“Ho seguito con attenzione quanto è stato scritto in merito alla possibilità di reperire gratuitamente informazioni catastali e ipotecarie, e considero importante, per la tutela del cittadino, evidenziare alcuni punti informativi”. Lo ha dichiarato Mario Bulgheroni (nella foto), presidente AVI (Associazione esperti visuristi italiani) e vice presidente Confassociazioni, secondo il quale “è assolutamente funzionale quanto è stato definito lo scorso 24 marzo sulla circolare n. E/3 dell’Agenzia delle Entrate, in merito alle consultazioni gratuite delle banche dati ipotecarie e catastali possibili per i titolari di diritti di proprietà, comproprietà o di altri diritti reali immobiliari, ovvero per il singolo soggetto titolare. Ma è importante dire che, prima di tutto, tale concessione non è gratuita per soggetti terzi. Poi che la stessa visura catastale ottenuta gratuitamente dal soggetto titolare dei diritti non certifica la condizione sana dell’immobile. Per avere conferma di ciò è necessario e indispensabile passare alle visure ipotecarie e catastali ultra ventennali e darne una giusta interpretazione. Ovvio che per fare ciò bisogna avere una competenza specifica che può essere anche patrimonio personale del singolo cittadino. Quando, però, questa particolare conoscenza manca, l’unica cosa da fare per avere dati certi ed evitare, quindi, spiacevoli problemi futuri, è ricorrere all’intervento di un esperto visurista che, dopo l’interpretazione dei dati, può confermare o meno la condizione sana dell’immobile. Nel senso che può far emergere ipoteche volontarie, ipoteche giudiziali, ipoteche legali, sequestri, pignoramenti, citazioni come pure la spesso errata intestazione dell’immobile al Catasto”.
In sostanza, a giudizio di Bulgheroni, “è importante prestare attenzione a ciò che si deve chiedere e a ciò che si vuole ottenere. Indubbiamente quanto delineato nella circolare dell’Agenzia delle Entrate può essere utile al cittadino se il dato analizzato è pulito. Ma il mio ruolo di presidente AVI mi fa sentire in dovere di accendere i riflettori sulle probabilità di spiacevoli sorprese che possono essere dietro l’angolo. Infatti, da parte del cittadino è praticamente impossibile rilevare un’anomalia in quanto acquisisce di fatto una notizia rilasciata dall’Agenzia delle Entrate (Catasto e Conservatoria) che ritiene essere corretta. Ma, in assenza di ispezioni ipotecarie e catastali ultra ventennali, che sottolineo possono essere effettuate ed analizzate dal cittadino stesso qualora ne avesse le competenze, la notizia può essere clamorosamente sbagliata. Un esempio ricorrente? Il mancato aggiornamento in banca dati catastale potrebbe far risultare un proprietario non intestatario di immobili in proprietà oppure intestatario di immobili già venduti oppure l’accollo di un precedente mutuo. In sintesi, la circolare garantisce la gratuità della consultazione delle banche dati, ma non garantisce la certezza del dato. Solo con l’ispezione ipotecaria e catastale ultra ventennale, che per garanzia totale può essere affidata all’esperto visurista, si può avere una corretta analisi dei dati ipotecari e catastali e quindi la certezza del quadro della situazione immobiliare”.
In prospettiva, Bulgheroni si dice “fiducioso che la trasparenza vincerà su tutto, e comunque quanto fatto finora dall’Agenzia delle Entrate è un passo importante per tutelare il bene dei cittadini. Da parte dell’Associazione che rappresento confermo una totale apertura verso l’Agenzia pubblica volta ad una maggiore collaborazione professionale e un’ulteriore condivisione informativa. Abbiamo un obiettivo comune: stare dalla parte del cittadino per tutto quanto sia possibile fare con le rispettive competenze”.
