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TUTTE LE DETRAZIONI DI CUI SI PUÒ FRUIRE SUI CANONI DI LOCAZIONE DELL’ALLOGGIO

[A cura di: Sicet] 
Ultima chiamata agli inquilini privati e pubblici per usufruire delle detrazioni d’imposta sull’affitto pagato. Questo attraverso la dichiarazione dei redditi che permette di recuperare importi variabili sulla base della tipologia del contratto d’affitto e del reddito posseduto. Una occasione da non sprecare visto il taglio dei sostegni agli inquilini nell’anno in corso che ha visto in particolare il mancato rifinanziamento del fondo di sostegno all’affitto da parte dello Stato. Contributo che veniva erogato ai conduttori con una alta incidenza canone/reddito e in difficoltà nel pagamento del canone. Una assenza che inciderà sulle famiglie più povere.Per gli inquilini che hanno un contratto a libero mercato (art.2 comma 1, legge 431/98), della durata di anni 4+4, vi è una detrazione di euro 300 con redditi inferiori a 15.493,71 euro. Oppure di 150 euro con un reddito tra i 15.493,72 e i 30.897,41 euro. Con il contratto di locazione agevolato o concordato (art.2 comma 3, legge 431/98) con durata di anni 3+2 è possibile una detrazione di euro 495,98 con un reddito inferiore a 15.493,71 euro che si riduce a 247,90 con reddito tra i 15.493,71 e i 30.897,41 euro. I giovani che hanno una età tra i 20 e i 30 anni ed in presenza di contratto d’affitto libero o concordato o transitorio e condizione di abitazione principale, possono usufruire di una detrazione di euro 991,60 per primi tre anni del contratto di locazione purché in presenza di un reddito inferiore ad euro 15.493,71. Detrazioni anche per studenti universitari fuori sede o per i loro genitori che hanno sostenuto il pagamento del canone per i figli a carico con il 19% del canone pagato. Sono considerati studenti fuori sede quelli che hanno la residenza ad almeno 100 chilometri dall’università frequentata. L’importo massimo è di 2.633 euro per studente. Anche i lavoratori dipendenti trasferiti da non oltre tre anni in un’altra sede di lavoro, distante almeno 100 chilometri dalla precedente residenza, ed in un’altra regione, possono usufruire di una detrazione di euro 991,60 per tre anni con reddito inferiore a 15,493,71 oppure di 495,80 se compreso tra 15.493,71 e 30.987,41 euro. Infine, gli inquilini delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica (dei comuni o IACP, ALER, ATER ecc.) e quelli degli alloggi sociali privati hanno diritto ad una detrazione di imposta pari ad euro 900 con un reddito inferiore ad euro 15.493,71 oppure di euro 450 con reddito tra 15.493,71 e 30.897,41. Per quest’ultima detrazione è necessario fornire l’attestazione di alloggio sociale effettuata dall’ente gestore. Mentre per tutte le altre tipologie di affitto serve copia del contratto di locazione registrato e le ricevute del canone corrisposto.

