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Adolescente uccisa dal portoncino condominiale: amministratore innocente

[A cura di: avv. Tania Rizzo – Appc] Con un cambio di rotta di notevole portata, il Tribunale di Torino, sezione prima penale, sentenza di merito del 30.09.2015, ha indicato nuove vie per motivare la decisione assolutoria in capo a due amministratori condominiali, imputati per il reato di omicidio colposo.
Il caso è quello della morte di un’adolescente, colpita da un frammento di vetro di un portoncino condominiale. La Procura di Torino aveva contestato ai due amministratori, quello in carica e il suo predecessore, sia la colpa generica per l’omicidio colposo ma anche la violazione specifica delle norme UNI 7679, perché i due imputati avevano l’obbligo di sostituire il vetro ricotto del portoncino e farne montare uno di sicurezza, e del T.U. in materia di sicurezza del lavoro, perché avevano l’obbligo connesso al contratto di appalto o d’opera o di somministrazione inerente l’attività dei lavoratori che avevano montato quel vetro.
Per quanto concerne il profilo della violazione delle Norme UNI 7679, Il Giudice di merito ha effettuato una disamina delle stesse, giungendo alla conclusione che non hanno natura obbligatoria, essendo non prescrizioni di legge, ma prescrizioni raccomandative senza forza cogente. Inoltre, riferendosi alla Direttiva 2011/95/CE del parlamento Europeo sulla sicurezza dei prodotti destinatati ai consumatori, il Giudice ha affermato che i destinatari sono i produttori e i distributori che fabbricano o commercializzano i prodotti, ma non certamente gli amministratori di condominio, chiamati ad altre posizioni di custodia e garanzia.
Per quanto riguarda, poi, le norme sulla sicurezza del lavoro, il Tribunale di Torino, riferendosi alla sentenza della Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 9616 del 14.09.1995, ha evidenziato che i precetti indicati dal D. Lgs. 81/2008 devono trovare attuazione con riferimento a tutte le attività nelle quali siano addetti lavoratori subordinati o equiparati e, quindi, nel caso del condominio, tali precetti trovano applicazione solo nell’ipotesi in cui il condomino si avvale dell’opera di lavoratori subordinati o equiparati i quali, tuttavia, nel caso di specie, non esistevano.
Infine, in ordine alla previsione di colpa generica, il Tribunale di Torino giunge ad una assoluzione, ritenendo, i due amministratori, tenuti ad una posizione di protezione, diretta a preservare i diritti dei condòmini inerenti le parti comuni e l’integrità dell’edificio condominiale da tutti i pericoli che possono minacciarne l’integrità, e non, invece, tenuti a una posizione di controllo, diretta a neutralizzare le fonti di pericolo in modo da garantire l’integrità di tutti i beni giuridici che possono essere minacciati; quindi, scrive il Giudice di merito sul caso affrontato, i due amministratori non erano sottoposti all’obbligo di sostituire la lastra di vetro cotto che, fatalmente infranta, ha poi determinato la morte della ragazza.
Tale ragionamento giurisprudenziale, segna una novità rispetto la (quasi) costante indicazione della Suprema Corte, per la quale l’amministratore rivesta una posizione di garanzia a cui si applica la regola ex art. 40 c.p., comportante il dovere cautelare permanente di rimuovere ogni pericolo, anche preesistente, per i condomini e per tutti gli altri utenti del condominio e degli spazi adiacenti al fabbricato.
Proprio in tema di lesioni e omicidio colposo (artt. 589 e 590 c.p. ) il Giudice di legittimità, in relazione ai danni provocati a terzi o ai condòmini da violazione degli obblighi di garanzia e protezione, ha delineato, con pronunce successive ed ormai consolidate nel tempo, il contenuto e i limiti dei doveri dell’amministratore di condominio.
Ritiene la Suprema Corte che, ai sensi dell’ art. 40, comma 2, c.p., secondo cui: “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”, gravi sull’amministratore il dovere di attivarsi per evitare danni ai terzi in quei casi tristemente tipici del distacco di cornicioni o intonaco o di “pericolosità” delle scale, degli impianti elettrici come delle cose comuni in genere. L’obbligo di attivarsi in capo all’amministratore, quindi, indicato da tale giurisprudenza di legittimità, può non essere subordinato alla preventiva deliberazione assembleare ma configurarsi anche con semplice segnalazione di pericolo tale da rendere opportuno, se non necessario, un intervento di urgenza, collegandosi all’art. 1130 c.c., che fa riferimento ad altro obbligo dell’amministratore di effettuare le opere di manutenzione straordinaria che rivestano carattere di urgenza, salvo successiva informativa all’assemblea (Cass. 6 settembre 2012 n. 34147; conforme, tra le altre, Cass. Sez VI, n. 46385 del 23.11.2015).
L’intervento urgente dell’amministratore, inoltre, può avere una natura non solo ripristinatoria ma anche natura di “contenimento del pericolo”, attraverso la sua segnalazione con transennamento o speciale illuminazione o anche attraverso la rimozione di elementi immediatamente pericolosi per la salute pubblica, e non può trincerarsi dietro l’immobilismo dei condòmini.
In altro caso, pur datato nel tempo ma antesignano di questo modello decisorio costante nel tempo, un anziano signore aveva subito lesioni cadendo su un tombino condominiale posto all’ingresso di una farmacia ubicata in quello stabile. L’amministratore veniva condannato per il reato di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) e i Giudici di legittimità confermavano la condanna ritenendo che non può mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, gravando l’obbligo ex art. 40 cpv. cod. pen. di attivarsi al fine dl rimuovere la situazione di pericolo anche per l’incolumità del terzi ( Cass. Sez. III n.4676/1975).
Di tutta evidenza, quindi, come l’assoluzione decisa nel merito dal Tribunale di Torino, pure essendo un giudicato non definitivo, tuttavia, sancisca l’abbandono di ogni automatismo fattuale e un maggiore garantismo nella verifica e nell’accertamento giurisprudenziale della reale e concreta condotta dell’amministratore condominiale e del suo rapporto normativo con l’assemblea condominiale, con i singoli condòmini, con eventuali lavoratori subordinati e, infine, con tutti i fruitori delle parti comuni del condominio stesso.

IMMOBILI CEDUTI AI PARENTI: DIMOSTRARE CHE È VENDITA PER EVITARE LE IMPOSTE

[A cura di: Filomena Scarano – Nuovo Fiscooggi, Agenzia delle Entrate]

In materia di trasferimenti immobiliari, la vendita di beni al coniuge o ai parenti, nell’esercizio dell’attività d’impresa, è assoggettabile a Iva solo se è dimostrato il pagamento di un corrispettivo. In caso contrario, opera la presunzione di cui all’articolo 26 del Dpr 131/1986, che legittima l’ufficio dell’Amministrazione finanziaria al recupero dell’imposta suppletiva di donazione, ipotecaria e catastale. Così si è espressa la Corte di cassazione, con la sentenza 6674 del 6 aprile 2016.

