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IMMOBILI ACQUISTATI PER LA LOCAZIONE: COME DEDURRE GLI INTERESSI SUL MUTUO

Come dedurre gli interessi sui mutui per l’acquisto di immobili finalizzati alla successiva locazione? Lo spiega la circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale.

D. Per riconoscere la deduzione del 20 per cento degli interessi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto degli immobili destinati alla locazione di cui all’art. 21 del D.L. n. 133/2014, si chiede quale documentazione deve fornire il contribuente posto che le istruzioni al modello 730/2015, così come modificate con Provvedimento del 20 marzo 2015, prevedono che gli interessi deducibili siano quelli maturati nell’anno. La nozione di “maturati” e non di “pagati”, farebbe presupporre che il documento su cui apporre il visto di conformità sia il piano di ammortamento rilasciato dalla Banca dal quale siano rilevabili gli interessi maturati nell’anno d’imposta, indipendentemente da quando il contribuente li ha pagati. 
R. L’art. 21, comma 1, del decreto legge n. 133 del 2014 prevede la deducibilità degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto delle unità immobiliari da destinare alla locazione. Al riguardo, si fa presente che le istruzioni al modello UNICO PF 2015, come modificate con Provvedimento del 13 aprile 2015, richiedono al rigo RP 32, colonna 3 (Interessi passivi sui mutui), di indicare “l’importo degli interessi passivi pagati nell’anno e dipendenti dai mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare oggetto dell’agevolazione”. Parimenti, le istruzioni al modello 730/2016, rigo E32, colonna 3, nonché quelle al modello UNICO PF 2016, rigo RP 32, colonna 3, richiedono, ai fini della deducibilità degli interessi, l’indicazione degli interessi pagati. 
Tale indicazione allinea le modalità di calcolo dell’importo degli interessi passivi deducibili per l’acquisto dell’immobile da destinare alla locazione a quelli pagati per l’acquisto di abitazione da destinare ad abitazione principale (cfr. istruzioni alla compilazione del rigo RP7, del modello UNICO PF 2015 e del modello 730/2015) ed è coerente con il principio per cui l’onere rileva nel periodo di imposta in cui è stata sostenuta la spesa. Ai fini del riscontro della effettività della spesa rilevano, pertanto, le quietanze di pagamento degli interessi passivi.

D. L’art. 21, comma 1, del decreto legge n. 133 del 2014 e l’art. 2, comma 2, del decreto attuativo 8 settembre 2015 riconoscono un’ulteriore deduzione del 20 per cento degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto delle abitazioni da concedere in locazione. Si chiede se tale beneficio sia anch’esso soggetto al limite massimo complessivo di 300.000 euro. 
R. Con specifico riferimento alla deducibilità degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto delle abitazioni in esame – da aggiungere alla deduzione del 20 per cento del prezzo di acquisto dell’immobile – non sono indicati limiti di spesa né dalla norma primaria né dal decreto attuativo. Per evitare quindi che la deduzione degli interessi risulti avulsa dal contesto della norma agevolativa – nonché dai principi generali previsti per gli oneri deducibili che sono sempre ancorati ad un limite massimo di spesa ammissibile – si ritiene che la stessa debba essere correlata ai limiti di spesa previsti per la deduzione del costo di acquisto dell’abitazione, trattandosi di due misure tese ad agevolare l’acquisto del medesimo bene. 
Considerato, dunque, il nesso (rapporto) tra il prezzo dell’abitazione e il mutuo contratto per il suo acquisto, si ritiene che la deduzione per interessi debba essere limitata alla quota degli stessi proporzionalmente riferibile ad un mutuo non superiore a 300.000 euro. Pertanto, in caso di mutuo stipulato per un importo superiore a 300.000 euro, gli interessi su cui calcolare la deduzione devono essere ridotti proporzionalmente, applicando la seguente formula: 
300.000 euro x interessi pagati / importo del mutuo.
Ad esempio, se, nell’anno 2016, viene stipulato un mutuo di 400.000 euro per acquistare un’abitazione del prezzo di 600.000 euro, e vengono pagati in tale anno, interessi per un importo complessivo di euro 2.000, l’importo massimo deducibile sarà pari a: 
3000.000 euro x 2.000 /400.000 = 1.500 euro

D. Si chiede se la deduzione degli interessi passivi dipendenti da mutui contratti per l’acquisto dell’unità immobiliare spetti solo per otto anni o per l’intera durata del mutuo. 
R. Ai sensi dell’articolo 2, comma 2 del decreto attuativo 8 settembre 2015, la deduzione degli interessi passivi è riconosciuta “nella misura del 20 per cento”. La disposizione non contiene alcun riferimento al periodo temporale di 8 anni, concesso per la deduzione del costo di acquisto dell’abitazione. Si ritiene, quindi, che possa essere fruita per l’intera durata del mutuo. Ciò trova conferma anche nel comma 6 del medesimo articolo 2, che, nel prevedere la ripartizione in otto quote annuali dell’agevolazione, richiama la sola “deduzione di cui al comma 1”, ovvero quella relativa al prezzo di acquisto dell’immobile.

RIQUALIFICAZIONE ENERGETICA IN CONDOMINIO: COME FUNZIONA LA CESSIONE DEL BONUS

I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate erano attesi, e richiesti a gran voce da numerose associazioni, afferenti sia alla gestione condominiale, sia alle aziende impiantistiche. Ora, le specifiche sono arrivate, con il provvedimento al numero 43434, ed emesso lo scorso 22 marzo. 

Il documento, tra le altre cose, puntualizza che i contribuenti ricadenti nella no tax area, cioè i possessori di redditi esclusi dall’imposizione Irpef per espressa previsione o perché l’imposta lorda è assorbita dalle detrazioni per tipologia di reddito posseduto e che pertanto, risultando “incapienti”, non potrebbero fruire del bonus del 65% per le spese relative a interventi di riqualificazione energetica su parti comuni condominiali, possono cedere, sotto forma di credito, ai fornitori che hanno effettuato i lavori, la detrazione loro spettante.

A stabilirlo, l’articolo 1, comma 74, della legge 208/2015 (Stabilità 2016), secondo cui, “per le spese sostenute dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2016 per interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali”, i contribuenti che si trovano nella condizione di incapienza possono “optare per la cessione del corrispondente credito ai fornitori che hanno effettuato i predetti interventi, con modalità da definire con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle Entrate”.

