“Nel mio
condominio è stato deliberato di sostituire le antenne televisive private con
un’antenna centralizzata. Tale spesa può essere detratta?”. Questo il quesito
posto da un contribuente all’apposito servizio dell’Agenzia delle Entrate. Di
seguito, la risposta di Gianfranco Mingione: l’esperto che cura la rubrica
della posta fiscale su “Nuovo FiscoOggi”, la rivista ufficiale delle Entrate.
“La sostituzione delle antenne private con un’antenna televisiva centralizzata
rientra tra le opere per le quali è possibile fruire del bonus ristrutturazioni
(circolare ministeriale n. 57/1998 e guida dell’Agenzia delle Entrate – Ristrutturazioni
edilizie: le agevolazioni fiscali). La detrazione spetta nella misura
maggiorata al 50% – invece dell’ordinario 36% – per le spese sostenute fino al
31 dicembre 2016, come stabilito dalle legge di Stabilità 2016”.
[Fonte: Assonime]
Ai fini della legittimità delle tariffe fissate dal Comune per la determinazione della tassa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, la decisione di legittimità in commento (Cassazione, 16972/2015) ribadisce un principio già espresso dalla propria giurisprudenza sull’irrilevanza della destinazione catastale e ne enuncia altri riguardo al calcolo della cennata tariffa da applicare ai fabbricati destinati all’attività di bed and breakfast da parte di privati.
Sull’irrilevanza della destinazione catastale viene in rilievo la normativa regionale su tale attività attuata con la legge regionale n. 5/2001, il cui articolo 1 statuisce che lo svolgimento di tale attività in un immobile non ne modifica la destinazione d’uso, con l’effetto di poter confermare la pronuncia di legittimità (citata da questa in commento) 10 agosto 2010, n. 18501, per la quale, se un Comune articola la Tarsu per fasce di utenza, distinguendo la tariffa domestica da quella non domestica, è soggetto passivo di Tarsu secondo la tariffa non domestica il proprietario di un immobile, pur classificato catastalmente come abitazione civile, che presti al locatario servizi eccedenti la locazione e propri dell’attività alberghiera.
Nella controversia oggetto della decisione del Supremo Collegio in nota si discute, poi, della legittimità della delibera commissariale di un Comune, in riferimento alle aliquote ivi previste per l’attività di B&B, svolta nell’immobile, legittimità ammessa dalla Commissione Tributaria provinciale e, invece, esclusa dal giudice di appello a favore dell’applicazione dell’aliquota fissata per gli immobili adibiti a civile abitazione.
In ordine al criterio di determinazione della tariffa per l’attività di bed and breakfast, la suddetta disciplina regionale, quindi, esclude alcuna discrezionalità per l’ente impositore come evincibile dall’articolo 49 del D. lgs n. 22/1997, il cui sesto comma prevede che il Comune possa istituire tariffe differenziate per fasce di utenza che distinguano l’uso domestico e quello non domestico, previo accertamento dell’uso effettivo dei relativi immobili.
La sentenza del Supremo collegio in rassegna conferma tale assunto ritenendo, altresì, come rientri nella nozione di comune esperienza – salva prova contraria da parte del contribuente – che l’attività di bed & breakfast dia luogo a un’attività di ricezione-ospitalità e somministrazione di alimenti e bevande, con produzione di rifiuti certamente differenti e superiori a un’utenza residenziale.
Ne consegue la legittimità della delibera del Comune, pur nell’ambito della destinazione a civile abitazione, di applicazione di una tariffa differenziata per l’uso che si fa di un immobile, “verificando l’utilizzo in concreto da parte del proprietario di servizi come il cambio della biancheria, la pulizia dei locali, la fornitura del materiale di consumo a fini igienico-sanitari, la manutenzione ordinaria degli impianti e gli altri analoghi, quando tali servizi non siano riferibili solo al proprietario, ma anche ai clienti della struttura adibita a bed & breakfast”.