Vicenda processuale
Un imprenditore ha alienato, nell’esercizio della propria attività d’impresa, alcuni beni immobili al coniuge e alla figlia, assoggettando le operazioni a Iva. L’ufficio, facendo applicazione del combinato disposto dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 e dell’articolo 1, comma 3, del Dlgs 346/1990, ha riqualificato gli atti come cessione a titolo di liberalità e quindi donazioni (in quanto le imposte di donazione risultavano superiori a quelle di trasferimento a titolo oneroso) e ha proceduto al recupero delle imposte di donazione e ipocatastali. Le contribuenti hanno impugnato gli avvisi di liquidazione davanti alla Commissione tributaria provinciale, unitamente all’avviso di accertamento di valore, con il quale l’ufficio aveva rettificato il valore dei cespiti dichiarato nell’atto dai contraenti. In seguito al decesso dell’imprenditore, le ricorrenti hanno chiesto all’ufficio di escludere dal patrimonio ereditario i beni immobili trasferiti al coniuge e alla figlia, ribadendo la natura onerosa di detti trasferimenti. Sia in primo sia in secondo grado i ricorsi sono stati accolti.

La decisione della Corte
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, lamentando, in sostanza, la non corretta applicazione del citato articolo 26, in merito alla qualificazione degli atti di cessione a titolo oneroso in assenza di prova contraria offerta dai contribuenti. In particolare, secondo quanto sostenuto dalle contribuenti, la presunzione di cui al Dpr 131/1986, articolo 26, non troverebbe applicazione nella fattispecie, in quanto gli atti di cessione in contestazione sono stati effettuati in regime d’impresa e, quindi, assoggettati al regime prevalente ed esclusivo dell’Iva, con la conseguenza che, alla luce del principio dell’alternatività dell’imposta di registro con l’Iva, gli atti sottoposti a quest’imposta non debbono scontare quella proporzionale di registro, il che esclude il ricorso alla presunzione.
La Corte di cassazione non ha condiviso quanto sostenuto dai contribuenti e ha affermato che la compravendita di beni deve di regola essere sottoposta a imposta proporzionale di registro, secondo il valore accertabile ai sensi del Dpr 131/1986, articolo 51, comma 4, mentre l’assoggettabilità a Iva riguarda solo le cessioni di beni o servizi effettuate nell’esercizio di attività imprenditoriale.
Invero, nel caso in esame, la Corte, condividendo la posizione dell’Amministrazione finanziaria, ha statuito che deve applicarsi la presunzione stabilita dal Dpr 131/1986, articolo 26, comma 1, secondo cui, ai fini tributari, “i trasferimenti immobiliari posti in essere tra coniugi o tra parenti in linea retta si presumono donazioni se l’imposta dovuta per il trasferimento risulti inferiore a quella applicabile in caso di trasferimento a titolo gratuito” e tale presunzione può essere vinta solo attraverso la prova contraria, fornita con qualsiasi mezzo dal contribuente.
Nel caso esaminato, la prova contraria, consistente nell’effettivo pagamento del corrispettivo, non risulta essere stata allegata e, per tali motivi, l’atto si presume a titolo gratuito e, quindi, non assoggettabile a Iva, ma a imposta di registro. Secondo la Corte, infatti, la presunzione di cui all’articolo 26 si applica, a prescindere dall’alternatività Iva-Registro, a tutti gli atti che potenzialmente ricadono nel presupposto impositivo dell’imposta di registro, ovvero a tutti i trasferimenti immobiliari tra coniugi o tra parenti in linea retta.
In applicazione della presunzione dell’articolo 26 del Dpr 131/1986 – prosegue la Corte – in presenza di un trasferimento che soddisfi i parametri individuati nella presunzione (ovvero il trasferimento a favore del coniuge o di parenti in linea retta, l’ammontare dell’imposta di registro e di ogni altra tassa dovuta sul trasferimento inferiore all’imposta di donazione), il solo elemento che può vincere la presunzione è la prova contraria. Nel caso di specie, poiché i contribuenti non avevano fornito mai la prova del pagamento, la presunzione non poteva ritenersi vinta.

Osservazioni
La sentenza in commento offre spunti per l’analisi della disciplina dell’articolo 26 del Dpr 131/1986, norma antielusiva che sancisce una presunzione relativa di liberalità, in relazione ai trasferimenti immobiliari tra coniugi e tra parenti in linea retta, se l’ammontare complessivo dell’imposta di registro e di ogni altra imposta dovuta sul trasferimento risulta inferiore alle imposte applicabili per il trasferimento gratuito. Come correttamente operato dall’ufficio in sede di riqualificazione nel caso in esame, la norma va coordinata con le disposizioni introdotte dal Testo unico dell’imposta sulle successioni e donazioni (Dlgs 346/1990) e, innanzitutto, con l’articolo 1, comma 3, ai sensi del quale l’imposta sulle successioni e donazioni si applica anche “nei casi di donazione presunta di cui all’art. 26 del testo unico sull’imposta di registro”.
Con il citato articolo 26, il legislatore presume la simulazione relativa del contratto di trasferimento, ravvisandovi una liberalità ex articolo 809 del codice civile, ovvero una donazione simulata e, ove la presunzione operi, si configura un vero e proprio mutamento della natura giuridica dell’atto e del regime impositivo applicabile.
La presunzione relativa di liberalità ai fini dell’imposta di registro sugli atti di trasferimento tra coniugi o parenti in linea retta è applicabile anche per gli altri tributi, in tutte le controversie la cui soluzione dipende dalla qualificazione dell’atto come a titolo oneroso o a titolo gratuito.
La Corte di cassazione, in altra pronuncia, ha ritenuto che la presunzione in parola potesse essere utilizzata dal contribuente per contestare l’accertamento dell’ufficio finanziario, effettuato ex articolo 38, Dpr 600/1973, con cui si individuava un reddito di capitale conseguente l’acquisto di un immobile il cui dante causa era il genitore (cfr Cassazione, 22218/2008).
Altro aspetto rilevante, affrontato dai giudici di legittimità è quello dell’onere probatorio. La presunzione di liberalità era stata, originariamente, prevista come assoluta, ma la Corte costituzionale, con la sentenza 41/1999, ne ha dichiarato l’incostituzionalità nella parte in cui esclude la prova contraria diretta a superare la presunzione di liberalità. Il giudice delle leggi, infatti, ha stabilito che la norma in oggetto risultava lesiva dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva nella parte in cui non ammetteva la possibilità per il contribuente di dimostrare l’effettività dell’atto di compravendita tra familiari. La incostituzionalità della norma è stata ravvisata nel divieto per le parti di provare l’effettiva natura onerosa del negozio giuridico effettivamente stipulato. In forza della citata sentenza, la presunzione in oggetto è stata riportata nei più corretti limiti di presunzione relativa, come tale suscettibile di prova contraria. Il contribuente pertanto, ha la possibilità di fornire elementi di prova atti a dimostrare l’effettività e la veridicità del trasferimento a titolo oneroso, ad esempio, quando posto in essere tra genitore e figli.

