[Fonte: idealista.it]
I metri quadri di un appartamento non sono determinanti per l’esclusione o meno dei benefici legati all’acquisto della prima casa. A contare è solo la categoria catastale, secondo quanto stabilito dalle regole in vigore dal 2014, anche nel caso in cui l’abitazione sia stata acquistata prima della riforma. A stabilirlo è stata la Commissione tributaria regionale di Roma.
Con la sentenza n. 4449/1/15, il tribunale ha accolto il ricorso di un uomo che aveva acquistato un immobile nel 2008. Con un atto di rettifica l’Agenzia delle Entrate aveva revocato le agevolazioni perché l’immobile aveva una superficie complessiva di 308,65 metri quadri, superiore al limite di 240 metri quadri, oltre il quale, secondo le vecchie regole del 1969, la casa era da considerarsi come “immobile di lusso”.
Il contribuente si era quindi rivolto alla Ctp di Roma, che dopo averlo respinto in una prima istanza, ha accolto il ricorso, tenendo conto del principio dell’abolitio criminis stabilito dall’articolo 10 del decreto legislativo n23 del 14 marzo 2011. Secondo tale principio, “salvo diversa previsione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile”.
Considerando infatti che i criteri per la concessione dei benefici prima casa sono stati completamente rivisti dalla riforma del 2014, sono essi a prevalere su qualsiasi classificazione precedente. A dirlo era stata anche l’Agenzia delle Entrate, che nella circolare 2/E del 2014, al paragrafo 1,3 afferma che “a decorrere dal 1º gennaio 2014, l’applicabilità delle agevolazioni prima casa risulta vincolata, ai fini dell’imposta di registro, alla categoria catastale in cui è classificato o classificabile l’immobile e non più alle 13 caratteristiche individuate dal decreto del ministro del Lavori pubblici del 2 agosto 1969”.
[A cura di: avv. Claudia Carmen Caruso e avv. Gaetano Fabio Fiamma – Uppi]
Il Tribunale di Catania, su richiesta degli avvocati Claudia Carmen Caruso e Gaetano Fabio Fiamma in difesa di un associato dell’ Uppi di Catania, ha emesso ex art. 423 c.p.c. un’ordinanza di ingiunzione di pagamento delle maggiori somme dovute dal proprietario – così come da contratto regolarmente sottoscritto – rispetto a quelle già corrisposte dall’inquilino ex art. 3 d.lgs n. 23/2011 a titolo di canone di locazione.
Il caso trae origine da un giudizio per sfratto per morosità, nel quale il G.I., in considerazione dell’opposizione dell’inquilino che chiedeva l’applicazione del d.lgs n. 23/2011, non ha convalidato l’intimato sfratto, disponendo la conversione del rito. Dopo aver esperito con esito negativo il tentativo di mediazione, all’udienza fissata dal G.I. la difesa dell’associato dell’Uppi di Catania ha rilevato che Corte Costituzionale prima con sentenza n. 50/2014 del 10.03.2014 ha dichiarato l’incostituzionalità dei commi 8 e 9 del d.lgs n. 23/2011, e poi con sentenza n. 169/2015 del 24.06.2015 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 1 della L. n. 80/2014, il quale testualmente recitava “Sono fatti salvi, fino alla data del 31.12.2015, gli effetti prodottosi e i rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati ai sensi dell’art. 3 commi 8 e 9 del d.lgs n. 23/12011”.
In forza delle due sentenze di incostituzionalità, ed in considerazione dell’esistenza dei presupposti e condizioni previsti dalla norma, gli avvocati Caruso e Fiamma hanno richiesto al G.I. ai sensi dell’art. 423 c.p.c. l’ingiunzione di pagamento delle differenze del canone. In particolare, le somme richieste non sono state contestate, atteso che l’inquilino non ha mai contestato l’importo pattuito a canone di locazione, ma si è limitato soltanto a chiedere l’applicazione del d.lgs n. 23/2011.