[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – presidente Centro studi Confedilizia]
Circa il compenso dell’amministratore di condominio è ormai noto che, chi svolge tale attività, deve, ora, portare a conoscenza dell’assemblea (affinché l’accetti), in sede di conferimento (o di rinnovo) dell’incarico, la retribuzione richiesta, sia per le competenze relative a prestazioni di carattere ordinario sia per quelle relative ad attività di natura straordinaria. E questo, a seguito della riscrittura, ad opera della legge di riforma (l. n. 220/2012), dell’art. 1129 cod. civ., secondo cui l’amministratore, “all’atto dell’accettazione della nomina e del suo rinnovo deve specificare analiticamente” l’importo dovuto a titolo di compenso; pena: la “nullità della nomina stessa”.
Ciò posto, è altrettanto importante sottolineare l’importanza di definire in sede assembleare la periodicità con cui l’amministratore possa incassare il proprio compenso. Infatti, in assenza di una decisione sul punto (oppure di una norma del regolamento che tratti della questione), deve ritenersi – anche sulla base della disciplina sul mandato, alla quale lo stesso art. 1129 cod. civ. rimanda per regolare i rapporti tra condòmini e amministrazione condominiale (e da cui non emerge, salvo naturalmente diverso accordo tra le parti, la possibilità di un pagamento frazionato del compenso concordato) – che l’amministratore non possa percepire quanto convenuto se non alla scadenza (annuale) dell’incarico. Con l’effetto che eventuali incassi in corso di mandato potrebbero essere ritenuti illegittimi e quindi causare all’interessato problemi di vario genere (anche di natura penale). Problemi che, necessariamente, si proietterebbero sulla compagine condominiale, la quale verrebbe ad essere coinvolta in complessi quanto delicati contenziosi.
Muore cadendo dal tetto
per sistemare l’antenna
Tragedia domestica in provincia di Latina, dove un uomo di 50 anni ha perso la vita precipitando dal tetto della sua villetta a schiera. Da una prima ricostruzione dell’accaduto, sembra che la vittima fosse salito sul tetto della propria abitazione, un edificio di tre piani, per effettuare dei piccoli lavori di manutenzione o per sistemare un’antenna. A quel punto, per cause ancora da accertare, avrebbe perso l’equilibrio, cadendo rovinosamente al suolo. L’intervento dell’elisoccorso è stato tempestivo, anche grazie alla prontezza dei vicini di casa che hanno chiamato subito il 118, ma per il 50enne non c’è stato nulla da fare.
Inquilino sotto sfratto
mette la casa in vendita
Era già noto alle forze dell’ordine l’uomo di 55 anni, residente nell’hinterland genovese, arrestato per aver venduto l’immobile dove viveva in affitto e dal quale era appena stato sfrattato per morosità. Il truffatore, grazie all’aiuto di altri 4 complici, era riuscito a vendere l’immobile ad un ignaro assicuratore, per un ammontare di 180mila euro. Vittime del raggiro anche due notai, che avevano avallato l’atto di compravendita. A scoprire l’inganno è stato il vero proprietario, un medico di Vercelli, che si era recato nell’appartamento per rintracciare l’inquilino, trovandosi di fronte l’assicuratore.
Occupa un alloggio
e ruba l’elettricità
È stato denunciato dai carabinieri con l’accusa di furto aggravato, occupazione abusiva di abitazione e detenzione illecita di sostanze stupefacenti l’uomo di 30 anni, originario della Nigeria, che aveva preso possesso di un casolare in provincia di Frosinone, naturalmente all’insaputa del proprietario. A scoprirlo sono stati i militari dell’Arma, nel corso di un’operazione di prevenzione e repressione del commercio di droga. Nel corso della perquisizione è stato appurato che il 30enne, oltre a detenere 6 grammi di marijuana, aveva creato un allaccio abusivo alla rete elettrica pubblica.
