[A cura di: Veronica Nicotra – segretario generale Anci]
Il noto decreto «Salva Italia» del dicembre 2011 ha aumentato la pressione fiscale sulla casa a tutto e solo vantaggio delle casse statali.
IL PERIODO DEI TAGLI
Il periodo 2010-2015, ad esempio, è stato caratterizzato da un ingente taglio di risorse subito dai Comuni e da uno rivolgimento dei tributi locali. Si è iniziato con il decreto dell’estate del 2010 che, in piena enfasi da federalismo fiscale, ha inferto un colpo esiziale alla sua stessa attuazione, operando un ingente taglio alle risorse comunali di 2 miliardi e mezzo, assolutamente inaudito.
Poi, nell’incalzare della gravissima crisi finanziaria di fine 2011, il Governo ha deciso di introdurre nel 2012 l’Imu, estesa anche alla prima casa. E con quella manovra poderosa, non solo si è reintrodotta la tassazione sulla prima casa ma sono stati aumentati anche i coefficienti su tutti gli immobili, con un guadagno necessario a favore dello Stato. Quella operazione è stata a saldo zero per i Comuni ma a saldo positivo per le casse erariali, manovra richiesta, come sappiamo, dall’Europa.
LE PERDITE DEI COMUNI
Un cospicua parte degli aumenti di prelievo locale deriva dunque da un’imposta statale sugli immobili “travestita” da nuovo pilastro della finanza locale:
* passando dall’Ici all’Imu aumentano i moltiplicatori e l’aliquota di base, con un aumento interamente “compensato” dallo Stato con un prelievo/taglio sui trasferimenti statali ai Comuni, di oltre 3 miliardi di euro;
* l’Imu concede maggiori margini di aumento delle aliquote? Vero. E, infatti nel periodo 2011-2015 lo Stato taglia di ulteriori 9 miliardi i trasferimenti residui (ormai azzerati) e impone criteri più restrittivi al patto di stabilità, per 3,5 miliardi.
Complessivamente i Comuni italiani hanno perso 3 miliardi di euro nel passaggio Ici-Imu-Tasi-abolizione dei trasferimenti e, peraltro Anci ha vinto un contenzioso con il Mef, dove il Consiglio di Stato ha stabilito che i conteggi di stima nel passaggio Ici/Imu sono stati errati. Lo Stato non mette più un euro dei 15 miliardi di trasferimenti del 2010 e, fatti salvi i ristori dei gettiti aboliti nel 2016, i Comuni dal 2015 finanziano loro direttamente lo Stato per 340 milioni all’anno.
In conclusione, gran parte del preteso aumento delle tasse locali degli ultimi anni, è andato in realtà allo Stato sia come nuove entrate che come tagli ai Comuni. In questo quadro, i Comuni hanno assistito a continui cambi di politica sull’abitazione principale, con i conseguenti spostamenti obbligati di tassazione, prima a carico dell’abitazione principale (Imu 2012), poi parzialmente sulle seconde case e sugli immobili commerciali, avvenuti in seguito alla Tasi nel 2014-15.
CONTI SOTTO CONTROLLO
È bene però dire che nello stesso periodo è anche successo questo:
* si è ridotta la spesa corrente;
* la spesa di personale è scesa di oltre il 10%, anche per effetto di vincoli specifici stabiliti da leggi contraddittorie, con una situazione attuale di grave criticità a garantire alcuni servizi e competenze essenziali;
* la spesa in conto capitale fortemente contratta negli anni considerati a causa dei vincoli del Patto di stabilità finalmente ha ripreso a crescere (+16% nel 2015), in corrispondenza al progressivo abbandono delle regole di patto – traguardo realizzato grazie alla battaglia dell’Anci – e allo sblocco degli avanzi forzosi di bilancio accumulati nel tempo, che costituiscono uno dei più rilevanti contributi alla crescita di cui il Paese può disporre;
* i conti dei Comuni sono sotto controllo attraverso una riforma della contabilità molto incisiva, cui i Comuni non si sono sottratti, nonostante le difficoltà che comporta e come spesso è accaduto in Italia sono i sindaci ad aver accettato questa nuova sfida.
Anche nelle grandi città le stesse dinamiche hanno agito in profondità. Il confronto con il 2010 risulta falsato se consideriamo inoltre, che l’abitazione principale nel 2010 era esclusa per legge dai tributi immobiliari, oltre a ciò che abbiamo già suesposto.
