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CRONACA FLASH DALLA CASA E DAL CONDOMINIO

Anziana raggirata in casa

Bottino da 500mila euro

Con l’autunno, anche i truffatori di anziani cambiano modus operandi. L’ultima pensata di due malviventi del torinese, è stata quella di fingersi tecnici della caldaia che dovevano controllare l’impianto di riscaldamento. Con questa scusa si sono introdotto in casa di una donna di 78 anni, che viveva da sola in un appartamento del centro di Torino. Dopo aver convinto l’anziana a raccogliere gioielli e soldi in una busta e a farseli consegnare con uno stratagemma, i due uomini si sono allontanati facendo perdere le loro tracce. Totale del bottino, un record: quasi mezzo milione di euro.

Sesso rumoroso: ferisce

il vicino che si lamenta

È stato condannato a 6 anni di carcere il 44enne residente nella provincia di Torino che lo scorso febbraio aveva accoltellato il vicino di casa, colpevole di essersi lamentato per il troppo rumore. La vittima, un uomo di origine polacca, stufo di ascoltare gli amplessi del dirimpettaio, era andato a bussare alla sua porta per chiedere di smetterla. L’amante focoso, disturbato da quella interruzione, aveva aperto la porta con in mano un coltello e aveva ferito il polacco con tre fendenti. L’aggressore era stato quindi fermato dalle forze dell’ordine per tentato omicidio, accusa poi confermata dal Gip durante il processo a rito abbreviato.

Rubavano nei box auto

Arrestati tre malviventi

Tre uomini, due 41enni e un 36enne, sono stati fermati nottetempo a Palermo, mentre tentavano di fare razzia in alcuni box auto di un condominio. Sono, invece, riusciti a dileguarsi gli altri due complici, sulle cui tracce si trovano le forze dell’ordine. I ladri erano stati colti sul fatto da una pattuglia che si trovava nelle vicinanze e, sentendosi intimare l’alt, avevano tentato di fuggire. Ma soltanto in due erano riusciti a far perdere le loro tracce. L’intento del gruppo era di svaligiare i box, caricando il bottino nelle due macchine parcheggiate all’esterno, anch’esse risultate rubate e restituite dalla polizia ai legittimi proprietari.

Fiamme in condominio 

Sgomberate 10 persone

Potrebbe essere stato un corto circuito a generare l’incendio di un residence in provincia di Udine, divampato in serata, intorno alle 21. In un locale adibito a lavanderia e situato al piano interrato, erano infatti ammassate un’asciugabiancheria insieme ad altri elettrodomestici a disposizione degli ospiti del residence. Dopo le scintille, le fiamme hanno generato una nube di fumo denso che ha avvolto i piani superiori. Dieci in tutto le persone evacuate, una delle quali è stata portata in ospedale a scopo precauzionale.

Truffata sul sito internet

La casa al mare non c’è

Il suo caso non è certo stato l’unico. Magra consolazione per una donna di Empoli, truffata, dopo aver prenotato e pagato 200 euro di caparra per una casa al mare, in provincia di Grosseto, trovata attraverso un annuncio su internet. Dopo qualche giorno senza avere notizie dei proprietari dell’alloggio, la donna si era insospettita e aveva deciso di andare a controllare di persona la veridicità dell’annuncio. Resasi conto che la casa al mare non esisteva, aveva denunciato la truffa ai carabinieri di Empoli che questa volta sono riusciti a risalire ai due responsabili: un 39enne e un 28enne della provincia di Matera.

Imprenditore sotto stress

si barrica in casa per ore

Un giovane imprenditore 38enne della provincia di Udine ha perso il controllo e, dopo una lite familiare all’ora di cena, si è barricato in casa per ore, imbracciando fucili e pistole. Pare che fosse reduce da un periodo difficile, particolarmente stressato a causa di incomprensioni con un socio e di una somma di denaro che mancherebbe all’appello. Vista l’escalation del litigio i familiari dell’uomo avevano chiesto l’intervento della guardia medica, che però era stata respinta dallo stesso imprenditore. A quel punto sono intervenuti i carabinieri del nucleo radiomobile, convincendo il 38enne a desistere.

Scoperta casa a luci rosse

grazie a lite condominiale

Un portone danneggiato, due condòmini che litigano animatamente e l’intervento della polizia. Fin qui niente di strano, o quasi. Se non fosse che a danneggiare il portone non sarebbero stati i due residenti, ma i clienti di una casa a luci rosse, allestita all’interno dello stesso stabile. Da una rapida indagine delle forze dell’ordine, infatti, pare che i danni alla porta dell’edificio fossero stati causati dai clienti notturni di due prostitute, di nazionalità cinese, che avevano tentato di forzarlo per incontrare le donne. 

EDILIZIA: NOVITÀ SU SILENZIO-ASSENSO E LIMITI ALL’AUTOTUTELA

[Fonte: Confappi]

Silenzio-assenso tra amministrazioni in caso di mancato parere entro 30 giorni dalla richiesta e l’impossibilità di contestare le opere effettuate con Scia o l’ok automatico al permesso di costruire dopo sei mesi. Sono due delle novità, immediatamente applicabili, che derivano dalla legge delega per la riforma della pubblica amministrazione, approvata il 4 agosto e approdata sulla Gazzetta Ufficiale il 13 agosto scorso. 

Primo effetto del testo, in materia edilizia, è contenuto nell’articolo 3 (che modifica l’articolo 17-bis della legge 241/1990). La norma stabilisce che, nel caso in cui un ente pubblico debba chiedere un’autorizzazione, parere o nulla osta a un’altra amministrazione (o a un gestore di beni o servizi pubblici) per emanare un parere, quest’ultima lo deve rilasciare in 30 giorni, prorogabili al massimo a 60 per esigenze istruttorie o richieste di modifica. Se così non avviene, scatta il silenzio-assenso. Una previsione che avrà un impatto certo sul procedimento per il permesso di costruire, che spesso si impantana per la mancata collaborazione di enti terzi come Asl, Vigili del fuoco, Soprintendenze. La regola, inoltre, vale anche per i pareri resi dalle amministrazioni preposte a tutela, tra cui le Soprintendenze per i beni soggetti a vincolo paesistico o storico-artistico (in questo caso però il termine è di 90 giorni). 