Faida condominiale
finisce a colpi di pistola
Se la caverà con un piccolo intervento chirurgico e qualche giorno di convalescenza il panettiere di 40 anni, residente in provincia di Siracusa, aggredito a colpi di pistola dal vicino di casa, un uomo di 46 anni, attualmente in carcere per tentato omicidio. Secondo quanto accertato dai carabinieri il gesto sarebbe scaturito al termine dell’ennesima lite condominiale. Già nel 2013 i due si erano resi protagonisti di un episodio simile ma a ruoli invertiti: in quel caso la vittima era stato il 46enne dirimpettaio, preso a coltellate dal 40enne. In casa dell’assalitore sono stati rinvenuti e sequestrati una pistola caricata a salve, una sciabola e una balestra.
Ladro d’appartamento
“incastrato” dal vicino
È stato scoperto e arrestato dalla polizia il giovane 17enne, proveniente dalla provincia di Foggia, ritenuto responsabile del furto perpetrato in un’abitazione di Campobasso. Il ladruncolo era stato individuato dalle forze dell’ordine nei giorni successivi il colpo, mentre si aggirava nei pressi di alcuni condomini del capoluogo molisano. Dopo una serie di pedinamenti il giovane è stato bloccato nella città d’origine, anche grazie ai rilevamenti della Scientifica. Decisiva ai fini del fermo la testimonianza del vicino di casa proprietario dell’appartamento svaligiato, che era stato addirittura minacciato con un piede di porco mentre tentava di ostacolare la fuga del ladro.
Condominio e limiti imposti dal regolamento contrattuale. Un argomento sempre di stretta attualità quello oggetto di un quesito indirizzato da un amministratore alla rubrica di consulenza legale del Tg del Condominio. di seguito, una sintesi della vicenda e il parere fornito dall’avvocato Emanuele Bruno.
IL QUESITO
Un regolamento di natura contrattuale (risalente al 1936) di un condominio che amministro, prevede quanto segue: “Il subaffitto totale o l’eventuale vendita degli alloggi deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”. In articolo successivo, viene poi stabilita la procedura da seguire in caso di subaffitto totale o vendita degli alloggi. Ora, la domanda è la seguente: a mio parere la disposizione in questione è, oggi, illegittima, e quindi da considerare “caducata”, perché in contrasto con un “principio generale dell’ordinamento giuridico dello Stato”, che è quello della “libera circolazione dei beni”. Che cosa ne pensate?
RISPONDE L’AVVOCATO E. BRUNO
Il regolamento condominiale dell’anno 1936 ha come presupposto la disciplina del diritto di proprietà normata dallo Statuto Albertino e dal Codice civile del 1865.
Lo Statuto Albertino statuiva che “la proprietà privata è sacra, inviolabile, intangibile e solo in casi rarissimi ed eccezionali può essere sacrificata”; contestualmente, il codice civile del 1865, all’art. 436, affermava che “la proprietà è il diritto di godere e disporre delle cose nella maniera più assoluta, purché non se ne faccia un uso vietato dalle leggi o dai regolamenti”.
La seconda parte del periodo della clausola regolamentare è così formulata: “(…) deve avere la preventiva approvazione del consiglio degli inquilini, approvazione che potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”.
La norma limita certamente il libero trasferimento/godimento della proprietà; tuttavia, emerge con forza la volontà di regolamentare la cessione, ovvero, indicare ai condòmini presupposti e modalità per trasferire l’uso o la proprietà con l’obbiettivo espresso di salvaguardare l’equilibrio sociale già presente all’interno del condominio [(…) potrà essere negata solo quando i nuovi inquilini subentranti non diano garanzie sufficienti di sottostare alle norme del presente regolamento”].
La volontà di salvaguardare l’equilibrio condominiale o, meglio, lo status della proprietà, è lampante, tanto che il regolamento disciplina la procedura da seguire per vendere o subaffittare.
