[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
L’art. 36 della legge 27 luglio 1978 n. 392 consente al conduttore di un immobile destinato ad uso diverso dall’abitazione di cedere il contratto di locazione, anche senza il consenso del locatore, allorché ceda o lochi contestualmente a terzi l’azienda, che è definita, dall’art. 2555 c.c., il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per la produzione e il commercio di beni e servizi (Cons. Stato, Sez. IV, 29 febbraio 2016, n. 813; Cass. civ., Sez. III, 8 novembre 2007, n. 23287). Si deroga pertanto nella fattispecie de qua dal consenso del locatore ceduto, consenso che sarebbe viceversa necessario affinché sia valida la cessione del contratto ex art. 1406 c.c.; il locatore può solo opporsi per gravi motivi (Cass. civ., Sez. III, 20 febbraio 2014, n. 4067).
Viene superata con questa fattispecie la rilevanza dell’intuitus personae sul quale si fonda il contratto di locazione con l’individuazione da parte del locatore del contraente conduttore. Non solo, il locatore deve opporsi entro il termine di trenta giorni, e non tre mesi come disposto dall’art. 2558 c.c., con precise e gravi motivazioni ostative, decorrenti da quando è venuto a conoscenza della intervenuta cessione della azienda, con qualunque mezzo ne sia stato informato. Il locatore ha il diritto di non liberare il conduttore cedente dalle obbligazioni stipulate con il contratto originario di locazione e conseguentemente di agire anche contro di lui per il recupero dei canoni non corrisposti dal cessionario. In questa fattispecie, infatti, sussiste tra cedente e cessionario un vincolo di responsabilità sussidiaria, indipendentemente che il contratto si sia rinnovato tacitamente, in quanto la rinnovazione di un contratto di locazione non determina la nascita di un nuovo contratto, ma solo la prosecuzione di quello precedente (Cass. civ., Sez. VI, 12 novembre 2015, n. 2311) e ciò anche se l’azienda ha subito plurimi trasferimenti.
Non è, però, necessario che tra il conduttore cedente e quello cessionario sia stipulato un unico contratto che preveda la cessione dell’azienda e quella del contratto di locazione, ben potendo le due convenzioni essere pattuite in due atti differenti redatti anche non contestualmente tra loro; tra l’altro il conduttore può cedere l’azienda e limitarsi a semplicemente sub locare l’immobile. In questa fattispecie, qualora il conduttore alieni esclusivamente i singoli beni che formano l’azienda senza, peraltro, cedere anche questa ultima, non può sublocare l’immobile se tale operazione sia vietata dal contratto di locazione pattuito con il locatore, sussistendo nell’ipotesi precitata una violazione del divieto pattizio di sublocazione di cui all’art. 1594 c.c.. Può peraltro essere ceduto dal conduttore anche un ramo d’azienda, in quanto l’art. 2558, c.c. inerente a questa fattispecie non è incompatibile con l’art. 36 in esame; deve trattarsi della capacità, al momento dello scorporo, di provvedere con autonomia funzionale al conseguimento di uno scopo economico produttivo con propri mezzi e organizzazione aziendale.
In questo contesto si inserisce la questione dell’attività di affittacamere, costituita dalla concessione di camere ammobiliate a fronte del pagamento di un corrispettivo, quale modalità di esercizio della locazione turistica da ultimo disciplinata dal D. Lgs., 23 maggio 2011, n. 79, che demanda alle Regioni una organica emanazione di disposizioni maggiormente aderenti a soddisfare le realtà territoriali di interesse pubblico e privato. L’affittacamere si deve iscrivere all’Agenzia delle entrate ai fini dell’assunzione della partita iva e alla Camera di commercio presso il registro esercenti il commercio; deve, inoltre, predisporre annualmente il modello unico per l’assolvimento dell’imposta sui redditi percepiti. Deve, infine, presentare una SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) presso lo Sportello per le attività produttive del Comune ove è ubicato l’immobile. Trattasi, pertanto, di una attività imprenditoriale con la conseguenza che anche il contratto stipulato tra proprietario dell’appartamento e gestore dell’attività di affittacamere è assoggettato al disposto dell’art 36 L. 392/1978 citata.
[A cura di: Emiliano Marvulli, Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]
Il contribuente perde il diritto all’agevolazione prima casa se invoca, come causa del trasferimento di residenza oltre i termini di legge, la mancata consegna dell’immobile da parte dell’affittuario. Una tale circostanza non configura una causa di forza maggiore che si verificherebbe, ad esempio, nel caso in cui un sisma renda impossibile il trasferimento di residenza per l’inagibilità dell’immobile agevolato. In tale ipotesi il diritto all’agevolazione sarebbe mantenuto perché si tratta di una causa assolutamente imprevedibile e sopravvenuta.