Le modalità

Il provvedimento 22 marzo 2016, detta appunto le modalità attuative della norma, cui devono attenersi i contribuenti interessati (articolo 11, comma 2, e articolo 13, comma 1, lettera a), e comma 5, letteraa), del Tuir), il condominio (tramite l’amministratore o il condomino incaricato) e i fornitori che ricevono il credito a titolo di pagamento della quota di spesa a carico del singolo condomino.

La situazione di incapienza deve sussistere nel periodo d’imposta 2015 e la cessione può avvenire solo nei confronti dei fornitori di beni e servizi che hanno realizzato gli interventi di riqualificazione energetica per il condominio. Il credito cedibile, pari al 65% dei costi a carico del singolo condomino in base alla tabella millesimale di ripartizione, riguarda le spese sostenute nel 2016, anche se riferite a interventi iniziati in anni precedenti. È necessario che il condominio effettui, entro il 31 dicembre 2016, il pagamento delle spese corrispondenti alla parte non ceduta sotto forma di credito mediante l’apposito bonifico bancario o postale.

Per effettuare la cessione del credito, la volontà dei condòmini interessati deve risultare dalla delibera assembleare che approva i lavori oppure, in alternativa, da una specifica comunicazione inviata successivamente al condominio. Quest’ultimo dovrà annunciare tale volontà ai fornitori che, a loro volta, dovranno rispondere al condominio, in forma scritta, di accettare la cessione del credito, a titolo di parziale pagamento del corrispettivo.

Entro il 31 marzo 2017, a pena di inefficacia della cessione del credito, il condominio dovrà comunicare in via telematica, all’Agenzia delle Entrate, una serie di dati, per consentire il controllo della cessione stessa e della fruizione del credito. Ne dovrà essere data notizia anche ai fornitori cessionari del credito.

A partire dal 10 aprile 2017, i fornitori potranno utilizzare il credito – da ripartire in dieci quote annuali di pari importo – in compensazione, tramite modello F24, esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, con possibilità di riportare nei periodi d’imposta successivi l’eventuale quota non fruita nel periodo di spettanza.

Il provvedimento, infine, disciplina i controlli da parte dell’amministrazione finanziaria:

* se viene accertato che la detrazione non spetta (anche parzialmente), il relativo importo, maggiorato di interessi e sanzione, verrà recuperato nei confronti del condomino;

* se viene accertata l’indebita fruizione (anche parziale) del credito, il relativo importo, maggiorato di interessi e sanzione, verrà recuperato nei confronti del fornitore.

RIQUALIFICAZIONE DEL CONDOMINIO MINIMO: DETRAZIONI E CODICE FISCALE

Come accedere alle detrazioni fiscali per i lavori di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di un condominio minimo? Lo spiega la circolare numero 3/E emanata lo scorso 2 marzo dall’Agenzia delle Entrate per fornire informazioni e rispondere ai più frequenti quesiti e dubbi in materia fiscale.

D. La risoluzione n. 74/E del 2015 ha chiarito che per le spese sostenute per interventi di recupero del patrimonio edilizio e di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di condomini minimi, la fruizione della detrazione è subordinata, tra l’altro, alla richieste del codice fiscale del condominio. Si chiede se tali chiarimenti possano valere anche per le rate di detrazione relative ad anni precedenti e per le spese sostenute nel 2015, qualora non sia stato ancora richiesto il codice fiscale del condominio. 

R. Per gli interventi realizzati sulle parti comuni di edifici residenziali, la fruizione dell’agevolazione è stata subordinata, fin dall’entrata in vigore della legge n. 449 del 1997 (che ha introdotto la detrazione in esame), alla circostanza che il condominio sia intestatario delle fatture ed esegua, nella persona dell’amministratore o di uno dei condòmini, tutti gli adempimenti richiesti dalla normativa, compreso quello propedeutico della richiesta del codice fiscale. 

Con circolare 21 maggio 2014, n. 11/E (paragrafo 4.3), è stato ricordato che in presenza di un “condominio minimo”, edificio composto da un numero non superiore a otto condòmini (prima delle modifiche apportate dalla legge n. 220 del 2012 all’articolo 1129 c.c. il riferimento era a quattro condòmini), risulteranno comunque applicabili le norme civilistiche sul condominio, ad eccezione degli articoli 1129 e 1138 c.c., che disciplinano, rispettivamente, la nomina dell’amministratore (nonché l’obbligo da parte di quest’ultimo di apertura di un apposito conto corrente intestato al condominio) e il regolamento di condominio (necessario in caso di più di dieci condòmini). 

Con risoluzione n. 74/E del 27 agosto 2015 sono stati indicati gli adempimenti da adottare nel caso di interventi sulle parti comuni di un condominio minimo, effettuati nel 2014 senza aver richiesto il codice fiscale del condominio. La risoluzione ha ribadito la necessità di chiedere il codice fiscale del condominio ma è stato nel contempo evidenziato che il condominio, sui pagamenti effettuati per avvalersi della agevolazioni fiscali in esame, non deve effettuare le ritenute ordinariamente previste dal DPR 600 del 1973. Su tali pagamenti, infatti, si applica la sola ritenuta prevista dal decreto legge n. 78 del 2010, effettuata da banche e Poste italiane Spa all’atto dell’accredito del pagamento. 

Ulteriori valutazioni collegate alla esigenza di semplificare gli adempimenti dei contribuenti, portano a riconsiderare le istruzioni fornite con la precedente prassi. In particolare, nel presupposto che il pagamento sia stato effettuato mediante l’apposito bonifico bancario/postale e che, quindi, non vi sia stato pregiudizio al rispetto da parte delle banche e di Poste Italiane Spa dell’obbligo di operare la ritenuta disposta dall’art. 25 del D.L. n. 78 del 2010 all’atto dell’accredito del pagamento, si può ritenere che non sia necessario acquisire il codice fiscale del condominio nelle ipotesi in cui i condòmini, non avendo l’obbligo di nominare un amministratore, non vi abbiano provveduto. 

