Il tema delle imposte sulle abitazioni – tra i protagonisti indiscussi della legge di Stabilità – pare andare sempre più spesso a braccetto con quello dei canoni di locazione, che a propria volta si innesta nella diatriba infinita sul rapporto tra emergenza abitativa e “responsabilità” della proprietà immobiliare nel contribuire a farvi fronte (di fatto, sostituendosi, spesso, alo Stato, ndr.). ebbene, nei giorni scorsi Ape – Confedilizia Torino ha annunciato di aver promosso una petizione popolare per chiedere al Comune di ridurre l’imposizione fiscale sulla proprietà immobiliare in caso di accordi di riduzione dei canoni di locazione. Scopo dell’iniziativa? “Ddare attuazione al comma 1 bis dell’articolo 19 del D.L. 12/09/14 numero 133, modificato dalla legge di conversione numero 164 dell’11 novembre 2014 e, precisamente, riconoscere un’aliquota ridotta dell’Imu in capo ai proprietari che stipulino accordi di abbassamento dei canoni di locazione, di cui alla citata norma”. Peraltro, la petizione di Ape si è già tradotta in una mozione consiliare, presentata dal vicepresidente del Consiglio comunale di Torino Silvio Magliano e discussa in commissione per l’approvazione da parte della Giunta torinese. Questa iniziativa – ha spiegato Magliano – dimostra l’attenzione della Città di Torino, non solo per le famiglie in difficoltà, ma anche per i proprietari di immobili che, in questo modo, potranno beneficiare di una tassazione inferiore”.
Tentato furto in alloggio
Fermate 4 donne
I carabinieri di Caserta hanno arrestato quattro donne di età compresa tra i 21 e i 41 anni per tentato furto aggravato. I militari dell’Arma, durante il servizio di pattugliamento volto a reprimere il fenomeno dei furti in appartamento, avevano notato le donne introdursi all’interno di un’abitazione con l’intenzione di svaligiarla. Colte sul fatto, le donne avevano tentato di dileguarsi a bordo di un’auto, ma erano state catturate dopo un breve inseguimento. Dai rilievi eseguiti, i militari hanno accertato la sola effrazione del portone d’ingresso.
Corto circuito e rogo
Distrutti casa e officina
Un cortocircuito nell’impianto elettrico di un furgone. Con ogni probabilità è stata questa la causa dell’incendio che ha completamente distrutto uno stabile nei pressi di Modena. Secondo la ricostruzione dei vigili del fuoco, le fiamme si sarebbero propagate dall’officina a piano terra, attaccando l’appartamento al piano superiore. La proprietaria dell’edificio, che si trovava fuori casa al momento del rogo, è stata comunque visitata dai paramedici a causa dell’inalazione di fumi potenzialmente tossici. I locali sono stati dichiarati inagibili dal Comune per il rischio di crolli.
Telecamere riprendono
i topi d’appartamento
Sono stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza i due topi d’appartamento che hanno svaligiato un casa nella provincia di Lecce. Entrati in azione in tarda serata, i malviventi hanno approfittato dell’assenza dei proprietari per rivoltare la casa da cima a fondo. Il bottino, composto prevalentemente da gioielli e da un piccolo televisore, ammonta a circa duemila euro. I militari dell’Arma confidano di risalire alle generalità dei due rapinatori proprio grazie alle immagini registrate dalle telecamere poste all’esterno dell’abitazione.
Coltivano marija in casa
In manette zio e nipote
Due uomini di 38 e 29 anni, residenti nella provincia di Lecce, sono stati fermati dagli agenti della Questura dopo che avevano trasformato un’abitazione di campagna in una vera e propria serra per la produzione di sostanze stupefacenti. All’interno della casa, provvista di tutto il necessario per la coltivazione e il confezionamento delle dosi, gli agenti hanno sequestrato un totale di 210 piantine di marijuana. I due, zio e nipote, dovranno rispondere anche dell’accusa di furto, in quanto si allacciavano alla rete pubblica per alimentare l’abitazione.