Si osservi anche la non regolamentazione del subaffitto parziale, pratica estremamente diffusa all’epoca (locazione di una stanza), quasi a ritenere che il proprietario/conduttore garantisse per il conduttore/sub conduttore parziario.
Dunque, la norma regolamentare pone limite al trasferimento della proprietà, ma tale limitazione lascia trasparire – con forza – la volontà di salvaguardare modalità di utilizzo degli spazi, quindi, si tratta di limitazione orientata a salvaguardare la destinazione d’uso dell’intero complesso. Sarebbe interessante capire, per esempio, se, come si è indotti a pensare, trattasi di immobile di particolare pregio.
Quale possibilità di applicazione oggi?
L’art. 42 della Costituzione attuale afferma: “La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. La libera circolazione della proprietà non è anarchica ma orientata alla funzione sociale.
La norma citata è stata più volte applicata dalla Cassazione che riconosce al regolamento condominiale contrattuale la possibilità di limitare l’ampiezza del diritto di proprietà: “Il regolamento condominiale di origine contrattuale può imporre divieti e limiti di destinazione alle facoltà di godimento dei condòmini sulle unità immobiliari in esclusiva proprietà sia mediante elencazione di attività vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intende evitare. In quest’ultimo caso per evitare ogni equivoco in una materia atta ad incidere sulla proprietà dei singoli condòmini, i divieti e i limiti devono risultare da espressioni chiare, avuto riguardo, più che alla clausola in sé alle attività e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire, così consentendo di apprezzare se la compromissione delle facoltà inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela. Infatti, la compressione di facoltà normalmente inerenti alle proprietà esclusive dei singoli condòmini deve risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo ad incertezze”, Cass. Civ. n. 21307/2016.
In conclusione, oggi, si può limitare in modo chiaro ed espresso la facoltà di godimento (perseguimento della funzione sociale) ma non si può semplicemente escludere la libera vendita della proprietà privata. Ciò vuol dire che il proprietario può vendere l’immobile inserito all’interno di un complesso condominiale a chi preferisce (indipendentemente dalla previsione regolamentare); tuttavia, l’acquirente potrà farne uso nei limiti previsti dal regolamento condominiale anche datato 1936 se espresso in modo chiaro e non abrogato (tacitamente e/o espressamente).
Sotto altro profilo, si può osservare che un regolamento del 1936 può, anche solo in parte, contenere regolamentazioni d’uso ancora valide ed efficaci ma, forse, non in linea con le esigenze attuali, quindi, perché non aggiornarlo?
[A cura di: FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]
Lo sconto fiscale, introdotto dalla Stabilità 2016 sotto forma di credito d’imposta per le persone fisiche che, lo scorso anno, hanno sostenuto spese per l’installazione di sistemi di videosorveglianza o di allarme, o per contratti stipulati con istituti di vigilanza, trova tutti gli strumenti per poter essere utilizzato. Con un provvedimento datato 30 marzo 2017, infatti, l’Agenzia delle Entrate, dopo aver esaminato le istanze presentate dagli interessati entro il 20 marzo (termine ultimo), ha fissato al 100% dell’importo richiesto la percentuale massima di credito spettante e, con parallela risoluzione n. 42/E, il codice tributo “6874”, da indicare nel modello l’F24 per l’utilizzo in compensazione.
L’ITER
Con l’occasione ripercorriamo, in sintesi, l’iter normativo dell’agevolazione pensata e strutturata con lo scopo di venire incontro alla necessità di prevenire le attività criminali. “Madre” del credito d’imposta, come anticipato, è stata la Stabilità per il 2016 (articolo 1, comma 982, legge 208/2015), seguita dal propedeutico decreto attuativo del 6 dicembre scorso. Nell’ordine, poi, sono arrivati il modello di richiesta (provvedimento del 14 febbraio scorso) e, dopo pochi giorni, il software per trasmetterlo on line.