LA FISCALITÀ IMMOBILIARE IN ITALIA? DISINCENTIVA L’ACQUISTO DI ABITAZIONI

[A cura di: Maria Rosaria Monsellato – Centro studi nazionale Appc]
Con la crisi finanziaria del 2008 si è assistito ad un’esponenziale crescita del debito pubblico e della disoccupazione. Per cercare di risolvere tali problematiche e stimolare la ripresa economica, si è cercato di individuare forme impositive compatibili con il consolidamento fiscale e che avessero un minor impatto sulla crescita, fermo restando il gettito in entrata.Sono state così analizzate le fonti delle entrate fiscali, al fine di individuare quelle che avessero una maggiore influenza sulla crescita economica. Si è così pervenuti ad una suddivisione tra imposte distorsive e meno distorsive, rilevando al contempo come quelle sul patrimonio risultassero maggiormente favorevoli. Dal quadro così delineato si è posto in essere uno spostamento della tassazione dai fattori produttivi al patrimonio immobiliare, anche in virtù del fatto che la base imponibile risulti essere più ampia, relativamente stabile e le aliquote ridotte rispetto a quelle applicate sul reddito.
Per disegnare un sistema di tassazione basato sul patrimonio immobiliare è necessario comprendere in quale veste viene valutata l’abitazione, vale a dire se rappresenta un bene di consumo o di investimento. Questo perché, in funzione della visione adottata ne viene definita l’imposizione.
Nel nostro Paese si è scelto di considerare la seconda opzione e, pertanto, si è scelto di tassarlo come un reddito da capitale, applicando una tassazione duale: proporzionale per il patrimonio immobiliare e progressiva per il i redditi da lavoro.
È necessario, poi, che le rendite catastali siano adeguate ai valori di mercato, poiché il non allineamento genera distorsioni, anche quando i valori della proprietà sono adeguati all’inflazione. Proprio per questo motivo è stata avviata la riforma del catasto che ha come fine ultimo la ridefinizione delle rendite.
Quanto sopra esposto è la risposta alle indicazioni fornite dalla Commissione Europea, la quale ha, altresì, raccomandato di ridurre le deduzioni ovvero i crediti di imposta per i mutui ipotecari, in quanto i regimi agevolativi creano distorsioni e riducono l’efficienza complessiva del sistema. Avere un sistema impositivo particolarmente vantaggioso ovvero del tutto assente potrebbe indurre un investimento in abitazioni superiore a quello ottimale, distraendo di fatto le risorse da investimenti in capitale produttivo.
Occorre precisare che, sebbene la CE abbia consigliato vivamente di ridurre le agevolazioni sull’acquisto degli immobili, nel nostro Paese la scelta di consentire la detrazione degli interessi passivi e, quindi, di incentivare l’acquisto della prima casa, potrebbe essere dettata dall’obiettivo di maggiore stabilità sociale e creazione di ricchezza.
Stante quanto sopra esposto, di fatto, a partire dal 2012 si è assistito ad un progressivo aumento della tassazione immobiliare, gravata da ben cinque categorie di imposte:
* imposte reddituali, il cui presupposto è il reddito prodotto dalla proprietà o dal possesso del bene;
* imposte di natura patrimoniale, il cui presupposto è la proprietà o il possesso del bene;
* imposte sui servizi pubblici resi ai proprietari di immobili;
* imposte sul trasferimento degli immobili a titolo gratuito;
* imposte sulle locazioni.
Nel contempo si osserva come contestualmente si sia assisitito ad un sistema di incentivi basati su agevolazioni fiscali per opere di ristrutturazione e risparmio energetico, implementate da parte dei proprietari. Sebbene queste non incidano in maniera significativa sul reddito disponibile delle famiglie (le detrazioni incidono maggiormente sui redditi bassi, essendo in misura fissa, benché sia da far presente che l’ammontare della somma da portare in detrazione risulti essere inferiore, proprio perché minore potrà essere l’esborso), di fatto rappresenteranno uno dei parametri in virtù dei quali si rivaluteranno le rendite catastali.
Da quanto detto emerge un quadro abbastanza chiaro che mira a disincentivare l’acquisto di immobili, soprattutto seconde case, e che sono agevolati i redditi alti e la grande proprietà a discapito dei redditi bassi e della piccola proprietà.  

MANUTENZIONE IN CONDOMINIO: NON SEMPRE LE SPESE VANNO RIPARTITE

Decoro architettonico oppure protezione di singolo appartamento? È questa la discriminante che permette di stabilire se la spesa di manutenzione di un’inferriata arrugginita, posta al piano terreno di un condominio, sia a carico del proprietario dell’immobile oppure vada ripartita tra tutti condomini dello stabile. La questione è stata posta da uno dei nostri spettatori, nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito pubblichiamo la risposta fornita dall’avvocato Nunzio Costa, presidente dell’associazione Acap di Napoli.

Divisione spese di manutenzione

dipende da destinazione d’uso

D. Nel condominio che amministro le finestre delle unità immobiliari site al piano rialzato (in tutto quattro su ventisei) sono protette da inferriate metalliche. Ora sono coperte di ruggine e si tratta di procedere alla loro verniciatura. A mio parere la spesa deve essere sopportata soltanto dai proprietari delle unità del piano terra, ma un condomino (ovviamente proprietario di una di tali unità) sostiene che tale spesa deve essere spalmata su tutti i condòmini, in base ai rispettivi millesimi, per il fatto che il lavoro riguarda il “decoro dello stabile” nel suo insieme.