Spaccio in condominio
Due arresti nel milanese
Sono stati arrestati i due spacciatori di 53 e 42 anni che avevano messo in piedi un vero e proprio giro di compravendita di droga all’interno di un condominio situato a pochi passi dal centro di Milano. A denunciare alla polizia il mercato illecito sono stati i residenti di una palazzina adiacente, esasperati dal via vai quotidiano di persone. Una volta effettuato l’arresto, gli agenti hanno rinvenuto 700 grammi di hashish custoditi all’interno dell’appartamento del 53enne.
Rogo in alloggio: uomo
muore carbonizzato
Un uomo di 54 anni è morto carbonizzato nella sua abitazione in provincia di Salerno a causa di un incendio divampato in tarda serata, sembra a causa di un mozzicone di sigaretta lasciato acceso. I soccorsi sono stati allertati dai vicini di casa, ma per il 54enne, separato con tre figli, non c’è stato nulla da fare. Una volta entrati in casa i soccorritori hanno rinvenuto l’uomo privo di vita ai piedi del letto, probabilmente nell’estremo tentativo di lasciare la sua camera.
Amministratore evade
oltre 1 milione di euro
Appropriazione indebita e omessa presentazione delle dichiarazioni ai fini delle imposte dirette e Iva. Con queste accuse è stato denunciato dalle Fiamme Gialle un amministratore di condominio che aveva in gestione circa 80 complessi abitativi nella provincia di Modena. Soltanto tra 2009 e 2015, il professionista aveva accumulato una ricchezza patrimoniale pari a oltre un milione di euro, a fronte dell’assenza di redditi dichiarati al fisco. Nel corso delle indagini, i finanzieri hanno scoperto che l’uomo aveva fatto sparire oltre 170 mila euro di contributi versati dai suoi condòmini.
Ladro in costume
da fuoco alla casa
Un uomo di 41 anni è stato arrestato dalla polizia di Alessandria mentre tentava di fuggire dall’abitazione che aveva appena ripulito e tentato di dare alle fiamme. Al momento del fermo, il 41enne, in evidente stato di alterazione alcolica, si trovava in costume da bagno e stava trasportando due sacchi di plastica (contenenti la refurtiva). I vigili del fuoco, intervenuti poco dopo per spegnere l’incendio, hanno accertato che le fiamme si erano sviluppate dal piano terra, lasciando intatte alcune stanze in cui erano ancora visibili i segni dell’effrazione.
Babysitter svaligia casa
e lascia bimba da sola
Computer portatile, tablet, telefonino e persino una sigaretta elettronica. È questo il bottino del furto messo a segno da una donna di 31 anni, che stava lavorando come babysitter per conto di una mamma residente in provincia di Torino. Dopo appena dieci giorni dall’assunzione, la 31enne ha svaligiato l’alloggio della sua datrice di lavoro, avvertendola con un sms di aver lasciato la figlia di cinque anni in casa, da sola. All’arrivo nell’appartamento, la bambina stava ancora dormendo nel suo letto. Sulla vicenda indagano i militari dell’Arma.
Aggredita dalla vicina
con mazza da baseball
Una donna di 88 anni, residente in una nota località turistica della provincia di Grosseto, è stata aggredita e derubata mentre si trovava nel giardino di casa sua. Ad avvertire il 118 è stato un turista straniero che si trovava nei paraggi. All’arrivo, i sanitari hanno riscontrato lesioni alla mano e alla testa dell’anziana, riconducibili a una serie di colpi inferti con una mazza da baseball. Dalle sue dichiarazioni, gli inquirenti sono risaliti all’autrice dell’aggressione. Si tratta di una donna di 56 anni residente nelle vicinanze, che adesso dovrà rispondere dei reati di tentato omicidio e rapina.