Oltre a comunicare la percentuale massima di credito spettante a ciascun richiedente, il nuovo provvedimento fornisce indicazioni sulle modalità di utilizzo del bonus, ricordando che l’unica via percorribile per usufruirne è quella offerta dai canali telematici dell’Agenzia (Entratel o Fisconline); in caso contrario, il versamento si considera come non eseguito. In alternativa, il contribuente persona fisica non titolare di redditi d’impresa o di lavoro autonomo può utilizzare il credito spettante in diminuzione delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi.
COMPILAZIONE
Le “dritte” su come compilare il modello di pagamento unificato, invece, sono dettate dalla risoluzione 42/2017, che ha istituito la “griffe” del credito, cioè il codice tributo che lo identifica inequivocabilmente: “6874” andrà riportato in corrispondenza dell’ammontare indicato nella colonna “importi a credito compensati” della sezione “Erario”, mentre nel campo “anno di riferimento” si dovrà scrivere 2016 (anno di sostenimento della spesa). Lo stesso codice serve anche in caso di riversamento dell’agevolazione indebitamente fruita; in tale ipotesi, bisogna far riferimento alla colonna “importi a debito versati”.
[A cura di Fulvio Graziotto – www.studiograziotto.com]
Il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini. L’amministratore lo rappresenta nella sua interezza ed unitarietà, e i condòmini sono pertanto parti originarie del processo instaurato dall’amministratore: per eccepire la mancanza di responsabilità a loro carico, devono intervenire nel giudizio. L’argomento è stato oggetto della sentenza di Cassazione numero 4436/2017. Vediamo gli estremi della vicenda.
IL CASO
Il Tribunale condannava un condominio, in solido con la società che gestiva la manutenzione degli ascensori, e con condanna alla compagnia assicurativa in manleva della società, al pagamento di circa 750mila euro per i danni subiti da una bambina precipitata nel vano ascensore riportando lesioni gravissime. La Corte di Appello riformava la sentenza del Tribunale, ravvisando la esclusiva responsabilità condominiale, assolveva la società; condannava il condominio a pagare, e la danneggiata a restituire le somme corrisposte dalla compagnia assicurativa.
Alcuni condòmini proponevano successivamente opposizione di terzo, ex art. 404 codice di procedura civile, deducendo che il condominio era un edificio composto da quattro scale indipendenti, e che pertanto sussisteva un condominio parziale; di conseguenza, ritenevano che i condòmini tenuti a pagare fossero solo quelli della scala interessata dall’incidente. In via subordinata, chiedevano di veder dichiarato che la sentenza fosse a carico del condominio, e non solidalmente né nominativamente, a carico dei singoli condòmini.
La Corte di Appello dichiarava inammissibile l’opposizione di terzo per carenza dei presupposti di cui all’art. 404 c.p.c., non essendo i condòmini terzi rispetto alla pronuncia opposta. Avverso tale decisione proponevano ricorso per cassazione i condòmini delle altre scale, ma la Suprema Corte rigetta il ricorso.
LA DECISIONE
La Cassazione riassume le richieste dei ricorrenti, e quindi passa ad esaminare i vari motivi di ricorso, tra i quali quello relativo alla legittimazione dei condòmini a proporre opposizione di terzo. Il Collegio rileva che, «per costante giurisprudenza, la legittimazione ad impugnare la sentenza con l’opposizione di terzo ordinaria (art. 404, primo comma, cod. proc. civ.) presuppone in capo all’opponente la titolarità di un diritto autonomo la cui tutela sia incompatibile con la situazione giuridica risultante dalla sentenza pronunciata tra altre parti (Cass., Sez. III, 13 marzo 2009, n. 6179; Cass., Sez. Lav., 14 aprile 2010, n. 8888). Va inoltre ribadito che il giudicato formatosi all’esito di un processo in cui sia stato parte l’amministratore di un condominio, fa stato anche nei confronti dei singoli condòmini, pure se non intervenuti in giudizio, atteso che il condominio è ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini (Cass., Sez. II, 22 agosto 2002, n. 12343; Cass., Sez. III, 24 luglio 2012, n. 12911). Deve pertanto essere esclusa in capo ai condòmini istanti la legittimazione all’opposizione ordinaria ex art. 404 cod. proc. civ., non essendo essi terzi rispetto alla situazione giuridica affermata con la sentenza passata in giudicato».