Seconda grande novità è quella dei limiti all’autotutela (contenuta nell’articolo 6, che agisce sull’articolo 21-nonies della legge 241/1990). In questo caso, il testo stabilisce che per tutti i provvedimenti amministrativi il potere della Pa di annullare l’atto può essere esercitato solo entro 180 giorni (prima si parlava di “termine ragionevole”). Ciò significa che dopo sei mesi non potranno più essere contestate opere edilizie eseguite con Scia mentre, per il permesso di costruire, scatterà il silenzio-assenso.

IMPOSTE CASA: LA CONTRO-PROPOSTA DI VISCO E BERSANI

Far pagare di più a chi possiede di più. In una sintesi molto estrema, è questo il succo della proposta alternativa alla semplice abolizione di Tasi ed Imu formulata dal “Nens – Nuova Economia Nuova Società”, l’associazione fondata nel 2001da Pier Luigi Bersani e Vincenzo Visco, insieme con Nicola Rossi, Giulio Sapelli, Giuseppe Farina e Paolo Ferro Luzzi.

I tre obiettivi della proposta per una nuova fiscalità sono:

* semplificazione, riduzione e razionalizzazione delle imposte sugli immobili;

* recupero di maggiore equità nella distribuzione del prelievo;

* recupero di efficienza.

Quanto, invece, agli strumenti per raggiungere tali obiettivi, l’associazione propone l’accorpamento delle imposte esistenti (in modo da semplificare e rendere trasparenti le procedure per contribuenti), la razionalizzazione delle basi imponibili,

 la riforma delle aliquote, 

la cancellazione delle imposte sugli affitti (Irpef e cedolare secca), la 

trasformazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali da prelievo percentuale in tassa fissa, ottenendone una sostanziale eliminazione, la

 modifica dell’imposta di successione lasciando inalterate le attuali soglie esenti e, infine, l’

introduzione di un’imposta progressiva su base familiare sui patrimoni immobiliari più consistenti.

Sommando gli effetti sul prelievo erariale e sul prelievo locale, si raggiungerebbe una riduzione del prelievo totale pari a 7,5 miliardi di euro.

Secondo SESecondo Nens, la potenziale detassazione della prima casa rappresenta una forzatura del sistema di tassazione: le prime case infatti non sono tutte uguali. C’è la casa popolare e la grande villa, la condizione economica degli affittuari è (spesso) peggiore di quella di chi è proprietario della casa di abitazione e i giovani hanno meno prime casa in proprietà rispetto agli anziani. Il rischio è di detassare i contribuenti più ricchi. Al contrario, può essere giusto (pratico) prevedere un’esenzione per le abitazioni di minor valore, ma non per tutte le prime case. 

Peraltro, occorre osservare che in tutta l’area OECD le case d’abitazione sono tassate nell’ambito della finanza locale. La scelta di affidare agli enti decentrati una forma di imposizione sugli immobili (incluse le abitazioni principali) trova sostegno nella letteratura sul federalismo fiscale (visibilità del prelievo, accountability degli amministratori locali e responsabilizzazione per la gestione efficiente della spesa).

D’altra parte, i valori degli immobili sono un appropriato indicatore per i Comuni:

* se i governi locali sono responsabili della tassazione immobiliare, sono incentivati a fornire servizi pubblici in modo più efficace ed efficiente perché questo tende ad accrescere le loro entrate;

* la qualità dell’amministrazione locale e gli investimenti da essi effettuati si riflettono sul valore degli immobili;

* la tassazione immobiliare contribuisce alla disciplina di bilancio dei governi locali, in quanto risulta “visibile” agli elettori, che possono tenerne conto al momento del voto o al momento di scegliere dove risiedere (vedo, voto, pago).

Ciò vale ovviamente per la casa dove abita il proprietario, che riceve un reddito in natura, già esente dall’imposizione sul reddito.

Af DAffrontando invece il delicato tema del catasto, il duo Visco Bersani sottolinea come, in teoria, i valori che risultano dalle rendite catastali dovrebbero riflettere il valore medio dell’immobile in un arco temporale di alcuni anni. Nei fatti, invece, le rendite catastali, rivalutate da ultimo nel 1989, non solo sono distanti dai veri valori di mercato, ma lo sono in maniera non uniforme tra territori e tipologie abitative. 

Con l’introduzione dell’IMU, i valori patrimoniali su cui si basano le imposte immobiliari sono aumentati in modo proporzionale e il moltiplicatore applicato alle rendite è stato aumentato da 100 a 160. L’aumento proporzionale dei moltiplicatori lascia inalterati tutti gli squilibri rispetto ai valori di mercato. . Mediamente, negli ultimi anni (dopo l’introduzione dell’IMU/TASI), il rapporto medio tra valori di mercato e valori catastali è leggermente superiore a 2. Il rapporto sale a 4 o 5 per gli immobili più vecchi e scende a 1 (o volte anche sotto 1) per quelli nuovi.

Ciò comporta effetti negativi in termini di equità orizzontale perché i contribuenti subiscono prelievi differenziati in relazione alle sperequazioni territoriali delle basi imponibili, equità verticale perché il differenziale tra i valori effettivi di mercato e quelli calcolati sulla base di rendite catastali e moltiplicatori tende ad aumentare per i proprietari più ricchi. E, da ultimo, in termini di efficienza: un prelievo commisurato alla rendita edilizia risulta più efficiente di un’imposta sul reddito o sul consumo e tiene conto delle rendite di posizione. 

Ora, un modo per tassare il patrimonio immobiliare in maniera davvero proporzionale al valore è quello di stimare la base imponibile ai valori di mercato, sia quando crescono che quando calano. Per raggiungere l’obiettivo, una strada è la riforma del catasto. Nell’immediato, l’altra strada è quella che fa riferimento ai valori per tipologia dell’immobile e zone omogenee rilevati dall’Osservatorio sul mercato immobiliare (Omi) curato dall’Agenzia delle Entrate, e utilizzandoli come parametri utili alla rivalutazione (differenziata) dei moltiplicatori.

TASSE E COMUNI

In ogni Comune la maggioranza degli immobili è costituita dalle abitazioni dove vivono i proprietari. Una quota di cittadini del Comune sono proprietari anche di altri immobili. Un’altra parte di immobili (seconde case) sono invece di proprietà di persone che risiedono in un altro Comune. 