Il principio è stato affermato dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 13346 del 28 giugno 2016.
Il fatto
Il caso riguarda il ricorso proposto da un contribuente avverso l’avviso di liquidazione notificato dall’Agenzia delle Entrate, contenente la revoca dei benefici prima casa in materia di imposte di registro, per non aver trasferito la residenza nel comune in cui si trovava l’abitazione acquistata entro i prescritti diciotto mesi.
Il ricorso era accolto sia in primo sia in secondo grado. In particolare, la Ctr aveva accolto le doglianze di parte in quanto, sebbene la richiesta di trasferimento di residenza fosse stata inoltrata entro i diciotto mesi, era stata rifiutata dal Comune perché l’immobile acquistato era “abitato dall’affittuario”. Questi, infatti, pur avendo disdetto il contratto di locazione, aveva ritardato il rilascio dell’immobile tanto che, decorsi i diciotto mesi, il contribuente aveva trasferito la residenza nello stesso comune presso la casa dei genitori. Alla luce di tali fatti, i giudici d’appello hanno ritenuto che al contribuente dovesse comunque essere riconosciuto il beneficio dell’agevolazione perché “era stato per impossibilità che non aveva potuto effettuare ciò che voleva nei termini”.
Avverso la sentenza della Ctr, l’Agenzia delle Entrate interponeva ricorso per cassazione affidato a un unico motivo di impugnazione.
La Corte, ritenendo fondati i motivi dell’Amministrazione finanziaria, ha accolto il ricorso e cassato la sentenza.
La decisione
Oggetto del contendere è la corretta applicazione dell’agevolazione prima casa, disciplinata dall’articolo 1, nota II-bis della tariffa, parte I allegata al Dpr 131/1986, applicabile ratione temporis.
Tra i requisiti previsti per godere dell’aliquota agevolata ai fini dell’imposta di registro, la norma prevede che l’acquirente, qualora residente in un comune diverso da quello di ubicazione dell’immobile, trasferisca qui la propria residenza entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate ha censurato la decisione dei giudici d’appello nella parte in cui hanno erroneamente ritenuto che il contribuente avesse diritto all’agevolazione nonostante il ritardo nel trasferimento della residenza rispetto alla data di acquisto dell’immobile.
A parere della parte pubblica a nulla valgono le doglianze del contribuente, che ha invocato il mancato rilascio dell’immobile da parte del conduttore quale causa di forza maggiore. Infatti, un’interpretazione letterale della norma induce a dar rilievo esclusivo al dato oggettivo della mancanza della residenza anagrafica nel comune dell’immobile entro i termini prescritti, a nulla valendo i motivi per cui è stato impossibile rispettare la condizione.
Secondo i supremi giudici, il motivo è fondato perché, in primo luogo, l’obbligo di trasferimento di residenza costituisce un elemento costitutivo della fattispecie. Trattasi, peraltro, di una disposizione di favore perché consente al contribuente di vedersi riconosciuta l’agevolazione anche con il semplice trasferimento della residenza nel comune di ubicazione dell’immobile e non, necessariamente, presso la prima casa.
Da ciò deriva l’irrilevanza del verificarsi di un evento che ha impedito di abitare l’immobile, che la Ctr ha posto a base della sua erronea decisione, perché appunto la fattispecie contempla quale elemento costitutivo che la prima casa si trovi nel comune di residenza o che, in alternativa, il trasferimento avvenga entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto.
Chiarito come nel caso di specie non possa essere invocata una “causa di forza maggiore”, i giudici di piazza Cavour fanno, al contempo, rilevare che, in effetti, il diritto all’agevolazione possa essere mantenuto “anche nei casi in cui il trasferimento di residenza nel Comune non sia stato tempestivo per causa di forza maggiore”.
Per forza maggiore la Corte ritiene che, in generale, debba trattarsi di causa “imprevedibile e sopravvenuta che non dipende da un comportamento addebitabile anche solo a titolo di colpa”.
In tal senso appare, ad esempio, condivisibile quanto affermato dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 35/2002, che ha ammesso la causa di forza maggiore con riferimento ai Comuni dell’Umbria colpiti dal sisma. Allo stesso modo, la causa di forza maggiore potrebbe essere legittimamente invocata a seguito del terremoto che ha coinvolto l’Emilia Romagna nel 2012, a causa del quale sarebbe stato impossibile trasferire tempestivamente la residenza per mancanza di abitazioni agibili.