In ordine alla commisurazione delle superficie da tenere in conto per la determinazione della tariffa, la decisione della Corte regolatrice del diritto in commento ha dichiarato l’illegittimità di una tassa applicata alle porzioni immobiliari destinate all’attività di bed & breakfast determinata con le stesse modalità di quella dovuta dagli alberghi, dovendosi escludere le aree scoperte pertinenziali o accessorie delle abitazioni a tal scopo utilizzate. Tale esclusione è giustificata dalla sentenza della Corte di legittimità in rassegna in forza della circostanza che per gli immobili destinati all’attività di bed & breakfast si rinviene un uso equiparato alle utenze domestiche, per le quali l’articolo 62 del D. lgs n. 507/1993 considera solo le aree coperte, con conseguente esclusione dal calcolo della Tarsu dei balconi, terrazze, posto macchina e altre aree scoperte.
Tale ultima affermazione pare, a nostro modesto avviso, contrastare col principio di diritto della legittima previsione di una sottocategoria (C4) con valori e coefficienti di quantità e qualità intermedi tra le sottocategorie di civile abitazione (C1) e alberghi (C4), che tenga conto della promiscuità tra l’uso normale abitativo e la destinazione ricettiva a terzi, ossia di una tariffa che si pone nella posizione mediana tra abitazioni e edifici commerciali, in quanto anche tali spazi vengono utilizzati dai fruitori di tale servizio di ospitalità e somministrazioni di cibi e bevande.
[A cura di: avvocato Marco Perrina – Uppi]
Con una recente pronuncia (n. 19131 del 2015), la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che, riguardo al computo delle maggioranze minime necessarie per la valida approvazione di una delibera assembleare, dette maggioranze sono inderogabili e non possono essere ridotte.
IL CASO PARTICOLARE
Il su menzionato principio generale è stato espresso dalla Corte di legittimità relativamente ad una controversia inerente l’impugnazione di una delibera assembleare avente a oggetto la promozione di un giudizio nei confronti di un condomino. Nel caso di specie, nel computo della maggioranza necessaria per l’attivazione del giudizio (500 millesimi) il condominio aveva eseguito il seguente calcolo: dai canonici 1.000 millesimi venivano sottratti quelli di pertinenza dei condòmini in conflitto di interessi (pari a 87,94 millesimi), sicché doveva considerarsi un valore complessivo dell’edificio pari a 912,06 millesimi. La maggioranza minima (ovvero il quorum) veniva, dunque, calcolato sul voto favorevole di tanti condòmini che rappresentavano 456,03 millesimi (ossia la metà di 912,06 millesimi).
La Corte d’Appello, ribaltando la sentenza di primo grado, avallava il ragionamento del condominio, poiché a suo avviso: non essendovi dubbio che i condòmini appellati fossero in conflitto di interessi (avendo gli stessi dichiarato a verbale di volersi astenere dal voto per avere un interesse proprio), si doveva ritenere che, ai fini del calcolo delle maggioranze, non si dovesse conteggiare il valore delle quote di partecipazione condominiale e i voti spettanti ai condòmini in conflitto di interessi con il condominio in relazione all’oggetto della delibera.
La Corte d’appello perveniva a tale conclusione (ravvisandone l’identità di ratio), ricorrendo all’applicazione analogica dell’articolo 2373, comma 1, del codice civile (nel testo antecedente a quello introdotto dal decreto legislativo n. 6 del 2003, di riforma del diritto societario), secondo il quale nel caso in cui un socio versi in situazione di conflitto d’interessi con la società e non possa, perciò, esercitare il diritto di voto nelle deliberazioni dell’assemblea a norma dell’articolo 2373, comma 1, del codice civile, il quorum deliberativo deve essere computato non già in rapporto all’intero capitale sociale, bensì in relazione alla sola parte di capitale facente capo ai soci aventi diritto al voto, con esclusione dunque della quota del socio che versi in conflitto di interessi, della quale, invece, deve tenersi conto ai fini del quorum costitutivo, ai sensi dell’ultimo comma del citato articolo 2373.
La Suprema corte, alla luce del principio sopra indicato, ha cassato la sentenza d’appello.
NIENTE RINVIO AL DIRITTO SOCIETARIO
La sentenza in esame ricorda, invece, che già nel 2002 una pronuncia della Suprema corte aveva affrontato la tematica relativa alla estendibilità della disciplina delineata per le società di capitali al condominio, pervenendo a una soluzione negativa (Cassazione 30 gennaio 2002 n. 1201).