In assenza del codice fiscale del condominio, i contribuenti, per beneficiare della detrazione per gli interventi edilizi e per gli interventi di riqualificazione energetica realizzati su parti comuni di un condominio minimo, per la quota di spettanza, possono inserire nei modelli di dichiarazione le spese sostenute utilizzando il codice fiscale del condòmino che ha effettuato il relativo bonifico

Naturalmente il contribuente è tenuto, in sede di controllo, a dimostrare che gli interventi sono stati effettuati su parti comuni dell’edificio, e, se si avvale dell’assistenza fiscale, è tenuto ad esibire ai CAF o agli intermediari abilitati, oltre alla documentazione ordinariamente richiesta per comprovare il diritto alla agevolazione, una autocertificazione che attesti la natura dei lavori effettuati e indichi i dati catastali delle unità immobiliari facenti parte del condominio. Devono ritenersi superate, pertanto, le indicazioni fornite con la circolare n. 11/E del 2014 e con la risoluzione n.74/E del 2015, salvi restando i comportamenti già posti in essere in attuazione di tali documenti di prassi.

LA SOSTITUZIONE DI CALDAIA DÀ DIRITTO A FRUIRE DEL “BONUS MOBILI”?

La sostituzione della caldaia dà diritto a fruire anche del bonus mobili? È uno dei nodi fiscali sciolti dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della risoluzione 3/E, in materia di deduzioni e detrazioni degli oneri inerenti a vario titolo casa e condominio. Di seguito riportiamo il quesito e i chiarimenti delle Entrate.

D. Le istruzioni ministeriali in merito alla possibilità di fruire della detrazione per l’arredo legate a lavori di ristrutturazione, specificano che: “Ulteriori interventi riconducibili alla manutenzione straordinaria sono quelli finalizzati al risparmio energetico volti all’utilizzo di fonti rinnovabili di energia e/o alla sostituzione di componenti essenziali degli impianti tecnologici”. In base a tale principio si ritiene che possano dare diritto alla agevolazione fiscale per l’acquisto dell’arredo anche le sostituzioni delle caldaie per le quali si opta per la detrazione del 50 per cento. 

R. Con circolare n. 29/E del 2013, par. 3.2, è stato precisato che gli interventi di recupero del patrimonio edilizio di cui all’art. 16-bis del TUIR, ammessi alla detrazione del 36 per cento (attualmente 50 per cento), costituiscono presupposto per l’accesso al c.d. “bonus mobili” qualora si configurino quanto meno come interventi di “manutenzione straordinaria” ove eseguiti su singole unità immobiliari abitative. 
Al riguardo, con circolare n. 11/E del 2014, par. 5.1, in relazione agli interventi finalizzati al risparmio energetico di cui alla lett. h) dell’art. 16-bis del TUIR, è stato affermato che gli interventi che utilizzano fonti rinnovabili di energia sono riconducibili alla manutenzione straordinaria per espressa previsione normativa (art. 123, comma 1, del DPR n. 380 del 2001), mentre, negli altri casi, dovrà esserne valutata la riconducibilità alla manutenzione straordinaria “tendendo conto che gli interventi sugli impianti tecnologici diretti a sostituirne componenti essenziali con altri che consentono di ottenere risparmi energetici rispetto alla situazione preesistente, rispondono al criterio dell’innovazione (cfr. circolare n. 57 del 1998) e sono tendenzialmente riconducibili alla manutenzione straordinaria”. 
Si ritiene, pertanto, che la sostituzione della caldaia, in quanto intervento diretto a sostituire una componente essenziale dell’impianto di riscaldamento e come tale qualificabile intervento di “manutenzione straordinaria”, consente l’accesso al bonus arredi, in presenza di risparmi energetici conseguiti rispetto alla situazione preesistente. Non rileva a tal fine il fatto che tale intervento sia riconducibile anche nell’ambito della lettera h) del medesimo art. 16-bis. 

LA RESTITUZIONE DELLE SOMME ANTICIPATE DALL’AMMINISTRATORE AL CONDOMINIO

[A cura di: avv. Ermenegildo Mario Appiano – Segretario Alac Torino]