[A cura di: Ape Confedilizia Torino]
Sono in continuo aumento le cosiddette “unità collabenti”, vale a dire gli immobili ridotti in ruderi a causa del loro accentuato livello di degrado. Lo segnala Ape Confedilizia Torino, che ha elaborato i dati forniti dall’Agenzia delle entrate sullo stato del patrimonio immobiliare italiano.
Nel 2015, il numero di questi immobili – inquadrati nella categoria catastale F2 – è cresciuto del 3,9% rispetto al 2014, ma il dato più significativo è quello che mette a confronto il periodo pre e post IMU: rispetto al 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono aumentati del 65%, essendo passati da 278.121 a 458.644 (+180.523).
“Questi numeri parlano chiaro – ha dichiarato il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa – e confermano quanto noi vediamo ogni giorno. Una parte di questi immobili vengono ridotti allo stato di ruderi per decisione dei singoli proprietari che, non essendo più in grado di far fronte alle spese per il loro mantenimento e alla abnorme tassazione patrimoniale introdotta dal 2012, li privano delle caratteristiche che li rendono tali. Per la restante parte, si tratta di immobili che a queste condizioni di fatiscenza giungono da soli per la mancanza di risorse economiche da parte dei proprietari. Occorre ridurre la tassazione sugli immobili. Diversamente, la situazione continuerà a peggiorare”.
[A cura di: Lucia Grifoni – Nuovo FiscoOggi, Agenzia delle Entrate]
La previsione di esenzione di cui all’articolo 5, comma 24, del Dl 269/2003, trova applicazione in relazione al complessivo rapporto di finanziamento contemplato dal comma 7-bis del medesimo articolo. Pertanto, si applica il regime di esenzione dalle imposte di registro, di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale e da ogni altra imposta indiretta, sia con riferimento al rapporto di finanziamento intercorrente tra Cassa depositi e prestiti (Cdp) e banche, che ai conseguenti contratti di mutuo stipulati tra banche e beneficiari finali sulla base della Convenzione Cdp – Abi del 20 novembre 2013. Ciò, in considerazione della stretta correlazione tra il rapporto di provvista tra Cdp e banche, e il contratto di mutuo stipulato tra banche e beneficiari finali. Questi in sintesi i chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la risoluzione n. 61/E del 25 luglio 2016.
Il caso
Con la Convezione 2013 tra Cassa depositi e prestiti e Associazione bancaria italiana sono state definite le regole relative alla messa a disposizione, da parte di Cdp a favore delle banche, della provvista finanziaria necessaria per l’erogazione di mutui garantiti da ipoteca su immobili residenziali, da destinare prioritariamente all’acquisto dell’abitazione principale e a interventi di ristrutturazione, da parte di giovani coppie, nuclei familiari con disabili e famiglie numerose. L’ultimo periodo del comma 7-bis dell’articolo 5 del Dl 269/2003 stabilisce che ai finanziamenti concessi da Cdp alle banche, da destinare in via esclusiva alle finalità sopra ricordate, si applica il regime fiscale stabilito dal comma 24 del medesimo articolo, ossia l’esenzione dall’imposta di registro, di bollo, dalle imposte ipotecaria e catastale e da ogni altra imposta indiretta.
Il nodo da sciogliere riguardava detta esenzione, in particolare se la stessa dovesse trovare applicazione, oltre che per i finanziamenti concessi da Cdp alle banche, anche per la successiva erogazione delle somme ai mutuatari, tramite la stipula di mutui ipotecari. L’interpretazione estensiva del comma 7-bis, che porta a ricomprendere nel regime esentativo non solo il rapporto tra Cdp e banche ma anche il rapporto tra banche e beneficiari finali, si basa essenzialmente sulla duplice considerazione che negli atti di mutuo:
* si fa esplicito riferimento al fatto che la provvista è stata acquisita dalla banca presso Cdp
* è prevista la cessione in garanzia a favore di Cdp di tutti i crediti nascenti dal contratti di mutuo stipulati e vantati dalla banca nei confronti dei mutuatari.