La questione giuridica da affrontare era, in sintesi, la seguente: se, nel condominio, ai fini del computo del cosiddetto quorum deliberativo, in presenza di condòmini in conflitto di interessi, le doppie maggioranze (variabili in ragione dell’oggetto della delibera) vadano calcolate con riferimento a tutti i condòmini (elemento personale, variabile da condominio a condominio) e al valore dell’intero edificio (elemento reale, espresso convenzionalmente in millesimi); oppure se si debba tener conto soltanto del numero di condòmini e dei millesimi facenti capo ai condòmini che non versano in conflitto di interessi. In altri termini, si deve stabilire se dal numero di condòmini (come detto, variabile da caso a caso) e dal valore dell’intero edificio (pari sempre a 1.000 millesimi) si debba detrarre la quota (personale e reale) rappresentata da quei condòmini che si trovano in situazione di conflitto di interessi ai fini del raggiungimento della maggioranza richiesta per la valida approvazione della delibera.
L’arresto del 2002 era giunto a escludere l’estensione del principio affermato nell’ambito societario, evidenziando la diversa natura del condominio rispetto alle società di capitali: mentre le società di capitali perseguono un fine gestorio autonomo (ovvero uno scopo-fine, consistente nella ripartizione degli utili tra i soci), ciò non si verifica nel condominio in quanto la gestione delle cose e degli impianti comuni è fine a se stessa ed è strumentale esclusivamente al godimento individuale dei piani o porzioni di piano in proprietà solitaria.
INDEROGABILITÀ DELLE MAGGIORANZE
Conseguentemente, deriva la conferma che il computo delle maggioranze (specialmente di quelle qualificate) deve essere effettuato secondo le modalità stabilite dalla legge senza possibilità di deroga (verso il basso), poiché il principio maggioritario è stato fissato dal legislatore proprio al fine di garantire i diritti dei singoli partecipanti sulle parti comuni e sul godimento delle unità immobiliari di proprietà esclusiva.
Oltretutto, l’inderogabilità (in meno) delle maggioranze richieste dalla legge (sia ai fini costitutivi sia a quelli deliberativi) si desume in modo incontrovertibile dall’articolo 1138, comma 4, del codice civile, laddove si stabilisce, altresì, che il regolamento contrattuale non può derogare alle disposizioni dell’articolo 1136 del codice civile (ovvero la disposizione che disciplina le maggioranze).
Pertanto, le maggioranze prescritte dalla legge (quorum costitutivi e deliberativi) non possono essere derogate in via negoziale neppure con il consenso di tutti i condòmini (in tal senso, Cassazione 9 novembre 1998 n. 11268).
IMPOSSIBILITÀ DI FORMAZIONE DELLA MAGGIORANZA
Qualora, a causa dell’elevato numero di condòmini in conflitto di interessi o dell’elevato numero di millesimi facenti capo anche a un solo condomino, non si possano raggiungere le maggioranze necessarie ai fini della valida approvazione di una delibera assembleare, ciascun condomino potrà rivolgersi all’autorità giudiziaria ai sensi dell’articolo 1105, comma 4, del codice civile (che, benché dettato in tema di comunione, si applica anche al condominio in forza del rinvio operato dall’articolo 1139 del codice civile “per quanto non è espressamente previsto” dalla disciplina condominiale).
Spetterà, dunque, al giudice valutare se la deliberazione richiesta sia funzionale o meno agli interessi della collettività condominiale.
Condòmino aggredito.
In manette un 56enne
Un uomo di 44 anni, residente in un condominio di Roma, è stato aggredito a martellate da un cittadino di 56 anni che si era introdotto nottetempo nel cortile del suo palazzo. Il 56enne aveva reagito alla richiesta di spiegazioni circa la sua presenza in quel luogo, colpendo il 44enne e provocandogli lesioni alla testa e alla mano. I carabinieri sono intervenuti poco dopo, riuscendo a rintracciare ed arrestare l’aggressore, trovato ancora in possesso del martello.