Attualmente la pratica dei Comuni è quella di aumentare l’imposizione sugli immobili non residenziali e sulle seconde case e ridurre quella sulle “prime case”. Gli effetti distorsivi di questa tendenza sono però evidenti: essere proprietari di una casa ma spostare la residenza in un’altra (ad es. presa in affitto per cambio lavoro) porta ad aggravi fiscali, o a sotterfugi legali (ad es. l’uso strategico della residenza). La stessa cosa si verifica quando i coniugi dividono la residenza. Peraltro, i non residenti non votano (Comuni turistici e comuni interessati da fenomeni migratori).

In questo quadro, si aggiungono ulteriori complessità, a partire dal fatto che oggi esistono più soggetti impositori (Stato e Comuni) sulle stesse basi imponibili dell’IMU. 

Lo Stato si riserva circa 4 miliardi di gettito dell’IMU sugli immobili produttivi (capannoni industriali). Sempre lo Stato fissa l’aliquota standard del prelievo IMU (al 7,6 per mille) e TASI (all’1 per mille). Per la TASI, i Comuni decidono esenzioni, riduzioni del prelievo e detrazioni e possono aumentare l’aliquota di base (fino al 2,5 per mille nel 2014 per le prime case; fino al limite di 10,6 per mille complessivamente per IMU+TASI sulle seconde case e su immobili produttivi e commerciali). Non tutti i Comuni, però, hanno applicato le detrazioni TASI (sulla prima casa) che erano previste centralmente per l’IMU (200 euro fisse e 50 euro per ogni figlio minore di 26 anni): quindi anche i proprietari di case di modesto valore (popolari) hanno pagato.

Ma c’è di più. Le molteplici scadenze di versamento (e la giungla di aliquote, detrazioni e agevolazioni) e i ritardi nelle delibere dei Comuni fanno aumentare i costi di compliance per i contribuenti. 

La prima cosa utile sarebbe, dunque, un sistema più semplice e razionale, che separi prelievi e basi imponibili di Stato e Comuni. 

Comuni

*Un’unica imposta locale immobiliare, su valori vicini a quelli di mercato e aliquote basse (con esenzione di circa un terzo delle abitazioni – prima casa – nei comuni).

* Trasformazione delle addizionali regionali e comunali in sovra-imposte, eliminando alcune incongruenze esistenti ed accentuando la progressività.

Stato 

* Imposta personale progressiva sul patrimonio immobiliare (basi imponibili valutate a valori di mercato, ma con franchigia e aliquote basse in modo da esentare di fatto i patrimoni di valore medio e di ottenere un prelievo moderato su quelli di valore medio-alto) per conseguire una corretta progressività eliminando la discriminazione per le seconde case che poco ha a che fare con la progressività.

* Riduzione del peso fiscale sui trasferimenti immobiliari, trasformando le imposte di registro, ipotecarie e catastali in tasse fisse.

* Abolizione dell’Irpef e della cedolare secca sugli affitti. 

* Revisione delle altre imposte statali. 

* Un sistema equo ed efficiente semplifica il prelievo, persegue una corretta progressività e riduce la pressione fiscale complessiva.

IMU E TASI GUIDANO IL SALASSO DELLE “PATRIMONIALI”

Mentre ferve il dibattito sull’abolizione delle tasse sulla prima casa, la Cgia di Mestre fa i conti in tasca all’impatto delle cosiddette patrimoniali sulle finanze degli italiani, evidenziando che nel 2014 tali imposte – capeggiate proprio di Imu e Tasi – sono costate ai contribuenti quasi 50 miliardi di euro. Un dato di per sé impressionante. Mai, però, come quello relativo al loro incremento, tale che negli ultimi 25 anni, l’incidenza delle patrimoniali sul Pil è raddoppiata, mentre in termini assoluti il gettito è aumentato di quasi 5 volte. 

Un peso, insomma, difficilmente sostenibile, e che, peraltro, dovrebbe confermarsi nell’anno in corso, mentre solo dal 2016, complice proprio la potenziale abolizione del carico fiscale sulle abitazioni principali, si potrebbe registrare una decisa inversione di tendenza. “Se il Governo confermerà l’abolizione delle tasse che gravano sulla prima casa, dell’Imu agricola e quella sugli imbullonati – commenta Paolo Zabeo della CGIA – nel 2016 dovremmo risparmiare 4,6 miliardi di euro: vale a dire uno sconto che sfiora il 10 per cento”. 

LE PATRIMONIALI

Ma quante sono,nel dettaglio, le patrimoniali che pesano sui portafogli degli italiani? La Cgia ne ha contate una quindicina. “Anche se – precisa ancora Zabeo – le due imposte che gravano sulle abitazioni e sugli immobili strumentali, ovvero Tasi e Imu, garantiscono da sole oltre la metà del gettito complessivo. L’anno scorso, ad esempio, per onorare questi due tributi famiglie, imprese e lavoratori autonomi hanno versato ben 24,7 miliardi di euro”. 

Facciamo, però, un passo indietro. Innanzitutto: che cosa sono le imposte patrimoniali? Sono quelle che di fatto gravano sulla ricchezza posseduta dalle persone in un determinato momento. La ricchezza è intesa in senso ampio e comprende i beni immobili (case, terreni), i beni mobili (auto, moto, aeromobili, imbarcazioni), gli investimenti finanziari, etc. Di solito, nei manuali di diritto tributario, le imposte patrimoniali sono classificate come imposte dirette. Queste ultime sono quelle che colpiscono direttamente la capacità contributiva del contribuente senza attendere che si verifichino fatti o atti particolari. Mentre le imposte indirette richiedono, per poter essere applicate, il verificarsi di un determinato evento. L’Iva, ad esempio, si applica quando avviene la cessione di un bene o la prestazione di un servizio. Le imposte sulle successioni e sulle donazioni, sebbene classificate come imposte indirette, vengono considerate come una forma di imposizione patrimoniale, in quanto colpiscono la ricchezza. Si tratta delle uniche imposte indirette che i testi di diritto tributario includono tra le il imposte di carattere patrimoniale. 

L’ANALISI CGIA

La prima parte dell’ analisi della Cgia è stata dedicata ad individuare le imposte il cui gettito complessivo sia espressione di imposizione patrimoniale in modo da studiarne l’evoluzione nel tempo. Il criterio seguito è stato quello di considerare quelle forme di imposizione che colpiscono la ricchezza nelle diverse forme in cui questa si manifesta (ad esempio immobili, auto, barche, aeromobili, disponibilità finanziarie) sia che la tassazione riguardi la semplice detenzione che il suo trasferimento. Ebbene, le imposte patrimoniali considerate in questa serie storica da Cgia sono: 

1) Imposta di registro e sostitutiva; 

2) Imposte di bollo; 

3) Imposta ipotecaria; 

4) Diritti catastali; 

5) Ici/Imu/Tasi; 

6) Bollo auto; 

7) Canoni su telecomunicazioni e Rai Tv; 

8) Imposta sulle transazioni finanziarie; 

9) Imposta sul patrimonio netto delle imprese; 

10) Imposta su secretazione dei capitali scudati; 

11) Imposte sulle successioni e donazioni; 

12) Imposta straordinaria sugli immobili; 

13) Imposta straordinaria sui depositi; 

14) Imposta sui beni di lusso. 