Al riguardo, l’Agenzia osserva che, con la norma contenuta nel comma 7-bis, si introduce una particolare procedura di erogazione di finanziamenti con provvista proveniente da Cdp, volta a favorire l’accesso al credito finalizzato esclusivamente all’acquisto o alla ristrutturazione dell’abitazione principale da parte di categorie di soggetti meritevoli di tutela, quali le giovani coppie e le famiglie numerose o con disabili. Viene, quindi, disposto che i minori differenziali sui tassi di interesse in favore delle banche si trasferiscono sul costo del mutuo a vantaggio dei mutuatari. Dall’esame della Convenzione del 20 novembre 2013, emerge, infatti, che l’utilizzo della provvista messa a disposizione da Cdp deve portare a un miglioramento delle condizioni finanziarie offerte ai mutuatari, rispetto a quelle normalmente praticate dalla banca. A tal fine, nei contratti di mutuo viene data informativa ai beneficiari del vantaggio loro riconosciuto in termini di riduzione del tasso annuo nominale. Inoltre, in ciascun contratto di mutuo stipulato con il beneficiario viene specificato che l’operazione è stata realizzata utilizzando detta provvista e che ciascuna erogazione di ciascun mutuo è subordinata al ricevimento, da parte della banca, della provvista corrispondente, emessa da Cdp.
Fatte tali premesse, l’Agenzia osserva che il contratto di mutuo stipulato tra la banca e il beneficiario finale, a seguito della messa a disposizione della suddetta provvista, si pone quale atto esecutivo rispetto al finanziamento da Cdp alla banca e che, quindi, l’erogazione di tale provvista costituisce il presupposto necessario e indispensabile per la successiva erogazione delle somme ai beneficiari. Pertanto, nelle operazioni di finanziamento in argomento, la banca svolge una funzione strumentale volta a consentire che la provvista messa a disposizione da Cdp per agevolare l’accesso al credito da parte dei soggetti individuati dalla norma venga effettivamente destinata a tale finalità.
Dalla lettura della Convenzione emerge, infine, che i crediti nascenti dai contratti di mutuo concessi ai beneficiari finali sono oggetto di cessione in garanzia da parte della banca cedente a favore di Cdp, a garanzia degli obblighi derivanti dal contratto di finanziamento. Proprio in considerazione della stretta correlazione tra il contratto di finanziamento tra Cdp e banca e il contratto di mutuo tra la banca e il beneficiario finale, l’Agenzia ritiene che l’esenzione di cui all’articolo 5, comma 24, del Dl 269/2003 debba trovare applicazione in relazione al complessivo rapporto di finanziamento di cui al comma 7-bis e, quindi, sia in relazione al finanziamento intercorrente tra Cdp e banche, che al conseguente finanziamento tra banche e beneficiari finali (cioè, ai contratti di mutuo stipulati sulla base della Convenzione).
Tale interpretazione, precisa l’Agenzia, appare coerente con i principi già affermati con riferimento ad analoghe agevolazioni, quali quelle spettanti per i contratti di finanziamento stipulati con i fondi Bei (Banca europea per gli investimenti). In particolare, con la risoluzione n. 240621 del 1983, è stato chiarito che il regime di esenzione previsto per il contratto di finanziamento stipulato tra Bei e l’Istituto di credito intermediario trova applicazione anche in relazione al rapporto di finanziamento tra l’intermediario e il beneficiario finale del prestito Bei. Quanto affermato trova fondamento nello stretto collegamento esistente tra il contratto principale di finanziamento tra Bei e banca intermediaria, e quello conseguente tra quest’ultima e beneficiario finale del prestito.
Rogo a casa della vicina
La salva e si intossica
Tutto è bene quel che finisce bene. Ma l’eroico gesto di cui si è reso protagonista un condomino di uno stabile di Firenze ha rischiato di costargli caro. L’uomo è intervenuto per salvare l’anziana vicina di casa da un rogo che si era sviluppato – per cause ancora da accertare – nella cucina dell’abitazione della 83enne. Quando i vigili del fuoco sono arrivati sul posto, il coraggioso condominio aveva già cominciato a spegnere il rogo, ma iniziava a presentare i primi segni di intossicazione. Ricoverato, è fuori pericolo, così come la vicina di casa.
Cede soffitto di casa,
ferito bimbo di 10 anni
Poteva essere una tragedia quella accaduta in una casa in provincia dell’Aquila, quando alcuni calcinacci si sono distaccati dal soffitto della camera del figlio dei padroni di casa. Al momento del cedimento, il ragazzino, di appena 10 anni, stava ancora dormendo approfittando della fine della scuola e, solo per miracolo, è riuscito a cavarsela con qualche lieve escoriazione alle braccia e sul corpo. Secondo i vigili del fuoco, a causare il crollo sarebbero state le infiltrazioni di acqua piovana dal tetto, a seguito delle violente piogge dei giorni subito precedenti.