GODIMENTO PARZIALE DELL’IMMOBILE: NON È POSSIBILE L’AUTORIDUZIONE DELL’AFFITTO

[A cura di: avv. Rosalia Del Vecchio – Uppi Castel Maggiore]

Nel caso in esame (Corte Appello Bologna, sent. 17.07.2015, n. 1327/2015) il conduttore chiedeva la riduzione del canone di locazione in conseguenza del mancato godimento dell’immobile locato per il tempo necessario allo svolgimento di alcuni lavori di riparazione resisi necessari a causa della vetustà dell’immobile. Chiedeva inoltre il rimborso delle somme pagate per i lavori che, in quanto straordinari, sarebbero spettati alla proprietà. 

Le domande in questione venivano respinte in primo grado e così sottoposte al vaglio della Corte d’Appello. Anche la Corte d’Appello di Bologna ha respinto le domande svolte dal conduttore argomentando come segue.

La Corte ha affermato l’inammissibilità della domanda di riduzione del canone di locazione per il minore godimento del bene immobile locato in relazione a tutti gli episodi denunciati (lavori di sistemazione del bagno, riparazione della tubatura di conduzione dell’acqua calda) risultando assolutamente indeterminata la richiesta non avendo la appellante neppure specificato la entità (né il riferimento temporale) delle somme di cui pretende la restituzione e, comunque, dovendosi rilevare, in via assorbente (come peraltro già correttamente evidenziato dal primo giudice), la contrarietà a buona fede della pretesa azionata risultando provata e non contestata la unilaterale condotta più volte attuata dalla conduttrice di sospensione dal pagamento dei canoni di locazione.

Al riguardo, è stato richiamato il consolidato indirizzo della Corte di Cassazione secondo cui “il conduttore di un immobile non può astenersi dal versare il canone, ovvero ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, quand’anche tale evento sia ricollegabile a fatto del locatore. La sospensione totale o parziale dell’adempimento dell’obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un’alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti. 

Inoltre, secondo il principio “inadimplenti non est adimplendum”, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede” (Sez. 6-3, Ordinanza n. 13887 del 23/06/2011)”.

Da ultimo, il collegio giudicante ha evidenziato che la domanda di riduzione del canone collegata al disagio (peraltro non provato) dipeso dai lavori di sistemazione del tetto dell’immobile non poteva essere comunque rivolta nei confronti della proprietaria trattandosi di opere deliberate dal condominio nell’interesse di tutti i condòmini.

LE DETRAZIONI FISCALI PER LE RISTRUTTURAZIONI DEGLI IMMOBILI DI INTERESSE STORICO

Le detrazioni fiscali per le ristrutturazioni degli immobili di interesse storico. È un’altra delle materie oggetto della circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale. Di seguito, un quesito e la relativa risposta.

D. Si chiede se la detrazione delle spese per la manutenzione, protezione o restauro dei beni di interesse storico ed artistico prevista dall’art. 15, comma 1, lett. g) del TUIR sia cumulabile con la detrazione di cui all’art. 16-bis del medesimo TUIR. 
R. L’art. 15, comma 1, lett. g) del TUIR prevede la detrazione, di un importo pari al 19 per cento, delle “spese sostenute dai soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro delle cose vincolate ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089 (…) nella misura effettivamente rimasta a carico”. Con la risoluzione n. 10/E del 2009 è stato precisato che il diritto alla detrazione previsto dalla disposizione sopra riportata spetta, in sostanza, ai “soggetti obbligati alla manutenzione, protezione o restauro” dei beni culturali di cui al decreto legislativo n. 42 del 2004 (già beni vincolati ai sensi della legge n. 1089 del 1939). Il riferimento normativo contenuto nell’art. 15 in questione risulta, pertanto, lo stesso previsto dal comma 6 dell’art 16-bis del TUIR secondo cui la detrazione delle spese per interventi di recupero è cumulabile con le agevolazioni già previste per gli immobili oggetto di vincolo ai sensi del D. lgs 22 gennaio 2004, n. 42, ridotte nella misura del 50 per cento. 
Sulla cumulabilità tra le due agevolazioni, l’Amministrazione finanziaria si è già espressa con la circolare n. 57 del 1998, quando le disposizioni agevolative prese in esame erano formulate con gli stessi riferimenti normativi (legge n. 1089 del 1939). In particolare, l’art. 1 della legge n. 449 del 1997 (istitutiva della detrazione in materia di interventi di recupero edilizio) stabiliva che “Gli effetti derivanti dalle disposizioni di cui al presente comma sono cumulabili con le agevolazioni già previste sugli immobili oggetto di vincolo ai sensi della legge 1 giugno 1939, n. 1089, e successive modificazioni, ridotte nella misura del 50 per cento” .
Invero con il documento di prassi sopra richiamato è stato chiarito che le altre agevolazioni cumulabili cui applicare la riduzione del 50 per cento sono contenute nell’art. 13-bis, comma 1, lett. g) del TUIR (corrispondente, nell’attuale numerazione del TUIR, all’art. 15, comma 1, lett. g).) 

QUEL PASTICCIO DELLA PROROGA DEL CONTRATTO D’AFFITTO A CANONE AGEVOLATO

[A cura di: avv. Manuela Marinelli – pres. prov. Uppi Trieste] 

L’Agenzia delle Entrate di Trieste mi ha recentemente riferito di non accettare le proroghe di ulteriori 3 anni, dopo il primo quinquennio, con riferimento ai contratti di locazione della durata di anni 3+2 (Legge 431/1998 art. 2, co. 3), ritenendo che dopo la prima proroga biennale, le successive proroghe non possono che essere biennali. Dal mio personale punto di vista, tale interpretazione non è corretta, sostenendo – per le ragioni che seguono – che le proroghe successive a quella biennale devono necessariamente essere triennali. La mia convinzione è basata sugli studi di insigni giuristi i quali, successivamente all’entrata in vigore della citata legge, hanno affrontato la problematica relativa alla durata della proroga del contratto di locazione stipulato ai sensi dell’art. 2, co. 3 della Legge 431/1998, dopo lo spirare dei primi cinque anni.
Il comma 5 della medesima disposizione, stabilisce che: “I contratti di locazione stipulati ai sensi del comma 3 non possono avere durata inferiore ai tre anni, ad eccezione di quelli di cui all’art. 5. Alla prima scadenza del contratto, ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo, il contratto è prorogato di diritto per due anni fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’art. 3, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo art. 3. Alla scadenza del periodo di proroga biennale ciascuna delle parti ha diritto di attivare la procedura per il rinnovo a nuove condizioni o per la rinuncia al rinnovo del contratto comunicando la propria intenzione con lettera raccomandata da inviare all’altra parte almeno sei mesi prima della scadenza. In mancanza della comunicazione il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.