IL CAMBIO DI ROTTA
In questa vicenda lo Stato deve assumere decisioni certo difficili e la testimonianza è data anche dal successivo e continuo balletto sulle tasse sulla casa; una verità è certa, i Comuni alla fine della storia hanno solo subito nuovi tagli, in un contesto peraltro di trasferimento di nuove competenze e oneri. Solo il 2016 è l’anno senza tagli e deve continuare così. Anzitutto il nostro impegno è affinché i Comuni recuperino entrate per migliorare i servizi ai cittadini, e poi c’è tanto da fare per sostenere lo sviluppo del Paese. Siamo lontani dal poter esercitare una autonomia sana e responsabile pienamente conforme alla nostra Costituzione. I sindaci non mollano e se qualche volta arretrano, questo avviene per forza maggiore, e quando ciò accade arretra anche il Paese, è bene che chi decide e sceglie ne sia sempre consapevole.
[A cura di: Fulvio Graziotto – Studio Graziotto, http://www.studiograziotto.com/]
Il giudice penale può ordinare la demolizione di opere illegittime anche senza condanna. Nei casi in cui il reato si prescrive, il giudice penale deve dichiarare estinto il reato, ma può disporre la demolizione o la confisca anche in assenza di una condanna penale.
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Cassazione Penale
Sentenza n. 9949/2016
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Il caso
Il Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza di revoca o annullamento dell’ingiunzione a demolire un manufatto in pendenza di sanatoria relativamente all’uso agricolo, ma trasformato in civile abitazione successivamente e quindi non suscettibile di sanatoria.
Il tribunale rilevava anche la non applicabilità della disciplina della prescrizione della pena ai sensi dell’art. 173 codice penale, avendo la demolizione natura di sanzione amministrativa non “sostanzialmente penale”.
Propone ricorso in Cassazione l’ingiunto, affidandosi a quattro motivi.
La Suprema corte ritiene il ricorso infondato.
La decisione
Anzitutto, il Collegio ritiene infondati i primi tre motivi in quanto «non ricorre il requisito indispensabile della condonabilità dell’opera. Infatti, l’istanza di condono, presentata il 31/12/1995, concerneva un manufatto ad uso agricolo, che si attesta ultimato il 31/12/1993, laddove la sentenza di condanna, ed il conseguente ordine di demolizione, riguardano una diversa opera, evidentemente sottoposta a trasformazione successivamente alla presentazione dell’istanza di condono: un manufatto adibito a civile abitazione, ed ultimato il 13/01/2004. L’ultimazione successivamente al termine di presentazione dell’istanza di condono, e la diversità tra opera oggetto di richiesta di sanatoria e opera oggetto di condanna e successivo ordine di demolizione, escludono la condonabilità del manufatto, e rendono irrilevante l’invocata differenza tra realizzazione del rustico ed ultimazione».
Quindi la Suprema Corte passa ad esaminare il quarto motivo, che ritiene manifestamente infondato. Infatti, la Suprema Corte così affrema: «Invero, il ricorso censura l’omessa dichiarazione della prescrizione, ai sensi dell’art. 173 cod. pen., dell’ordine di demolizione, in quanto sanzione sostanzialmente penale, alla luce di una interpretazione convenzionalmente conforme alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La tesi è fondata, come noto, su una decisione, del tutto isolata, di un giudice di merito (Tribunale Asti, ordinanza del 03/11/2014, Delorier), che ha dichiarato l’estinzione per decorso del tempo dell’ordine di demolizione, sul presupposto che si trattasse non già di una sanzione amministrativa, bensì di una vera e propria pena, nella declinazione sostanzialistica fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo; in tal senso, dunque, anche all’ordine di demolizione sarebbe applicabile l’art. 173 cod. pen. sulla prescrizione delle pene».
E precisa che, nel caso di specie, non sarebbe comunque decorso comunque il termine di prescrizione. Quindi, così si esprime sulla natura dell’ordine di demolizione: «In ogni caso, va evidenziato che la tesi della natura sostanzialmente penale dell’ordine di demolizione, oltre ad essere, come si dirà, frutto di una applicazione del diritto eurounitario eccentrica rispetto al sistema costituzionale delle fonti, è infondata. Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato una serie di principi che hanno costantemente ribadito la natura amministrativa della demolizione, quale sanzione accessoria oggettivamente amministrativa, sebbene soggettivamente giurisdizionale, esplicazione di un potere autonomo e non alternativo al quello dell’autorità amministrativa, con il quale può essere coordinato nella fase di esecuzione (ex multis, Sez. 3, n. 3685 del 11/12/2013, dep. 2014), Russo, Rv. 258518; Sez. 3, n.37906 del 22/5/2012, Mascia, non massimata; Sez. 6, n. 6337 del 10/3/1994, Sorrentino Rv. 198511; si vedano anche Sez. U, n. 15 del 19/6/1996, RM. in proc. Monter); in tale quadro, coerentemente è stata negata l’estinzione della sanzione per il decorso del tempo, ai sensi dell’art. 173 cod. pen., in quanto tale norma si riferisce alle sole pene principali, e comunque non alle sanzioni amministrative (Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736; Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670); ed altresì è stata negata l’estinzione per la prescrizione quinquennale delle sanzioni amministrative, stabilita dall’art. 28 I. 24 novembre 1981, n. 689, in quanto riguardante le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva (“il diritto a riscuotere le somme … si prescrive”), mentre l’ordine di demolizione integra una sanzione ripristinatoria, che configura un obbligo di fare, imposto per ragioni di tutela del territorio (Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, Filippi, Rv. 227176). Ebbene, la tesi della natura intrinsecamente penale della demolizione risulta fondata su una serie di indici diagnostici della “materia penale”, ovvero la pertinenzialità rispetto ad un fatto-reato, la natura penale dell’organo giurisdizionale che la adotta, l’indubbia gravità della sanzione e l’evidente finalità repressiva; sulla base di tali indici si afferma la natura penale, facendone poi discendere una disinvolta operazione di applicazione analogica dell’art. 173 cod. pen.».