Il Tribunale di Catania dopo aver fatto un excursus storico sull’art. 3 comma 8 e 9 del d.lgs n. 23/2011, ha confermato il proprio orientamento in ordine alla possibilità di sanare la nullità del contratto di locazione tardivamente registrato. In particolare, ha affermato nella predetta ordinanza: “Conformemente all’indirizzo seguito da questa sezione, la nullità prevista dalla legge derivante dalla mancata o tardiva registrazione del contratto di locazione seppure tardiva, cioè intervenuta oltre i termini fissati dalla legge avuto riguardo al momento di stipula del negozio, determina una sopravvenuta sanatoria del contratto consentendo che lo stesso produca effetti”.
La difesa dell’associato dell’Uppi di Catania si sta attivando per dare esecuzione alla predetta ordinanza di ingiunzione, con la consapevolezza e l’amarezza che il nostro Stato, nonostante ben due sentenze di incostituzionalità, ha reintrodotto con la legge di Stabilità l’art. 1 comma 59, che sostanzialmente è una norma di salvaguardia degli effetti del d.lgs n. 23.
In caso di opposizione fondata sull’applicazione della predetta norma sarà sollevata nuovamente la questione di legittimità costituzionale con riserva di agire nei confronti di quei soggetti la cui condotta possa configurare la violazione del principio neminem ledere ex art. 2043 c.c..
Fermo restando quanto sopra, si rileva irragionevolezza della predetta norma nella parte in cui il Legislatore ha posto come limite temporale la data del 16 luglio 2015, legata alla pronuncia della sentenza della Corte Costituzionale n. 169/2015 anziché la data del 10.03.2014, corrispondente alla sentenza n. 50/2014 che ha dichiarato l’incostituzionalità dei commi 8 e 9 del d.lgs n. 23/2011.
[A cura di: avv. Roberto Negro – centro studi Appc]
Il Tribunale di Taranto, con la recente sentenza del 16/12/2015, ha enunciato e precisato il principio per cui i vizi relativi alla convocazione di uno o più condòmini e la eventuale carenza di legittimazione di delegato a partecipare all’assemblea del condominio, possono essere fatti valere solo dalla parte interessata e il condomino non può far valere in giudizio i vizi relativi alla convocazione inviata ad altri condòmini ovvero i vizi relativi al conferimento di delega, sempre quando ciò si riferisca ad altri condòmini.
Ad avviso del Tribunale di Taranto, il fatto di far valere tali vizi concreterebbe una forma di “annullabilità della delibera e non di nullità”. A sostegno della tesi sopra esposta, il Giudice di merito faceva riferimento nella succinta ma esaustiva motivazione, all’art. 1441 c.c., per cui l’annullamento del contratto può essere domandato solo dalla parte “nel cui interesse è stabilito dalla legge”, norma che riguarderebbe la materia contrattuale, ma che può trovare applicazione anche in ambito di impugnativa di assemblea di condominio, esprimendo “un principio generale” anche nel caso di richiesta di annullamento di delibera condominiale, per cui, e quale corollario, il Tribunale, visto che in carenza di impugnativa da parte dei condòmini nel cui interesse erano contemplate le norme sulla convocazione e sulla rappresentanza in assemblea, la delibera era venuta definitivamente a consolidarsi, sarebbe stato contradittorio il precludere una tale efficacia, ammettendo in materia la facoltà di impugnativa anche ai condòmini non direttamente interessati dalle assunte violazioni.
Veniva incidenter citata la pronuncia della Corte di Cassazione (sez. II civ. n. 9082/14), per cui “in materia di condominio negli edifici il condomino assente ma regolarmente convocato non può impugnare la delibera per difetto di convocazione di altro condomino, trattandosi di vizio che inerisce all’altrui sfera giuridica”.
Secondo il Tribunale di Taranto, tale interpretazione, di carattere evolutivo, sarebbe anche fondata sul nuovo testo dell’art. 66 disp. att. c.c., così come modificato dalla riforma del 2012.
Neppure potrebbe ritenersi, sempre ad avviso del Tribunale, che il potere di impugnativa previsto dal II comma dell’art. 1137 c.c. (anche post riforma), possa essere inteso come una sorta di deroga all’art. 1441 c.c., trattandosi di una previsione avente carattere generale sulla legittimazione di impugnare le delibere invalide e non prevedendo l’art. 1137, II comma, c.c., la possibilità di far valere “una violazione formale che riguardi esclusivamente un condomino diverso da quello che agisce in giudizio”.