Cosa accade se l’amministratore di un condominio – gestendo in modo per lui non del tutto oculato – anticipa di tasca propria denaro per far fronte ai debiti del condominio stesso e poi non vede la restituzione delle somme così prestate? È il caso affrontato di recente dal Tribunale di Torino (sentenza resa dalla prima sezione civile il 29 gennaio 2016, resa in causa n. 37894/2013 R.G., estensore il dott. Edoardo Di Capua, che vede un precedente conforme nella sentenza 6957/2006, pronunciata dal medesimo Tribunale).
In tale caso, ove la rendicontazione condominiale era stata redatta in modo adeguato (presupposto imprescindibile per intentare un’azione giudiziaria), l’amministratore uscente era egli stesso creditore verso il condominio a fronte di simili anticipazioni ed aveva conseguentemente agito verso quest’ultimo per ottenere il pagamento delle relative somme. Dopo aver fatto verificare la contabilità a mezzo di una consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale ha accolto la domanda ed ha quindi condannato il condominio a restituire le somme in questione all’amministratore cessato, oltre alla refusione delle spese processuali (pari  ad oltre la metà del credito controverso, quest’ultimo ammontante a circa 13 mila euro: cosa da tenere sempre ben presente, prima di trovarsi coinvolti in un processo).
Veniamo ai punti salienti ed interessanti della motivazione di tale decisione.
Il Tribunale richiama inizialmente l’orientamento della Cassazione, secondo cui “il credito per le somme anticipate nell’interesse del condominio dall’amministratore trae origine da un rapporto di “mandato” che intercorre con i condòmini (cfr. per tutte: Cass. civile , sez. II, 04 ottobre 2005, n. 19348 in Giust. civ. Mass. 2005, 10; Cass. civile , sez. II, 16 agosto 2000, n. 10815 in Giust. civ. Mass. 2000, 1796)”.
Precisa poi il Tribunale che “l’amministratore di condominio – nel quale non è ravvisabile un ente fornito di autonomia patrimoniale, bensì la gestione collegiale di interessi individuali, con sottrazione o compressione dell’autonomia individuale – configura un “ufficio di diritto privato” oggettivamente orientato alla tutela del complesso dei su indicati interessi, e realizzante una cooperazione, in ragione di autonomia, con i condòmini, singolarmente considerati, che è assimilabile, pur con tratti distintivi in ordine alle modalità di costituzione ed al contenuto sociale della gestione, al “mandato con rappresentanza”, con la conseguente applicabilità, nei rapporti tra amministratore ed ognuno dei condòmini, dell’art. 1720 comma 1 c.c., secondo cui il mandante deve rimborsare al mandatario le anticipazioni fatte nell’esecuzione dell’incarico: norma che, peraltro, esprime un principio comune nella disciplina dei rapporti di cooperazione, indipendentemente dalla loro peculiarità (cfr. in tal senso: Cass. civile , sez. II, 12 febbraio 1997, n. 1286 in Giust. civ. Mass. 1997, 227 ed in Vita not. 1997, 190; Cass. civile, sez. II, 27 settembre 1996, n.8530 in Giust. civ. 1997, I, 699; Cass. civile 24 marzo 1981 n. 1720)”.
Ciò posto, continua il Tribunale, “nascendo l’obbligazione restitutoria a carico dei singoli condòmini nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione legittima e per diretto effetto di essa, la situazione non muta in conseguenza della cessazione dell’anticipante dall’incarico di amministratore, con la conseguenza che la domanda dell’amministratore cessato dall’incarico diretta ad ottenere il rimborso di somme anticipate nell’interesse della gestione condominiale può essere proposta, oltre che nei confronti del condominio, anche nei confronti del singolo condomino inadempiente all’obbligo di pagare la propria quota (cfr. in tal senso la citata Cass. civile , sez. II, 12 febbraio 1997, n. 1286 in Giust. civ. Mass. 1997, 227 ed in Vita not. 1997, 190).
Pertanto, conclude il Tribunale, “l’amministratore cessato dall’incarico può chiedere il rimborso delle somme da lui anticipate per la gestione condominiale sia nei confronti del condominio legalmente rappresentato dal nuovo amministratore (dovendosi considerare attinente alle cose, ai servizi ed agli impianti comuni anche ogni azione nascente dall’espletamento del mandato, che, appunto, riflette la gestione e la conservazione di quelle cose, servizi o impianti) sia, cumulativamente, nei confronti di ogni singolo condomino, la cui obbligazione di rimborsare all’amministratore, mandatario, le anticipazioni da questo fatte nell’esecuzione dell’incarico deve considerarsi sorta nel momento stesso in cui avviene l’anticipazione, e per effetto di essa e non può considerarsi estinta dalla nomina del nuovo amministratore, che amplia la legittimazione processuale passiva senza eliminare quelle originali, sostanziali e processuali (cfr. in tal senso: Cass. civile, sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530 in Giust. civ. Mass. 1996, 1334 ).”
Sul piano processuale, infine, il Tribunale ha osservato che “secondo l’orientamento seguito dalla più recente giurisprudenza della Cassazione (cfr. in tal senso: Cass., sez. unite 30 ottobre 2001 n. 13533, in Guida al dir. n. 45/2001 pag. 40; Cass. Sez. II 14 gennaio 2002 n. 341 in Guida al dir. n. 8/2002 pag. 94), pienamente condiviso da questo Tribunale, «il creditore, sia che agisca per l’adempimento, sia che agisca per la risoluzione o per il risarcimento del danno, è tenuto a provare solo l’esistenza del titolo, ossia della fonte negoziale o legale del suo diritto (e, se previsto, del termine di scadenza), mentre può limitarsi ad allegare l’inadempimento della controparte: è il debitore convenuto a dover fornire la prova estintiva del diritto, costituito dall’avvenuto adempimento»”.

UN BOX AUTO PUÒ ESSERE PERTINENZA DI DUE ALLOGGI CON DIVERSI PROPRIETARI?

Ma un box auto può essere contemporaneamente pertinenza di due alloggi con due distinti proprietari? Un caso più diffuso di quanto non si immagini quello affrontato dall’Agenzia delle Entrate nell’ambito della risoluzione 3/E, in materia di deduzioni e detrazioni degli oneri inerenti a vario titolo casa e condominio. Di seguito riportiamo il quesito e i chiarimenti delle Entrate.

D. Due soggetti, proprietari di due distinti appartamenti nei quali dimorano abitualmente, acquistano in comproprietà un garage che utilizzano congiuntamente. Si chiede se tale unità immobiliare, accatastata in categoria C/6, possa essere considerata pertinenza per entrambi i soggetti. In altri termini, e più in generale, si domanda se un garage (box, autorimessa o posto auto) posseduto in comproprietà, possa essere pertinenza di più fabbricati ad uso abitativo. 
R. In materia di imposte sui redditi, l’art. 10, comma 3-bis, del TUIR, concernente la deduzione dal reddito complessivo del reddito riveniente dall’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e quello delle relative pertinenze, considera pertinenze “le cose immobili di cui all’art. 817 del codice civile, classificate o classificabili in categorie diverse da quelle ad uso abitativo, destinate ed effettivamente utilizzate in modo durevole a servizio delle unità immobiliari adibite ad abitazione principale delle persone fisiche. Per abitazione principale si intende quella nella quale la persona fisica, che la possiede a titolo di proprietà o altro diritto reale, o i suoi familiari dimorano abitualmente”. 
L’articolo 817 del codice civile considera pertinenze “le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un’altra cosa”. Ai fini della sussistenza del vincolo pertinenziale, è necessario il requisito oggettivo della relazione di strumentalità e complementarietà funzionale tra il bene principale e quello accessorio, nonché il requisito soggettivo della volontà effettiva del proprietario del bene principale, o titolare di un diritto reale sul medesimo, di destinare durevolmente il bene accessorio a servizio od ornamento di quello principale (cfr., ad esempio, circolari del Ministero delle finanze n. 57 del 1998, par. 3.3, e dell’Agenzia delle entrate n. 98 del 2000, par. 11.1.2). 
In merito alla configurabilità di una pertinenza condivisa – destinata, cioè, a servizio di più unità immobiliari, ciascuna appartenente a un diverso proprietario – la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha espresso orientamenti non univoci, affermando, da un lato, che il regime delle pertinenze, in quanto postula l’esclusività della funzione accessoria, non sarebbe compatibile con l’ipotesi di un immobile contemporaneamente adibito a servizio di più immobili principali (cfr. da ultimo Cass. n. 28664 del 2011); e, dall’altro, che lo stesso non esclude la possibilità di contemplare una pertinenza condivisa, a servizio di più unità immobiliari (cfr. da ultimo Cass. n. 27302 del 2013). 
In particolare, nella recente sentenza n. 27302 del 2013, la Corte ha ritenuto “ammissibile la costituzione di una pertinenza in comunione, al servizio di più immobili appartenenti in proprietà esclusiva ai condomini della pertinenza stessa, in quanto l’asservimento reciproco del bene accessorio comune consente di ritenere implicitamente sussistente la volontà dei comproprietari di vincolare lo stesso in favore delle rispettive proprietà esclusive”. 
Posto che il comma 3-bis dell’art. 10 del TUIR dà rilievo alla nozione civilistica di pertinenza, si deve ritenere che il vincolo pertinenziale con due distinte unità immobiliari, validamente costituito, assume rilievo anche ai fini delle imposte sui redditi. Per la determinazione dell’importo deducibile, il comma 3-bis prevede che “Se alla formazione del reddito complessivo concorrono il reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e quello delle relative pertinenze, si deduce un importo fino all’ammontare della rendita catastale dell’unità immobiliare stessa e delle relative pertinenze, rapportato al periodo dell’anno durante il quale sussiste tale destinazione ed in proporzione alla quota di possesso di detta unità immobiliare”. Ogni comproprietario può pertanto dedurre la quota di rendita della pertinenza, adibita a servizio dell’abitazione principale, pari alla percentuale di possesso della pertinenza stessa. 
Considerata la rilevanza del vincolo pertinenziale anche in relazione alle detrazioni previste dall’art. 16-bis del TUIR per gli interventi di recupero del patrimonio edilizio abitativo, si forniscono di seguito alcune indicazioni sulla determinazione della detrazione spettante in caso di interventi effettuati su una pertinenza comune a due abitazioni. 
Per individuare il limite di spesa su cui calcolare la detrazione, è necessario tener conto del numero delle unità immobiliari abitative servite dalla pertinenza stessa. Gli interventi edilizi effettuati sulla pertinenza non hanno, infatti, un autonomo limite di spesa detraibile ma rientrano nel limite previsto per l’unità abitativa di cui la pertinenza è al servizio. In altri termini, il limite di spesa detraibile deve essere riferito all’unità abitativa e alle sue pertinenze unitariamente considerate (cfr. risoluzioni n. 124/E del 2007, n. 19/E e 181/E del 2008). 
Di seguito si riportano degli esempi ipotizzando che gli interventi di recupero del patrimonio edilizio siano stati effettuati nel 2015 solo sulla pertinenza comune alle due unità immobiliari abitative.
Esempio 1 – Anno 2015
Abitazione A:
Spese per pertinenza comune: 40.000 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 56.000 euro
Abitazione B:
Spese per pertinenza comune: 60.000 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 36.000 euro
In questo esempio l’intero importo della spesa sostenuta per la pertinenza comune, pari a euro 100.000, è ammissibile in quanto per entrambi i proprietari delle distinte unità abitative A e B l’importo è inferiore al limite massimo di euro 96.000 per unità abitativa.