RISPONDE L’AVVOCATO N. COSTA

È indubbio che qualunque elemento architettonico e cromatico che concorra o contribuisca al raggiungimento di quell’aspetto che si configura come decoro del fabbricato è, in quanto tale, di possesso di tutto il condominio e, in tal senso, la sua manutenzione deve essere pagata da tutto il condominio. Ma nel caso di specie stiamo parlando di inferriare poste al piano terra e dunque è necessario comprendere alcuni aspetti. Innanzitutto se le inferriate siano a protezione degli appartamenti del piano terra, per cui, in questo caso la funzione prevalente dell’inferriata sarebbe quella di proteggere l’appartamento e quindi di proprietà esclusiva del proprietario dello stesso. Oppure se si tratta di inferriate a grate piccoline, che consentono il passaggio dell’aria e della luce, ma non la inspectio verso il fondo del vicino. In questo caso le inferriate sarebbero di proprietà del fondo e non dell’appartamento perché non consentirebbero l’affaccio prospettico del proprietario dell’appartamento e costituirebbero un mezzo per proteggere questo fondo. A questo punto bisogna capire se il fondo sia di proprietà di tutti i condòmini o abbia un proprietario esclusivo. Da quello che si può intendere dal quesito del lettore, il fondo apparterrebbe a tutti i condòmini e quindi non vi sarebbe bisogno di proteggere alcunché dall’inspectio. Ragion per cui ritengo che queste inferriate abbiano una maggiore funzione di protezione dell’appartamento e, in quanto tali, la spesa per la ritinteggiatura andrebbe effettivamente ritinteggiate dal proprietario dello stesso. Mi riserverei di effettuare un ulteriore sopralluogo per sciogliere gli ultimi dubbi sulla proprietà del fondo.

REGISTRAZIONE DEI CONTRATTI DI LOCAZIONE: SOLIDARIETÀ TRA INQUILINO E PROPRIETARIO

[A cura di: Ance] Confermata la piena solidarietà, tra locatore e conduttore, relativamente all’obbligo di registrazione e pagamento dell’imposta di registro per i contratti di locazione di immobili, anche alla luce delle disposizioni contenute nella legge di Stabilità 2016.
In caso di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione è confermata, altresì, la possibilità di avvalersi del ravvedimento operoso, mediante il pagamento della sanzione ridotta rispetto a quella ordinaria applicabile in caso di accertamento formale della violazione.
Queste alcune delle risposte fornite dall’Agenzia delle Entrate ai quesiti formulati dalla stampa specializzata. Come noto, l’art. 1, co. 59, della legge di Stabilità 2016, modifica la normativa civilistica delle locazioni di immobili ad uso abitativo, stabilendo l’obbligo per il locatore di provvedere alla registrazione del relativo contratto di locazione, nel termine perentorio di 30 giorni dalla data della stipula.
Attenzione: l’art. 1, co. 59, legge n. 208/2015, ha riscritto ex novo il testo dell’art. 13 della legge 431/1998. In particolare, al co. 1, viene previsto che il locatore:
– deve provvedere alla registrazione del contratto di locazione nel termine perentorio di 30 giorni dalla sottoscrizione;
– una volta avvenuta la registrazione, nei successivi 60 giorni, deve dare “documentata comunicazione” al conduttore, nonché all’amministratore del condominio.
Sul punto, l’Agenzia delle Entrate chiarisce che tale modifica non ha rilievo e non produce effetti sulla normativa fiscale dei contratti di locazione, secondo cui:
* tutte le parti contraenti (locatore e conduttore) sono obbligate a richiedere la registrazione del contratto di locazione, redatto mediante scrittura privata non autenticata (art. 10, co. 1, lett. a, del D.P.R. n. 131/1986);
* ed entrambi sono solidalmente obbligati al pagamento dell’imposta dovuta (art. 57, co. 1, del D.P.R. n. 131/1986).
Sul punto, si ricorda che sia l’obbligo di registrazione del contratto, che il pagamento della relativa imposta grava, altresì, in via solidale, anche nei confronti dell’agente immobiliare, laddove con la propria attività abbia partecipato alla conclusione del contratto (art. 10, co. 1, d-bis e 57, co. 1-bis, del D.P.R. n. 131/1986).
Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, anche alla luce delle citate modifiche apportate dalla legge di Stabilità 2016, conferma l’applicabilità della disciplina sanzionatoria prevista nelle ipotesi di omessa o tardiva registrazione del contratto di locazione, nonché la possibilità per le parti di avvalersi dell’istituto del ravvedimento operoso.
Attenzione: l’art. 13 del D. Lgs. n. 472/1997, prevede l’istituto del ravvedimento operoso che consente di regolarizzare la propria posizione con il Fisco versando una sanzione ridotta (che varia in funzione dei giorni di ritardo) rispetto a quella ordinaria applicabile. Affinché il ravvedimento possa ritenersi perfezionato, occorre che l’Amministrazione Finanziaria non abbia proceduto a contestare qualsiasi procedura di accertamento della violazione commessa.