GETTITO E TREND

Se l’indagine della Cgia è partita dal 1990, colpisce che nel 2012 l’imposizione patrimoniale è cresciuta, rispetto al 2011, di 13,7 miliardi di euro (un balzo di oltre il 43 per cento), mentre nel 2013 si è avuta una temporanea flessione dovuta all’abolizione dell’Imu sulle abitazioni principali. In termini di gettito, le imposte più pesanti per le tasche degli italiani sono l’Imu/Tasi: nel 2014 hanno garantito alle casse dello Stato e dei Comuni ben 24,7 miliardi di euro. Seguono l’imposta di bollo (7,9 miliardi di euro), il bollo auto (6,1 miliardi di euro) e l’imposta di registro (4,6 miliardi di euro). 

Ma l’andamento del gettito delle imposte patrimoniali è contrassegnato anche dall’istituzione o dall’abolizione di alcuni tributi. Alcuni esempi. 

Anno 1992

Nel 1992 il gettito è cresciuto di 8,6 miliardi di euro, passando dai 11,7 miliardi del 1991 a 20,3 miliardi, con una crescita di oltre il 73 per cento. In quell’anno, per risanare le finanze pubbliche, sono stati introdotti dei prelievi straordinari di carattere patrimoniale sulla ricchezza finanziaria, sugli immobili e su alcuni beni di lusso. In particolare, il DL 333/1992 aveva previsto una imposta straordinaria immobiliare (I.S.I.) e un prelievo straordinario sui depositi e conti correnti. L’I.S.I. si calcolava applicando l’ aliquota del 3 per mille al valore catastale degli immobili. Il prelievo sui depositi è avvenuto sulle consistenze in essere alla data del 9luglio 1992. Inoltre, nel settembre del medesimo anno, è stato introdotto un ulteriore prelievo straordinario a carico delle persone fisiche che possedevano auto di grossa cilindrata, aeromobili, imbarcazioni da diporto. 

Anno 1993

Nel 1993 il gettito è cresciuto di ulteriori 4,4 miliardi di euro per effetto della sostituzione dell’ISI con l’Ici (imposta comunale sugli immobili) che pur applicandosi sulla medesima base imponibile, prevedeva delle aliquote più elevate. Inoltre, fece sentire i suoi effetti anche la nuova imposta sul patrimonio delle imprese che, con aliquota del 7,5 per mille, è stata in vigore sino al 1997. 

Anno 2008

Nel 2008, la flessione del gettito delle imposte patrimoniali è dipesa dall’abolizione dell’Ici sulla prima casa. 

Anno 2012

Nel 2012, il DL “Salva Italia” ha inasprito fortemente la tassazione patrimoniale, introducendo diverse forme di tassazione: l’Imu sugli immobili; prelievi che hanno interessato i beni di lusso, come le auto di grossa cilindrata, i natanti e gli aeromobili; l’applicazione dell’imposta proporzionale di bollo sulle disponibilità finanziarie. 

Anno 2014

Nel 2014, infine, è stata introdotta la Tasi che assieme all’Imu e alla Tari costituiscono la Iuc, ovvero l’Imposta unica comunale. Il presupposto della Tasi, pur essendo collegato all’erogazione e alla fruizione di servizi comunali, si basa sul possesso o la detenzione di un immobile, anche ad uso abitativo. Pertanto, questa nuova tassa viene percepita da tutti come una imposta patrimoniale e come tale è stata inserita nell’elenco della Cgia.

DESTINAZIONE PARTI COMUNI. COME EVITARE LE VIOLAZIONI

[A cura di: Corrado Sforza Fogliani – pres. centro studi Confedilizia]

 

Con l’art. 1117-quater c.c. il legislatore della
riforma condominiale ha disposto che, in caso di attività che incidano
“negativamente e in modo sostanziale sulle destinazioni d’uso delle parti
comuni”, l’amministratore o i condòmini, anche singolarmente, possano diffidare
l’esecutore e chiedere la convocazione dell’assemblea per far cessare la
violazione, pure mediante azioni giudiziarie.

L’assemblea delibererà in merito alla cessazione di
tali attività con la maggioranza di cui all’art. 1136, secondo comma, c.c..
Vale a dire con un quorum
deliberativo, in prima e seconda convocazione, costituito da un numero di voti
che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore
dell’edificio (fermo restando il quorum costitutivo
formato – ai sensi dell’art. 1136, primo e terzo comma, c.c. – da tanti
condòmini che rappresentino: in prima convocazione, la maggioranza dei
partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio; in seconda
convocazione, un terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del
valore dell’edificio).

In argomento c’è da precisare che la norma nulla
aggiunge a ciò che già prima della riforma si riteneva sulla possibilità così
dei condòmini come dell’amministratore.

In dottrina è stato, anzi, sottolineato come sia difficilmente
comprensibile la suddetta previsione dell’obbligo per l’amministratore (a
seguito di richiesta di un solo condomino, in deroga al disposto dell’art. 66,
primo comma, disp. att. c.c.) di convocare un’assemblea che deliberi sulle
azioni giudiziarie da intraprendere a tutela della destinazione delle parti
comuni quando chi amministra sarebbe comunque legittimato ad esperire tali
azioni in base al combinato disposto degli artt. 1130, primo comma, n. 4, e
1131, primo comma, c.c. (vertendosi in tema di atti conservativi a tutela dei
diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio). 

CONDIZIONATORE ESTERNO. SENZA SCIA, PAGANO ANCHE I NUOVI PROPRIETARI

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, con sentenza n. 10826 del 14 agosto 2015, ha stabilito che, nel caso in cui non venga presentato il modello Scia per un intervento di installazione di un condizionatore con unità esterna, sono tenuti al pagamento della sanzione amministrativa anche gli eventuali nuovi proprietari che hanno acquistato l’appartamento dopo la realizzazione dell’intervento.  