Più avanti la decisione illustra ulteriormente la natura amministrativa della demolizione: «Una lettura sistematica, e non solipsistica, della disposizione, dunque, impone di ribadire la natura amministrativa, e la dimensione accessoria, ancillare, rispetto al procedimento penale, della demolizione, pur quando ordinata dal giudice penale; tant’è che, pur integrando un potere autonomo e non alternativo a quello dell’autorità amministrativa, nel senso che la demolizione deve essere ordinata dal giudice penale anche qualora sia stata già disposta dall’autorità amministrativa, l’ordine giudiziale di demolizione coincide, nell’oggetto (l’opera abusiva) e nel contenuto (l’eliminazione dell’abuso), con l’ordine (o l’ingiunzione) amministrativo, ed è eseguibile soltanto “se ancora non sia stata altrimenti eseguita”. Pertanto, se la demolizione d’ufficio e l’ingiunzione alla demolizione sono disposte dall’autorità amministrativa, senza che venga revocata in dubbio la natura amministrativa, e non penale, delle misure, e senza che ricorra la pertinenzialità ad un fatto-reato, in quanto, come si è visto, la demolizione può essere disposta immediatamente, senza neppure l’individuazione dei responsabili, non può affermarsi che la demolizione giudiziale – identica nell’oggetto e nel contenuto – muti natura giuridica solo in ragione dell’organo che la dispone. Anche perché è pacifico che l’ordine giudiziale di demolizione è suscettibile di revoca da parte del giudice penale allorquando divenga incompatibile con provvedimenti amministrativi di diverso tenore (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci, Rv. 260972), in tal senso non mutuando il carattere tipico delle sanzioni penali, consistente nella irretrattabilità, ed è impermeabile a tutte le eventuali vicende estintive del reato e/o della pena (ad esso non sono applicabili l’amnistia e l’indulto, cfr. Sez. 3, n. 7228 del 02/12/2010 (dep.2011), D’Avino, Rv. 249309; resta eseguibile, qualora sia stato impartito con la sentenza di applicazione della pena su richiesta, anche nel caso di estinzione del reato conseguente al decorso del termine di cui all’art. 445, comma 2, cod. proc. pen., cfr. Sez. 3, n. 18533 del 23/03/2011, Abbate, Rv. 250291; non è estinto dalla morte del reo sopravvenuta all’irrevocabilità della sentenza, cfr. Sez. 3, n. 3861 del 18/1/2011, Baldinucci e altri, Rv. 249317). Si tratta, dunque, della medesima sanzione amministrativa, adottabile parallelamente al procedimento amministrativo, la cui emissione è demandata (anche) al giudice penale all’esito dell’affermazione di responsabilità penale, al fine di garantire un’esigenza di celerità ed effettività del procedimento di esecuzione della demolizione».
E conclude richiamando genericamente la dottrina che «ha sottolineato la differente finalità e natura delle misure amministrative previste a salvaguardia dell’assetto del territorio: la demolizione, infatti, è connotata da una finalità ripristinatoria, l’acquisizione gratuita del bene e dell’area di sedime e le sanzioni pecuniarie alternative alla demolizione hanno una finalità riparatoria dell’interesse pubblico leso, le sanzioni pecuniarie previste in caso di inottemperanza all’ingiunzione a demolire sono connotate da una finalità punitiva».