ENTRATE, CIRCOLARE OMNIBUS, SESTA PUNTATA: L’ACQUISTO DAL COSTRUTTORE

Di seguito, la sesta puntata dell’approfondimento relativo alla Circolare n. 20/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito tutti i chiarimenti fiscali inerenti le prescrizioni introdotte dalla legge di Stabilità, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la casa, il condominio e il comparto immobiliare. Il focus di oggi è dedicato alle detrazioni per l’acquisto di immobili residenziali dal costruttore.

ACQUISTO IMMOBILI RESIDENZIALI DAL COSTRUTTORE
Il comma 56, al fine di favorire la ripresa del mercato immobiliare prevede che “Ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, si detrae dall’imposta lorda, fino alla concorrenza del suo ammontare, il 50 per cento dell’importo corrisposto per il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto in relazione all’acquisto, effettuato entro il 31 dicembre 2016, di unità immobiliari a destinazione residenziale, di classe energetica A o B ai sensi della normativa vigente, cedute dalle imprese costruttrici delle stesse. La detrazione di cui al precedente periodo è pari al 50 per cento dell’imposta dovuta sul corrispettivo d’acquisto ed è ripartita in dieci quote costanti nell’anno in cui sono state sostenute le spese e nei nove periodi d’imposta successivi”.
Il riferimento all’impresa costruttrice, inteso in senso letterale, escluderebbe dall’ambito di applicazione della norma le cessioni poste in essere dalle imprese di ripristino o ristrutturatrici, posto che in altri contesti tali imprese sono espressamente equiparate alle imprese edili, come nel testo dell’art. 10, comma 1, n. 8 bis del DPR n. 633 del 1972, concernente il regime IVA delle cessioni di immobili.
Tenuto conto, tuttavia, della finalità della disposizione in esame, l’espressione può essere intesa nel senso ampio di “impresa che applica l’Iva all’atto del trasferimento”, considerando tale non solo l’impresa che ha realizzato l’immobile ma anche le imprese di “ripristino” o c.d. “ristrutturatrici” che hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all’articolo 3, comma 1, lettere c), d) ed f), del Testo Unico dell’edilizia di cui al decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380.
Tale interpretazione risulta coerente con la ratio della norma, diretta a “equilibrare” il costo degli oneri fiscali delle cessioni di unità immobiliari di tipo abitativo soggette ad Iva rispetto alle medesime operazioni soggette all’imposta di registro. Infatti, le cessioni di unità immobiliari di tipo abitativo soggette ad Iva e poste in essere dalle imprese costruttrici danno luogo ad un livello di imposizione più elevata, sia perché soggette ad aliquote di imposta più alte rispetto alle aliquote previste per l’imposta di registro sia perché determinate su base imponibile differente.
La base imponibile Iva, infatti, è costituita dal corrispettivo, mentre la base imponibile relativa alle cessioni di immobili abitativi poste in essere da soggetti privati è, nella maggior parte dei casi, costituita dal valore catastale.
Per ulteriori approfondimenti si rinvia a quanto precisato nella circolare n. 12 dell’8 aprile 2016, par. 7.1.