In definitiva, il nuovo testo dell’art. 1137 c.c. non prevede la sussistenza di un interesse generale al “ripristino della legalità”, che sarebbe principio estraneo alla “logica privatistica” che informa l’istituto giuridico del condominio negli edifici.
Per completezza, si deve dire che la fattispecie presa in esame dal Tribunale di Taranto non riguarda le ipotesi di nullità della delibera dell’assemblea di condominio, e che la giurisprudenza antecedente alla riforma del 2012 aveva già stabilito il principio che ai sensi dell’art. 1137 c.c. le deliberazioni annullabili seguivano il regime giuridico previsto dall’art. 1441 c.c. e non il regime previsto dall’art. 1421 c.c., applicabile solo ai casi di nullità della delibera condominiale.
Si segnala il pronunciamento del Tribunale di merito in quanto parrebbe introdurre una interpretazione restrittiva sulla possibilità di impugnativa di delibera di condominio ai sensi dall’art. 1137 c.c., anche post riforma.
Ristrutturano casa
ma l’edificio scoppia
È stata, con ogni probabilità, una fuga di gas a causare la violenta deflagrazione che ha completamente raso al suolo un edificio di tre piani situato in un paesino della provincia di Trento. Nello scoppio hanno perso la vita un operaio 71enne, originario della zona, che stava effettuando lavori di ristrutturazione, e il proprietario, un 76enne di origini bolognesi. Per recuperare i corpi dei due uomini, sepolti sotto cumuli di macerie, è stato necessario l’intervento della squadra cinofila della Provincia.
Narcotizzano anziani
e svaligiano casa
Due anziani di 78 e 74 anni sono stati narcotizzati e derubati mentre si trovavano nella loro villetta in provincia di Treviso. I malviventi sono entrati in azione nel cuore della notte, passando dalla finestra della cucina e spruzzando del narcotico addosso ai due, per essere sicuri di agire indisturbati. Dopo aver rovistato tutta la casa, hanno rubato alcuni gioielli, un portafogli e le chiavi dell’auto del figlio dei coniugi. Quando l’allarme è scattato, la mattina dopo, la banda aveva già fatto perdere le proprie tracce. Sconvolta e stordita, è stata la donna 74enne a rendersi conto del furto.
Condannata 83enne
per lesione e danni
Tre mesi di reclusione per lesioni personali e danneggiamento. Questa la pena comminata ad un’anziana di 83 anni, residente in un comune del milanese, che 4 anni fa si era opposta ai lavori di ristrutturazione di una tubatura nell’androne. A commissionare la riparazione era stata la proprietaria di una caffetteria situata nel palazzo, dopo la rottura della condotta, in corrispondenza del passaggio, all’epoca di proprietà contesa tra le parti. La padrona del negozio aveva cercato di far proseguire i lavori ma era stata aggredita a colpi di scopa dall’anziana, finendo in ospedale.
Un 37enne muore in casa
a causa della stufa
Un uomo di 37 anni è morto intossicato durante il sonno, nel suo appartamento di Livorno, a causa dell’esalazione di fumo provocata da una stufa elettrica posta all’ingresso dell’alloggio. L’uomo era titolare di un ristorante molto conosciuto in città, che gestiva con il fratello. A dare l’allarme sono stati i vicini di casa, che avevano visto uscire fumo dalla porta d’ingresso. Una volta giunti sul posto, i vigili del fuoco hanno provveduto immediatamente a spegnere l’incendio e hanno trovato il il 37enne disteso a terra, privo di sensi. Inutili le manovre rianimatorie dei paramedici del 118.
Trovato morto in casa
dopo quasi un anno
Una macabra scoperta quella avvenuta in un piccolo paese della provincia di Trento, dove un uomo di 39 anni è stato ritrovato senza vita, dopo circa dieci mesi dalla morte. Originario della provincia di Venezia, era andato ad abitare in Trentino da 3 anni. Schivo, di poche parole, secondo i racconti dei vicini era solito chiudere gli scuri delle finestre sempre più spesso. Infermiere Oss di professione, era rimasto senza lavoro da tempo e non pagava né affitto né bollette. Il cadavere è stato trovato all’atto della notifica del provvedimento di sfratto.