Per la Cassazione «Viene, dunque, esclusa una natura punitiva della demolizione, che non può conseguire automaticamente dall’incidenza della misura sul bene. In tal senso, non sembra ricorrere neppure l’ulteriore indice diagnostico della natura penale, ovvero la finalità repressiva, essendo pacifico che ciò che viene in rilievo è la salvaguardia dell’assetto del territorio, mediante il ripristino dello status quo ante (Sez. 3, n. 36387 del 07/07/2015, Formisano, Rv. 264736: “In materia di reati concernenti le violazioni edilizie, l’ordine di demolizione del manufatto abusivo, avendo natura di sanzione amministrativa di carattere ripristinatorio, non è soggetto alla prescrizione stabilita dall’art. 173 cod. pen. per le sanzioni penali, né alla prescrizione stabilita dall’art. 28 legge n. 689 del 1981 che riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva”); che non ricorra una finalità repressiva, del resto, è confermato altresì dalla possibilità di revoca della demolizione, allorquando gli interessi pubblici sottesi alla tutela del territorio siano diversamente ponderati dall’autorità amministrativa, divenendo incompatibili con l’esecuzione della misura ripristinatoria. L’attitudine di un interesse pubblico a paralizzare l’esecuzione della sanzione, dunque, sembra escluderne la asserita finalità repressiva».
Da ultimo, si esprime sull’applicazione analogica in materia penale: «L’art. 173 cod. pen., infatti, disciplina l’“estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda per decorso del tempo” (così come, analogamente, l’art. 172 cod. pen. disciplina la prescrizione delle pene della reclusione e della multa); la causa di estinzione, dunque, è limitata alle sole pene principali, non è una norma di favore generale, applicabile, ad esempio, anche alle pene accessorie. A conferma, peraltro, della natura eccezionale della disposizione, già solo per tale motivo insuscettibile di applicazione analogica. Non si scorge un motivo, ragionevole (inteso non già nella declinazione soggettiva, bensì costituzionale, di parità di trattamento di situazioni analoghe) e ancorato a criteri oggettivi, dunque, per applicare analogicamente la prescrizione alla sanzione della demolizione, e non alle pene accessorie – la cui natura penale, peraltro, oltre ad essere normativamente sancita, non è revocabile in dubbio – ovvero agli effetti penali della condanna».
E ne trae la conclusione che «La diversa natura e finalità delle pene principali, da un lato, e della demolizione, dall’altra, non consentono, infatti, di individuare un elemento di identità tra i due “casi” che consenta un’applicazione analogica della norma sulla prescrizione: è stato già evidenziato che mentre le pene principali hanno una natura lato sensu repressiva, ed una finalità rieducativa (recte, risocializzante), ai sensi dell’art. 27, comma 3, Cost., la demolizione non ha una natura intrinsecamente repressiva, né persegue finalità risocializzanti, perseguendo invece una finalità ripristinatoria dell’assetto del territorio sulla quale le esigenze individuali legate all’oblio per il decorso del tempo risultano necessariamente soccombenti rispetto alla tutela collettiva di un bene pubblico (Sez. 3, n. 43006 del 10/11/2010, La Mela, Rv. 248670; Sez. 3, Sentenza n. 16537 del 18/02/2003, Filippi, Rv. 227176). Alla stregua delle considerazioni che precedono, dunque, deve negarsi innanzitutto la natura intrinsecamente penale della demolizione, ed in secondo luogo la legittimità di un procedimento analogico, in assenza dei due presupposti della lacuna normativa e dell’eadem ratio».
E, infine, la Suprema Corte chiosa soffermandosi sulla differenza tra l’analogia legis e l’analogia iuris: «Non ricorrendo gli estremi di una legittima analogia legis, secondo i canoni interpretativi tradizionalmente desunti dall’art. 14 Prel., si deve prendere in considerazione l’ipotesi che l’operazione Interpretativa a fondamento dell’applicazione analogica della prescrizione alla sanzione della demolizione sia in realtà frutto di una analogia iuris, nella quale si è proceduto alla (invero arbitraria) formulazione ed applicazione di principi generali dell’ordinamento, secondo i canoni desunti dall’art. 12 Prel. E tuttavia anche tale procedimento interpretativo sarebbe frutto di una soggettiva ed arbitraria opzione politica dell’interprete, in assenza di una inequivocabile lacuna normativa. Innanzitutto l’analogia iuris presupporrebbe la necessità di risolvere un caso dubbio – e non sembra il caso dell’estinzione della sanzione della demolizione -; in secondo luogo imporrebbe l’individuazione di un principio generale applicabile al caso dubbio: e non sembra che l’estinzione di una sanzione amministrativa (ma neppure penale) per il decorso del tempo possa plausibilmente integrare un principio generale dell’ordinamento, sia nazionale che sovranazionale. Va al riguardo sempre rammentato che l’integrazione dell’ordinamento è solo residuale e succedanea all’interpretazione, e, se il caso non è dubbio, non è necessario ricorrere all’applicazione dei principi, in quanto è sufficiente l’applicazione della disposizione scritta».