Anziani soli in casa
minacciati e derubati
Ennesima rapina ai danni di persone anziane. Questa volta, a farne le spese sono stati due coniugi che vivevano da soli in un quartiere alla periferia di Roma. I ladri si sono presentati alla porta d’ingresso intorno alle 8 del mattino, fingendosi tecnici del gas. Con questa scusa sono riusciti a farsi aprire la porta e, una volta entrati, hanno minacciato la donna con un coltello per farsi indicare i punti della casa in cui erano custoditi oro e contanti. Dopo dieci minuti di terrore, in cui gli anziani sono stati letteralmente tenuti in ostaggio, i malviventi si sono dileguati portandosi via i preziosi.
Tallonato dai carabinieri
si schianta contro casa
Si è conclusa contro il muro di una casa in provincia di Novi Ligure, la folle corsa di un uomo di 40 anni, inseguito dai carabinieri a bordo del suo vecchio furgoncino. Il 40enne, già noto alle forze dell’ordine, non si era fermato all’alt dei militari, continuando a fuggire per le vie del centro abitato, urtando diverse autovetture parcheggiate, per fortuna, senza causare danni ai passanti. Sul luogo dello schianto, oltre a forze dell’ordine e 118, è stato necessario l’intervento dei vigili del fuoco e dei tecnici del gas, per riparare una tubazione rimasta danneggiata.
Coltiva marijuana,
23enne nei guai
È finista nei guai la donna, classe 1993, denunciata in stato di libertà e segnalata alla procura di Caltagirone, in provincia di Catania, per detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente. Durante l’azione della squadra di polizia giudiziaria, la giovane è stata trovata in possesso di una pianta di marijuana dell’altezza di 80 centimetri, detenuta nella sua abitazione di campagna di campagna. A seguito della perquisizione, poi, le forze dell’ordine hanno anche ritrovato, nascosto in un pensile della sala da pranzo, due bilancini di precisione per il confezionamento delle dosi.
[A cura di: Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]
Con la risoluzione 58/E del 20 luglio 2016, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito alla possibilità di beneficiare dell’agevolazione “Tremonti ambientale” (articolo 6, legge 388/2000) in un periodo d’imposta successivo a quello di effettuazione dell’investimento ambientale, e alla cumulabilità della stessa con le agevolazioni previste dai “conti energia”, disciplinati dal ministero dello Sviluppo economico.
In particolare, riguardo al primo quesito, i contribuenti hanno chiesto se è possibile usufruire dello sconto tributario, “ora per allora”, presentando una dichiarazione dei redditi integrativa o istanza di rimborso. Per essere ancora più precisi, il chiarimento è stato chiesto dagli operatori che hanno realizzato un impianto fotovoltaico, beneficiando dei particolari incentivi previsti dalla disciplina di settore e, più nello specifico, dal decreto ministeriale 6 agosto 2010 (“Terzo conto energia”), e che, prudentemente, non hanno cumulato le due agevolazioni.
La “Tremonti ambientale” è rimasta in vigore dal 1° gennaio 2001 e fino agli investimenti effettuati entro il 25 giugno 2012, essendo stata abrogata con il Dl 83/2012. Il beneficio, precisa l’Agenzia, non pone veti di cumulabilità con altre misure di vantaggio a meno che le regole di quest’ultime non dispongano diversamente. Di conseguenza, sono le autorità che disciplinano gli altri tipi di benefici a dover valutare se i trattamenti di favore possano “convivere”.
Ed è così anche per gli impianti fotovoltaici per i quali, gli incentivi relativi al “conto energia”, sono disciplinati dal ministero dello Sviluppo Economico, che deve, dunque, pronunciarsi sulla loro associabilità alla “Tremonti ambientale”, anche per quanto concerne eventuali limiti e modalità di applicazione.
Riguardo alla soglia di cumulo della detassazione con gli incentivi previsti dal Dm 19 febbraio 2007 (“secondo conto energia”), la norma interpretativa dell’articolo 19 del Dm 5 luglio 2012 (“quinto conto energia”) e i relativi chiarimenti del Mise, hanno, infine, dato l’ok alla cumulabilità dei benefici del “secondo conto energia” con la detassazione ambientale, entro il limite del 20% del costo dell’investimento.