Commerciante rubava
l’acqua condominiale
Un commerciante di 52 anni è stato denunciato ai carabinieri di La Spezia per aver derubato l’acqua di un condominio con l’obiettivo di farla arrivare nel suo negozio. A cogliere l’uomo con le mani nel sacco è stato un odontotecnico che, non potendo lavorare per l’assenza di acqua nel suo studio, è sceso in cantina per verificare il funzionamento del contatore. Giunto sul posto ha trovato il commerciante intento a collegare un tubo di raccordo alla condotta della rete idrica condominiale.
[A cura di: Mariasole Ivaldi,
Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]
Costituisce ipotesi di abuso del
diritto la sequenza di negozi giuridici rappresentata dalla donazione di un
terreno edificabile, effettuata a favore di un familiare, e dalla successiva
vendita del medesimo bene, in quanto preordinata unicamente a “rivalutare” il
costo a suo tempo sostenuto dal donante, al fine di azzerare la relativa
plusvalenza patrimoniale.
È quanto affermato dalla Corte di
cassazione nella sentenza n. 20250 del 9 ottobre 2015, pronunciata con riguardo
a una fattispecie risalente al periodo d’imposta 1999.
La vicenda processuale
Il contenzioso scaturisce
dall’impugnazione dell’avviso di accertamento emesso nei confronti di un
contribuente che aveva omesso la dichiarazione di una plusvalenza da cessione
di un’area edificabile.
In particolare, l’ufficio aveva
rilevato che, nella stessa data e dinanzi allo stesso notaio, con distinti
atti:
* la parte aveva donato la propria
quota di 3/4 di detto terreno alla figlia, per un valore dichiarato pari a X;
* quest’ultima aveva, a sua volta,
donato alla madre la quota di 1/4, al valore dichiarato di Y;
* entrambe avevano ceduto le
rispettive quote di proprietà per un corrispettivo esattamente pari alla somma
dei valori dichiarati negli atti di donazione (X+Y).
L’ufficio, anche in ragione della
contestualità dei negozi giuridici posti in essere, oltre che dei rapporti
familiari tra le parti, riteneva che siffatto comportamento concretizzasse la
situazione di apparenza nel possesso dei redditi, ai sensi dell’articolo 37,
comma 3, del Dpr 600/1973, con conseguente accertamento, in capo al
contribuente, della plusvalenza patrimoniale non dichiarata e recupero delle
maggiori imposte dovute.
La parte impugnava, dunque, l’atto
impositivo, ottenendone l’annullamento dalla Ctp di Udine.
L’appello dell’ufficio avverso la
pronuncia sfavorevole di prime cure veniva rigettato dalla Ctr di Trieste che,
stante l’inapplicabilità al caso di specie dell’articolo 37-bis del Dpr
600/1973, rilevava l’insussistenza della plusvalenza in base al dettato
dell’articolo 82 del Tuir (ora, articolo 68).
Il collegio, peraltro, avanzava il
sospetto che l’intera operazione fosse finalizzata a occultare l’emersione di
una plusvalenza tassabile, evidenziando – tuttavia – il difetto di prova da
parte dell’Amministrazione finanziaria in ordine a tale supposta fattispecie
elusiva.
Avverso detta pronuncia, l’ufficio
proponeva ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, cui resisteva il
contribuente con controricorso.
La pronuncia della Cassazione
I giudici di legittimità ritengono
fondati tutti i motivi di ricorso proposti dall’Agenzia, evidenziando, in
particolare, come la Ctr abbia erroneamente fatto riferimento all’articolo
37-bis del Dpr 600/1973, quando invece l’atto impugnato era fondato
esclusivamente sull’articolo 37, comma 3, dello stesso Dpr, e si sia limitata a
constatare, sulla base di quanto formalmente risultante dagli atti negoziali in
questione, l’insussistenza della plusvalenza patrimoniale, sicché ogni
eventuale risparmio d’imposta attuato con l’intera operazione era da ritenersi
lecito.