Osservazioni
La pronuncia della Cassazione si pone in contrasto con la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che si è espressa in modo diametralmente opposto, anche grazie alla pronuncia della Corte Costituzionale (sentenza 49/2015), nella quale la Consulta aveva già sottolineato che allorquando la responsabilità penale sia stata accertata in tutti i suoi elementi, il giudice penale può confiscare gli immobili abusivi anche nei casi di reati prescritti, quindi anche in assenza di una sentenza di condanna. E poiché la confisca ha natura amministrativa, è applicabile anche per i reati prescritti, in caso di amnistia, di indulto o di morte del reo.
Ricordo che in caso di conflitto delle norme nazionali con quelle della CEDU, il giudice nazionale deve tentare una lettura costituzionalmente compatibile e, nel caso tale operazione non risulti possibile, è tenuto a sollevare la questione costituzionale relativamente agli artt. 117, primo comma e/o 10, primo comma, della Costituzione. Infatti, a differenza di quelle comunitarie che possono essere direttamente disapplicate dal giudice nazionale, le norme derivanti dalle disposizioni della CEDU operano nell’ordinamento interno attraverso il meccanismo delle norme internazionali, con la particolarità che la convenzione CEDU ha goduto dell’adesione diretta dell’Unione Europea.
Disposizioni rilevanti
* Codice penale Art. 173 – Estinzione delle pene dell’arresto e dell’ammenda per decorso del tempo:
“Le pene dell’arresto e dell’ammenda si estinguono nel termine di cinque anni. Tale termine è raddoppiato se si tratta di recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, ovvero di delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Se, congiuntamente alla pena dell’arresto, è inflitta la pena dell’ammenda, per l’estinzione dell’una e dell’altra pena si ha riguardo soltanto al decorso del termine stabilito per l’arresto.
Per la decorrenza del termine si applicano le disposizioni del terzo, quarto e quinto capoverso dell’articolo precedente”.
* CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) – ARTICOLO 7 – Nulla poena sine lege
“1. Nessuno può essere condannato per una azione o una omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso.
2. Il presente articolo non ostacolerà il giudizio e la condanna di una persona colpevole di una azione o di una omissione che, al momento in cui è stata commessa, costituiva un crimine secondo i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili.
[A cura di: Confappi]
I creditori di un condominio devono preventivamente agire nei confronti dei condòmini morosi e, solo successivamente, possono rivolgersi anche ai condòmini in regola con i pagamenti: tale principio non si estende alle somme depositate sul conto corrente del condominio stesso, liberamente aggredibili. Così prescrive e deve essere interpretato l’articolo 63, secondo comma, delle disposizioni di attuazione al codice civile.
Il principio emerge dalla sentenza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 1287 del 26 novembre 2015. Un pronunciamento che s’inserisce nell’alveo di una giurisprudenza di merito, formatasi all’indomani della riforma del condominio e che va sempre più consolidandosi (Tribunale di Brescia 30.5.2014, Tribunale di Reggio Emilia 16.5.2014, Tribunale di Milano 2.7.2014).
Il caso esaminato è il seguente. Una ditta individuale creditrice di un condominio aveva preannunciato l’esecuzione nei confronti di quest’ultimo, attraverso la rituale notifica dell’atto di precetto, senza aver preventivamente escusso i condòmini morosi con i pagamenti. Al fine di bloccare l’esecuzione, che avrebbe condotto al pignoramento del conto corrente del condominio, il condominio si è opposto al precetto, ritenendo che il nuovo articolo 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile – che prevede che i creditori del condominio non possono agire nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti, se non dopo l’escussione degli altri condòmini – avesse introdotto un beneficium excussionis generalizzato, valevole anche per il condominio.
Il Tribunale di Ascoli Piceno ha rigettato l’opposizione. In particolare, il giudice marchigiano dapprima ha ribadito il principio secondo cui le obbligazioni condominiali debbano intendersi solidali (con la conseguenza che ciascun debitore può essere chiamato a pagare l’intera somma dovuta, salvo il diritto di regresso verso gli altri debitori), alla luce della riforma del condominio (legge 220/2012), che ha ribaltato i principi emersi dalla nota (e discussa) sentenza a Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 9148 dell’8 aprile 2008.
In secondo luogo, in base a una interpretazione letterale del dettato legislativo, il tribunale ha chiarito che il beneficium excussionis, stabilito dal citato articolo 63 delle disposizioni di attuazione al codice civile, vale solo ed esclusivamente nei confronti dei condòmini in regola con i pagamenti e non anche nei confronti del condominio, che potrà, dunque, essere aggredito esecutivamente.