Legge di Stabilità con particolare riferimento alla tassazione immobiliare. È l’oggetto di alcuni contributi pubblicati recentemente dal Consiglio nazionale del Notariato e consultabili integralmente sul sito www.notariato.it. Tra le ultime relazioni spiccano, in particolare, quelle sugli acquisti della prima casa di abitazione e sul leasing finanziario abitativo.
PRIMA CASA
Il comma 55 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016) modifica la disciplina dei trasferimenti della prima casa di abitazione incidendo, sotto il profilo temporale, su una delle condizioni di cui alla Nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, D.P.R. n. 131/1986, al fine di adeguare la suddetta disciplina alle attuali esigenze e difficoltà della contrattazione immobiliare. Infatti, la nuova norma consente che la condizione relativa alla non prepossidenza di un’altra abitazione acquistata con le agevolazioni di cui alla lett. c) della Nota II-bis cit. si possa verificare anche successivamente al trasferimento agevolato, considerando egualmente meritevole del trattamento di favore, rispetto ad un nuovo acquisto, il contribuente che abbia già acquistato un’abitazione usufruendo delle agevolazioni indicate nella lettera c) e l’alieni successivamente al suddetto nuovo acquisto, purché entro un anno. Tale considerazione e la collocazione della disposizione nell’ambito della nota II-bis all’art. 1 della tariffa cit. inducono a ritenere tendenzialmente applicabile agli acquisti in essa contemplati la disciplina prevista sotto vari profili per i trasferimenti della prima casa di abitazione.
LEASING
La legge di stabilità 2016 (art. 1, commi 82-84, l. 28 dicembre 2015, n. 208) reca alcune disposizioni di carattere fiscale in tema di leasing finanziario abitativo applicabili dal 1° gennaio 2016 al 31 dicembre 2020, ed in particolare:
* una detrazione Irpef con riguardo ai “canoni e relativi oneri accessori” ed al “costo di acquisto a fronte dell’esercizio dell’opzione finale” – a determinate condizioni – a favore degli utilizzatori di immobili concessi in locazione finanziaria e destinati ad abitazione principale;
* un’aliquota ridotta dell’imposta di registro proporzionale (pari all’1,5%) per i trasferimenti nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari autorizzati all’esercizio del leasing finanziario di immobili acquisiti in locazione finanziaria da parte di utilizzatori per i quali ricorrono le condizioni relative all’acquisto della prima casa di abitazione;
* l’imponibilità ai fini dell’imposta di registro delle cessioni dei contratti di leasing, da parte degli utilizzatori, anche aventi ad oggetto fabbricati abitativi, con la previsione di distinte aliquote dell’imposta di registro in ragione della ricorrenza o meno in capo agli utilizzatori/cessionari delle condizioni per l’acquisto della prima casa di abitazione.
Lo studio esamina queste previsioni, le quali sembrano considerare l’accesso alla proprietà dell’abitazione realizzata mediante il ricorso allo strumento contrattuale del leasing finanziario equivalente, a determinati effetti fiscali, ad un acquisto diretto (eventualmente finanziato con un mutuo ipotecario) della stessa; e con specifico riguardo all’imposizione indiretta dell’acquisto di immobile abitativo mediante leasing finanziario, si propone di approfondire anche l’applicabilità, rispetto ai trasferimenti a favore della società di leasing, di quanto disposto, in primo luogo, dalla nota II-bis all’art. 1 della tariffa, parte prima, D.P.R. n. 131/1986 e, in secondo luogo, dalle altre disposizioni che regolano, sotto altri profili, gli acquisti della prima casa.