Rapina in alloggio
con pistola e machete
Sono ancora ricercati i tre uomini tra i 20 e i 30 anni che hanno messo a segno una rapina ai danni degli inquilini di un appartamento in provincia di Venezia. I tre malviventi, armati di pistola, machete e coltello, hanno fatto irruzione nell’abitazione in cui vivevano altrettanti giovani, e si sono fatti consegnare un televisore, un cellulare e una somma di denaro. Sull’episodio indagano i carabinieri. Probabilmente si è trattato di un regolamento di conti dal quale è scaturita la rapina.
Partorisce in casa
con un mese d’anticipo
Una storia a lieto fine per una mamma 39enne residente in una piccola comunità della provincia di Trento e per il suo bimbo appena nato. Protagonista, proprio il neonato, che ha “deciso” di venire alla luce all’improvviso, con un mese e mezzo di anticipo rispetto alla data prevista, e senza aspettare che la donna si recasse in ospedale. Ostetrici per un giorno sono stati il marito e la vicina di casa. Poco dopo l’arrivo dell’elisoccorso, madre e figlio sono stati portati in ospedale per accertamenti. Fortunatamente stanno bene.
Rincorre il ladro
incrociato sulle scale
Un ladro d’appartamento di 60 anni è stato arrestato dai carabinieri di Rieti grazie alla reazione dello stesso condomino vittima del tentativo di furto. Se il colpo non è andato a segno, infatti, è grazie al rientro a casa del proprietario che, dopo aver notato il 60enne allontanarsi di gran carriera, ha reagito prontamente mettendosi all’inseguimento e bloccando il topo d’appartamento, in seguito arrestato dai militari dell’Arma. È riuscito a far perdere le sue tracce, invece, l’altro complice.
Vicino di casa e ladro
Pizzicato da telecamere
Pensavano di aver riposto male o addirittura di aver smarrito gioielli, soldi e oggetti di valore. E invece a rubarli, giorno per giorno, un oggetto alla volta, era stato l’anziano vicino di casa di 69 anni. A cogliere il ladro con le mani nel sacco, la telecamera di videosorveglianza che i proprietari avevano fatto installare. La scoperta, mentre erano fuori città per le vacanze: le immagini della telecamera, trasmesse in diretta sul portatile, stavano immortalando il 69enne intento a introdursi in casa grazie al doppione delle chiavi (che gli avevano dato in passato), aggirandosi in cerca di qualcosa. L’uomo è stato denunciato dai carabinieri per furto aggravato e continuato.
Numerose le novità in materia di fiscalità locale sugli immobili previste dalla legge di Stabilità. L’Agenzia delle Entrate ha posto l’accento su alcuni dei provvedimenti principali, sintetizzando i contenuti delle relative misure.
Sull’abitazione principale niente più Tasi. L’abitazione principale (cioè l’immobile in cui il possessore e il suo nucleo familiare risiedono anagraficamente e dimorano abitualmente), dopo essere stata affrancata dall’Imu a partire dal 2014, da quest’anno è esentata anche dalla Tasi, ossia il tributo sui servizi indivisibili del Comune (manutenzione delle strade, illuminazione pubblica, ecc.). L’esonero, sancito dal comma 14 della Stabilità 2016, è riconosciuto esclusivamente agli immobili con destinazione abitativa accatastati in una categoria diversa dalla A/1 (abitazioni signorili), dalla A/8 (ville) e dalla A/9 (castelli e palazzi di eminente pregio artistico o storico), e alle relative pertinenze. In relazione a queste ultime, si tratta delle unità immobiliari censite nelle categorie catastali C/2 (magazzini e locali di deposito), C/6 (stalle, scuderie, rimesse e autorimesse) e C/7 (tettoie chiuse o aperte); l’esenzione spetta a una sola unità per ciascuna categoria, eventuali ulteriori pertinenze (ad esempio, il secondo box) sono trattate come “altri fabbricati”.
L’esenzione è prevista non solo per il possessore che utilizza l’appartamento come abitazione principale, ma anche per il detentore (inquilino o comodatario) che impiega l’immobile come propria abitazione principale, quindi non anche nelle altre ipotesi (ad esempio, la casa affittata per finalità diverse, il negozio, lo studio, ecc.). L’occupante, infatti, in base alla disciplina Tasi, è tenuto a pagare una parte del tributo complessivamente gravante sull’immobile, compresa tra il 10 e il 30%, secondo quanto stabilito dal regolamento comunale; se l’amministrazione locale non decide in proposito, la quota a carico del detentore si intende fissata al 10%. Dal 2016, dunque, l’inquilino (o il comodatario) che detiene l’immobile, fissandovi la residenza anagrafica e la dimora abituale, cioè adoperandolo come abitazione principale, non deve più versare la sua parte di Tasi. Ciò non comporta un aggravio della tassazione per il possessore (proprietario o titolare di altro diritto reale), il quale continua a pagare esclusivamente la percentuale (tra il 70 e il 90%) di sua spettanza.