Esempio 2 – Anno 2015
Abitazione A:
Spese per pertinenza comune: 100.000 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 0 euro
Abitazione B:
Spese per pertinenza comune: 0 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 96.000 euro
In questo esempio l’importo della spesa sostenuta per la pertinenza comune, pari a euro 100.000, è ammissibile fino all’importo euro 96.000 in quanto sostenuto dal proprietario della distinta unità abitativa A per la quale opera il predetto limite massimo di euro 96.000 per unità abitativa.

Esempio 3 – Anno 2015
Abitazione A:
Spese per pertinenza comune: 96.000 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 0 euro
Abitazione B:
Spese per pertinenza comune: 96.000 euro
Limite massimo di spesa per abitazione e pertinenza: 96.000 euro
Limite residuo di spesa utilizzabile: 0 euro
In questo esempio l’intero importo della spesa sostenuta per la pertinenza comune, pari a euro 192.000, è ammissibile in quanto per entrambi i proprietari delle distinte unità abitative A e B l’importo rientra nel limite massimo di euro 96.000 per unità abitativa.

LA DEDUZIONE DEL COSTO D’ACQUISTO DELL’ALLOGGIO DESTINATO ALLA LOCAZIONE

Tra le note esplicative contenute nella circolare 3/E dell’Agenzia delle Entrate in materia di deduzioni e detrazioni degli oneri inerenti a vario titolo casa e condominio, un focus ampio e specifico è dedicato all’acquisto di un appartamento destinato alla locazione. Di seguito riportiamo un quesito e i chiarimenti delle Entrate. 

D. La deduzione del 20 per cento prevista dall’articolo 21 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133 per gli acquisti (o la costruzione) di immobili abitativi destinati alla locazione, “effettuati dal 1° gennaio 2014 al 31 dicembre 2017”, è soggetta ad un limite massimo complessivo di spesa pari a 300.000 euro. Si chiede se tale importo costituisca il limite di spesa riferibile all’acquisto di una singola abitazione o rappresenti il massimo di spesa deducibile anche nel caso in cui siano acquistate più abitazioni. 

R. Per verificare come deve essere inteso il limite di spesa di 300.000 euro indicato dalla norma, vale a dire se deve essere riferito alla unità abitativa oggetto di agevolazione o al soggetto che si avvale del beneficio fiscale, è utile tener conto, oltre che dell’articolo 21 del d.l. 12 settembre 2014, n. 133, anche delle norme di attuazione dettate dal decreto del Ministro delle Infrastrutture e Trasporti e del Ministro dell’Economia, 8 settembre 2015. Assume rilievo, in particolare, l’art. 2, comma 4, del decreto attuativo il quale prevede, per gli immobili acquistati in comproprietà, che la deduzione spetta “ai soggetti titolari del diritto di proprietà…in relazione alla quota di proprietà”. Il successivo art. 5, comma 1, del medesimo decreto dispone, inoltre, che la deduzione è riconosciuta “una sola volta per ogni singolo immobile”. 

Calcolando la deduzione pro-quota ed una sola volta per ogni singolo immobile, si avrà quindi, a titolo esemplificativo, che nel caso in cui tre soggetti acquistino in comproprietà e in parti uguali un immobile, il cui prezzo è pari a 900.000 mila euro, ciascun di essi potrà calcolare la deduzione su un ammontare massimo di 100.000 euro, pari a un terzo del limite massimo di spesa deducibile di 300.000 euro, spettante per l’immobile medesimo. 

È necessario, inoltre, tener conto anche di quanto disposto dall’art. 21, comma 3, del d.l. n. 133 del 2014, in base al quale “fermo restando il limite massimo complessivo di 300.000 euro, la deduzione spetta anche per l’acquisto o realizzazione di ulteriori unità immobiliari da destinare alla locazione”. La norma primaria, introduttiva dell’agevolazione, indica chiaramente che l’importo di 300.000 euro costituisce il limite complessivo di spesa spettante al singolo soggetto, anche nel caso in cui questi acquisti più unità abitative da destinare alle finalità previste dalla norma. Assumendo, quindi, il limite di 300.000 euro come importo massimo sul quale il singolo soggetto può calcolare la deduzione si avrà che questi, se acquista più abitazioni nel periodo di vigenza dell’agevolazione (dal 1 gennaio 2014 al 31 dicembre 2017), ha comunque diritto alla deduzione del 20 per cento su un importo massimo complessivo di spesa di 300.000 euro. 

