell’art.1129 c.c. prescrive che in caso di revoca da parte dell’Autorità giudiziaria l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore destituito. Ci si chiede quale sia la corretta interpretazione di tale disposizione, e per effetto del decisum del Tribunale se l’avvenuta revoca giudiziaria determini un impedimento alla eleggibilità alla carica del rappresentante del condominio. 

In primo luogo occorre osservare che il richiamato art.1129 c.c. prende in esame sia l’ipotesi di gravi irregolarità di cui al comma 11, sia quella della mancata o ritardata presentazione del rendiconto annuale. Al riguardo si segnala l’Ordinanza del Tribunale di Foggia del 4 novembre 2016 che ha disposto la revoca dell’amministrazione per omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale 1/1/15 – 31/12/15 nei termini previsti dalla legge.

Invero il consiglio dei condòmini stabiliva la data di convocazione invitando l’amministratore a mandare l’avviso di convocazione entro il 30/06/16. Il consiglio approvava il rendiconto fissando le date dell’assemblea per il 5 e il 6 settembre 2016. Pur se l’amministratore materialmente avvisava i condòmini il 28 giugno 2016, l’assemblea risultava convocata oltre il termine previsto di 180 gg (6 settembre 2016). Detta condotta dell’amministratore – secondo i giudici – integrava la fattispecie omissiva di cui al combinato disposto degli artt. 1129 e 1130 c.c. non potendosi ritenere giustificata tale ritardata convocazione ed essendo inoltre stata demandata la decisione sulla data di convocazione ad un soggetto differente da quello a ciò preposto dal codice.

L’interpretazione letterale del testo normativo lascia chiaramente intendere che non è consentita all’assemblea l’immediata rinomina ovvero l’immissione in carica dell’amministratore revocato. In effetti l’avverbio “nuovamente” va interpretato nel senso che non può l’assemblea, neppure a maggioranza, nominare nuovamente l’amministratore rimosso giudizialmente. Fatta questa precisazione, resta in piedi la questione se l’impossibilità di insediare nuovamente l’amministratore vale sine die o debba riferirsi soltanto all’esercizio condominiale successivo alla revoca. Chiarito che la norma codicistica impedisce al condominio di poter nominare e insediare l’amministratore nella carica dell’amministratore revocato, tuttavia una volta che il condominio abbia designato un altro amministratore è plausibile che le dimissioni o la scadenza del mandato dell’amministratore in carica, subentrato a quello precedente destituito, non consente più di applicare il divieto previsto dall’art.1129 ce. 9° comma che, secondo dottrina, può riferirsi solo all’immediata conferma dell’amministratore revocato.

Secondo la migliore interpretazione l’avverbio “nuovamente” non avrebbe il significato di impossibilità di nomina sine die, bensì deve intendersi temporaneamente circoscritto a una annualità di gestione, lasciando la possibilità alla maggioranza dei condòmini di nominare nuovamente l’amministratore in precedenza revocato e senza che ciò possa costituire un vulnus dei diritti di coloro che in precedenza hanno promosso l’azione giudiziaria volta alla rimozione dell’amministratore. Impedire per sempre, ovvero a tempo indeterminato, alla maggioranza dei condòmini di rinominare l’amministratore revocato dall’Autorità giudiziaria in anni condominiali passati, è una sanzione eccessiva, ingiustificata e irragionevole, che contrasta con i principi costituzionali di libertà di svolgimento della professione e di autonomia gestionale del condominio nei rapporti contrattuali.

Da quanto innanzi si può trarre la conclusione, interpretando la lettera del testo normativo, che l’effetto sanzionatorio può valere solo per l’immediata rinnovazione della nomina e non può trasformarsi in una sanzione a tempo indeterminato.

MOROSITÀ IN CONDOMINIO: MEGLIO AGIRE CON LE BUONE O FORZARE LA MANO?