Base Imu dimezzata per la casa in uso a figli o genitori. Il comma 10 della Stabilità 2016 interviene in materia di Imu sugli immobili dati in uso gratuito ai parenti in linea retta entro il primo grado (cioè, genitori e figli), che li utilizzano come abitazione principale, ossia vi hanno la residenza anagrafica e la dimora abituale. Per il 2015, al verificarsi di tale circostanza, i Comuni potevano considerare l’immobile abitazione principale, stabilendo che il beneficio operasse soltanto in relazione alla quota di rendita catastale non eccedente i 500 euro oppure se il comodatario apparteneva a un nucleo familiare con Isee non superiore a 15mila euro annui; in presenza di più unità immobiliari, l’agevolazione era applicabile a una sola di esse.
Dal 2016, invece, le amministrazioni locali non hanno più tale facoltà ma, per l’immobile non accatastato come A/1, A/8 o A/9 e dato in comodato d’uso a figli o genitori che lo utilizzano come abitazione principale, spetta ex lege la riduzione al 50% della base imponibile. Per aver diritto al beneficio, è richiesto che il contratto di comodato venga registrato e che il comodante possegga un solo immobile in Italia e abbia la residenza anagrafica e la dimora abituale nello stesso Comune in cui si trova la casa data in uso ovvero, oltre a quest’ultima, possieda nello stesso comune un altro appartamento non “di lusso” adibito a propria abitazione principale. Inoltre, è richiesto che il possesso di tali requisiti venga attestato dal contribuente nella dichiarazione Imu.
“I locali commerciali dei piccoli centri cittadini sono a rischio di estinzione. Ogni anno centinaia di attività commerciali chiudono i battenti o si spostano nei centri commerciali periferici ai centri abitati, incrementando il processo di desertificazione dei centri storici. Occorrono politiche di pianificazione urbanistica e incentivi fiscali che agevolino i commercianti a ritornare nel centro delle piccole e medie città”. A denunciarlo è la Fimaa Confcommercio, che aggiunge: “Partendo da tali presupposti, non possiamo che condividere in toto la proposta d’introdurre la cedolare secca per le locazioni commerciali per dare nuovo slancio al mercato e calmierare il prezzo degli affitti. Una soluzione propositiva per il mercato immobiliare, che potrebbe giovarsi del recupero edilizio dei tanti locali commerciali in disuso o peggio ancora abbandonati, a vantaggio del decoro delle città. È un modo efficace per combattere la desertificazione aiutando nel contempo la ripresa immobiliare”.
La Federazione degli agenti e mediatori d’affari, spiega che “Negli anni ’80 e ‘90 molti cittadini hanno investito i loro risparmi in immobili ubicati in zone centrali anche per poter usufruire dei servizi e dei tanti vantaggi correlati alla posizione, come quello di fare la spesa senza la necessità dell’utilizzo dei propri mezzi, a beneficio dell’ambiente. Oggi, paradossalmente, proprio a causa della chiusura dei locali commerciali nei centri storici, gli stessi cittadini sono costretti a lunghe maratone in mezzo al traffico per raggiungere i centri commerciali ubicati nelle periferie”.
Ma non è tutto. Il presidente Fimaa, Santino Taverna, pone l’accento anche sul fatto che “la desertificazione dei centri storici riguarda pure il tema della sicurezza. Le vetrine spente e le saracinesche abbassate dei negozi dei centri storici delle piccole e medie città sono spesso l’anticamera della criminalità, che alimenta l’insicurezza dei cittadini. Favorire il recupero attraverso la riqualificazione energetica del già edificato, permetterebbe molteplici vantaggi per la comunità, contribuendo nel contempo alla ripresa del mercato immobiliare”.