Nel caso in cui l’operatore non ha potuto usufruire del beneficio, non per scelta ma per il perdurare dell’incertezza interpretativa, può, per l’Agenzia, decidere di riapprovare i bilanci relativi agli esercizi di effettuazione di tali investimenti. Né, chiarisce la risoluzione, è prevista la decadenza dall’agevolazione nel caso in cui non vengano rispettati i tempi per la trasmissione al ministero dello Sviluppo economico della comunicazione relativa agli investimenti agevolati, che dovrebbe avvenire entro un mese dall’approvazione del bilancio annuale.
Rispetto alla possibilità di usufruire dello sconto d’imposta in un periodo successivo a quello di effettuazione dell’investimento ambientale, come già chiarito con la risoluzione 132/2010 a proposito della “Tremonti-ter”, l’Agenzia ritiene che la deduzione può essere “riacchiappata” in sede di dichiarazione dei redditi integrativa (articolo 2, comma 8-bis, Dpr 322/1998). Decorsi i termini per l’integrativa, rimane ancora la chance dell’istanza di rimborso (articolo 38, del Dpr 602/1973).
In sostanza, la risoluzione 58/E chiarisce che l’Agenzia delle Entrate non può pronunciarsi sul cumulo della misura fiscale con le agevolazioni di natura non tributaria del “conto energia”. Il contribuente, che dovesse decidere di usufruire della detassazione ambientale ex post potrebbe rischiare di subire la revoca, da parte del Gestore dei servizi energetici, dei benefici previsti dai vari “conti energia, sulla base delle valutazioni del Mise in ordine alla cumulabilità degli stessi con altre misure di vantaggio.
Ladro di biciclette
intrappolato in cortile
Ha tentato di rubare le bici dal cortile di uno stabile in provincia di Venezia. Ma il ladro – un 44enne – non aveva fatto i conti con gli abitanti dello stabile, che si sono accorti del tentativo e lo hanno intrappolato nel cortile, serrando tutte le uscite. A quel punto hanno chiamato i carabinieri che hanno proceduto ad arrestarlo. Processato per direttissima, è stato quindi condannato a 10 mesi di reclusione (con pena sospesa) e 400 euro di ammenda.
Parcheggio in fiamme,
evacuati i condòmini
Sono stati fatti evacuare per precauzione gli inquilini di un condominio in provincia di Torino, svegliatisi di soprassalto, nel cuore della notte, dopo che alcune auto parcheggiate avevano improvvisamente preso fuoco. In pochi minuti le fiamme avevano raggiunto il muro e le vetrate della palazzina, costringendo i vigili del fuoco, nel frattempo giunti sul posto, a far uscire i condòmini. A causare l’incendio delle auto parcheggiate potrebbe essere stato un corto circuito nel motore di una di esse, anche se non è del tutto esclusa l’ipotesi dolosa.
Sedici garage svaligiati
durante Italia-Germania
Non erano né italiani, né tedeschi. Sicuramente non erano neanche tifosi di calcio i ladri che, proprio durante la partitissima Italia-Germania, hanno ripulito 16 garage di un condominio situato nel centro storico di Grosseto. La distrazione per la partita ha sicuramente contribuito a non far rendere conto ai condòmini di cosa stesse capitando, salvo poi fare l’amara scoperta la mattina seguente. La tecnica dei malviventi? Tagliare la lamiera della porta basculante, aprire un foro grande abbastanza da infilarci una mano e far scattare la leva che blocca la maniglia.
Vicine di casa litigiose
La parola al giudice
Sono finite in tribunale le due donne di 70 e 66 anni, vicine di casa e residenti in uno stabile di Vicenza, che da vent’anni non fanno altro che litigare e farsi dispetti a vicenda, anche da codice penale. Le accuse reciproche vanno dalle ingiurie e minacce alle lesioni colpose. Ma anche comportamenti più blandi come sbattere il tappeto sopra il davanzale della rivale, fare rumore a qualsiasi ora del giorno e della notte, parcheggiare male l’auto e così via. Il giudice di pace si esprimerà sull’ennesima lite il prossimo autunno.
Ruba corrente condominio
Condannato un 53enne
È stato condannato a 4 mesi di reclusione per furto aggravato di energia elettrica l’uomo di 53 anni che si era allacciato abusivamente ai contatori del condominio dove risiedeva, in provincia di Aosta. La sentenza del tribunale è arrivata a distanza di due anni da quando gli agenti della polizia locale avevano scoperto alcuni cavi elettrici collegare l’appartamento del 53ennne direttamente ai contatori. La segnalazione era partita dai vicini di casa, che avevano avvertito le forze dell’ordine a seguito di un’anomala fuoriuscita di fumo dal locale di pertinenza condominiale.