Riprendendo l’esempio precedente, il soggetto che nel 2016 acquista una abitazione in comproprietà per la quale può fruire della deduzione su un importo massimo di spesa di 100.000 euro e, nel medesimo anno, acquista una seconda abitazione del costo di 150.000 euro, questi avrà diritto, per il periodo d’imposta 2016, alla deduzione pari al 20 per cento di 250.000 euro. Se nell’anno successivo, il medesimo soggetto, acquista una terza abitazione al prezzo di 200.000, avrà diritto ad un deduzione del 20 da calcolare su 50.000 euro, vale a dire sull’ammontare residuo del limite complessivo di spesa deducibile di 300.00 euro. 

Si deve, pertanto, concludere che, in base alla combinazione delle norme richiamate, il limite di 300.00 euro costituisce l’ammontare massimo di spesa complessiva su cui calcolare la deduzione, per l’intero periodo di vigenza dell’agevolazione, sia con riferimento alla abitazione che al contribuente.

IL LEASING IMMOBILIARE: ALTERNATIVA (VANTAGGIOSA) ALL’ACCENSIONE DI UN MUTUO

Che cosa prevede la nuova normativa fiscale in materia di casa in leasing? A spiegarlo, nel dettaglio, è la Guida dal titolo “Il Leasing immobiliare abitativo”, nata dalla collaborazione tra Assilea (Associazione italiana leasing), Consiglio nazionale del notariato con l’adesione di 11 tra le principali associazioni dei consumatori (Adiconsum, Adoc, Assoutenti, Casa del Consumatore, Cittadinanzattiva, Confconsumatori ACP, Federconsumatori, Lega consumatori, Movimento Consumatori, Movimento Difesa del Cittadino, Unione nazionale consumatori) e realizzata con il contributo del Dipartimento delle Finanze (Ministero dell’Economia e delle Finanze).

PREMESSE

La disciplina del leasing immobiliare abitativo, istituita dalla legge di Stabilità 2016, prevede incentivi fiscali sull’acquisto o la costruzione di immobili da adibire ad abitazione principale. La finalità della misura è di agevolare, specie per i più giovani, l’acquisto dell’abitazione di residenza attraverso l’utilizzo dello strumento della locazione finanziaria quale innovativo canale di finanziamento rispetto all’ordinario strumento del mutuo ipotecario. 

La Guida chiarisce le caratteristiche fondamentali del leasing immobiliare abitativo e i dubbi più frequenti, le tutele per il cittadino e i regimi fiscali applicabili. La guida sarà distribuita gratuitamente da Assilea, dal Consiglio nazionale del notariato e dalle Associazioni dei Consumatori, ed è inoltre scaricabile dai rispettivi siti web. 

LEASING PRIMA CASA 

Ecco, in sintesi, che cosa prevede la formula del leasing prima casa.

I soggetti 

Il leasing immobiliare abitativo è fruibile dai soggetti con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro, purché privi di abitazione principale. Per l’individuazione della soglia del reddito si può fare riferimento al reddito dichiarato nel quadro RN1 dell’ultima dichiarazione dei redditi presentata. 

I vantaggi fiscali 

I titolari dei contratti stipulati dal 1 gennaio 2016 e fino al 31.12.2020, potranno portare in detrazione dalla dichiarazione dei redditi i costi del leasing “prima casa” in misura più vantaggiosa rispetto alle agevolazioni concesse per mutui ipotecari. In particolare, per i giovani sotto i 35 anni all’atto della stipula del contratto e con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro gli incentivi fiscali sono: 

* la detraibilità pari al 19% dei canoni di leasing (fino ad un importo massimo di 8mila euro annui); 

* la detraibilità pari al 19% del prezzo del riscatto (fino ad un importo massimo di 20mila euro).

Per i soggetti con età uguale o superiore a 35 anni e con reddito complessivo non superiore a 55.000 euro gli incentivi fiscali sono: 

* la detraibilità pari al 19% dei canoni di leasing (fino ad un importo massimo di 4 mila euro annui); 

* la detraibilità pari al 19% del prezzo del riscatto (fino ad un importo massimo di 10 mila euro). Sia per gli under 35 che per gli over 35, l’imposta di registro sull’acquisto dell’abitazione “prima casa” è ridotta all’1,5% e questo rende più conveniente per i privati il ricorso al leasing rispetto al mutuo ipotecario.

Nel caso di leasing l’imposta di registro è calcolata sul prezzo di acquisto, perché non è applicabile il meccanismo del prezzo-valore.

Il contratto 

Con la stipula del contratto di locazione finanziaria, la società di leasing (banca o intermediario finanziario autorizzato da Banca d’Italia all’esercizio dell’attività di leasing) assume l’obbligo ad acquistare o anche a far costruire l’immobile, su scelta e secondo le indicazioni dell’utilizzatore, che lo riceve in uso per un tempo determinato a fronte di un corrispettivo periodico (canone). Alla scadenza del contratto, l’utilizzatore ha la facoltà di riscattare la proprietà del bene, pagando il prezzo stabilito dal contratto.

Gli immobili

Le agevolazioni fiscali prescindono dalle caratteristiche oggettive dell’immobile: le detrazioni spettano a qualsiasi abitazione anche se appartenente alle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (queste ultime escluse invece dalle agevolazioni “prima casa” per l’imposta di registro). Può trattarsi di un fabbricato ad uso abitativo già completato e dichiarato agibile, un fabbricato a uso abitativo da costruire su uno specifico terreno, un fabbricato a uso abitativo in corso di costruzione e da completare o anche un fabbricato abitativo da ristrutturare.

Il leasing co-intestato

Nel caso di un leasing “prima casa” co-intestato a soggetti in possesso dei requisiti (ciascuno con un reddito complessivo non superiore a 55.000 euro e un’età inferiore a 35 anni), le agevolazioni Irpef (detrazioni) spettano a ciascun soggetto in misura proporzionalmente corrispondente alla percentuale di intestazione del contratto.

Iva al 4% anziché al 10%

Qualora la società di leasing acquisti l’abitazione dal costruttore (soggetto passivo Iva), si applica l’aliquota Iva ridotta del 4%. L’Iva, così come le imposte d’atto e le spese notarili e peritali sull’immobile, può essere finanziate dalla società di leasing.