In concreto, e come prefigurato dalla sentenza in commento, quando l’azione esecutiva dei creditori del condominio avrà a oggetto le disponibilità liquide presenti sul conto corrente intestato al condominio – obbligatorio a seguito della riforma del 2012, ma che, però, deve essere preventivamente individuato dai creditori – tali somme saranno liberamente aggredibili essendo venuto meno ogni legame giuridico con i condòmini ed essendo destinate ad essere utilizzate nell’interesse comune del condominio, nel quale rientra anche il pagamento dei suoi debiti.
[A cura di: Fulvio Graziotto – Studio Graziotto, www.studiograziotto.com]
La Cassazione, nell’affrontare una controversia remota, ritorna sulla rilevabilità d’ufficio delle deliberazioni assembleari nulle e su altre rilevanti questioni: nel condominio, la lesione dei diritti esclusivi dei singoli condòmini comporta la nullità della deliberazione assembleare se non c’è l’unanimità.
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Corte di Cassazione
sez. II civile
sent. n. 4726/2016
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Il caso
Alcune comproprietarie di nove appartamenti agivano in giudizio contro il condominio chiedendo la sospensione dei lavori di realizzazione di un ascensore esterno, la demolizione della “gabbia” in costruzione e il risarcimento dei danni offerti per l’opera illegittimamente eseguita e lesiva della proprietà esclusiva. Il Tribunale, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio (CTU), condannava in solido amministratore e condominio, i quali proponevano appello, non accolto, e successivamente ricorrevano in Cassazione, che ha rigettato il ricorso.
La decisione
I ricorrenti in Cassazione lamentavano che la Corte d’Appello ha reputato nulla la delibera assembleare, “poiché è stato accertato dal C.T.U. che la gabbia in muratura lede il diritto di proprietà esclusiva dell’appellata”.
Ma la Suprema Corte conferma l’operato del giudice di merito: «che la corte di merito abbia in dipendenza degli esiti della c.t.u. correttamente opinato per la nullità della delibera, rinviene riscontro nel consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità».
La Corte richiama due precedenti pronunce: «in tema di condominio di edifici, i poteri dell’assemblea, i quali sono fissati tassativamente dal codice (art. 1135 c.c.), non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni che a quelle esclusive, tranne che una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda (cfr. Cass. 27.8.1991, n. 9157, ove si soggiunge, che, pertanto, non è consentito alla maggioranza dei condòmini deliberare una diversa collocazione delle tubazioni comuni dell’impianto di riscaldamento in un locale di proprietà esclusiva, con pregiudizio di tale proprietà, senza il consenso del proprietario de/locale stesso; cfr., altresì, Cass. 14.12.2007, n. 26468, secondo cui, in tema di condominio, i poteri dell’assemblea condominiale possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condòmini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del regolamento che la preveda, in quanto l’autonomia negoziale consente alle parti di stipulare o di accettare contrattualmente convenzioni e regole pregresse che, nell’interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei condòmini)».
E ricorda che «il rimedio dell’impugnazione offerto dall’art 1137 c.c. nei confronti delle deliberazioni assembleari condominiali – e la disciplina relativa, anche in ordine alla decadenza – riguarda unicamente le deliberazioni annullabili e non quelle nulle (cfr. Cass. 10.6.1981, n. 3775, ove si soggiunge che, pertanto, il provvedimento con cui l’amministratore del condominio, esorbitando dai suoi poteri, leda i diritti dei singoli condòmini sulle cose comuni, in quanto affetto da radicale nullità, – impugnabile davanti all’autorità giudiziaria, con azione non soggetta ai termini di decadenza di cui agli artt. 1133 e 1137, 30 co., c. c.)».
Quindi si esprime sulla rilevabilità d’ufficio: «il rilievo ex officio di una nullità negoziale – sotto qualsiasi profilo ed anche ove sia configurabile una nullità speciale o “di protezione” – deve ritenersi consentito, sempreché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata “ragione più liquida”, in tutte le ipotesi di impugnativa negoziale; ed, inoltre, che nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa, in primo grado, di una nullità contrattuale, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (cfr. Cass. sez. un. 12.12.2014, n. 26242; si veda anche Cass. 15.3.1986, n. 1768, secondo cui il potere del giudice di rilevare d’ufficio la nullità di un negozio giuridico non comporta il suo dovere di indagare circa tutte le possibili cause di nullità del negozio di cui si discuta nel processo, ma opera soltanto nei limiti in cui la nullità già emerga in modo certo dagli atti processuali)».
Nel decidere sul ricorso, la Suprema Corte evidenzia anche che «in ossequio al canone di “autosufficienza” del ricorso per cassazione, del pari avrebbero dovuto i ricorrenti, onde consentire il riscontro, il vaglio dei propri assunti, riprodurre più o meno testualmente nel corpo del ricorso il testo della relazione di consulenza tecnica d’ufficio».