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TAR DEL LAZIO

Sez. I quater, Sent. 14.8.2015,

n. 10826

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Fatto e diritto

Con ricorso notificato in data 10 marzo 2009 i ricorrenti impugnano il provvedimento indicato in epigrafe con il quale è stata determinata in Euro 516,00 la sanzione amministrativa dovuta per l’istallazione di due condizionatori senza aver presentato la prescritta D.I.A.

L’impugnazione, già proposta davanti al Tribunale civile di Civitavecchia, è stata traslata davanti a questo Giudice a seguito della dichiarazione di difetto di giurisdizione in capo al giudice ordinario secondo la sentenza n. 168/2009 del Tribunale di Civitavecchia.

Con il ricorso si assume in primo luogo l’estraneità della società ricorrente e di A.M. rispetto al fatto contestato, che non sarebbe loro imputabile essendo l’installazione dei condizionatori riferibile ad epoca precedente l’acquisizione, da parte dei predetti, della disponibilità dell’immobile.

Si deduce poi difetto di motivazione, difetto dei presupposti, illogicità, sviamento, violazione della legge 689/81, considerato il tempo trascorso dalla realizzazione dell’abuso, asseritamente in data precedente all’anno 1993, quindi addirittura in epoca precedente all’entrata in vigore del dpr 380/01, dell’art. 22 TUE e della legge 662/96.

Inoltre, secondo i ricorrenti, sarebbe maturata la prescrizione della sanzione ex art. 28 delle legge 689/81.

Si è costituito in giudizio il Comune di Civitavecchia per resistere al gravame.

Alla pubblica udienza del giorno 21 maggio 2015 la causa è stata trattenuta dal Collegio per la decisione nel merito.

Preliminarmente il Tribunale osserva che gli effetti giuridici, sostanziali e processuali, della domanda devoluta al giudice privo di giurisdizione si conservano nel giudizio proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione, in forza degli art. 24, 111 e 113 cost., quando la domanda, proposta tempestivamente innanzi al giudice privo di competenza giurisdizionale, sia tempestivamente riassunta innanzi al giudice fornito di giurisdizione; ed invero, siccome chiarito anche dal giudice delle leggi, la funzione di rendere praticabile la translatio iudicii con la conservazione degli effetti della domanda proposta al giudice risultato privo di giurisdizione, non può ritenersi affidata ad un ricorso proponibile in ogni tempo e, quindi, anche anni dopo il manifestarsi del conflitto; di conseguenza il termine perentorio per la riassunzione, per le fattispecie antecedenti alla disciplina legislativa sulla translatio iudicii di cui all’art. 59, l. 18 giugno 2009 n. 69, deve individuarsi, facendo applicazione, in via analogica dell’art. 50 c.p.c. che, nella versione ratione temporis vigente, prevedeva un termine di sei mesi dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’incompetenza del giudice adito.

Nel caso di specie il difetto di giurisdizione è stato dichiarato dal Tribunale di Civitavecchia con sentenza in data 5.2.2009, mentre il ricorso impugnatorio davanti a questo Giudice è stato notificato in data 10 marzo 2009, cosicchè può essere ritenuto tempestivo rispetto al termine sopra menzionato.

Nel merito il ricorso è infondato.

In primo luogo il Collegio osserva che è indifferente ai fini della legittimità della misura sanzionatoria adottata l’individuazione dell’effettivo responsabile dell’abuso, perché le sanzioni pecuniarie di cui all’art. 10 della legge n. 47/85 e norme successive, per il loro carattere ripristinatorio (e non punitivo), hanno natura reale e ben possono essere comminate nei confronti di coloro che, a vario titolo, hanno la disponibilità dell’immobile, ovvero a carico del proprietario, a prescindere da ogni verifica sull’imputabilità del fatto , già in ragione della omessa adozione di iniziative volte al ripristino della legalità violata.

Va poi ricordato che l’ordinamento non assoggetta ad un regime di prescrizione l’esercizio dei poteri di controllo e di sanzione da parte delle amministrazioni competenti in materia urbanistico-edilizia e paesistica: dimodochè l’accertamento dell’illecito amministrativo urbanistico-edilizio e paesaggistico, nonché applicazione delle relative sanzioni, possono intervenire anche dopo il decorso di un rilevante lasso temporale dalla consumazione dell’abuso, al quale deve riconoscersi natura permanente, con la conseguenza che esso cessa soltanto dopo la materiale esecuzione della sanzione ( cfr. di recente Consiglio di Stato , sez. V, 08/04/2014 n.1650).

Del resto, l’asserita risalenza delle opere contestate all’anno 1993 costituisce affermazione di parte ricorrente non assistita da alcun principio di prova, a fronte delle risultanze del verbale redatto dalla Polizia Municipale in atti; mentre non vi è dubbio che l’installazione di condizionatori, che incida sul prospetto dell’immobile, costituisca attività edilizia soggetta a d.i.a. (ora s.c.i.a.) dovendo risultare conforme alle prescrizioni degli strumenti urbanistici e dei regolamenti edilizi.

Legittimamente dunque l’amministrazione ha proceduto ad irrogare la sanzione ex art. 37 del dpr 380/81 ( e di cui alla corrispondente fattispecie della legge 47/85) in relazione ad attività edilizia eseguita in assenza di alcun titolo abilitativo benché soggetta al regime della d.i.a..

Il provvedimento impugnato appare quindi correttamente ed adeguatamente motivato, anche in considerazione della natura vincolata degli atti repressivi degli abusi edilizi.

Conclusivamente il ricorso deve essere respinto siccome infondato.

Le spese di lite possono essere compensate fra le parti.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima Quater), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

CLAUSOLE SALVAGUARDIA. SI RISCHIA UN AUMENTO DELLE TASSE PER 1,4 MLD

A mettere in guardia il Governo sulla copertura necessaria a sostenere il taglio delle Tasse, annunciato da ultimo a Cernobbio, ci prova anche la Cgia di Mestre. Secondo l’associazione degli artigiani e dei piccoli imprenditori comincerebbero a evidenziarsi le prime questioni: come noto, entro la fine del mese di settembre dovranno essere emanati due provvedimenti legislativi per sterilizzare altrettante clausole di salvaguardia, per un importo complessivo di 1,4 miliardi di euro.

Diversamente, sostiene l’Ufficio studi della Cgia, dal primo ottobre scatteranno gli aumenti delle accise sui carburanti e degli acconti di novembre di Irap e Ires sulle imprese.