Così argomentando, tuttavia, la
Ctr ha trascurato di considerare l’orientamento, già enunciato dalla
Cassazione, secondo cui “in tema di accertamento rettificativo dei redditi,
la disciplina antielusiva dell’interposizione, prevista dall’articolo 37, comma
3, del Dpr 600/1973, non presuppone necessariamente un comportamento
fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio,
ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di
eludere l’applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto
d’imposta; ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell’ambito
del quale può ricomprendersi l’interposizione fittizia di persona, non
esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo lo scopo elusivo
attuarsi anche mediante operazioni effettive e reali…”.
Ne consegue che, “nel caso di
specie, a prescindere dall’effettività di tutte le operazioni facenti parte del
complesso negoziale in questione (e, quindi, a prescindere dal transito delle
somme frutto di cessione tra donante e donatario dall’effettivo possesso di
reddito in capo al contribuente e, comunque, dalla prova della sussistenza di
una interposizione fittizia di persona), non vi è dubbio (…) che negozi,
legittimi di per sé, siano stati, ove esaminati nel loro complesso, utilizzati
in modo improprio, ingiustificato e deviante, consentendo in tal modo al
contribuente di eludere l’applicazione del regime fiscale relativo alla
realizzata plusvalenza…”.
I giudici di legittimità, dunque,
attribuendo rilevanza alla circostanza di fatto che tutti i negozi siano stati
stipulati lo stesso giorno e dallo stesso notaio rogante, concludono nel senso
che “appare evidente la strumentalità delle donazioni di quote, poste in
essere reciprocamente in un contesto familiare e in assenza di altre
comprensibili ragioni, al solo scopo di precostituire (…) dei valori da mettere
a confronto con il prezzo di vendita, al fine di non far risultare alcuna
plusvalenza tassabile…”.
Osservazioni
Si evidenzia che l’orientamento
espresso nella pronuncia in commento appare consolidato, trovando riscontro in
numerosi precedenti giurisprudenziali, tra i quali si segnalano, per la
conformità delle fattispecie concrete, le sentenze 22716/2011, 25671/2013 e
21794/2014.
Nelle richiamate pronunce, la
Corte ha ribadito, in materia di operazioni elusive, la possibilità di
dichiarare inopponibili all’Amministrazione finanziaria – in applicazione del
principio generale antielusivo desumibile dall’articolo 53 della Costituzione,
ma anche dei principi comunitari – i benefici fiscali derivanti dalla
combinazione di operazioni a ciò volte.
Si precisa, altresì, che l’attuale disposto
dell’articolo 68, comma 1, secondo periodo, del Tuir, non consente più di
ricorrere alla donazione al fine di “rivalutare” i beni suscettibili di
generare plusvalenze all’atto della relativa alienazione: la norma, invero,
prevede che, per la determinazione della plusvalenza, “si assume come prezzo
di acquisto o costo di costruzione” non già il valore dichiarato nell’atto
di liberalità, bensì il costo sostenuto a suo tempo dal donante.
Da alcune settimane il Tg del Condominio, realizzato dalla redazione
di Italia Casa, si è arricchito di una nuova rubrica legale. Tema della seconda
puntata, ancora la sicurezza in
condominio. Ospite in studio: l’avvocato Emanuela Peracchio,
dello studio legale Bruyère di Torino. Pubblichiamo di seguito le risposte ai
quesiti che le sono stati posti dagli spettatori.
Per inviare un quesito ai nostri esperti, scrivere una mail a:
ufficiostampa@italia-casa.com
Malattia del portiere dovuta a locali insalubri
D. Esiste una
responsabilità dell’amministratore di condominio per malattia contratta dal
portiere il quale dichiari di avere abitato in locali portineria insalubri (per
esempio a causa di umidità)?