Diciassettesima e ultima puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato alla disciplina fiscale dei cosiddetti beni significativi.
D. In base alla risposta n. 13 della circolare 37/E del 22 dicembre 2015, la disciplina dei cosiddetti “beni significativi” non può trovare applicazione in presenza di un committente dell’intervento edilizio che rivesta la qualifica di soggetto passivo IVA, dovendo tale disciplina intendersi riservata ai committenti “privati”. Si chiede conferma di tale precisazione e altresì di specificare se si tratti di un mutamento interpretativo.
R. La circolare n. 71/E del 2000 ha chiarito che, in considerazione dei meccanismi applicativi previsti dall’art. 7, co. 1, lett. b) della L. n. 488 del 1999 (trattamento ai fini IVA delle forniture di beni di valore significativo), la disciplina in argomento è diretta ai soggetti beneficiari dell’intervento di recupero, identificabili ordinariamente con i consumatori finali della prestazione. La circolare n. 37/E del 2015, uniformandosi a tale indirizzo interpretativo, ha ulteriormente precisato che la disposizione in materia di beni significativi, riguardando prestazioni effettuate nei confronti dei consumatori finali, non può trovare applicazione nelle ipotesi di cui alla lett. a-ter), sesto comma, dell’art. 17 del DPR n. 633 del 1972, che, come noto, riguarda i soli rapporti tra soggetti passivi d’imposta.
Sedicesima puntata del nostro approfondimento on line sulla circolare 27/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha risposto ai quesiti della stampa specializzata sulle più svariate tematiche fiscali inerenti a vario titolo il settore abitativo e immobiliare: dalle agevolazioni sulla prima casa alla rendita degli imbullonati, passando per compravendite, locazioni, leasing abitativo e impianti eolici, fotovoltaici e di risalita. Il focus di oggi è dedicato alla possibilità di usufruire del bonus mobili per chi acquista una casa completamente ristrutturata.
D. Chi acquista un’abitazione interamente ristrutturata, beneficiando della detrazione Irpef del 50%, può arredarla usufruendo del bonus mobili e grandi elettrodomestici? Il dubbio arriva dalla risposta del 20 gennaio 2015 ad una Faq del sito delle Entrate, dove, dopo aver detto che “l’installazione dell’allarme, pur dando diritto alla detrazione del 50% per interventi volti alla prevenzione di atti illeciti, non consente di beneficiare anche del bonus mobili”, viene precisato che per la circolare n. 29/E del 2013 “il bonus mobili non è collegato a tutti gli interventi, di cui all’articolo 16-bis, TUIR, che consentono di ottenere la detrazione 50%, ma unicamente a quelli di: manutenzione ordinaria e straordinaria; restauro e risanamento conservativo; ristrutturazione edilizia; ripristino dell’immobile a seguito di eventi calamitosi”. Ci si è dimenticati, quindi, che la suddetta circolare comprendeva anche l’acquisto di abitazioni in fabbricati interamente ristrutturati da imprese di costruzione o ristrutturazione e da cooperative edilizie (articolo 16-bis, comma 3, Tuir).
R. Si ribadisce quanto già chiarito con la citata circolare n. 29/E del 2013 che include, tra gli interventi edilizi che costituiscono il presupposto per la detrazione, anche gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, e di ristrutturazione edilizia, di cui alle lettere c) e d) dell’art. 3 del DPR n. 380 del 2001, riguardanti interi fabbricati, eseguiti da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare e da cooperative edilizie, che provvedano entro sei mesi dal termine dei lavori alla successiva alienazione o assegnazione dell’immobile.
[A cura di: Letizia Berti, Nuovo Fiscooggi – Agenzia delle Entrate]
Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, la cessione di un terreno con sovrastante fabbricato vetusto, alla quale segue richiesta di concessione edilizia per la costruzione di un nuovo immobile, previa demolizione del fabbricato esistente, deve essere riqualificata quale compravendita di terreno edificabile, dovendo il negozio essere sottoposto a tassazione in ragione degli effetti giuridici che oggettivamente produce. È il principio affermato dalla Corte di cassazione nell’ordinanza 12062 del 13 giugno 2016.