Le spese condominiali, il consuntivo della gestione passata, il preventivo per quella nuova, la morosità arretrata. Argomenti sempre più protagonisti delle riunioni di condominio quelli oggetto di una richiesta di parere legale inviata a Italia Casa da un amministratore, che spiega: “Nell’ultima assemblea condominiale sono stati approvati il consuntivo 2016 e il preventivo 2017. come devo regolarmi relativamente alle quote del 2016 non versate dai condòmini morosi? Io intendo ripartirle equamente sulle loro quote di spettanza del preventivo 2017, ma il timore di molti condòmini è che, così facendo, non si addiverrà mai a un recupero definitivo dei crediti nei confronti dei morosi. È corretta questa lettura? Qual è l’iter più giusto da seguire?
Secondo l’avvocato Emanuele Bruno, “il credito del condominio verso un condomino deve essere regolamentato al pari di ogni altro credito dell’ente condominiale, quindi, occorre provvedere al recupero. Se non viene fatto nulla per il recupero, dell’inadempienza risponde l’amministratore. L’amministratore, ove non vi siano condizioni straordinarie da sottoporre all’assemblea, può avviare autonomamente iniziative – giudiziarie e stragiudiziarie – finalizzate al recupero delle somme (Trib. Milano Sez. XIII, 27/02/2015). L’accordo non giudiziale, con pagamento dilazionato, potrebbe essere soluzione utile a recuperare le somme con temporaneo sacrificio economico a carico degli altri condòmini. Il recupero giudiziale necessita invece di anticipazione delle spese di procedura da parte del condominio. La scelta da preferire deve essere individuata in ragione del caso concreto: entità del debito, cause della morosità, volontà effettiva del condomino di pagare. Se si preferisce un accordo non giudiziale, potrebbe essere utile predisporre un piano di rientro che responsabilizzi il moroso e consenta di monitorare il rientro stesso. È escluso, invece, che si possa effettuare il semplice trasferimento di debito in capo agli altri condòmini, a meno che tale ultima possibilità venga espressamente discussa ed approvata dall’assemblea”. 
Sulla questione, l’avvocato Massimiliano Bettoni aggiunge: “Il primo comma dell’art. 63 disp. att. c.c. prevede che, per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato dall’assemblea, l’amministratore possa ottenere un decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo contro i condòmini morosi. La norma sopra riportata è da leggere in combinato disposto con l’art. 1130, comma 1, n. 3, c.c., secondo cui si impone all’amministratore di riscuotere fra i condòmini i contributi per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni. Dunque, la soluzione, più veloce e consona per recuperare i canoni non corrisposti da parte dei condòmini morosi è quella di proporre all’organo competente ricorso per decreto ingiuntivo. Il soggetto legittimato a proporre tale ricorso è l’amministratore di condominio; lo stesso è autorizzato, ai sensi dell’art. 1131, comma 1, c.c., ad agire in giudizio senza il preventivo consenso dell’assemblea di condominio. Il credito del condominio, inoltre, gode di una tutela particolare: il regolamento di condominio non potrà mai derogare – secondo quanto previsto dal legislatore – alla disposizione dell’art. 63, co. 1, disp. att. c.c..
Prima di procedere, però, alla redazione del ricorso, è necessario procedere con una formale messa in mora dei condòmini morosi secondo quanto previsto ai sensi dell’art. 1219 c.c., nonostante l’art. 63, co. 1, disp. att., non preveda espressamente tale preliminare adempimento; in realtà, la scelta qui prospettata è data da una ragione di economia processuale, in quanto tale comportamento può essere valutato ai fini della condanna alla spese del giudizio di opposizione. Concludendo, l’amministratore di condominio, successivamente all’aver predisposto e notificato mediante lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, potrà – sulla base dell’ultimo piano di riparto approvato – ottenere un decreto ingiuntivo di pagamento, contro i condòmini morosi.