TIPOLOGIA DI IMMOBILI AGEVOLABILI – LA PERTINENZA
Relativamente alla tipologia di immobili agevolabili, la nuova detrazione presuppone l’acquisto, direttamente dall’impresa costruttrice, nel periodo compreso tra gennaio e dicembre 2016, di una unità immobiliare a destinazione residenziale di classe energetica A o B, a prescindere da ulteriori requisiti. Infatti, la norma non limita il beneficio all’acquisto dell’abitazione principale, né sono previste esclusioni per gli immobili c.d. di lusso.
Rispetto alle pertinenze, quali, ad esempio, posto auto, cantina etc., la norma non esplicita nulla circa l’estensione del beneficio fiscale anche a tali unità immobiliari. Al riguardo, in conformità all’orientamento ormai consolidato dell’Agenzia delle Entrate, si ritiene possa applicarsi il criterio dell’estensione del beneficio fiscale spettante all’unità abitativa anche alla pertinenza, a condizione che l’acquisto della pertinenza avvenga contestualmente all’acquisto dell’unità abitativa e l’atto di acquisto dia evidenza del vincolo pertinenziale (cfr. Circolare n. 24/E del 2004, circolare n. 108/MEF del 1996 e risoluzione n. 181 del 2008).

IL CUMULO CON ALTRE DETRAZIONI
Il comma 56 non contiene una specifica disposizione che vieti il cumulo della detrazione in commento con altre agevolazioni in materia di IRPEF. In mancanza di un esplicito divieto in tal senso, si deve ritenere possibile che il contribuente che acquisti un’unità immobiliare all’interno di un edificio interamente ristrutturato dall’impresa di costruzione possa beneficiare sia della detrazione del 50 per cento dell’IVA sull’acquisto, sia della detrazione spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 3, del TUIR. Tale ultima detrazione si applica, anche per il 2016, con l’aliquota del 50 per cento e deve essere calcolata sul 25 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile, e comunque entro un importo massimo di 96.000 euro, ed è ripartita in 10 quote costanti.
Restando, tuttavia, fermo il principio generale secondo cui non è possibile far valere due agevolazioni sulla medesima spesa, la detrazione di cui al citato art. 16-bis, comma 3 del TUIR, non può essere applicata anche all’IVA per la quale il contribuente si sia avvalso della detrazione ex art. 1, comma 56, della legge di stabilità per il 2016.
Ad esempio, un contribuente che acquista da un’impresa di ristrutturazione un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, all’interno di un fabbricato interamente ristrutturato, al prezzo di 200.000 euro + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro, avrà diritto:
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’articolo 1, comma 56, della legge di stabilità, del 50 per cento dell’Iva pagata sull’acquisto dell’immobile. Tale detrazione è pari ad euro 4.000 (8.000 x 50%);
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 3, del TUIR, del 50 per cento calcolato sul 25 per cento del costo dell’immobile rimasto a suo carico. Tale detrazione è pari ad euro 25.500 [(208.000 – 4.000) x 25% = 51.000 x 50%].
Ad analoga conclusione si giunge anche nel caso di realizzazione di box pertinenziale, anche a proprietà comune, acquistato contestualmente all’immobile agevolato ai sensi della disposizione in commento, relativamente al quale spetta anche la detrazione di cui all’art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR pari al 50 per cento del costo di realizzazione documentato dall’impresa.
Ad esempio, un contribuente acquista da un’impresa costruttrice un’unità immobiliare, con le agevolazioni “prima casa”, e un box pertinenziale. Il costo complessivo dell’immobile, comprensivo della pertinenza è pari a 200.000 euro + IVA al 4%, per un totale di 208.000 euro. Il costo di realizzazione del box è pari a 10.000 euro più IVA pari a 400 euro.
Il contribuente avrà diritto:
– alla detrazione del 50 per cento dell’Iva sull’acquisto dell’immobile comprensivo della pertinenza, pari a 4.000 euro:
– alla detrazione, spettante ai sensi dell’art. 16-bis, comma 1, lett. d) del TUIR, sul costo di realizzazione del box al netto dell’Iva portata in detrazione riferita a tale costo, pari a 10.200 euro (10.400 euro – 200 euro). La detrazione è pari al 50 per cento di tale importo e cioè 10.200 euro * 50% = 5.100 euro.