Dichiara Paolo Zabeo della Cgia: “Siamo certi che il Governo Renzi non avrà problemi a reperire questi 1,4 miliardi di euro. Molto più difficile – prosegue – sarà recuperarne altri 16 per sterilizzare gli effetti economici delle clausole di salvaguardia per l’anno venturo. Risorse che l’esecutivo dovrà individuare entro la fine di quest’anno, probabilmente con la prossima legge di Stabilità. Pertanto, va benissimo togliere le tasse sulla prima casa. Tuttavia, è necessario essere chiari e dire dove si troveranno le coperture per scongiurare l’aumento dell’Iva, delle accise e degli acconti Irap/Ires, per abolire la Tasi ed eventualmente anche l’Imu sull’abitazione principale e, infine, per scongiurare la riduzione delle detrazioni e deduzioni fiscali”.

Se la prima clausola, che andrà in scadenza entro il prossimo 30 settembre, è stata introdotta qualche mese fa a seguito della mancata autorizzazione da parte dell’Unione europea all’estensione del “Reverse charge” alla grande distribuzione (misura prevista con la legge di Stabilità 2015), la seconda risale addirittura all’agosto del 2013, quando a Palazzo Chigi c’era (da quattro mesi) Enrico Letta. In quell’occasione, ricordano dalla Cgia, l’Esecutivo confermò l’abolizione della prima rata dell’Imu del 2013. Per reperire le risorse necessarie, si ridussero le previsioni di spesa e si fece ricorso al gettito incassato dalla sanatoria accordata ai concessionari dei giochi (definizione agevolata dei giudizi di responsabilità amministrativa per i concessionari dei giochi) e al maggior gettito Iva generato dal pagamento dei debiti pregressi della Pubblica amministrazione. A fronte di 1,52 miliardi di euro attesi da queste due misure, furono incassati solo 880 milioni di euro. Pertanto, per reperire i rimanenti 640 milioni di euro, fu introdotta una clausola di salvaguardia che disponeva l’aumento gli acconti Ires e Irap di 1,5 punti percentuali. La clausola di salvaguardia prevedeva anche l’incremento delle accise a partire dal 1 gennaio 2015, per un importo complessivo di 671,1 milioni di euro. Aumento che non si verificò poiché il Governo Renzi, con il DL 192/2014, recuperò le risorse necessarie dalla “Voluntary disclosure”.

Se le entrate derivanti da questa misura non saranno sufficienti, avverte ancora la Cgia, entro il 30 settembre scatterà una nuova clausola che aumenterà gli acconti Ires e Irap per il periodo di imposta 2015 e, a partire dal 2016, anche gli importi delle accise.

ACQUA CONDOMINIALE: COME VANNO RIPARTITE LE SPESE

[Fonte AnapiNews] 

La sentenza 17557/14 della Cassazione ha fatto chiarezza sulla disciplina del pagamento dell’acqua condominiale. Il caso preso in esame dalla Cassazione è quello di un condominio di Milano. La Corte ha dichiarato illegittimo quanto votato a maggioranza dall’assemblea che ripartiva le spese per l’acqua potabile in base al numero dei residenti negli interni delle singole unità abitative dello stabile esonerando dal pagamento, quindi, le unità abitative in cui non risiedeva nessuno. Secondo i Giudici “…le spese relative al consumo dell’acqua devono essere ripartite in base all’effettivo consumo se questo è rilevabile oggettivamente con strumentazioni tecniche”, altrimenti il criterio per dividere le spese è quello indicato dal primo comma dell’articolo 1123 del C.C., vale a dire in base alla tabella millesimale. Se si contraddice questo articolo del Codice Civile e, quindi si esonerano dal pagamento delle spese idriche gli appartamenti/locali non abitati o sfitti, allora si vìola il principio di ripartizione proporzionale stabilito dal Codice. In sostanza la condicio sine qua non per dividere le spese idriche del condominio in base alle persone residenti nelle singole unità abitative è l’assenso di tutti i proprietari dell’immobile. Solo in questo caso si può derogare all’art. 1123 C.C., ma la sola maggioranza dell’assemblea, per quanto ampia, renderebbe nulla la delibera stessa. Bisogna considerare, inoltre, che la ripartizione in base al numero di persone è un criterio impreciso perché è complicato conoscere con certezza i residenti effettivi nei vari alloggi.

Per evitare spiacevoli inconvenienti nella gestione delle spese e salvaguardare una risorsa di importanza essenziale come l’acqua e, quindi diminuirne gli sprechi, la Giurisprudenza ha scelto come soluzione al problema, il montaggio in ogni proprietà di un contatore. 

Con la sentenza precedente, la n° 10895, la Corte di Cassazione ha dichiarato che l’assemblea di condominio può deliberare l’installazione dei contatori dell’acqua in ogni singola unità immobiliare, anche in contrasto con il Regolamento condominiale. Stando a queste disposizioni, è nella facoltà dell’assemblea condominiale gestire le cose e i servizi comuni «in modo dinamico», ossia eliminando gli sprechi, arrivando a dismettere alcuni beni comuni, nonostante la disciplina del Regolamento condominiale sia contrastante.

Le motivazioni che hanno spinto la Corte di Cassazione ad esprimersi in questo modo vanno viste alla luce di quanto enunciato dalla Legge n° 36 del 1994, «Disposizioni in materia di risorse idriche» che, all’articolo 5, al fine di abbassare i consumi di acqua e farne un uso più razionalizzato, stabilisce ai capi C e D:

c) installazione di contatori in ogni singola unità abitativa nonché di contatori differenziati per le attività produttive e del settore terziario esercitate nel contesto urbano;

d) diffusione dei metodi e delle apparecchiature per il risparmio idrico domestico e nei settori industriale, terziario ed agricolo.

La tutela della risorsa idrica è ribadita due anni più tardi nel Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, DPCM 4 marzo, poi ripreso dal Decreto legislativo 152/2006 che demanda alle Regioni l’obbligo di installare in ogni unità abitativa i contatori per la ripartizione dell’acqua.

Solo avendo ben chiaro questo excursus è possibile cogliere lo spirito della legge a cui fanno riferimento la sentenze 17557 e 10895 del 2014. 