E precisa poi a natura di parte dei condòmini: «I condòmini opponenti sono parti originarie rispetto alla lite conclusa con la sentenza impugnata con l’opposizione di terzo (Cass., Sez. III, 16 maggio 2011, n. 10717): infatti, è stato citato in giudizio il condominio nella sua interezza ed unitarietà e si è costituito il relativo amministratore senza sollevare eccezioni in relazione alla carenza di legittimazione passiva di una parte dei condòmini (i condòmini appartenenti alle scale A, B e C), i quali non hanno ritenuto di intervenire in giudizio per eccepire la mancanza di ogni responsabilità a loro carico».
Ne deriva che «I condòmini opponenti avrebbero dovuto intervenire nel giudizio in cui la difesa è stata assunta dall’amministratore o anche avvalersi, in via autonoma, dei mezzi di impugnazione dell’appello o del ricorso per cassazione per evitare gli effetti sfavorevoli della sentenza pronunciata nei confronti del condominio rappresentato dall’amministratore (Cass., n. 10717 del 2011, cit.; Cass., Sez. II, 6 agosto 2015, n. 16562)».
La Cassazione ritiene infondate le censure mosse dai ricorrenti «le quali non colgono la ratio decidendi, perché mirano in realtà a vedere accertata, in questa sede, la natura parziale del condominio e la non appartenenza alla comunione della scala D ove si trova l’impianto di ascensore il cui mancato adeguamento alla prescritta disciplina regolamentare è stato riconosciuto essere stato la causa dell’incidente addebitabile al condominio, e ciò senza tenere conto che il condominio parziale è situazione configurabile per la semplificazione dei rapporti gestori interni alla collettività condominiale, che non incide affatto sulla rappresentanza del condominio nella sua unitarietà in capo all’amministratore (cfr. Cass., Sez. II, 17 febbraio 2012, n. 2363)».
La Suprema Corte rigetta quindi il ricorso.
OSSERVAZIONI
La Cassazione ribadisce che il condominio è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condòmini, e che l’amministratore rappresenta il condominio nella sua interezza ed unitarietà. I condòmini sono pertanto parti originarie del processo instaurato dall’amministratore, e non terzi. Per eccepire la mancanza di responsabilità a loro carico, ammesso che ciò fosse fondato, avrebbero dovuto intervenire nel in giudizio.
GIURISPRUDENZA
* Cass. 12343/2002
* Cass. 6179/2009
* Cass. 8888/2010
* Cass. 12911/2012
* Cass. 10717/2011
DISPOSIZIONI
Codice civile
CAPO II – Del condominio negli edifici – Art. 1123 -Ripartizione delle spese
Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condòmini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell’intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità.
Codice di procedura civile
CAPO V – Dell’opposizione di terzo – Art. 404 Casi di opposizione di terzo
Un terzo può fare opposizione contro la sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva pronunciata tra altre persone quando pregiudica i suoi diritti.
Gli aventi causa e i creditori di una delle parti possono fare opposizione alla sentenza, quando è l’effetto di dolo o collusione a loro danno.