R. Partirei dalla
premessa che il caso riguarda la responsabilità omissiva da parte dell’amministratore,
riconducibile dall’articolo 140 del codice penale, per cui l’amministratore ha
comunque il dovere di assicurarsi che gli ambienti condominiali, le parti
comuni (e l’alloggio del portiere evidentemente rientra tra i beni comuni
condominiali) siano idonei all’uso e al servizio a cui devono fungere. In
questo caso ritengo che l’amministratore abbia tra i suoi compiti il dovere di
assicurarsi che l’immobile sia idoneo, che sia in buono stato e quant’altro.
Quindi sì, c’è una responsabilità dell’amministratore sotto questo aspetto.
Chi è responsabile degli infortuni a terzi
D. Poniamo il caso che
un artigiano che effettua lavori per conto del condominio subisca un
infortunio. Quali cautele deve adottare l’amministratore?
R. Qualunque artigiano che
va a fare degli interventi all’interno di un condominio deve comunque essere
dotato di un’assicurazione, di una sua copertura e quant’altro. Quindi, in
linea generale, non dovrebbero esserci responsabilità per l’amministratore.
Diverso è se l’artigiano si fa male, cade oppure inciampa a causa di pericoli
che erano nelle parti comuni, o comunque all’interno dell’edificio e non
segnalati precedentemente da parte dell’amministratore. Quindi, soltanto se ci
sono delle situazioni che possono creare danni o problematiche, questi ha il
dovere di segnalarle, altrimenti no. Ciascun artigiano ha una propria struttura
e organizzazione di mezzi propri ed è tutelato dalla propria assicurazione.
Se l’amministratore non si adegua alla legge
D. L’assemblea di
condominio rifiuta di deliberare interventi sulla sicurezza disposti da norme
di legge, per esempio in materia di ascensori. Come deve procedere
l’amministratore per cautelarsi?
R. Laddove l’assemblea
non abbia deliberato o abbia deliberato negativamente di intervenire su questa
tipologia di interventi obbligatori per legge non c’è molto margine di manovra
per l’amministratore per esonerarsi da responsabilità se non dare le
dimissioni. Essendo norme e imperative e impositive di legge, bisogna
adempiere.
Copertura assicurativa per distacco intonaci
D. Caduta di intonaci,
cornicioni o tegole (insomma parti comuni): quale contratto di assicurazione
deve stipulare l’amministratore per tutelarsi da responsabilità?
R. Le normali polizze
globale e fabbricati, che stipulano gli amministratori, non coprono in realtà
questa tipologia di danno. Invero, non ci sono oggi delle polizze generali che
possano andare a dare una copertura, salvo il caso che la compagnia non sia
disponibile alla stipula di una particolare polizza che andrà pattuita con la
compagnia specificatamente. In questo caso però, i premi assicurativi
diventerebbero molto esosi e bisognerà quindi vedere se il condominio è
d’accordo e se l’assemblea delibererà favorevolmente. Purtroppo questa
tipologia di situazioni non è coperta dalla polizza globale e fabbricati che
normalmente viene sottoscritta.
Parti comuni irregolari: i doveri del condominio
D. Ringhiere di scale
e ballatoi di altezze non regolamentari. Come deve procedere l’amministratore?
R. Se parliamo di manufatti comuni, quindi scale
comuni condominiali, l’amministratore convoca l’assemblea, fa presente a
livello tecnico che queste ringhiere non sono a norma (quindi ci può essere un
pericolo) e si fa deliberare dai condòmini gli interventi necessari per mettere
in sicurezza il manufatto e per attuare quello che tecnicamente è l’intervento
più idoneo a tale scopo. Se invece sono ballatoi, più che altro privati,
l’intervento spetta al singolo condomino, dal momento che l’amministratore e
l’assemblea non hanno questo merito. Ricordo che l’amministratore non può
intervenire sulla proprietà privata e sui diritti dei singoli in quanto le sue
attribuzioni sono precipuamente finalizzate e rivolte alle parti, ai beni e
agli interessi comuni.
Gentile redazione,
su Italia Casa numero 8, dell’aprile 2015 è stato da voi trattato il
seguente argomento: “Locazione e disciplina del deposito cauzionale”.