Pertanto, la norma prevede:
* una prima scadenza dopo il primo triennio, allorché il locatore può intimare disdetta motivata;
* una seconda scadenza dopo il biennio, ovvero la c.d. “proroga di diritto”, in occasione della quale entrambe le parti posso inviare disdetta pura e semplice;
* l’eventuale mancanza di disdetta alla fine dell’intero periodo quinquennale, nel quale caso “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”.
La domanda è dunque la seguente: qual è la durata ordinaria del contratto? Triennale o quinquennale? Naturalmente in dottrina vi sono state delle difformità di opinioni. Tuttavia, la tesi maggioritaria parte dal presupposto che il contratto di locazione a canone concordato ha durata triennale. In occasione della prima scadenza, le parti possono concordare sul rinnovo del contratto; infatti il 5° comma dell’art. 2 Legge 431/1998 espressamente pone la formula “ove le parti non concordino sul rinnovo del medesimo”. Le parti possono quindi concordare per la prosecuzione della locazione o anche per la stipula di un nuovo contratto, magari anche di tipologia diversa (ad es. anni 4+4). Solo se alla prima scadenza triennale nessuna delle parti intima disdetta o se le stesse non concordano sul rinnovo, il contratto è “prorogato di diritto per due anni”. Alla scadenza del biennio di proroga, le parti possono intimare disdetta pura e semplice. In mancanza di disdetta, “il contratto è rinnovato tacitamente alle medesime condizioni”; per cui, secondo la dottrina dominante, cui mi sento di aderire, il rinnovo può essere esclusivamente per un triennio, ovvero per quello che è l’arco temporale di normale durata del contratto. Alla scadenza di questo triennio e in mancanza di disdetta da una delle parti, il contratto si rinnova per un ulteriore triennio e così avanti di triennio in triennio. In sostanza, la mancanza della disdetta determina la prosecuzione, cioè la proroga, del contratto originario. 

Si giunge così alla conclusione che la durata del contratto 3+2 è triennale e non quinquennale. La proroga biennale deve considerarsi di carattere eccezionale e vale soltanto per la prima durata contrattuale, ovvero dopo il primo triennio. 
Tuttavia, sembra che tale interpretazione non sia stata recepita da tutti gli uffici dell’Agenzia delle Entrate; l’autonomia svolta in sede locale risulta infatti dal sottostante elenco, frutto di un’indagine svolta in diverse città italiane. Tale diversità di interpretazione crea incertezza e difficoltà nei cittadini – locatori, i quali, al contrario, hanno necessità di chiarezza. Segue l’elenco delle città presso le cui Agenzie delle Entrate le sedi Uppi hanno svolto indagini e le conseguenti applicazioni del criterio di proroga contrattale, dopo il primo quinquennio. 
ASCOLI PICENO: pur non entrando nel merito della durata del rinnovo, applicano la proroga triennale dopo il biennio;
AVEZZANO: proroga di 3+2+3+2 e così via
BOLOGNA: proroga triennale dopo il biennio.
CAGLIARI: proroga biennale, considerando eccezionale la durata iniziale di 3 anni;
CREMONA: proroga triennale dopo il biennio;
FIRENZE: proroga triennale dopo il biennio;
GENOVA: proroga triennale dopo il biennio;
GORIZIA: proroga di 3+2+3+2 e così via;
GROSSETO: proroga triennale dopo il biennio;
ORISTANO: (vedi Cagliari);
MANTOVA: proroga triennale dopo il biennio;
MASSA CARRARA: proroga triennale dopo il biennio;
MESSINA: proroga triennale dopo il biennio, avendo inserito apposita clausola nel contratto di locazione;
PISTOIA: proroga biennale: 3+2+2+2 e così via;
RAVENNA: proroga triennale dopo il biennio;
REGGIO CALABRIA: proroga di 3+2+3+2 e così via. Tuttavia l’Agenzia delle Entrate non ha mai contestato chi ha applicato solamente la proroga biennale (3+2+2+2) o quella triennale (3+2+3+3), purché nei vari modelli (Mod. 69 prima e RLI adesso) sia stata indicata la durata di proroga stessa, biennale o triennale che sia;
SAVONA: proroga biennale dopo il quinquennio; tuttavia la proroga triennale indicata nelle registrazioni telematiche non è contestata;
SPEZIA: proroga triennale dopo il biennio;
SPOLETO: proroga triennale dopo il biennio;
TORINO: proroga di 3+2+3+2 e così via;
TRIESTE: proroga biennale dopo il primo quinquennio;
UDINE: proroga triennale dopo il biennio;
VENEZIA1 e 2: proroga di 3+2+3+2 e così via;
VICENZA: proroga biennale dopo il primo quinquennio.
Sebbene, dunque, prevalga l’applicazione della proroga triennale allo spirare del primo quinquennio, salta evidente agli occhi la disomogeneità del trattamento all’interno dei diversi uffici dell’Agenzia delle Entrate, per cui urge attivarsi affinché l’Agenzia giunga prontamente a una unitaria applicazione e interpretazione della legge. È però anche doveroso riflettere sul comportamento tenuto da questi Uffici, i quali hanno il compito di registrare i contratti e incassare le imposte di registro e non quello di interpretare le norme; compito, detto ultimo, che spetta semmai alla magistratura. Tanto più se le interpretazioni sono svariate e, anziché aiutare il cittadino/contribuente a districarsi nella complessità delle leggi, creano in lui soltanto confusione e paura di sbagliare.

LOCAZIONE, DURATA CONTRATTO E DEDUZIONE DEL PREZZO D’ACQUISTO DELLA CASA

Immobile acquistato per concederlo in locazione: la durata minima del contratto affinché si possa accedere alle deduzioni previste sul prezzo dell’appartamento. È uno dei temi affrontati dalla circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale.