Va precisato che i modi d’uso e il funzionamento dei servizi condominiali sono attribuiti all’assemblea condominiale dall’articolo 1135 del Codice Civile, quindi nel caso specifico i condòmini possono optare per i contatori in ogni singola unità abitativa, è necessario avere solamente la maggioranza semplice, vale a dire un terzo dei condòmini che possegga almeno un terzo del valore millesimale in quanto la modifica dell’impianto dell’acqua è volta a un miglior godimento e non rappresenta un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del Codice Civile.

ASSEMBLEA CONDOMINIALE: SPETTA AL CONDOMINIO VERIFICARE LA CONVOCAZIONE

L’avviso di giacenza della raccomandata con la quale di dava l’avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria di condominio non basta a provare la tempestiva comunicazione dell’avviso stesso ai condòmini. Inoltre, è onere del condominio provare non solo la spedizione, ma anche che l’avviso di giacenza (adempimento che consente di acquisire conoscenza dell’invio della comunicazione e la conoscibilità del suo contenuto) sia stato immesso nella cassetta postale del destinatario. Lo ha stabilito la Corte suprema di Cassazione, annullando la sentenza della Corte d’Appello di Brescia n.797 del 2012, circa il ricorso presentato da un amministratore di condominio che si era visto annullare precedentemente dal Tribunale di Bergamo una delibera condominiale nei confronti di alcuni condòmini.

Di seguito sono riportati i motivi della decisione.

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CORTE DI CASSAZIONE

Sez. VI civ., Ord. 23.6.2015,

n. 13015

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO – MOTIVI DELLA DECISIONE

Ritenuto che il precedente relatore designato alla trattazione del ricorso ha depositato la seguente relazione ai sensi dell’art. 380- bis cod. proc. civ.:…

1. Il Tribunale di Bergamo, con sentenza del 16/5/2007, su ricorso dei condomini T.G., C. A. e A.R., annullava una delibera del Condominio Omissis in quanto quest’ultimo non aveva provato di avere tempestivamente comunicato al T. l’avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria del 22/3/2006. La Corte di Appello di Brescia con sentenza accoglieva l’appello del Condominio e rigettava la domanda di annullamento dei condomini ricorrenti condannandoli alle spese del doppio grado. La Corte di appello riteneva provata la tempestiva comunicazione dell’avviso di convocazione cosi motivando: “è incontestato che tutti i condomini hanno ricevuto l’avviso in data 13/3/2006, entro i1 termine e che al condomino T. G., non reperito all’atto della consegna, è stato invece lasciato in pari data un avviso di giacenza” (pag. 11). “… essendo stato adeguatamente provato l’avvenuto recapito da parte di Omissis, incaricata della consegna, dell’avviso di giacenza della lettera raccomandata… inserita nella cassetta delle lettere del condomino T.” (pag. 12); – “… la conoscenza dell’avviso di convocazione risulta già provata dall’immissione nella cassetta della posta del destinatario” (pag. 13). T.G., ha proposto ricorso affidato a due motivi. Il condominio ha resistito con controricorso.

2. Preliminarmente, si osserva che non risulta notificato il ricorso anche ai condomini C. e A. che pure erano parti costituite nel giudizio di appello e non estromesse. Ne consegue che dovrà essere ordinata l’integrazione del contraddittorio.

3. Ove il Collegio dovesse ritenere superabile questo preliminare rilievo, non merito si osserva quanto segue.

4. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce il vizio di motivazione in ordine alla prova dell’immissione nella sua cassetta delle lettere dell’avviso di giacenza della raccomandata con la quale si dava avviso di convocazione dell’assemblea straordinaria del 22/3/2006. Il ricorrente sostiene: – di avere sempre contestato di avere ricevuto l’avviso di convocazione; – di avere ricevuto l’avviso di giacenza solo dopo che si era tenuta l’assemblea; – di avere dedotto, nella comparsa di costituzione in appello, di non avere trovato avviso di deposito nella cassetta delle lettere; – che era onere del condominio provare la rituale comunicazione dell’avviso di convocazione; – che la Corte di appello non poteva ritenere incontestato e provato che fosse stato lasciato avviso di giacenza.

5. Il motivo è manifestamente fondato. Dalla lettura della sentenza di appello (v. supra i brani, riportati in corsivo, della motivazione che affrontano il tema della prova dell’immissione dell’avviso di giacenza nella cassetta delle lettere del T. risulta del tutto incomprensibile l’iter logico-giuridico che ha condotto il giudice di appello ad affermare che era adeguatamente provato l’avvenuto recapito da parte di Omissis, incaricata della consegna, dell’avviso di giacenza della lettera raccomandata. … Inserito nella cassetta delle lettere del condomino T.. l’avviso di convocazione era stato spedito a mezzo posta e, pacificamente, non consegnato (al) destinatario, con la conseguenza che era onere del condominio provare non solo la spedizione, ma anche che l’avviso di giacenza (adempimento che consente di acquisire conoscenza dell’invio della comunicazione e la conoscibilità del suo contenuto) fosse stato immesso nella cassetta postale del destinatario.

6. Resta assorbito dal rigetto dall’accoglimento del primo motivo (e dalle ragioni del suo accoglimento) il secondo motivo che censura la decisione sotto il diverso profilo della violazione dell’art. 115 c.p.c. e artt. 1335 e 2697 c.c..

7. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente fondato. Letta la memoria depositata dal controricorrente. Considerato che il Collegio ritiene necessaria la integrazione del contraddittorio nei confronti di C.A. e A. R., parti di entrambi i gradi di merito; che a tal fine va assegnato il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza, e va disposto il rinvio a nuovo ruolo della causa, disponendosi sin d’ora la trasmissione del ricorso alla Sezione Seconda.

P.Q.M.

La Corte ordina l’integrazione del contraddittorio nei confronti di C.A. e A.R.; assegna a tal fine il termine di sessanta giorni dalla comunicazione della presente ordinanza; dispone il rinvio della causa a nuovo ruolo e la sua trasmissione alla Seconda Sezione. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione sesta civile – 2 della Corte suprema di cassazione, il 21 maggio 2015.

LE SPESE PER LA CASA AUMENTATE DEL 110% IN 20 ANNI

[Fonte: Confcommercio] 

Sono quelle relative alla casa (affitto, bollette, tassa rifiuti e imposte locali) le voci di spesa che incidono maggiormente sul bilancio delle famiglie italiane, arrivando ad assorbire circa il 24% dei consumi complessivi. Stando a quanto emerso dall’analisi realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio sulle spese delle famiglie italiane negli ultimi 20 anni, le cose non sono sempre andate così, ma sono peggiorate nel corso degli anni. Basti pensare che dal 1995 a oggi, la spesa pro capite relativa all’abitazione è passata da poco più di 1900 euro agli attuali 4012 euro, segnando un aumento quasi esponenziale del 110%.