[A cura di: Mauro Simone – vice segr. naz. Alac; pres. Area metropolitana Bari Appc-Alac]
Una criticità contenuta nella novella legislativa n. 220 del 2012 riguarda l’ipotesi di rinnovabilità della nomina ad amministratore di condominio per l’amministratore che sia stato revocato dall’incarico a seguito di un atto dell’Autorità giudiziaria. In vero, la disposizione di cui al comma 13 dell’art.1129 c.c. prescrive che in caso di revoca da parte dell’Autorità giudiziaria l’assemblea non può nominare nuovamente l’amministratore destituito. Ci si chiede quale sia la corretta interpretazione di tale disposizione, e per effetto del decisum del Tribunale se l’avvenuta revoca giudiziaria determini un impedimento alla eleggibilità alla carica del rappresentante del condominio.
In primo luogo occorre osservare che il richiamato art.1129 c.c. prende in esame sia l’ipotesi di gravi irregolarità di cui al comma 11, sia quella della mancata o ritardata presentazione del rendiconto annuale. Al riguardo si segnala l’Ordinanza del Tribunale di Foggia del 4 novembre 2016 che ha disposto la revoca dell’amministrazione per omessa convocazione dell’assemblea per l’approvazione del rendiconto condominiale 1/1/15 – 31/12/15 nei termini previsti dalla legge.
Invero il consiglio dei condòmini stabiliva la data di convocazione invitando l’amministratore a mandare l’avviso di convocazione entro il 30/06/16. Il consiglio approvava il rendiconto fissando le date dell’assemblea per il 5 e il 6 settembre 2016. Pur se l’amministratore materialmente avvisava i condòmini il 28 giugno 2016, l’assemblea risultava convocata oltre il termine previsto di 180 gg (6 settembre 2016). Detta condotta dell’amministratore – secondo i giudici – integrava la fattispecie omissiva di cui al combinato disposto degli artt. 1129 e 1130 c.c. non potendosi ritenere giustificata tale ritardata convocazione ed essendo inoltre stata demandata la decisione sulla data di convocazione ad un soggetto differente da quello a ciò preposto dal codice.
L’interpretazione letterale del testo normativo lascia chiaramente intendere che non è consentita all’assemblea l’immediata rinomina ovvero l’immissione in carica dell’amministratore revocato. In effetti l’avverbio “nuovamente” va interpretato nel senso che non può l’assemblea, neppure a maggioranza, nominare nuovamente l’amministratore rimosso giudizialmente. Fatta questa precisazione, resta in piedi la questione se l’impossibilità di insediare nuovamente l’amministratore vale sine die o debba riferirsi soltanto all’esercizio condominiale successivo alla revoca. Chiarito che la norma codicistica impedisce al condominio di poter nominare e insediare l’amministratore nella carica dell’amministratore revocato, tuttavia una volta che il condominio abbia designato un altro amministratore è plausibile che le dimissioni o la scadenza del mandato dell’amministratore in carica, subentrato a quello precedente destituito, non consente più di applicare il divieto previsto dall’art.1129 ce. 9° comma che, secondo dottrina, può riferirsi solo all’immediata conferma dell’amministratore revocato.
Secondo la migliore interpretazione l’avverbio “nuovamente” non avrebbe il significato di impossibilità di nomina sine die, bensì deve intendersi temporaneamente circoscritto a una annualità di gestione, lasciando la possibilità alla maggioranza dei condòmini di nominare nuovamente l’amministratore in precedenza revocato e senza che ciò possa costituire un vulnus dei diritti di coloro che in precedenza hanno promosso l’azione giudiziaria volta alla rimozione dell’amministratore. Impedire per sempre, ovvero a tempo indeterminato, alla maggioranza dei condòmini di rinominare l’amministratore revocato dall’Autorità giudiziaria in anni condominiali passati, è una sanzione eccessiva, ingiustificata e irragionevole, che contrasta con i principi costituzionali di libertà di svolgimento della professione e di autonomia gestionale del condominio nei rapporti contrattuali.
Da quanto innanzi si può trarre la conclusione, interpretando la lettera del testo normativo, che l’effetto sanzionatorio può valere solo per l’immediata rinnovazione della nomina e non può trasformarsi in una sanzione a tempo indeterminato.