Nell’articolo l’autore, Paolo Ciri, ha precisato che il deposito stesso, cito
testualmente, “può essere trattenuto se ci sono danni o insoluti, ma solo in
presenza di:
* consenso dell’inquilino;
* citazione giudiziale per danni o debiti;
* specifiche ed apposite clausole in contratto”.
Poiché mi trovo nella condizione di riavere a giorni
l’immobile locato per recesso anticipato dell’inquilino, il quale pretende
assolutamente di ricevere, con la consegna chiavi, l’importo totale della
cauzione a suo tempo versata, vi faccio presente che:
1) nei sei mesi antecedenti la comunicazione di rilascio,
l’inquilino mi ha avvisato che un armadio libreria inserito tra due colonne di
muro nell’appartamento (ricevuto in consegna insieme ad altre suppellettili)
era rovinosamente caduto (essendo di pessima fattura a suo dire) evitando per
un soffio la propria moglie;
2) l’impianto volumetrico dell’allarme (anche questo ricevuto in
consegna) a causa di un corto circuito non è più funzionante e ne era
impossibile il ripristino, in quanto l’indirizzo della ditta che lo ha
installato era inesistente (non è vero, esiste tutt’ora).
Pertanto, tutto ciò premesso, mi rivolgo alla vostra provata
competenza ed esperienza al fine di non trovarmi, ancora una volta, a
soccombere di fronte ad una conclamata arroganza ed a una perdita economica
certa, anche perché oltre a questi già dichiarati danni non posso verificarne
altri eventuali, essendo ancora senza chiavi e con l’alloggio privo di
elettricità, quindi con l’impossibilità di far ripristinare l’impianto di
allarme se non dopo l’avvenuta consegna.
Premetto anche che l’affitto percepito era il mezzo per arrotondare
la pensione e poter far fronte all’ingente somma di tasse che mi trovo a
pagare, quindi è impensabile per me anche rivolgermi in giudizio. Vi sarei
grata se poteste illustrare le ipotesi di ritardo nel rimborso della cauzione e
di deducibilità dei danni dalla stessa.
La situazione descritta dal lettore rientra nella seconda delle ipotesi
per le quali, ho affermato, si può trattenere la cauzione. Cioè la citazione in
giudizio per danni. Non mi pare, infatti, di poter immaginare la prima
fattispecie (accordo sui danni subiti), perché, da quel che leggo, l’inquilino
è sì consapevole di aver fatto dei danni, e lo ha forse affermato per iscritto,
però manca un accordo sulla quantificazione degli stessi.
Per cui, cosa fare ora ? Il lettore ha due strade.
La prima è trovare un accordo (scritto, ovviamente) sul danno e sulla
sua quantificazione. A quel punto restituirà la parte di deposito cauzionale
che supera il danno, oppure non restituirà nulla e chiederà ancora indennizzo,
se il danno così quantificato è superiore al deposito. Però non mi pare che sia
questa la possibilità percorribile: sembra di capire che non ci sia possibilità
di accordo.
Allora, la seconda strada è trattenere il deposito cauzionale,
rifiutandone la restituzione. La palla passerà all’inquilino: egli potrà
accettare la situazione oppure dovrà fare citazione in giudizio per la
restituzione del deposito cauzionale. A questo punto il proprietario dovrà
proporre domanda riconvenzionale per il risarcimento del danno. E questa sarà
la “citazione giudiziale”, cui facevo riferimento nell’articolo. Un atto che lo
mette in condizione di trattenere il danaro. Poi la sentenza dirà chi deve
pagare e quanto.
Aggiungo solo che, infilandosi in questa seconda strada, la partita si
giocherà più sulla procedura che sul diritto sostanziale, come spesso accade.
Per cui sarà l’avvocato, necessariamente, a prendere in mano le redini.