[A cura di: avv. Rosa Maria Ghirardini – vice segr. naz. Appc]
Provvedimento dalla tematica inedita quello del Tribunale di Roma del 27 novembre 2015, relativo alla trascrivibilità degli accordi amichevoli raggiunti all’esito del procedimento di mediazione civile e commerciale, previsto e disciplinato dal D. Lgs. 4 marzo 2010, n. 28. Il provvedimento del collegio capitolino muove dal reclamo proposto da un notaio avverso la decisione del conservatore del competente registro immobiliare di trascrivere, ma soltanto con riserva ex art. 2674-bis c.c., un atto di divisione immobiliare stipulato dai contraenti in sede di mediazione con sottoscrizioni autenticate da un pubblico ufficiale.
Le perplessità del conservatore erano legate alla circostanza che la figura dell’accordo amichevole non comparirebbe, quantomeno esplicitamente, nel novero degli atti negoziali suscettibili di trascrizione ai sensi dell’art. 2643 c.c., tra cui non rientra la divisione di immobili e non potendo l’atto in questione essere definito come transazione, viceversa contemplato dal successivo art. 2646 c.c..
Il tribunale di Roma, nell’aderire alla ricostruzione giuridica operata dal notaio, muove innanzitutto dalla portata letterale dell’art. 11, comma 3, D. Lgs. n. 28 del 2010, secondo cui “se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’articolo 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato”.
Evidenzia che le ragioni della trascrivibilità dell’accordo vanno rinvenute nel testo del D. Lgs. 28 del 2010 e non nelle disposizioni codicistiche in materia di trascrizione, con prevalenza – per il principio di specialità – del primo sulle seconde, e che contradditorie con la previsione dell’obbligatorietà della mediazione per alcune materie (tra le quali proprio le divisioni immobiliari) sarebbero la non trascrivibilità dell’accordo e la sua impossibilità di spiegare gli effetti tipicamente connessi alla pubblicità immobiliare.
Ecco quindi che la conclusione cui pervengono i giudici capitolini è quella della trascrivibilità di tutti gli accordi amichevoli contenenti atti o negozi giuridici suscettibili di trascrizione ai sensi del codice civile, ma solo se muniti di sottoscrizione autenticata da pubblico ufficiale.
Il richiamo dell’art. 11 del D. lgs. 28/2010 all’art. 2643 c.c. va inteso come riferito agli atti soggetti a trascrizione “laddove la particolare menzione fatta dalla legge agli atti e contratti elencati dall’art. 2643 c.c. sembra esprimere il diverso intendimento di sottolineare che l’accordo di mediazione non è un tipo contrattuale a se stante, ma solo l’involucro esterno, l’occasione in cui viene concluso il contratto il quale conserva perciò le tipologia che gli è propria e non si trasforma, solo perché stipulato in sede di mediazione, in qualcos’altro, con la sola particolarità che, ai fini della sua trascrizione, è espressamente richiesta l’autenticazione delle sottoscrizioni da parte di un notaio, ai fini della verifica delle conformità del contenuto dell’atto alle prescrizioni di legge”.
Difficile, comunque, intaccare la lobby dei notai, che trova ampia protezione presso i nostri politici. Le commissioni Finanza e Attività Produttive della Camera, come è noto, hanno approvato emendamenti soppressivi dell’articolo 28 del ddl concorrenza, che dava agli avvocati la possibilità di autenticare gli atti di compravendita di immobili adibiti ad uso non abitativo (quindi non residenziali, ma ad esempio box e negozi) dal valore inferiore ai 100mila euro, rendendo a ciò ancora indispensabili i notai. Sorprendente è pure la posizione dell’Antitrust, che si è spinta sino al punto di auspicare la eliminazione del divieto di pubblicità comparativa e suggestiva tra avvocati, ma non ha speso una parola – occupandosi dei notai – per stigmatizzare la decisione del Parlamento di emendare l’originario disegno di legge nella parte in cui prevedeva, come anzidetto, l’attribuzione agli avvocati di alcune limitate competenze in materia di trasferimenti di immobili: dunque, per l’Antitrust la pubblicità selvaggia di un servizio professionale favorisce la concorrenza mentre la apertura del mercato delle compravendite immobiliari ad altri professionisti, che peraltro già se ne occupano quando assumono l’incarico di curatore o di delegato alle vendite giudiziarie, non è benefica.
Insomma, la concorrenza sarà pure un valore nel quale bisogna credere incondizionatamente, ma non per tutte le categorie professionali.