La pronuncia si chiude con il rigetto del ricorso e la condanna alle spese del giudizio.
Osservazioni
La decisione affronta tre aspetti importanti:
1) l’interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in Cassazione solo per violazione dei criteri legali di interpretazione o per vizio di motivazione;
2) il rimedio dell’impugnazione delle delibere assembleari condominiali (e i relativi termini di decadenza) riguarda solo le deliberazioni annullabili, mentre quelle nulle sono sempre rilevabili d’ufficio;
3) le risultanze della CTU (consulenza tecnica d’ufficio) in contrasto con la decisione oggetto di ricorso in Cassazione devono essere riprodotte nel corpo del ricorso per Cassazione, in ossequio al canone di “autosufficienza” dello stesso.
Disposizioni rilevanti
* REGIO DECRETO 16 marzo 1942, n. 262
* Codice civile vigente al: 30-4-2016
Art. 1137 – Impugnazione delle deliberazioni dell’assemblea
Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie per tutti i condomini.
Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti.
L’azione di annullamento non sospende l’esecuzione della deliberazione, salvo che la sospensione sia ordinata dall’autorità giudiziaria.
L’istanza per ottenere la sospensione proposta prima dell’inizio della causa di merito non sospende nè interrompe il termine per la proposizione dell’impugnazione della deliberazione. Per quanto non espressamente previsto, la sospensione è disciplinata dalle norme di cui al libro IV, titolo I, capo III, sezione I, con l’esclusione dell’articolo 669-octies, sesto comma, del codice di procedura civile.
Incendio nel catanese
12enne salva i fratellini
Vicenda a lieto fine in una villetta in provincia di Catania, assalita dalle fiamme a seguito di un corto circuito. A mettere in salvo i due bimbi piccoli che si trovavano al piano superiore è stato il fratello maggiore di 12 anni. Nonostante il fumo stesse cominciando a propagarsi rapidamente, il ragazzino ha avuto il sangue freddo di chiamare i vigili del fuoco e, nell’attesa del loro arrivo, di portare i due fratelli minori, rimasti nella loro cameretta, in una zona sicura della casa. Poco dopo sono arrivati i carabinieri e il nonno, uscito per accompagnare la moglie a lavoro.
Li chiudono in bagno
e gli svaligiano casa
Li hanno malmenati, immobilizzati e chiusi in bagno. Così un gruppo di tre banditi ha rapinato due coniugi residenti in una casa isolata in provincia di Arezzo. I ladri sono entrati nell’abitazione poco dopo le 22, passando da una finestra e non preoccupandosi del fatto che in casa vi fossero i proprietari. Anzi, dopo essersi fatti dare indicazioni sull’ubicazione della cassaforte, hanno agito indisturbati portando via contanti e gioielli per svariate migliaia di euro. A far scattare l’allarme e a liberare le due vittime è stato il figlio, rientrato in casa soltanto la mattina seguente.
La badante infedele
deruba una 96enne
Una badante 41enne di origine filippine ha approfittato dell’età avanzata della sua assistita per portarle via da casa numerosi oggetti preziosi e alcuni pezzi di argenteria. Fortunatamente, poco dopo essersi allontanata dall’appartamento dell’anziana presso il quale prestava servizio, i carabinieri del nucleo operativo di Roma l’hanno intercettata, ancora in possesso della refurtiva. La badante “infedele”, già nota alle forze dell’ordine, è stata portata in caserma in attesa di essere sottoposta al rito per direttissima. L’intero bottino è stato restituito alla vittima di 96 anni.
Ruba corrente elettrica,
denunciato condomino
Un uomo di 37 anni, proprietario di un appartamento nel ternano, è stato colto in flagrante dall’amministratore di condominio mentre rubava corrente per alimentare il proprio appartamento. Il 37enne aveva divelto la scatola di derivazione dell’energia, posta sul pianerottolo, collegandovi un filo elettrico che conduceva direttamente alla sua casa. Proprio quel filo sospetto aveva spinto l’amministratore ad allertare la polizia. Scoperto lo stratagemma, il proprietario è stato denunciato dalla polizia per furto aggravato di energia elettrica
Coltiva erba in casa:
in manette 32enne
Guai seri per un 32enne residente in un comune alle porte di Bassano dopo che le forze dell’ordine hanno scoperto, in un appartamento di sua proprietà, una coltivazione di marijuana e attrezzi per il confezionamento. I militari hanno atteso che il giovane uscisse dallo stabile per fermarlo e riportarlo nell’abitazione, all’interno della quale hanno scoperto la piantagione illecita. I carabinieri hanno arrestato l’uomo e proceduto al sequestro di ben 145 piantine, la metà di altezza tra gli 80 centimetri e i due metri, oltre a un chilo e mezzo di marijuana già essiccata, pronta per lo smercio al dettaglio.