“La riforma del catasto: approdo o deriva?”. Sceglie la metafora nautica l’Uppi di Pavia per intitolare il convegno in programma venerdì 13 novembre, dalle 14, presso l’Aula magna del Collegio Cairoli, in piazza Cairoli 1, a Pavia.
L’evento – come illustra la sezione locale dell’Unione dei piccoli proprietari immobiliari – si propone di fornire un quadro aggiornato dello stato dell’arte della riforma, chiarendo, per quanto possibile, gli aspetti tecnici, operativi e finanziari legati alla futura revisione degli estimi, senza tralasciare una visione critica della stessa da parte di autorevoli relatori, a partire dall’avvocato Nadia Restivo, componente della Commissione urbanistica nazionale Uppi, che aprirà i lavori con l’intervento dal titolo: “Le ragioni di una Riforma incompiuta”.
Alle 15,30 è invece in programma la relazione dell’architetto Giovanni Varotto, presidente della Commissione urbanistica nazionale Uppi, che dettaglierà i punti essenziali della revisione del catasto. Quindi, il professor Rocco Curto, direttore del Dipartimento di architettura e design del Politecnico di Torino, illustrerà la sperimentazione effettuata nel capoluogo piemontese con l’introduzione del vincolo della parità del gettito.
A seguire, il geometra Mario De Palma, ex dirigente dell’Ufficio del Catasto di Pavia, spiegherà ai presenti il ruolo delle Commissioni Censuarie, mentre Jean-Claude Mochet, della Commissione fiscale nazionale Uppi, cercherà di far luce sulla tassazione sulla casa proprio nell’ottica della riforma del catasto, tra preoccupazioni e possibili soluzioni. A chiudere i lavori, il senatore Mauro Maria Marino, presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, che prenderà parte anche al question time finale.
Ai geometri partecipanti al convegno saranno concessi 2 crediti formativi. Per ulteriori informazioni si può contattare l’Uppi Pavia (tel. 0382.304593; fax 0382.22671; sito web: http://www.uppi-pavia.it; e-mail: servizi@uppi-pavia.it).
[Fonte: Collegio Periti Como]
Via libera al permesso di costruire, anche se non c’è il consenso dei condòmini. Questo quanto ribadito dai giudici del Tar di Salerno, con la sentenza 1409/2015, in merito al ricorso presentato da alcuni condòmini per denunciare il proprio dissenso circa il rilascio del permesso di costruire per la trasformazione di due finestre in balconi di un edificio condominiale.
Nel caso preso in esame, i proprietari di due appartamenti in un condominio avevano comunicato all’assemblea condominiale l’intenzione di trasformare due finestre in balconi in occasione dei lavori di manutenzione straordinaria per il rifacimento della facciata dello stabile. Gli altri condòmini, tuttavia, avevano bocciato la proposta avanzata. Ma i due proprietari non desistevano: dopo aver presentato una Scia al Comune, realizzavano comunque l’intervento di trasformazione proposto in assemblea.
I condòmini, quindi, presentavano ricorso al Tar, chiedendo l’annullamento del titolo abilitativo in quanto non era stato preso in considerazione il divieto dell’assemblea condominiale. I giudici amministrativi hanno affermato che la Pubblica amministrazione non può intervenire nei rapporti tra privati, cioè quelli che intercorrono tra condòmini e confinanti. In particolare, il Tar Campania sottolinea che la giurisprudenza consolidata prevede che deve assolutamente censurarsi quella prassi amministrativa che subordina il rilascio di titoli edilizi abilitativi al consenso dei titolari di diritti reali confinanti ovvero di diritti reali di comunione, tra cui il condominio.
I rapporti tra l’istante e i vicini hanno natura e rilevanza privatistica e non devono interessare l’amministrazione locale anche perché vi è comunque la clausola di salvaguardia generale che fa salvi i diritti dei terzi (prevista dall’art. 11 comma 3, dpr 6 giugno 2001 n. 380). Pertanto, in linea generale, un titolo abilitativo può essere rilasciato a prescindere dall’approvazione dell’assemblea condominiale.