Vicenda processuale
Il contenzioso esaminato dai giudici di legittimità trae origine dal ricorso proposto dalle parti di un atto di compravendita di fabbricato avverso un avviso di rettifica e liquidazione con il quale l’ufficio aveva accertato un maggior valore dell’immobile ceduto, riqualificando l’operazione quale “compravendita di terreno edificabile”, in applicazione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986. In particolare, l’Agenzia delle Entrate aveva proceduto a riqualificare l’operazione – prescindendo da quella operata dalle parti in atto (“cessione di fabbricato”) – alla luce di elementi tali da far ritenere che la reale intenzione dei contraenti fosse quella di cedere un’area edificabile, come, tra l’altro, l’avvenuta presentazione di una richiesta di demolizione del fabbricato da parte del venditore anteriormente alla cessione, poi volturata a nome della società acquirente.
La Commissione tributaria provinciale di Rimini accoglieva il ricorso dei contribuenti quanto alla riqualificazione dell’operazione, mentre confermava il maggior valore accertato dall’ufficio. Ricorrevano in secondo grado sia le parti sia l’Agenzia; la Ctr di Bologna accoglieva l’appello principale proposto dai contribuenti e rigettava l’impugnazione incidentale dell’ufficio, ritenendo corretta la qualificazione giuridica dell’operazione. Ciò in quanto, “Tale qualificazione non può che essere quella dichiarata in atti, anche perché … lo sfruttamento delle potenzialità edificatoria dell’area era strettamente legato all’esistenza del fabbricato compravenduto e non al terreno sottostante, prevedendo lo strumento edilizio in caso di demolizione la fedele ricostruzione”. La Ctr riteneva poi parimenti corretta la decisione di primo grado per la parte concernente l’accertamento del valore.
Avverso tale sentenza, ha proposto ricorso in Cassazione l’Amministrazione finanziaria.
La decisione
La Corte di cassazione, con la pronuncia in commento, ha ritenuto fondata la censura mossa dall’Amministrazione finanziaria sulla base della natura e della funzione dell’articolo 20 del Dpr 131/1986 nell’ambito dell’imposizione di registro. Tale disposizione, in particolare, secondo il consolidato orientamento dei giudici di legittimità, prevede che il trattamento fiscale ai fini dell’imposta di registro, in relazione all’atto presentato alla registrazione, debba essere individuato avendo riguardo al contenuto delle clausole negoziali e agli effetti giuridici prodotti dall’atto medesimo. Si prescinde, cioè, dal nomen iuris attribuito dalle parti ossia dal dato formale, il quale può essere disatteso ove difforme dal reale intento perseguito dalle parti, dall’effettivo contenuto e dallo scopo complessivo delle diverse pattuizioni negoziali.
In applicazione di tale principio generale, la Cassazione, con riguardo alla fattispecie in argomento, ha ribadito che “in materia di imposta di registro, nel caso di vendita di terreno con sovrastante fabbricato vetusto, la successiva richiesta di concessione edilizia per la costruzione di un nuovo immobile, previa demolizione del fabbricato, comporta la riqualificazione dell’atto quale vendita di terreno edificabile e la conseguente rettifica dell’imposta, dovendo il negozio essere sottoposto a tassazione in ragione degli effetti giuridici che oggettivamente produce”.
La Corte suprema ha ritenuto viziata la sentenza della Ctr in quanto non si è attenuta a tale principio laddove ha erroneamente escluso di potere considerare, ai fini della qualificazione giuridica di un atto negoziale, il compendio di elementi che potevano consentire l’individuazione del reale intento negoziale, limitando la propria indagine al contenuto testuale dell’atto negoziale.
Il giudice del merito, in particolare, per individuare gli effetti giuridici oggettivamente prodotti dall’atto, “avrebbe dovuto esaminare gli atti richiamati dall’ufficio a sostegno della riqualificazione ed indicati nella richiesta di DIA con demolizione del preesistente fabbricato e successivo rilascio”.
Nello specifico, la Cassazione ha riqualificato l’atto di compravendita in cessione di “area edificabile” in considerazione di una pluralità di elementi di fatto attestanti l’effettiva regolamentazione di interessi attuata dalle parti, tra cui:
* la circostanza che la società acquirente si occupava di demolizione, costruzione e ristrutturazione di edifici
* la società acquirente, pochi giorni dopo l’acquisto, aveva presentato domanda di concessione edilizia, contraendo anche un mutuo per la realizzazione del fabbricato da costruire
* il prezzo del bene dichiarato in atto era pari a circa dieci volte il valore catastale dell’immobile.