TUTELE DEL CONSUMATORE

Per la sospensione dei pagamenti 

Il leasing prima casa prevede una norma unica nel suo genere che tutela il cliente, il quale può richiedere la sospensione del contratto in caso di perdita del lavoro sia del rapporto subordinato, sia dei rapporti di lavoro di agenzia, di rappresentanza commerciale e altri rapporti di collaborazione (art. 409, numero 3 c.p.c.), anche se non a carattere subordinato. 

La sospensione del contratto non è però prevista nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, di recesso datoriale per giusta causa, di recesso del lavoratore non per giusta causa, di risoluzione per limiti di età con diritto a pensione di vecchiaia o di anzianità, di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, di dimissioni del lavoratore non per giusta causa. La sospensione, in ogni caso, non determina l’applicazione di alcuna commissione o spese d’istruttoria e avviene senza richieste di garanzie aggiuntive.

Nella risoluzione del contratto

In caso in cui il cliente si renda inadempiente nel pagamento dei canoni dovuti, alla società di leasing è consentito, per il rilascio dell’immobile, di agire con il procedimento per convalida di sfratto (art. 1, co. 81, legge 28 dicembre 2015 n. 208), ossia con lo stesso procedimento previsto dalla legge per le locazioni ordinarie per il caso di morosità dell’inquilino. Il giudice competente è sempre il tribunale del luogo in cui si trova il bene oggetto dello sfratto. 

La Legge di Stabilità 2016 prevede che nella successiva attività di vendita e ricollocazione del bene la società di leasing deve attenersi a criteri di trasparenza e pubblicità nei confronti dell’utilizzatore inadempiente (art. 1, comma 78, legge 28 dicembre 2105 n. 208): 

* deve adottare procedure che garantiscano il miglior risultato possibile nell’interesse anche dell’utilizzatore inadempiente; 

* una volta venduto e/o ricollocato il bene, la società di leasing dovrà restituire all’utilizzatore inadempiente quanto ricavato dalla vendita e/o ricollocazione, al netto delle seguenti somme che ha il diritto di trattenere: 

a) la somma dei canoni scaduti e non pagati fino alla data della risoluzione;

b) i canoni successivi alla risoluzione attualizzati;

c) spese condominiali eventualmente sostenute, assicurazioni, costi tecnico/legali, ecc.;

d) il prezzo pattuito per l’esercizio del riscatto finale.

In caso di fallimento del concedente

In caso di fallimento ovvero liquidazione coatta amministrativa-risoluzione della banca o della società di leasing, il contratto di leasing prosegue regolarmente e si applica la disciplina prevista dalla legge fallimentare.

I VANTAGGI DEL LEASING PRIMA CASA

Ecco quali vantaggi prevede la formula:

* non ci sono costi di iscrizione e cancellazione di ipoteca; 

* l’imposta di registro sull’atto di acquisto è ridotta;

* il canone leasing è detraibile; 

* il prezzo di riscatto è detraibile nell’anno. 

Il maggior appeal del contratto di leasing finanziario per gli under 35 rispetto a un mutuo stipulato per l’acquisto dell’abitazione principale è dato dal fatto che nel primo caso la detrazione è del 19% fino a un importo massimo dei canoni (quota capitale e quota interessi) di 8 mila euro l’anno, mentre, nel caso del mutuo, la detrazione del 19% è per un importo massimo di euro 4 mila e riguarda la sola quota degli interessi passivi. Inoltre, a parte il maggior valore finanziato rispetto al mutuo, nel leasing non si paga l’imposta sostitutiva (0,25%) che si versa sul mutuo. Il leasing è anche più vantaggioso rispetto al rent to buy, il contratto in cui si fondono un contratto di locazione e un preliminare di vendita di un immobile, rispetto al quale prevede tempi in cui esercitare il riscatto ben più lunghi e vantaggi fiscali. I vantaggi fiscali del Leasing prima casa sono cumulabili con altre agevolazioni (50% dell’IVA dovuta sull’acquisto di abitazioni di nuova costruzione ad alto standard energetico, interventi di riqualificazione energetica degli edifici).

AGEVOLAZIONE ACQUISTO PRIMA CASA: NIENTE RIPENSAMENTI A GIOCHI FATTI

[A cura di: Dora De Marco, FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]

Il contribuente perde i benefici prima casa nell’ipotesi di mancato trasferimento della residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto, in assenza della prova di un evento oggettivo e imprevedibile idoneo a configurare la vis maior, dovendo tener fede al presupposto originariamente invocato. È quanto si desume dall’ordinanza 2777 dell’11 febbraio 2016 della Corte di cassazione.

La vicenda processuale

La vertenza giudiziaria nasce dall’impugnazione di un avviso di liquidazione, con cui l’Agenzia delle Entrate recupera le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale a seguito della decadenza dalle agevolazioni spettanti in relazione all’acquisto della prima casa, non avendo il contribuente trasferito, nel termine di diciotto mesi, la propria residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile.

La Ctr, nel confermare il verdetto di primo grado, annulla detto avviso di liquidazione, ritenendo, in primo luogo, che il tardivo trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’acquisto possa trovare la sua giustificazione in una causa di forza maggiore (nella specie, presunti lavori di ristrutturazione dell’immobile). Altresì, a detta dei giudici di merito, al contribuente spetterebbe l’agevolazione prima casa avendo fornito la prova documentale di avere il centro dei propri interessi economici nello stesso comune ove si trova l’abitazione (oggetto dell’acquisto agevolato), soddisfacendo la condizione alternativa (normativamente richiesta) dell’ubicazione dell’immobile “nel luogo in cui l’acquirente svolge la propria attività”.

Ricorre in Cassazione l’Agenzia delle Entrate lamentando, in una duplice prospettiva, la violazione dell’articolo 1 e della relativa nota 2-bis della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986 (Tur).

La pronuncia della Cassazione

La Corte suprema ha accolto il ricorso del Fisco, confermando da un lato la prassi dell’Amministrazione finanziaria e l’orientamento di legittimità maggioritario, per cui soltanto una causa di forza di maggiore oggettiva, inevitabile e imprevedibile, della cui prova è onerato il contribuente, potrebbe dispensarlo dall’obbligo del trasferimento della residenza nel Comune dell’immobile acquistato. Altresì, ad avviso dei giudici, deve “escludersi che l’agevolazione, originariamente invocata in ragione dell’esistenza di uno specifico presupposto, possa poi essere recuperata in ragione di un differente presupposto una volta che si sia accertato inesistente quello su cui si confidava”.