[A cura di: Confedilizia]
Nell’ambito della lotta alle occupazioni abusive, l’art. 5, comma 1, d.l. n. 47 del 28.3.2014 (come convertito in legge) prevede che chiunque occupi abusivamente un immobile senza titolo non possa “chiedere la residenza né l’allacciamento a pubblici servizi in relazione all’immobile medesimo, e gli atti emessi in violazione di tale divieto siano nulli a tutti gli effetti di legge”. Sempre la stessa disposizione stabilisce anche che “gli atti aventi ad oggetto l’allacciamento dei servizi di energia elettrica, di gas, di servizi idrici e della telefonia fissa, nelle forme della stipulazione, della volturazione, del rinnovo”, siano “nulli”, e pertanto non possano essere stipulati o comunque adottati, “qualora non riportino i dati identificativi del richiedente e il titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare in favore della quale si richiede l’allacciamento”. A tal fine, si dispone che i richiedenti consegnino “ai soggetti somministranti idonea documentazione relativa al titolo che attesti la proprietà, il regolare possesso o la regolare detenzione dell’unità immobiliare, in originale o copia autentica”, oppure rilascino “dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà” ai sensi dell’art. 47 d.p.r. n.445/2000.
Al riguardo, con circolare n. 1778 del 6.8.2014, il Ministero dell’interno ha successivamente chiarito che anche nelle ipotesi dell’iscrizione anagrafica (analogamente a quanto la norma de qua prevede per i contratti relativi alle forniture di pubblici servizi) sia necessario acquisire la documentazione idonea a dimostrare il titolo di occupazione; e ciò anche attraverso la predetta dichiarazione sostitutiva di notorietà, “corredata dalle informazioni necessarie ai fini di verificare la veridicità delle informazioni rese”.
Sulla base di quanto precede, emerge, quindi, che i Comuni, ove non acquisiscano la documentazione comprovante il titolo di occupazione (es.: contratto di locazione), bensì la dichiarazione sostitutiva, debbano necessariamente informare dell’avvenuta richiesta di residenza in un immobile il proprietario dello stesso, solo così potendo, all’evidenza, “verificare la veridicità delle informazioni rese”. Conclusione, questa, che consente, peraltro, di superare anche la questione se la normativa che disciplina le iscrizioni anagrafiche (d.p.r. n. 223 del 30.5.1989) imponga o meno di dare debita comunicazione ai proprietari interessati.
Deve ritenersi, infine, che, essendo gli atti emessi in violazione del divieto di cui al citato art. 5, “nulli a tutti gli effetti di legge”, i proprietari in questione possano in qualsiasi tempo contestare le dichiarazioni rese, non veritiere.
Chiudono luce e acqua
per prendere spacciatori
Sospendere l’erogazione di acqua, luce e gas. Questa volta non per un problema di morosità ma per stanare un gruppo di spacciatori barricatisi in una casa della periferia di Torino. Lo stratagemma messo in atto dai carabinieri ha funzionato: i quattro malviventi, un 14enne e tre giovani di età compresa tra 19 e 21 anni, sono stati costretti ad uscire dall’abitazione, dove ad attenderli c’erano i militari dell’Arma. Durante la successiva perquisizione, sono state sequestrate dosi di cocaina, 2.330 euro in contanti, cellulari, tablet e 6 computer portatili, presumibilmente ricevuti in cambio della droga.
Il ladro funambolo
è arrestato dai militari
Un giovane di 26 anni, pluripregiudicato, è stato colto in flagranza e arrestato per tentato furto dai carabinieri di un comune in provincia di Cuneo. A dare l’allarme sono stati i vicini di casa che lo avevano notato rovistare all’interno di un appartamento, situato all’ultimo piano del proprio palazzo. Il 26enne aveva letteralmente scalato la facciata dell’edificio attraverso i tubi di scolo collegati alla grondaia. Una volta arrivati i militari, aveva tentato di nascondersi nei garage, ma senza risultato. Posto agli arresti domiciliari, se la caverà con 6 mesi di reclusione.