Il presidente di Assoedilizia, Achille Colombo Clerici, pone invece l’accento soprattutto sul tema della fiscalità immobiliare : “Contro la crisi del commercio retail nelle grandi città, Confcommercio ha chiesto al Governo l’introduzione della cedolare secca sui canoni di locazione non abitativa. Riteniamo che questa misura possa veramente concorrere in modo serio alla soluzione del problema, in quanto introdurrebbe un fattore di forte calmieramento del costo degli affitti commerciali. Da un lato l’alleggerimento della pressione fiscale per il locatore e dall’altro il superamento del meccanismo dell’incremento del canone, compresa la rivalutazione Istat, per il conduttore, costituiscono due elementi di freno al rincaro progressivo dei canoni, causa, tra le principali, dell’abbandono o della delocalizzazione delle attività commerciali”.
Nascosti in casa, droga
e un vero arsenale
Droga e, soprattutto, un quantitativo di armi ed esplosivi tale da scatenare una guerra. è quanto hanno rinvenuto i carabinieri nel corso di una perquisizione nell’abitazione di un uomo di 39 anni, residente in provincia di Reggio Calabria. Lungo, come riporta l’Ansa, l’elenco del materiale posto sotto sequestro: una pistola semiautomatica calibro 9, mitragliette “VZ 61 Scorpion” e “Imi Uzi” calibro 7,65, 50 cartucce, cinque fucili da caccia; tre pistole di vario calibro una delle quali clandestina e le altre oggetto di furto, 1.000 cartucce di vario calibro, tre ordigni esplosivi artigianali del peso complessivo di 1,330 Kg, 400 grammi marijuana, 100 grammi di cocaina e 15 grammi di hashish, contenute in involucri in cellophane e bilancini.
Esplode bombola a gas
Pertinenza distrutta
Non è la prima volta, e purtroppo non sarà nemmeno l’ultima. Ma in questo caso, perlomeno, non ci è scappato il morto. Poteva finire molto peggio l’esplosione di una bombola a gas in un’abitazione in provincia di Chieti, avvenuta nelle prime ore della mattina nella cucina dell’alloggio. La deflagrazione ha infatti fatto crollare una struttura utilizzata come pertinenza della casa. Bilancio: nessun ferito, ma danni ad un furgone (parzialmente andato a fuoco) e ad un’automobile sulla quale si è andata a schiantare la porta dell’edifico finito distrutto. Danni anche alle abitazioni limitrofe.
Ladri messi in fuga
dal padrone di casa
Hanno suonato insistentemente il citofono per verificare che non ci fosse nessuno in casa e sono entrati in azione inserendo una chiave tipo pass-partout nella serratura. Così una coppia di ladri d’appartamento ha tentato di introdursi in un alloggio in provincia dell’Aquila, pensando che all’interno non vi fosse nessuno. Una volta aperta la porta, però, i due ladri si sono trovati di fronte al proprietario, un uomo alto e appassionato di arti marziali che non aveva risposto al cirofono pensando a dei venditori ambulanti. Spaventati, si sono dati alla fuga facendo perdere le loro tracce.
Arrestato per droga:
madre e figlio nei guai
Un giovane di 18 anni è stato arrestato dai carabinieri di Torre Annunziata per possesso di sostanze stupefacenti. Nel corso di una perquisizione, i militari hanno rinvenuto nella casa dove il 18enne viveva con la madre un totale di 93 dosi di droga tra marijuana, eroina e cocaina. Nei guai è finita anche la donna che, resasi conto dell’imminente irruzione dei carabinieri, aveva tentato di disfarsi delle sostanze illecite e, per questo motivo, è stata denunciata in stato di libertà per favoreggiamento nei confronti del figlio.
Gli pignorano la casa
Artigiano suicida
Un artigiano di 54 anni si è impiccato nel giardino della sua casa di Lodi, poco prima dell’arrivo dell’ufficiale giudiziario al quale avrebbe dovuto consegnare le chiavi dell’appartamento che il tribunale gli aveva pignorato e messo all’asta. L’uomo, che lascia la moglie e due figli, era in difficoltà lavorative a causa della crisi e si è tolto la vita perché non riusciva a rassegnarsi all’idea di perdere la casa, dopo anni di sacrifici per acquistarla.