STALKING CONDOMINIALE: BASTANO LE DICHIARAZIONI DELLA PERSONA OFFESA

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – pres. Centro studi Confedilizia]
Il reato di “atti persecutori”, noto come stalking (previsto dall’art. 612-bis c.p. e consistente nel fatto di chi, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita) scatta anche in danno dei vicini di casa. 
Tale principio è stato di recente confermato dalla Cassazione nella sentenza n. 26878 del 28.6.2016, nella quale i giudici hanno colto l’occasione per ricordare che le dichiarazioni della persona offesa possono essere anche da sole poste a fondamento dell’affermazione di responsabilità, se sottoposte a vaglio critico positivo circa l’attendibilità soggettiva del dichiarante e l’attendibilità oggettiva di quanto riferito. La Corte ha sottolineato che a tali dichiarazioni (come già chiarito dalla sentenza n. 41461/2012 delle Sezioni Unite) “non si applicano le regole dettate dall’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. (tale articolo dispone che «le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità»)” in quanto le dichiarazioni in questione “possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone”.

LA MEDIAZIONE IN CONDOMINIO: I COSTI, LA PROCEDURA E IL FATTORE TEMPO

[A cura di: avv. Rodolfo Cusano]

La mediazione è uno strumento innovativo ed efficace per la gestione delle controversie in condominio. Grazie all’ausilio di un terzo neutrale – il mediatore-, le parti possono giungere ad una soluzione della lite accettabile e soddisfacente per entrambe. 

I VANTAGGI DELLA MEDIAZIONE

Caratteristica dell’istituto è l’individuazione di soluzioni in grado di soddisfare i bisogni di tutte le parti della controversia, non solo di alcune; ciò consente di ripristinare e rafforzare le relazioni (commerciali, economiche…) intercorse tra i protagonisti della lite.

I tempi infiniti del nostro sistema giudiziario e, in particolare, del processo civile, lento e inefficiente, non in grado di dare risposte con la necessaria solerzia, rappresentano per le imprese un rilevante danno. Spesso, poi, i costi sono notevoli ed i risultati concreti, incerti. I vantaggi dell’istituto sono molteplici sia sotto il profilo dei tempi, sia sotto il profilo economico e fiscale, fino a giungere anche a una soluzione del contenzioso che dia una risposta celere, valida, efficiente, proficua, ed a “costo zero”.

MEDIAZIONE IN CONDOMINIO

In condominio, dove la salvaguardia dei rapporti tra amministratore (visto come condominio) e condòmini soffre di condizioni veramente avverse, la mediazione costituisce il primo interesse di una risoluzione delle controversie celere oltre che bonaria. In estrema sintesi, i principali benefici possono essere così riassunti: 