Nel valutare i mutamenti intervenuti nelle decisioni di spesa delle famiglie, sia in termini qualitativi sia quantitativi, lo studio distingue tra le spese obbligate e spese commercializzabili, dando un’indicazione aggiuntiva di come le famiglie, al di là di quanto suggerito della diminuzione quantitativa dei consumi, abbiano sperimentato una sensibile diminuzione del benessere da loro fruito.

Negli ultimi venti anni la spesa delle famiglie si è progressivamente spostata verso i consumi obbligati, inclusivi degli affitti imputati (che corrispondono alla spesa teorica per l’affitto attribuita alle famiglie che vivono in case di proprietà). Queste spese assorbono ormai il 42% circa delle spese familiari. Nello stesso periodo è aumentata la quota destinata ai servizi il cui consumo rappresenta una libera scelta (dal 17,4% del 1995 al 21,4% del 2015) fenomeno ascrivibile alla tendenza alla terziarizzazione dei consumi. Queste dinamiche hanno compresso l’area delle spese destinate ai beni cosiddetti commercializzabili in cui rientrano molte funzioni di consumo considerate mature (alimentari, abbigliamento, mobili ecc.). Se lo spostamento di quote di spesa da prodotti a servizi è un fenomeno fisiologico nelle economie avanzate, anche per l’emergere di nuovi bisogni “immateriali”, meno lo è l’avanzamento di quote di consumi che non rappresentano una libera scelta dei cittadini legata al soddisfacimento dei bisogni individuali e/o familiari. Categorie e gruppi di spesa che costituiscono gli aggregati dei consumi obbligati e dei consumi commercializzabili: consumi obbligati e affitti imputati – fitti effettivi, fitti imputati, manutenzione e riparazione dell’abitazione, acqua e altri servizi per l’abitazione, energia elettrica, gas ed altri combustibili, sanità, spese d’esercizio dei mezzi di trasporto esclusi i combustibili, combustibili e lubrificanti, assicurazioni, protezione sociale, servizi finanziari, altri servizi n.a.c.; consumi commercializzabili – alimentari, bevande alcoliche e non alcoliche, tabacco, vestiario e calzature, mobili elettrodomestici e manutenzione casa, acquisto di mezzi di trasporto, apparecchiature per la telefonia, articoli audiovisivi, fotografici, computer ed accessori, altri beni durevoli per la ricreazione e la cultura, altri articoli ricreativi ed equipaggiamento, fiori, piante ed animali domestici, libri, giornali ed articoli di cancelleria, apparecchi, articoli e prodotti per la cura della persona, effetti personali n.a.c., servizi di trasporto, servizi postali, servizi di telefonia, servizi ricreativi e culturali, vacanze tutto compreso, pubblici esercizi, servizi alberghieri ed alloggiativi, barbieri, parrucchieri e saloni e altri servizi per la persona, istruzione. La situazione, già evidente negli anni ’90 e nella prima parte dello scorso decennio, si è acuita con l’emergere della crisi economica e con l’adozione di politiche che hanno determinato un aumento della pressione fiscale, fattori che hanno fortemente limitato le disponibilità delle famiglie (il reddito disponibile reale è sceso, complessivamente, tra il 2007 e il 2014 del 10,6% e del 14,1% in termini pro capite). Con l’attenuarsi della fase recessiva la tendenza alla progressiva espansione della quota di spesa destinata ai consumi obbligati da parte delle famiglie sembra essersi arrestata segnalando, nelle nostre stime, una contenuta diminuzione tra il 2013 ed il 2015. Questa evoluzione sembra avvantaggiare gli acquisti di servizi commercializzabili. Analizzando più nel dettaglio quanto accaduto tra il 1995 e oggi si rileva come l’aumento della quota destinata alle spese obbligate sia ascrivibile in larga misura alla componente relativa all’abitazione è cresciuta del 110%, arrivando ad assorbire oltre il 24% della spesa. Per quanto riguarda la parte relativa alle spese che attengono alle scelte individuali e familiari la decisa riduzione della quota destinata ai beni, circa 10 punti percentuali in meno rispetto al 1995, è sintesi di andamenti molto diversificati. L’affermarsi di nuove forme di comunicazione ha sostenuto la spinta per i prodotti della telefonia, dinamica che, in un contesto di riduzione delle risorse a disposizione delle famiglie, ha determinato un’ulteriore compressione di consumi di prodotti più tradizionali. Tra questi, particolarmente penalizzate sono state le spese relative all’alimentazione domestica (inclusiva delle bevande alcoliche e non) la cui incidenza è scesa di quasi tre punti percentuali. Le dinamiche sopra descritte tengono conto sia di quanto avvenuto dal lato delle quantità sia da quello dei prezzi. Focalizzando l’attenzione sull’evoluzione dell’inflazione dei tre sottoinsiemi dei consumi presi in esame si rileva come parte dell’aumento dell’incidenza delle spese obbligate sia derivata dalle dinamiche dei prezzi. In tutto l’arco temporale osservato questa componente della domanda ha mostrato una dinamica decisamente più sostenuta rispetto a quanto rilevato per il complesso dei beni e servizi commercializzabili. Ponendo uguale a 100 i prezzi nel 1995, quelli delle spese incomprimibili si attestano nel 2015 a 182,8, a fronte del 136,7 dei consumi commercializzabili. Anche nel caso dei prezzi gli aumenti più rilevanti hanno interessato l’abitazione, non solo per effetto delle variazioni intervenute sul mercato immobiliare negli anni antecedenti la crisi, che si sono riflesse sia sugli affitti reali che su quelli imputati, ma anche per i prezzi di quei beni e servizi, quali l’acqua e lo smaltimento rifiuti, gestiti a livello locale e aumentati negli ultimi 20 anni di oltre il 130%. Particolarmente sostenuta è stata anche la dinamica dei prezzi relativi alle assicurazioni ed ai carburanti, segmento che sembra conoscere nei periodi più recenti un’attenuazione delle dinamiche inflazionistiche. La tendenza a una crescita più accentuata dei prezzi relativi alle spese obbligate attraversa tutti gli ultimi 20 anni evidenzia molto chiaramente il drenaggio di risorse operato da un’evoluzione inflazionistica dei beni e servizi obbligati nettamente superiore al dato medio.