TRATTAMENTO FISCALE DEGLI ACCONTI
Con riguardo all’IVA versata per l’acconto corrisposto nel 2015, si precisa che la detrazione IRPEF in commento, in vigore dal 1° gennaio 2016, prevede che l’acquirente possa considerare in detrazione il “50% dell’importo corrisposto per il pagamento dell’IVA in relazione all’acquisto” di unità immobiliari effettuato o da effettuare “entro il 31 dicembre 2016”.
Ne consegue che, ai fini della detrazione ed in applicazione del principio di cassa, è necessario che il pagamento dell’IVA avvenga nel periodo di imposta 2016. Pertanto non è possibile fruire della detrazione con riferimento all’Iva relativa agli acconti corrisposti nel 2015, anche se il rogito risulta stipulato nell’anno 2016.
(omissis)

TINTEGGIATURA CONDOMINIO: IN CASO DI CONTRASTO CONTA IL TESTO DELIBERATO

Tinteggiatura delle scale: l’amministratore su mandato dell’assemblea approva il preventivo della ditta più economica, ma un condomino non vuole pagare. Ha le sue ragioni? È il quesito posto da uno spettatore nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito la risposta fornita dall’avvocato Nunzio Costa, presidente dell’associazione Acap di Napoli.

In caso di contrasto vale il testo deliberato
D. In un’assemblea è stato deciso, con la maggioranza richiesta, di procedere alla ritinteggiatura dell’androne del condominio. Nell’occasione è stato dato mandato all’amministratore di procedere all’individuazione della ditta ed è stato verbalizzato tale incarico con la seguente formula: “L’amministratore è incaricato di chiedere tre preventivi ad altrettante ditte e successivamente di assegnare la realizzazione del lavoro a quella delle tre che presenterà il preventivo più economico”.
Ciò è stato fatto dall’amministratore, ed i lavori sono stati portati a compimento dall’impresa che aveva presentato il preventivo più economico. Ora un condomino ha rifiutato di pagare la sua quota di spesa, sostenendo che l’amministratore ha abusato dei suoi poteri perché avrebbe dovuto convocare una seconda assemblea nel corso della quale sottoporre i tre preventivi ai condòmini, lasciando agli stessi la scelta della ditta. Ha ragione?

Risponde l’avvocato Nunzio Costa
Il punto è determinato dal documento approvato dall’assemblea, che è l’unico elemento scritto che abbiamo. Nell’ambito dei contratti, se questo contratto è nullo, inapplicabile, inefficace dobbiamo semplicemente avere riguardo all’interpretazione del dato letterale, ovvero al dato scritto. Per fare chiarezza sulla questione posta dallo spettatore bisogna fare riferimento agli articoli del codice civile relativi ai criteri di interpretazione dei contratti (artt. dal 1362 al 1370). Innanzitutto, dobbiamo fare riferimento a quanto è stato verbalizzato in assemblea, da cui si evince che è stato dato all’amministratore l’incarico di andare a verificare l’esistenza di tre preventivi e che, in base al loro importo, verrà assegnata la realizzazione del lavoro alla ditta che avrebbe presentato il preventivo più economico. Sempre nel quesito si evince che tale procedura, in effetti, è proprio quella che ha seguito l’amministratore. In altre parole, è stata data compiuta ed esatta applicazione, nonché esecuzione, al deliberato assembleare. Il fatto che il condomino si rifiuti di pagare prefigura una situazione di contrasto: se il condomino ritiene che l’amministratore non abbia eseguito correttamente il deliberato assembleare, ha facoltà di impugnare il provvedimento preso dall’amministratore ai sensi dell’art. 1133 del codice (quindi non basta il semplice rifiuto di pagare). Dal canto suo l’amministrazione, nei confronti del condomino che si rifiuta di pagare, ha l’ulteriore mezzo proprio di contrasto (diventato obbligatorio con la novella legislativa) di procedere con quelli che sono gli atti esecutivi, tra cui, appunto, il decreto ingiuntivo.

CONDOMINIO: SE LE PIANTE SUI PIANEROTTOLI COMPLICANO LA PULIZIA SCALE

Le piante collocate dai condòmini sui pianerottoli a detta della portinaia rendono più difficoltosa la pulizia delle scale. Come si deve comportare l’amministratore? È il quesito posto da uno spettatore nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito la risposta fornita dall’avvocato Massimo Agerli, consulente legale di Ape Confedilizia Torino.