È in linea, sul sito internet di Confedilizia, l’aggiornamento relativo allo “Scadenzario tributario del proprietario di casa e del condominio”, curato dall’Organizzazione della proprietà immobiliare. Nel documento sono specificati gli adempimenti relativi al mese di maggio, per i quali lo Scadenzario indica nel dettaglio soggetti obbligati, modalità dell’adempimento, codici tributo e ogni altra indicazione pratica utile agli interessati. Nel dettaglio, tali adempimenti sono i seguenti:
* il versamento, da parte del condominio, delle ritenute alla fonte e delle addizionali regionale e comunale Irpef;
* la registrazione dei contratti di comodato, sia scritti sia verbali, ai fini delle agevolazioni Imu-Tasi;
* la registrazione dei contratti di locazione e il versamento delle imposte relative alle singole annualità, con illustrazione delle diverse regole in caso di applicazione o meno della cedolare secca. Lo Scadenzario Confedilizia evidenzia, in particolare, che in caso di locazioni ad uso abitativo regolate dalla legge n. 431/’98, il locatore – entro 60 giorni dall’avvenuta registrazione – deve darne “documentata comunicazione” al conduttore ed all’amministratore del condominio.
Crolla il cornicione,
multato amministratore
Dovrà pagare una multa di 422 euro l’amministratore dello stabile di Genova dal quale, in piena notte, si sono staccati circa 20 metri di cornicione, finendo sul suolo pubblico. Per fortuna, data l’ora, non ci sono state conseguenze per le persone. Dopo il cedimento i vigili del fuoco hanno transennato l’area e staccato i pezzi di cornicione rimasti pericolanti. Sul posto anche i tecnici comunali dell’ufficio di Pubblica Incolumità e gli uomini della polizia municipale, che hanno comminato la sanzione prevista dal codice della strada per omessa manutenzione del fabbricato.
Lite tra condòmini
finisce a mazzate
Una donna di 53 anni residente in un condominio del comune di Rimini è stata arrestata per resistenza a pubblico ufficiale, minaccia aggravata e danneggiamento dopo aver tentato di sfondare la porta d’ingresso dell’appartamento del vicino di casa con una mazza da baseball. Secondo la ricostruzione effettuata dai poliziotti, a causare l’ira della donna sarebbe stata la chiusura di un cancello per il passaggio pedonale. All’arrivo della polizia, la signora ha continuato a dare in escandescenza, aizzando contro gli agenti il proprio cane, un dogo argentino di grossa taglia.
Simula rapina in casa
ma finisce nei guai
Un giovane di 29 anni della provincia di Reggio Calabria è stato denunciato in stato di libertà dai carabinieri per simulazione di reato e procurato allarme. Schiacciato dai debiti di gioco, infatti, il 29enne aveva cercato di ripianare i debiti inscenando una rapina a mano armata a suo danno, in modo da ottenere il rimborso dall’assicurazione. Secondo la versione fornita ai militari, tre persone a volto coperto lo avrebbero immobilizzato e imbavagliato per poi derubarlo di numerose banconote e monili d’oro per un valore di 50mila euro. Sono bastati due giorni di indagini per smascherarlo.
Incidente domestico:
muore tosando l’erba
Un uomo di 80 anni è morto mentre stava tagliando il prato della sua casa di campagna, dilaniato dalle lame del proprio tosaerba. Il tragico episodio è successo in provincia di Pesaro e Urbino. Dalle ricostruzioni degli inquirenti, l’anziano aveva impostato la retromarcia del macchinario, perdendo l’equilibrio a causa di un sobbalzo e finendo a terra. A quel punto era stato agganciato dalle lame senza riuscire a liberarsi. Straziante la scena che si sono trovati di fronte i soccorritori, che hanno dovuto richiedere l’intervento dei vigili del fuoco per liberare il cadavere dell’anziano.
Stalker del condominio
arrestato dalla polizia
Era diventato l’incubo dei residenti di un condominio di Roma, tormentando soprattutto le famiglie che vivevano negli appartamenti confinanti con il suo. Si tratta di un uomo di 57 anni, arrestato dalla polizia di Stato con l’accusa di attività persecutorie nei confronti degli inquilini del palazzo. Dalle minacce verbali e dalle lettere minatorie era passato alle aggressioni fisiche, brandendo armi contundenti nei confronti dei dirimpettai e finendo per aggredire gli stessi agenti di polizia, intervenuti dopo l’ennesimo episodio.