D. Si chiede di sapere se, per un contratto di locazione a canone concordato, di durata “anni sei più due”, un soggetto possa fruire, per l’anno 2015, della deduzione dal reddito complessivo del 20 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile, ai sensi dell’art. 21 del decreto legge n. 133 del 2014 (decreto sblocca Italia), posto che tale norma prevede, tra le condizioni per l’applicazione dell’agevolazione, la locazione “per almeno otto anni” con carattere continuativo. 
R. La deduzione pari al 20 per cento del prezzo di acquisto delle unità immobiliari residenziali, destinate alla locazione è subordinata, tra l’altro alla durata del contratto. In particolare il comma 4 dell’ articolo 21, del DL 133 del 2014, alla lettera a), prevede che “l’unità immobiliare acquistata sia destinata, entro sei mesi dall’acquisto o dal termine dei lavori di costruzione, alla locazione per almeno otto anni e purché tale periodo abbia carattere continuativo. Il diritto alla deduzione, tuttavia, non viene meno se, per motivi non imputabili al locatore, il contratto di locazione si risolve prima del decorso del suddetto periodo e ne viene stipulato un altro entro un anno dalla risoluzione”. 
Il decreto attuativo 8 settembre 2015 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, all’art.4, comma 1, lett. a) conferma che la deduzione è subordinata, tra l’altro, alla condizione che “l’unità immobiliare … sia destinata … alla locazione per almeno otto anni e purché tale periodo abbia carattere continuativo”. 
Nel caso in esame, è stato stipulato un contratto di locazione a canone concordato, ai sensi dell’art. 2, comma 3, della legge 9 dicembre 1998 n. 431, la cui durata è stabilita in anni “sei più due” ai sensi di quanto previsto dal comma 5 del medesimo articolo 2, che consente “alla prima scadenza” di prorogare il contratto “di diritto”, ove entrambe le parti non concordino sul rinnovo del contratto medesimo e fatta salva la facoltà di disdetta da parte del locatore che intenda adibire l’immobile agli usi o effettuare sullo stesso le opere di cui all’art. 3 della citata legge n. 431 del 1998, ovvero vendere l’immobile alle condizioni e con le modalità di cui al medesimo articolo 3. 
Si ritiene, quindi, nel presupposto che sussistano le altre condizioni previste dalla legge, che possa considerarsi rispettato il requisito della durata minima del contratto di locazione pari ad anni otto, non solo nell’ipotesi in cui il contratto abbia tale periodo di efficacia per esplicito accordo delle parti, ma anche nel caso in cui sia la legge a prevedere una proroga di diritto almeno fino a otto anni. Una diversa conclusione che tenesse conto solo della durata iniziale del contratto e non anche del periodo di proroga previsto non troverebbe riscontro né nel decreto, né nelle relative norme di attuazione. 
Rimane ferma la decadenza dal beneficio in caso di interruzione anticipata del periodo di locazione per motivi imputabili al locatore o nel caso in cui il contratto si risolva su richiesta del conduttore e l’unità immobiliare risulti non locata per un periodo superiore ad un anno (cfr. art. 21, comma 4, lett. a), del decreto, e art. 2, comma 6, del decreto attuativo).

L’APPROPRIAZIONE INDEBITA DA PARTE DELL’AMMINISTRATORE CONDOMINIALE

[A cura di: avv. Rosamaria Rizzato – Appc]

L’importanza del ruolo e i numerosi e complessi compiti che l’amministratore si trova oggi ad adempiere, ai sensi della L. 220/2012 di riforma del condominio, lo espongono al rischio di incorrere in errori, comportamenti omissivi o volontari dai quali possono scaturire responsabilità di tipo civile e penale.
È bene precisare che questi due profili di responsabilità, non si sovrappongono ma si intersecano, in quanto, in parte anche la responsabilità penale trova fondamento e ragione legittimante nei doveri e poteri che la legge civile assegna all’amministratore e che questi assume con l’accettazione dell’incarico.
Quindi, accanto alla responsabilità civilistica contrattuale che trova fondamento nel rapporto di mandato (art. 1710 c.c. e ss.) e alla responsabilità extracontrattuale da atto illecito (art. 2043 c.c. e ss.), assume rilevanza anche la responsabilità penale per le azioni o le omissioni poste in essere dall’amministratore del condominio.
Tra i reati di maggiore rilievo che possono vedere responsabile l’amministratore di condominio sono da annoverare quelli in cui egli lede il bene del patrimonio dei singoli condòmini ovvero del condominio stesso. In tali ipotesi, il comportamento dell’amministratore può integrare la fattispecie di appropriazione indebita.

APPROPRIAZIONE INDEBITA
L’appropriazione indebita rappresenta una classica ipotesi di reato commesso da chi gestisce o amministra beni altrui. Essa, infatti, ai sensi dell’art. 646 del codice penale, è configurabile quando un soggetto “per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropria del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso”. Il possesso, nell’accezione penalistica, è un potere di fatto sulla cosa esercitato fuori della sfera di vigilanza diretta di chi abbia sulla cosa stessa un potere maggiore (es. proprietà). Dalla nozione di possesso si distingue quella di detenzione, la quale viene a restringersi ai soli casi di potere di fatto esercitato sotto la sfera giuridica di sorveglianza di chi abbia su di essa potere maggiore (si pensi al portabagagli che trasporta le valigie accanto al proprietario). L’elemento psicologico del reato di appropriazione indebita è il dolo specifico: l’art. 646 c.p. richiede non soltanto coscienza e volontà di appropriarsi della cosa mobile altrui (cioè di iniziare a tenerla come se ne fosse il reale proprietario), ma anche il fine specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
Nel corso degli anni si erano registrati frequenti casi di utilizzo da parte degli amministratori, soprattutto non professionisti, del denaro dei condòmini in modo improprio (per prassi determinata anche dalla mancanza di precise disposizioni di legge sul punto): gli oneri condominiali incassati venivano fatti confluire dall’amministratore su propri conti correnti o in depositi bancari comuni ai diversi condomini amministrati, determinando una sostanziale confusione di patrimoni e l’automatica incoerenza del saldo contabile col saldo di cassa.