D. Nel condominio che amministro, sui pianerottoli delle scale ogni unità immobiliare è dotata, oltre che dell’ingresso principale, anche di una porta di servizio che dà accesso ai balconi (esclusivi) che prospettano sul cortile. Davanti a queste porte di servizio, mai utilizzate per il passaggio, diverse signore (condomine e inquiline) hanno riposto, a scopo ornamentale, vasi da fiori, anche di dimensioni notevoli, che tuttavia non ostacolano affatto la percorribilità delle scale. Il solo inconveniente è dato dal fatto che rendono più laboriosa la pulizia delle scale stesse, dove spesso si trova terriccio e chiazze di acqua con cui le piante vengono irrigate. La portinaia, addetta alle pulizie, se ne è lamentata con me, sostenendo che il suo lavoro viene reso più faticoso. Come devo procedere?

Risponde l’avvocato M. Agerli

Se il regolamento di condominio non prevede divieti al riguardo (come ritengo), i condòmini sono liberi di tenere i vasi da fiori a scopo ornamentale sui pianerottoli, soprattutto se non rendono difficoltoso il passaggio sulle scale e soprattutto se nessuna lamentela proviene dai condòmini stessi. Per dar soddisfazione all’addetta alle pulizie è possibile semplicemente invitare i condòmini interessati a prestare più attenzione quando innaffiano le piante, onde evitare la fuoriuscita del terriccio e le chiazze d’acqua (magari affrontando l’argomento in assemblea, verbalizzando l’invito dell’amministratore nelle “varie ed eventuali”, perché non sarebbe oggetto di delibera).

ENTRATE, CIRCOLARE OMNIBUS, QUINTA PUNTATA: VIDEOSORVEGLIANZA E CREDITO D’IMPOSTA

Di seguito, la quinta puntata dell’approfondimento relativo alla Circolare n. 20/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito tutti i chiarimenti fiscali inerenti le prescrizioni introdotte dalla legge di Stabilità, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la casa, il condominio e il comparto immobiliare. Il focus di oggi è dedicato al credito d’imposta per l’installazione di sistemi di videosorveglianza.

Credito d’imposta per videosorveglianza 

Il comma 982 della legge di Stabilità 2016 introduce un credito d’imposta spettante alle persone fisiche che sostengono – non nell’esercizio di attività di lavoro autonomo o di impresa – spese per l’installazione di sistemi di videosorveglianza digitale o allarme, nonché connesse a contratti stipulati con istituti di vigilanza, dirette alla prevenzione di attività criminali. Il credito d’imposta è riconosciuto ai fini dell’imposta sul reddito, nel limite massimo complessivo di 15 milioni di euro per ‘’anno 2016. I criteri e le procedure per l’accesso al beneficio e per il suo recupero in caso di illegittimo utilizzo, nonché le ulteriori disposizioni ai fini del contenimento della spesa complessiva entro il limite sopra indicato saranno definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze.

ENTRATE, CIRCOLARE OMNIBUS, QUARTA PUNTATA: EFFICIENZA E DISPOSITIVI MULTIMEDIALI

Di seguito, la quarta puntata dell’approfondimento relativo alla Circolare n. 20/E con la quale l’Agenzia delle Entrate ha fornito tutti i chiarimenti fiscali inerenti le prescrizioni introdotte dalla legge di Stabilità, ivi compresi quelli aventi ad oggetto la casa, il condominio e il comparto immobiliare. Il focus di oggi è dedicato alle detrazioni per l’acquisto di dispositivi multimediali finalizzati all’incremento dell’efficienza energetica.

DETRAZIONI PER I DISPOSITIVI MULTIMEDIALI

Il comma 88 estende l’applicazione delle detrazioni spettanti per le spese sostenute per interventi di efficienza energetica, anche a quelle per l’acquisto, l’installazione e la messa in opera di dispositivi multimediali per il controllo da remoto degli impianti di riscaldamento e/o produzione di acqua calda e/o climatizzazione delle unità abitative, che garantiscono un funzionamento efficiente degli impianti, nonché dotati di specifiche caratteristiche.

Tali dispositivi devono, in particolare:

 mostrare attraverso canali multimediali i consumi energetici, mediante la fornitura periodica dei dati;

 mostrare le condizioni di funzionamento correnti e la temperatura di regolazione degli impianti;

 consentire l’accensione, lo spegnimento e la programmazione settimanale degli impianti da remoto. 

La detrazione spetta con riferimento alle spese sostenute a partire dal 1° gennaio 2016.