Esplode la lavatrice:
palazzina in fiamme
Due persone intossicate e 13 famiglie costrette a passare la notte fuori casa. Questo il bilancio del singolare incendio che si è sviluppato in uno stabile di Udine, a pochi passi dal centro città. Dai rilievi effettuati dai vigili del fuoco, la causa sarebbe imputabile allo scoppio di una lavatrice in un appartamento del quarto piano. A nulla sono servite le secchiate d’acqua lanciate dai residenti per domare il rogo. Le fiamme si sono sviluppate rapidamente, distruggendo l’intero alloggio e danneggiando quelli limitrofi. Soltanto una lieve intossicazione per i proprietari, trasportati in ospedale per precauzione.
Sorprende i ladri in casa:
accoltellato 14enne
Se l’è cavata con una notte in ospedale, 8 giorni di prognosi e tanto spavento il ragazzino di 14 anni aggredito nella sua casa di Milano da un commando di ladri d’appartamento. I malviventi, in due e a volto coperto, sono entrati in casa dalla finestra, pensando non vi fosse nessuno. Quando hanno visto il 14enne si sono appostati dietro al frigorifero e hanno tentato di afferrarlo. Durante la colluttazione, i banditi hanno tirato fuori un coltello e ferito il giovane al fianco sinistro, lasciandolo a terra per poi fuggire a gambe levate.
Nipote uccide la zia
con la sega elettrica
Ci sono volute lunghe ore di trattative da parte dei carabinieri per stanare e trarre in arresto l’uomo di 68 anni che, in preda a un raptus di follia, aveva ucciso nel pomeriggio la propria zia, a colpi di motosega. L’anziana viveva con lui in un condominio del centro di Mestre, in un appartamento a due piani di distanza dalla vittima. Sono stati gli stessi vicini di casa a dare l’allarme, dopo aver visto il 68enne andare su e giù per le scale, impugnando una motosega sporca di sangue.
[a cura di: avv. Chiara Magnani – associazione Foro Immobiliare]
Con la sentenza n. 305 del 12/01/2016 la Cassazione statuisce come la nullità della delibera possa essere rilevata d’ufficio, anche dal giudice innanzi al quale è stato promosso il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, ancorché mai impugnata dal condomino. Nella fattispecie, due condòmini, destinatari di un decreto ingiuntivo per l’omesso pagamento di oneri condominiali come risultanti dal riparto delle spese straordinario regolarmente approvato in sede assembleare, si opponevano al decreto ingiuntivo azionato nei loro confronti dal condominio, rilevando come nella quota a loro ingiunta fossero inclusi anche importi relativi ad opere eseguite sul loro balcone e dai medesimi mai autorizzate.
Gli opponenti, che non avevano impugnato la delibera, rilevavano, infatti, come la delibera del 2003 mediante la quale era stata decisa di effettuazione di lavori straordinari nello stabile fosse affetta da nullità in quanto comprensiva anche di interventi da realizzarsi sulle parti di proprietà esclusive e come l’assemblea mai avrebbe potuto deliberare in materie coinvolgenti le proprietà individuali. La Corte, pertanto, accoglieva il ricorso dei condòmini evidenziando come la delibera del 2003 fosse chiaramente nulla (con la sentenza 4806/2005 la Cassazione ha ben individuato il discrimine tra le delibere nulle e annullabili e come “…debbono qualificarsi nulle….le delibere con oggetto che non rientra nella competenza dell’assemblea, le delibere comunque invalide in relazione all’oggetto, le delibere che incidono…sui diritti individuali o sulla proprietà esclusiva di ognuno dei condomini…), e come, in caso di delibera nullità, il vizio possa essere fatto valere in ogni stato e grado del procedimento nonché rilevato d’ufficio dal giudice in qualsivoglia sede adito: solo in caso di delibere annullabili e non ritualmente impugnate innanzi alla competente autorità è preclusa, al giudice dell’eventuale giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la rilevabilità del vizio. Siffatta preclusione, invece, non opera in caso di delibera nulla, tanto più se si considera come nella maggior parte dei casi, come è anche quello esaminato dalla Suprema Corte, proprio la delibera, poi successivamente dichiarata nulla, risulti essere dal condominio posta a fondamento del ricorso per ingiunzione.