  1. 1. innanzitutto, il procedimento di mediazione, da proporre dinanzi ad un Organismo di mediazione accreditato presso il Ministero della Giustizia, terzo ed imparziale e soggetto a controlli sulla propria attività, ha una durata massima di tre mesi dal deposito della domanda e non è soggetto a sospensione feriale. Il tentativo di conciliazione può essere proposto anche in relazione ad un giudizio in corso.
  2. 2. La clausola di mediazione o conciliazione può essere prevista dal contratto o dallo statuto ovvero dall’atto costitutivo, e la domanda è presentata davanti all’organismo indicato dalla clausola. Ad esempio prevedendolo espressamente con apposita delibera a modifica del regolamento di condominio.
  3. 3. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale ed impedisce la decadenza, e lo svolgimento della mediazione non preclude la concessione dei provvedimenti urgenti e cautelari, né la trascrizione della domanda giudiziale.
  4. 4. Entro 30 giorni dal deposito della domanda di mediazione, sarà effettuato un primo incontro nel corso del quale il mediatore illustrerà alle parti, assistite dai propri avvocati, la funzione e le modalità di svolgimento della mediazione, invitando poi le parti ed i loro avvocati ad esprimersi sulla possibilità di iniziare la procedura e, nel caso positivo, procederà con lo svolgimento del procedimento, adoperandosi affinché le parti raggiungano un accordo amichevole di definizione della controversia, anche formulando una proposta conciliativa non vincolante e che le parti saranno libere di accettare o meno.
  5. 5. Il procedimento avrà luogo senza formalità presso la sede dell’Organismo o presso altro luogo eventualmente concordato con le parti, e può svolgersi anche con modalità on-line.
  6. 6. Se, in occasione del primo incontro, le parti dovessero esprimersi negativamente sulla possibilità di iniziare la procedura, nessun compenso sarà dovuto per l’organismo di mediazione, salvo le spese di avvio e, quando la mediazione è prevista quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, la condizione si considera avverata.
  7. 7. È previsto l’obbligo di riservatezza per chiunque presti la propria opera o il proprio servizio nell’ambito del procedimento di mediazione rispetto alle informazioni rese ed alle informazioni acquisite durante il procedimento e le dichiarazioni rese o le informazioni acquisite nel corso del procedimento medesimo non possono essere utilizzate nel giudizio avente il medesimo oggetto anche parziale eventualmente iniziato, riassunto o proseguito dopo l’insuccesso della mediazione.
  8. 8. Se è raggiunto un accordo amichevole, il testo dell’accordo è allegato al processo verbale e l’accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dai loro avvocati costituisce titolo esecutivo per l’espropriazione forzata, l’esecuzione per consegna o rilascio, l’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, l’esecuzione in forma specifica, per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
  9. 9. L’accordo raggiunto, anche a seguito della proposta da parte del mediatore, può prevedere il pagamento di una somma di denaro per ogni violazione o inosservanza degli obblighi stabiliti ovvero per il ritardo nel loro adempimento.
  10. 10. Tutti gli atti, documenti e provvedimenti relativi al procedimento di mediazione sono esenti dall’imposta di bollo e da ogni spesa tassa o diritto di qualsiasi specie e natura.
  11. 11. Il verbale di accordo è esente dall’imposta di registro entro il limite di valore di 50.000 euro, altrimenti l’imposta è dovuta per la parte eccedente.
  12. 12. I costi sono predeterminati sin dall’inizio. Le spese di avvio della mediazione sono fisse (40 euro oltre IVA) e le spese di mediazione (comprensive del compenso del mediatore) sono previste da tabelle redatte dal Ministero della Giustizia.
  13. 13. Quando la mediazione è condizione di procedibilità, le indennità previste dalle tabelle sono ridotte Nell’ipotesi in cui la parte chiamata in mediazione non aderisca all’invito, le spese di mediazione si riducono alla misura fissa di 50 euro oltre IVA.
  14. 14. I costi della mediazione (compresi quelli per i consulenti) sono deducibili.
  15. 15. Alle parti che corrispondono l’indennità agli Organismi, inoltre, è riconosciuto un credito di imposta commisurato all’indennità stessa, fino a concorrenza di euro 500 in caso di successo della mediazione, ridotto della metà in caso di insuccesso.

LE MATERIE PREVISTE

In materia condominiale, il nuovo art. 71-quater disp. att. c.c. recita “Per controversie in materia di condominio, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, si intendono quelle derivanti dalla violazione o dall’errata applicazione delle disposizioni del libro III, titolo VII, capo II, del codice e degli articoli da 61 a 72 delle presenti disposizioni per l’attuazione del codice. La domanda di mediazione deve essere presentata, a pena di inammissibilità, presso un organismo di mediazione ubicato nella circoscrizione del tribunale nella quale il condominio è situato. Al procedimento è legittimato a partecipare l’amministratore, previa delibera assembleare da assumere con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se i termini di comparizione davanti al mediatore non consentono di assumere la delibera di cui al terzo comma, il mediatore dispone, su istanza del condominio, idonea proroga della prima comparizione. La proposta di mediazione deve essere approvata dall’assemblea con la maggioranza di cui all’articolo 1136, secondo comma, del codice. Se non si raggiunge la predetta maggioranza, la proposta si deve intendere non accettata. Il mediatore fissa il termine per la proposta di conciliazione di cui all’articolo 11 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, tenendo conto della necessità  per l’amministratore di munirsi della delibera assembleare”. 

LA PROCEDURA DA SEGUIRE

Per cui l’amministratore che si vedrà notificato un tentativo di conciliazione dovrà indire un’apposita assemblea, che dovrà non solo autorizzare o meno l’amministratore a partecipare alla mediazione, ma indicare quali saranno i limiti per cui sarà autorizzato a trattare nonché dovrà dare mandato ad un avvocato, così come disposto dalle modifiche al D.L. 69/2013. Nel caso in cui non ci fossero i termini per la convocazione dell’assemblea per assumere la delibera di cui sopra, il mediatore dispone, su istanza dell’amministratore, idonea proroga della prima comparizione.