GIURISPRUDENZA
A questa deficienza normativa aveva cercato di supplire la giurisprudenza, che in numerose pronunce aveva enucleato una serie di principi ai quali l’amministratore doveva attenersi per una corretta gestione delle casse condominiali, stabilendo ad esempio:
* “L’amministratore è obbligato a far affluire i versamenti delle quote condominiali su un apposito e separato conto corrente intestato a ciascun condominio da lui amministrato, onde evitare che possa sorgere confusione tra il suo patrimonio personale e quelli dei diversi condomini che gestisce, nonché tra questi ultimi” (Trib. Salerno, 3 maggio 2011; Trib. Torino, 3 maggio 2000);
* “Il singolo condomino ha un vero e proprio diritto soggettivo a vedere versate le sue quote, sia per sopperire alle spese che per gli eventuali fondi, su un conto corrente intestato al condominio e non personalmente all’amministratore, ed a conoscere l’entità degli interessi che maturino a suo favore” (Trib. Milano, 9 settembre 1991);
* “La mancata adozione da parte dell’amministratore di condominio di un conto corrente apposito per la gestione condominiale costituisce perciò da sola una irregolarità di tale gravità da comportare la revoca del mandato” (Trib. Roma, 24 agosto 2009; Trib. Torino, 3 maggio 2000; Trib. Milano, 29 settembre 1993); 
* “È illegittima la deliberazione dell’assemblea di condominio che preveda di far affluire i versamenti delle quote condominiali sul conto corrente personale dell’amministratore, in quanto ciò integra lesione del diritto di ciascun condominio alla perfetta trasparenza, chiarezza e facile comprensibilità della gestione condominiale, limite inderogabile alle scelte discrezionali e gestionali degli organi di amministrazione e governo del condominio” (Trib. Genova, 16 sett.
1993).

LA RIFORMA DEL CONDOMINIO
Con la legge n. 220 del 2012, il legislatore ha recepito le indicazioni giurisprudenziali, prevedendo espressamente al comma 7 del nuovo art. 1129 c.c. che “L’amministratore è obbligato a far transitare le somme ricevute a qualunque titolo dai condòmini o da terzi, nonché quelle a qualsiasi titolo erogate per conto del condominio, su uno specifico conto corrente, postale o bancario, intestato al condominio; ciascun condomino, per il tramite dell’amministratore, può chiedere di prendere visione ed estrarre copia, a proprie spese, della rendicontazione periodica”; e al successivo comma 8 che “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condòmini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”, e aggiungendo al comma 12, n. 3 come ipotesi tipica di “grave irregolarità” legittimante la revoca dell’amministratore, appunto, “3) la mancata apertura ed utilizzazione del conto di cui al settimo comma”.
Queste nuove disposizioni rendono indubbiamente più difficile la possibilità pratica che l’amministratore si appropri di denaro appartenente ai condòmini o al condominio o destini tale denaro ad altri scopi.
Resta fermo che risponderà di tale reato l’amministratore di condominio, tenuto ai sensi dell’art. 1130 n.4 c.c. a riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni dell’edificio e per l’esercizio dei servizi comuni, nel caso in cui si verifichi un ammanco di cassa o nel caso in cui le risorse patrimoniali non vengano utilizzate per le finalità tipiche della realtà organizzativa condominiale. Ciò avviene nel caso di mancato versamento degli oneri contributivi condominiali quando essi vengano utilizzati, attraverso l’appropriazione, per finalità estranee alla gestione ed amministrazione della cosa comune.

IL DANNO PATRIMONIALE
Nel caso in cui l’amministratore, nel compiere il delitto di appropriazione indebita, cagioni un grave danno economico al condominio, ricorre anche l’aggravante del “danno patrimoniale di particolare gravità” sancita dal n. 7 dell’art. 61 c.p. (Trib. Roma, 4 giugno 2004, n. 12910); mentre, qualora l’amministratore sottragga periodicamente delle somme dai conti del condominio per scopi personali e non giustificati dalle esigenze gestionali dell’ente il reato si configurerà anche la “continuazione” ai sensi dell’art. 81 c.p., e ad avviso della Suprema Corte “in caso di reato continuato, valendo, in mancanza di tassative esclusioni, il principio della unitarietà, la valutazione in ordine alla sussistenza o meno dell’aggravante del danno di rilevante gravità deve essere operata con riferimento non al danno cagionato da ogni singola violazione, ma a quello complessivo cagionato dalla somma delle violazioni, difettando una norma che, ai fini in questione, consideri il reato come una pluralità di episodi tra loro isolati” (Cass. pen., 8 luglio 2005, n. 33951; Cass. pen., 30 aprile 2004, n. 39651). Quanto al trattamento sanzionatorio, la pena prevista dall’art. 646 c.p. è la reclusione fino a tre anni e la multa fino a euro 1.032.

IL D. LGS 28/2015
Infine, è doveroso precisare che il reato di appropriazione indebita rientra nel novero delle fattispecie sulle quali incide il decreto legislativo n. 28/2015, recante “Disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto”, in vigore dal 02.04.2015, che ha introdotto l’art. 131 bis c.p., rubricato “esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto”, prevedendo “nei reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale”, con la conseguenza che, ove ricorrano detti presupposti, il procedimento penale potrebbe essere archiviato al termine delle indagini preliminari su richiesta del pubblico ministero ovvero successivamente concludersi con sentenza di proscioglimento.

DOCUMENTAZIONE CONTABILE
La fattispecie di appropriazione indebita può assumere rilevanza non solo con l’appropriazione di somme di denaro ma anche con riferimento alla violazione dell’obbligo di consegna o restituzione della documentazione contabile.
L’art. 1129 c.c., nella nuova formulazione, stabilisce al comma 8 che “alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condòmini”. Ne consegue che commetterà il reato di appropriazione indebita l’amministratore che rifiuti o ritardi la consegna della documentazione allorquando tale condotta sia finalizzata al conseguimento di un profitto ingiusto.
Nella recente sentenza n. 29541 del 10 luglio 2013, la Corte di Cassazione ha ritenuto colpevole di appropriazione indebita un amministratore di condominio, che, essendo stato revocato dall’assemblea, e dunque nella consapevolezza di non avere più alcun titolo per continuare ad avere il possesso della documentazione contabile condominiale, continuava a trattenere e volontariamente negava la restituzione della predetta documentazione anche dopo la notifica di un atto di precetto contenente l’intimazione di eseguire un ordine di consegna della detta documentazione, determinandosi così l’interversione del possesso. 
Infatti, il momento consumativo del reato di cui all’art. 646 c.p., ad avviso della Corte, non equivale necessariamente a quello della scadenza del termine stabilito per la restituzione, atteso che la mancata restituzione colposa non integra gli estremi del reato. La consumazione del reato sussiste invece – come nel caso di specie – al momento del rifiuto ingiustificato della restituzione della cosa dopo la scadenza del termine che ne legittima il possesso: tale condotta rende manifesta l’esistenza sia dell’elemento oggettivo, per il venir meno della legittimità del possesso, sia di quello soggettivo, evidenziando la volontà del possessore di invertire il titolo del possesso per trarre dalla cosa un ingiusto profitto. È in tale momento che il reato deve ritenersi integrato in tutti i suoi elementi.
In altra recentissima sentenza della Corte di Cassazione (la n. 31192 del 16.07.2014), l’amministratore di un condominio, che a incarico finito, e nonostante l’ordine in tal senso del Tribunale, non aveva consegnato al nuovo amministratore i conti e le carte condominiali è stato condannato per appropriazione indebita e per il reato di mancata esecuzione di un provvedimento giurisdizionale (art. 388 co. 2 cod. pen.). Infatti, nell’ipotesi in cui alla mancata restituzione dei documenti segua (insieme o in alternativa ad una denuncia per appropriazione indebita) un ricorso al Giudice Civile in via d’urgenza per ottenere un provvedimento che imponga al precedente amministratore la riconsegna dei documenti in suo possesso, la disubbidienza a tale provvedimento costituirà un reato autonomo che si aggiungerà a quello già commesso di appropriazione indebita.