Osservazioni

Nel confermare, dunque, l’orientamento di legittimità maggioritario, che attribuisce rilevanza alla vis maior (a titolo esemplificativo, si veda Cassazione, sentenza 7067/2014) idonea a esentare il contribuente dall’obbligo legale del trasferimento della residenza nel termine di diciotto mesi dall’acquisto, per non incorrere nella decadenza dell’agevolazione provvisoriamente accordata al momento della registrazione del rogito, la Corte suprema si sofferma sulle caratteristiche di detta vis maior e sul tema dell’oggetto dell’onus probandi di cui è gravato il contribuente, che perora la conservazione del beneficio.

Spetta, infatti, al contribuente allegare la sussistenza del fatto impeditivo e comprovarne la esistenza e consistenza dei caratteri di non imputabilità, imprevedibilità e inevitabilità dello stesso. Circostanza non verificatesi nel caso di specie, dove il contribuente si è limitato ad asserire ritardi nei lavori di ristrutturazione a lui non imputabili e verificatisi dopo l’acquisto dell’immobile, non fornendo alcuna prova in tal senso.

Resta, dunque, orientamento minoritario quanto di recente affermato dalla Corte suprema con la sentenza 2616/2016 sull’irrilevanza della causa di forza maggiore, quale evento idoneo a esentare l’acquirente “prima casa” dall’obbligo del trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’atto di vendita.

La Cassazione, altresì, in altra prospettiva, ha chiarito che, qualora il contribuente nell’atto di acquisto richieda l’agevolazione prima casa, subordinandola alla condizione del trasferimento della propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi, detta condizione non è “surrogabile a posteriori” a mezzo della dimostrazione della sussistenza di altri requisiti alternativi ai quali è pure subordinato il beneficio in parola, come per esempio lo svolgimento della propria attività in detto comune.

Invero, considerato quanto argomentato in sentenza, se il contribuente avesse goduto del requisito alternativo (luogo di svolgimento della propria attività), al momento della stipulazione dell’atto non avrebbe avuto alcuna ragione a dichiarare l’intenzione del trasferimento della propria residenza. Né tantomeno nell’ordinamento giuridico è possibile rinvenire alcuna ipotesi di istanza per la concessione di un beneficio, nella quale possa rimanere elusa la precisa identificazione dei presupposti.

Da ultimo, una volta che l’acquirente abbia subordinato l’agevolazione prima casa alla condizione risolutiva del trasferimento della residenza, per i giudici di legittimità, vi è l’esigenza di non valicare il termine di decadenza normativamente previsto per l’avveramento di detta condizione. Pertanto – si legge in sentenza – “qualunque sia l’ipotizzabile relazione destinata ad instaurarsi tra le molteplici condizioni alternative di legge, ciò che certamente è da escludersi … è che l’emersione della fungibilità reciproca tra dette condizioni possa avvenire al momento della verifica giudiziale dell’esistenza del presupposto originariamente invocato, perché ciò sarebbe palesemente preclusivo della facoltà dell’Amministrazione procedente di sottoporne a verifica la consistenza effettiva”. 

CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Cede lastra dal camino:

muore bimba di 4 anni 

È morta mentre stava giocando in casa con il fratellino, schiacciata da una lastra di marmo che si è staccata dal caminetto. Si è spezzata in questa tragica maniera la vita di una bambina di 4 anni, che viveva con la famiglia nella provincia di Modena. Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, che hanno comunque aperto un fascicolo per fare luce sulla vicenda, la piccola si sarebbe aggrappata alle mensole del caminetto che hanno ceduto e le sono finite addosso, schiacciandola all’altezza del collo. Inutile l’intervento del 118.

Esplode bombola gas,

devastato mezzo paese

Un potente boato, la terra che trema e la corrente che va via. Potrebbe sembrare la descrizione di un terremoto o dello scoppio di un ordigno bellico. A esplodere, invece, è stata semplicemente una bombola a gas in una casa della provincia di Biella. Fortunatamente non ci sono stati feriti, ma poteva andare molto peggio. Il padrone di casa, un uomo di 31 anni, è stato estratto vivo dai vigili del fuoco dopo oltre un’ora di lavoro, mentre i vicini, tra cui una bambina piccola, sono stati portati in salvo dai carabinieri, intervenuti poco dopo la deflagrazione, avvenuta intorno all’ora di cena.

 

Legano anziana a sedia

per svaligiare la casa

Sono entrati in azione alle 3 di notte i protagonisti del tentato furto ai danni di un’anziana residente in un piccolo paese della provincia di Barletta-Andria-Trani. I malviventi, in tutto tre, hanno fatto irruzione nell’abitazione della vittima entrando da un terrazzino, servendosi di una scala per arrampicarsi sul tetto della casa adiacente. Trovandosi di fronte la donna, hanno deciso di immobilizzarla legandola ad una sedia, per agire indisturbati. Alla fine del raid, i ladri sono riusciti a dileguarsi, sottraendo circa 4mila euro in contanti e numerosi oggetti d’oro.

Lascia il gas acceso

e la casa prende fuoco

Una donna di 60enne, con problemi psichici e di alcolismo, è stata tratta in salvo dall’incendio della sua abitazione in provincia di Padova. Sono stati i carabinieri della stazione locale ad allertare i vigili del fuoco che, una volta sul posto, hanno domato le fiamme e salvato la signora, in seguito trattenuta in ospedale per gli accertamenti del caso. Secondo una prima ricostruzione, a provocare il rogo sarebbe stata una pentola lasciata qualche minuto di troppo sul piano cottura, sotto i fornelli accesi. L’appartamento è stato dichiarato inagibile ed evacuato per precauzione. 

Imbratta casa del prof

per vendicarsi del voto

Un giovane di 18 anni è stato fermato dai carabinieri della provincia di Siracusa per aver a perseguitato un professore, colpevole di avergli dato un voto troppo basso e averlo rimproverato in classe. Gli inquirenti sono risaliti allo studente grazie alle riprese delle videocamere di sorveglianza poste vicino all’abitazione. Sembra che il 18enne, nelle ore serali e notturne, abbia sporcato i muri e il portoncino d’ingresso della casa del docente con rifiuti organici, uova e salsa di pomodoro (quest’ultima sul parabrezza della sua auto), suonando anche il campanello per poi fuggire.