L’eventuale accordo raggiunto dovrà essere approvato in assemblea con le maggioranze di cui all’art. 1136 secondo comma, diversamente, se tale quorum non è raggiunto, per un qualsiasi motivo, la proposta si deve intendere come non accettata. 

GLI ASPETTI CRITICI

Aspetti critici di questa procedura sono i tempi. Infatti, specialmente in materia di impugnativa di delibera assembleare, il termine dei trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c. a pena di decadenza 1, impone l’avvio della procedura di mediazione entro lo stesso termine dei trenta giorni. Salvo poi essere sospeso, per poi iniziare a decorrere nuovamente dalla chiusura della mediazione. 

La prima questione che si pone riguarda il momento in cui il termine per l’impugnativa si sospende. Sul punto, l’art. 5 comma 6 stabilisce: “Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale di cui all’articolo 11 presso la segreteria dell’organismo”.

Detta norma va letta in uno a quella di cui all’art. 8 comma 1 del D. Lgs. n. 28/2010: “All’atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell’organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all’altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante.

In questi casi si può verificare che la domanda di mediazione sia depositata prima dei 30 giorni previsti per l’impugnativa ma che venga comunicata, a cura dell’ufficio di mediazione, alle altre parti, oltre detto termine. In tale evenienza la parte incolpevole si trova nell’impossibilità di impugnare poi la delibera in sede giudiziale per essersi verificata la decadenza che come abbiamo appena detto è sospesa solo quando viene effettuata la comunicazione alla controparte della domanda di mediazione. All’attualità è pacifico il ritenere non solo che in questi casi si verifichi la decadenza, ma che il termine vero di interruzione è quello in cui l’istanza di mediazione giunge a conoscenza della controparte. Quindi l’alea non è solo quella relativa ai tempi dell’ufficio di mediazione (dal deposito all’invio della domanda) ma anche quella relativa al mezzo usato per la comunicazione ad esempio raccomandata postale. Insomma, l’istanza a causa di un vero e proprio errore-carenza normativa subisce un danno quasi certo non fosse altro per l’incertezza del sistema così congegnato.

Non solo. A voler porre un rimedio a tutto ciò ci sarebbe da consigliare alla parte istante di inviare direttamente l’istanza di mediazione alla controparte oltre che di depositarla. In questo caso la prima alea dei tempi dell’ufficio verrebbe meno. Però tale rimedio comunque non risolverebbe il problema quando l’istanza di mediazione viene fatta partire l’ultimo giorno (dei 30) utile per l’impugnativa. Infatti, sia che venga depositata sia che venga inviata a mezzo posta è inverosimile che possa giungere a conoscenza della controparte nello stesso giorno. Sul punto non vi è molto da fare ci si auspica solo che il legislatore intervenga con ogni urgenza risolvendo il problema. 

Pur trovandosi in una procedura diversa da quella giudiziale, perché non applicare anche ad essa il dettato della Corte Costituzionale in tema di termini per la notifica, distinguendo quelli a favore della parte istante e quelli a favore della parte convenuta? Solo così potrebbe veramente risolversi il problema. Ma appunto trattandosi non di procedura giudiziale il discorso di applicazione per analogia non può essere perseguito. 

ANNOTAZIONI

Due precisazioni in calce. Innanzitutto le riflessioni di cui sopra fanno riferimento alle sole delibere annullabili e non a quelle nulle, che come tali possono essere impugnate in ogni tempo.

In secondo battuta, non mancano in diritto (Ruvolo) opinioni già espresse nell’immediatezza della riforma di ritenere in questi casi applicabile la giurisprudenza di legittimità di cui alla sentenza della Cass. n. 14087/2006, con la quale la Suprema Corte ebbe a stabilire che in ordine all’impugnativa di licenziamento tale atto non necessita di giungere a conoscenza dell’interessato ma il termine dei 60 giorni ivi previsto è considerato rispettato con il deposito dell’istanza obbligatoria di conciliazione.