LO SCADENZIARIO FISCALE DELL’AMMINISTRATORE E DEL CONDOMINO

[A cura di: Andrea Cartosio – tributarista INT]

Al fine di aiutare il lettore – sia esso condomino o amministratore di condominio titolare di partita Iva – a districarsi tra le svariate e innumerevoli scadenze relative agli aspetti fiscali e tributari, ho provveduto a redigere un prospetto fiscale: un calendario che, inevitabilmente, ha titolo puramente informativo e che potrà subire variazioni secondo quanto previsto dagli organi competenti in materia. Di seguito, comunque, le scadenze salienti in base a quanto attualmente previsto dalla disciplina di settore:

11 APRILE 2016
Amministratore
Spesometro:
* scadenza per l’invio telematico relativo alle operazioni effettuate nel 2015 soggetti mensili.

15 APRILE 2016
Contribuente
Pubblicazione dati da parte dell’Agenzia delle Entrate relative al modello 730/2016

18 APRILE 2016
Amministratore
Inps:
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef:
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.

20 APRILE 2016
Amministratore
Spesometro:
* scadenza per l’invio telematico relativo alle operazioni effettuate nel 2015 per i contribuenti trimestrali.

2 MAGGIO 2016
Contribuente
Imposta di registro:
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati a far data dal 01-04-2016, non in regime di “cedolare secca”.

16 MAGGIO 2016
Amministratore:
Inps:
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef:
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente;
* liquidazione Iva del trimestre precedente;

30 MAGGIO 2016
Contribuente
Imposta di registro:
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º maggio 2016, non in regime di “cedolare secca”;

16 GIUGNO 2016
Amministratore
Inps:
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef:
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente.

Contribuente
Tributi locali:
* versamento dell’acconto Imu e Tasi 2016, tramite il mod. F24 o il bollettino postale;

30 GIUGNO 2016
Contribuente
Imposta di registro:
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º giugno 2016, non in regime di “cedolare secca”;

7 LUGLIO 2016
Amministratore, Contribuente
* invio telematico intermediari abilitati modello 730-2016, redditi 2015, all’Agenzia delle Entrate, tramite il servizio Entratel;
* versamento saldo 2015 e 1° acconto 2016, imposte dirette: cedolare secca, Irpef, Ires, Irap, * versamento saldo Iva 2015, da modello Unico, Diritto Camerale 2016 e del Contributo Inps, sia per la quota a % eccedente il minimale che per la gestione previdenziale separata, saldo 2015 e 1° acconto 2016, maggiorazione dello 0,40%, tramite il mod. F24.

16 LUGLIO 2016
Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva: 
* liquidazione IVA del mese precedente.

30 LUGLIO 2016
Contribuente
Imposta di registro
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º luglio 2016, non in regime di “cedolare secca”.

31 LUGLIO 2016
Amministratore
* invio telematico, intermediari abilitati, dei modelli 770-2016 Ordinario e Semplificato, redditi 2015, all’Agenzia delle Entrate, tramite il servizio Entratel;

20 AGOSTO 2016
Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente;
* liquidazione IVA del trimestre precedente.

30 AGOSTO 2016
Contribuente
Imposta di Registro
* ersamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º agosto 2016, non in regime di “cedolare secca”.

16 SETTEMBRE 2016
Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente.

30 SETTEMBRE 2016
Amministratore, Contribuente
* versamento, per i titolari di partita Iva, dell’eventuale adeguamento ai Parametri Fiscali sul modello Unico-2016, redditi 2015;
* invio telematico, intermediari abilitati, del modello Unico-2016, redditi 2015, delle sole persone fisiche non titolari di partiva Iva, all’Agenzia delle Entrate,
Contribuente
Imposta di registro
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º settembre 2016, non in regime di “cedolare secca”.

16 OTTOBRE 2016
Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente.

30 OTTOBRE 2016
Contribuente
Contribuente
Imposta di registro
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º ottobre 2016, non in regime di “cedolare secca”.

16 NOVEMBRE 2016
Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione IVA del mese precedente.
* liquidazione IVA del trimestre precedente.

30 NOVEMBRE 2016
Amministratore
* versamento del 2° acconto 2016, imposte dirette: cedolare secca, Irpef, Ires, Irap e del contributo Inps, sia per la quota a % eccedente il minimale che per la gestione previdenziale separata, tramite il mod. F24;

Contribuente
Imposta di registro:
* versamento dell’imposta di registro sui contratti di locazione nuovi o rinnovati con decorrenza 1º novembre 2016, non in regime di “cedolare secca”.

16 DICEMBRE 2016
Contribuente
* versamento del saldo Imu e Tasi 2016, tramite il mod. F24

Amministratore
Inps: 
* versamento alla Gestione Separata della contribuzione corrisposta sui compensi erogati nel mese precedente ai collaboratori coordinati e continuativi;
* versamento dei contributi Inps in riferimento alle retribuzioni dei dipendenti corrisposte nel mese precedente.
Irpef: 
* versamento delle addizionali regionali e comunali relative al mese precedente ritenute alla fonte su redditi lavoro dipendente e assimilati;
* versamento delle ritenute su redditi di lavoro dipendente e assimilati, su provvigioni e di lavoro autonomo a professionisti.
Iva:
* liquidazione Iva del mese precedente.

27 DICEMBRE 2016
Amministratore
* versamento dell’acconto Iva per il 2016, in aggiunta ai versamenti Iva mensili o trimestrali, scadenti il giorno 16 del mese successivo al mese di riferimento o del secondo mese successivo al trimestre di riferimento.

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Spaccio nell’androne:

in manette un 45enne

È stato colto in flagranza di reato l’uomo di 45 anni che spacciava droga nell’androne di un condominio del cagliaritano. I militari dell’Arma avevano notato il continuo viavai di persone, soprattutto giovani, nei pressi della palazzina e, dopo aver fermato un acquirente, sono entrati in azione cogliendo il 45enne nel pieno delle sue attività illecite. L’uomo aveva con sé circa 40 grammi di marijuana e hashish, oltre a una dose di cocaina.