Nel consentire la detrazione anche per le spese in questione, il citato comma 88 richiama le “detrazioni fiscali di cui all’articolo 14 del decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63”, che contiene, in realtà, la mera proroga delle agevolazioni per l’efficienza energetica. Queste ultime sono stata introdotte, invece, dall’art. 1, commi da 344 a 347 della legge n. 296 del 2006 che individua gli interventi ammessi alla detrazione e fissa, per ciascuno di essi, un ammontare massimo di detrazione spettante. 

Il comma 88, dunque, non collega la nuova fattispecie ad una specifica categoria di intervento già oggetto dell’agevolazione. 

La relazione tecnica precisa che la nuova ipotesi agevolativa era già ricompresa negli interventi previsti dalla legislazione vigente per beneficiare delle detrazioni per riqualificazione energetica; si ritiene, pertanto, che la portata innovativa della norma sia ravvisabile nella possibilità di beneficiare della detrazione anche nell’ipotesi in cui l’acquisto, l’installazione e la messa in opera dei dispositivi multimediali siano effettuati successivamente o anche in assenza di interventi di riqualificazione energetica. Inoltre, considerato che gli interventi in esame hanno un costo ridotto rispetto a quelli già ammessi alla detrazione e che la norma non indica per gli interventi di “domotica” in questione l’importo massimo di detrazione fruibile, si ritiene che questa possa essere calcolata nella misura del 65 per cento delle spese sostenute. 

INFILTRAZIONI DI ACQUA PIOVANA NEI SOLAI: LE SPESE VANNO RIPARTITE

L’acqua piovana filtra dal tetto condominiale e danneggia alcuni lucernari. A chi spettano le spese per sostituirli? È il quesito posto da uno spettatore nell’ambito della rubrica legale del Tg del Condominio. Di seguito la risposta fornita dall’avvocato Massimiliano Bettoni dello studio legale Mabe di Milano.

D. In alcuni solai di proprietà esclusiva (pertinenze di appartamenti) si sono verificate infiltrazioni di acque piovane entrate nei locali a seguito della vetustà e della permeabilità dei lucernari ed anche del fatto che le tegole di copertura del tetto erano scivolate via, provocando danni: fioriture alle murature dei solai e guasti alle cose in essi riposte. L’amministratore del condominio ha già provveduto ad effettuare la necessaria manutenzione del tetto (a spese di tutto il condominio), ma sostiene che le spese per la sostituzione dei lucernari sono a carico delle singole unità.

Risponde l’avvocato M. Bettoni

R. Secondo il disposto dell’art. 1123 c.c.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza sono sostenute dai condòmini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, salvo diversa convenzione”.

Secondo il costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione, manifestato in una sentenza del 1995, n. 7077, l’articolo si fonda su due principi: il primo, riguarda le cose comuni destinate a servire indistintamente tutti i condòmini e il secondo, per quanto riguarda le cose comuni destinate a servire i condòmini in misura diversa, concerne il parametro proporzionale dell’uso che ciascuno può farne.

Sulla base di quest’ultimo principio, l’obbligo di contribuire alle spese si fonda sull’utilità che ogni singola proprietà esclusiva può trarre dalla cosa comune.

Per quanto attiene specificamente alla manutenzione dei lucernari posti sul tetto dell’edificio condominiale, la cui funzione prevalente è quella di dare aria e luce all’appartamento su cui si affacciano, le spese di riparazione e/o sostituzione di tali aperture devono essere sostenute dai condòmini che ne traggono diretta utilità, ossia gli appartamenti che vengono illuminati ed arieggiati dalle medesime.

Tale tesi trova conferma nella dottrina e nella giurisprudenza di merito, la quale precisa che “così come il proprietario del solaio può aprire nel tetto abbaini per dare aria e luce ai locali sottostanti, quando l’abbaino sia costruito a regola d’arte e non pregiudichi la funzione di copertura del tetto, né leda altrimenti il diritto degli altri condomini, egualmente egli è tenuto alla manutenzione ed alla riparazione di tali aperture” (Cass. Civ., Sez. II del 1993, n. 744).

E, ancora, nel caso di lucernario condominiale, la spesa per la riparazione dovrà essere ripartita con la tabelle millesimale di proprietà, essendo il lucernario una parte del tetto e trattandosi d’intervento conservativo, salvo diverso accordo tra tutti i condòmini.