Rissa in condominio

finisce a coltellate

È stato arrestato per tentato omicidio e denunciato per lesioni gravi l’uomo di 61 anni, protagonista assieme alla vittima, di una furibonda lite condominiale avvenuta a Roma. I due avevano cominciato ad affrontarsi a calci e pugni durante l’assemblea di condominio, per poi finire entrambi in ospedale, ciascuno per conto proprio. Quando però si sono incrociati nei corridoi del nosocomio, il 61enne ha estratto dalla tasca un coltello a serramanico e si è scagliato contro il vicino di casa, ferendolo. Avvertiti dal personale, sono intervenuti i carabinieri che hanno fermato l’aggressore.

Rapinatori violenti

bloccati dal vicinato

Ancora un episodio di aggressione in abitazione, questa volta in provincia di Foggia. Il padrone di casa, un 51enne che si trovava fuori casa al momento dell’effrazione, era rientrato a seguito dell’allarme lanciato dai vicini, insospettiti da strani movimenti provenienti dal suo appartamento. Una volta sul posto, però, si era trovato di fronte ai due ladri, intenti a rovistare nell’appartamento. I malviventi, colti sul fatto, avevano tentato di scappare facendosi strada a suon di calci e pugni. Se non fosse che, ad attenderli fuori, c’era l’intero vicinato e i carabinieri, arrivati nel frattempo.

Incendio in villa:

salvi tutti meno il cane

Potrebbe essere stata una stufa a legna posta al pianterreno la causa del rogo che ha completamente distrutto una casa in provincia di Sondrio. Quando gli occupanti si sono resi conto dell’incendio non hanno potuto fare altro che fuggire e chiamare i vigili del fuoco. A subire danni, soprattutto la mansarda, anche se, per precauzione e per consentire le necessarie verifiche, tutti gli abitanti sono stati fatti evacuare. L’unica vittima del disastro, si è appreso una volta domate le fiamme, è stata il cagnolino di famiglia, ritrovato senza vita in cucina.

Giovane si suicida

con un braciere

È morto per effetto delle esalazioni da monossido di carbonio l’uomo di 34 anni ritrovato privo di vita dai vigili del fuoco, nella sua casa in provincia di Belluno. Con ogni probabilità, però, non si è trattato di un incidente, ma di un gesto estremo, studiato nei minimi dettagli. Quando i soccorritori sono giunti sul posto, infatti, hanno trovato un biglietto sulla porta d’ingresso che li metteva in guardia sulla possibile presenza di gas all’interno dell’abitazione. Il giovane aveva sigillato le fessure della stanza e acceso un braciere dal quale si era poi sviluppato il monossido di carbonio. 

MA LA SOSTITUZIONE DEI SANITARI BENEFICIA DELLA DETRAZIONE FISCALE?

La sostituzione dei sanitari può beneficiare del bonus ristrutturazioni? È una delle domande cui risponde la circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale.

Sostituzione dei sanitari

e detrazione delle spese 

D. Si chiede se è possibile fruire della detrazione, ai sensi dell’art. 16-bis del TUIR, per la sostituzione dei sanitari ed in particolare per la sostituzione della vasca con altra vasca con sportello apribile o con box doccia, considerando gli interventi come eliminazione delle barriere architettoniche, così come affermano i media e le imprese esecutrici dei lavori. 

R. Ai sensi dell’art. 16-bis, comma 1, lett. b) ed e) del TUIR è possibile fruire della detrazione Irpef del 36 per cento (attualmente 50 per cento) per le spese sostenute, tra l’altro, per gli interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo, ristrutturazione edilizia di cui, rispettivamente, alle lett. b), c) e d) dell’art. 3 del DPR n. 380 del 2001, eseguiti su singole unità immobiliari residenziali nonché per le spese sostenute per gli interventi “finalizzati all’eliminazione delle barriere architettoniche …” eseguiti anche su parti comuni. 

Il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti interpellato in proposito dalla scrivente ha precisato che l’intervento di sostituzione della vasca da bagno con altra vasca con sportello apribile o con box doccia, ancorché non assicuri una accessibilità nell’accezione più completa così come stabilito dal DM n. 236 del 1989, può ritenersi comunque finalizzato all’eliminazione delle barriere architettoniche, in quanto in grado di ridurre in parte gli “ostacoli fisici fonti di disagio per la mobilità di chiunque” e di migliorare “la sicura utilizzazione delle attrezzature”. 

In merito al corretto inquadramento edilizio degli interventi in argomento, il Ministero ha precisato che gli stessi “si qualificano come interventi di manutenzione ordinaria in quanto interventi edilizi che riguardano le opere di riparazione, rinnovamento, e sostituzione delle finiture degli edifici come stabilito dall’art. 3 del DPR n. 380/2001. In base alle indicazioni fornite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, la scrivente ritiene che gli interventi in esame non siano agevolabili ai sensi dell’art. 16-bis del TUIR, in quanto inquadrati tra gli interventi di manutenzione ordinaria. 

Si ritiene, inoltre che, l’intervento di sostituzione della vasca da bagno con altra vasca con sportello apribile o con box doccia non sia agevolabile neanche come intervento diretto alla eliminazione delle barriere architettoniche, anche se in grado di ridurre, almeno in parte, gli ostacoli fisici fonti di disagio per la mobilità di chiunque e di migliorare la sicura utilizzazione delle attrezzature sanitarie. Nella risposta fornita dall’Amministrazione interpellata non è, infatti, specificato che tale intervento presenti le caratteristiche tecniche di cui al DM 236 del 1989 e ciò determina, secondo quanto chiarito con le circolari n. 57 del 1998 e 13/E del 2001, che le relative spese non sono detraibili ai sensi dell’art. 16-bis del TUIR. Sulla base delle circolari richiamate, infatti, gli interventi che non presentano le caratteristiche tecniche previste dalla legge relativa all’abbattimento delle barriere architettoniche (cfr. legge n. 13 del 1989, disposizioni per favorire il superamento e l’eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, e DM n. 236 del 1989) non possono essere qualificati come tali e, pertanto, non sono agevolabili. 

Resta fermo che la sostituzione della vasca, e dei sanitari in generale, può considerarsi agevolabile se detta sostituzione, singolarmente non agevolabile, sia integrata o correlata ad interventi maggiori per i quali compete la detrazione d’imposta in forza del carattere assorbente della categoria di intervento “superiore” rispetto a quella “inferiore” (cfr. circolare n. 57 del 1998), come nel caso, ad esempio, del rifacimento integrale degli impianti idraulici del bagno, con innovazione dei materiali, che comporti anche la sostituzione dei sanitari.