Abusi sul pianerottolo
Arrestato lo stupratore
È stato fermato il giovane di 24 anni che nottetempo aveva tentato di violentare una donna di 29 anni al rientro nella sua casa di Roma. La vittima era riuscita a difendersi e a mettere in fuga il suo aggressore. Dopo essersi recata in ospedale per accertamenti, la 29enne ha deciso di sporgere denuncia ai carabinieri della zona, che si sono messi sulle tracce del malvivente e lo hanno arrestato, il giorno dopo, mentre si aggirava nei pressi della stessa casa dove era avvenuto l’agguato.
Liti condominiali: incendia
L’auto dell’amministratore
Un libero professionista di 50 anni, residente a Reggio Emilia, è stato fermato dai carabinieri dopo aver bruciato l’auto del suo amministratore di condominio, un 38enne anch’egli reggiano. Pare che le minacce e gli atti intimidatori andassero avanti da una ventina di giorni. Oltre al rogo dell’auto, il 50enne aveva cercato di danneggiare la macchina della madre dell’amministratore e aveva rubato l’insegna dello studio. Dalle indagini dei militari è emersa l’esistenza di vecchie ruggini per ingiunzioni di pagamento per spese condominiali non corrisposte e altre incomprensioni legate a una controversia con una terza persona.
Si allacciano abusivamente
alla corrente condominiale
I carabinieri di un comune in provincia di Avellino hanno tratto in arresto una coppia di coniugi di 50 e 49 anni, che aveva allacciato abusivamente il proprio contatore domestico a quello di alimentazione della luce del vano condominiale, danneggiando il circuito elettrico dello stabile. Insospettiti dall’aumento dell’importo della bolletta della scala condominiale, gli inquilini hanno deciso di rivolgersi alle forze dell’ordine che, dopo le indagini del caso, hanno accertato che la coppia aveva manomesso il contatore condominiale, sottraendo energia elettrica per circa un migliaio di euro. I due coniugi sono stati messi agli arresti domiciliari.
L’artigiano di famiglia
deruba il proprietario
Quadri, stereo e un maxi schermo da 52 pollici. Questi gli oggetti trafugati da una villa nel centro storico di Modena. Ad accorgersene e a sporgere denuncia è stato il proprietario, un uomo residente in un comune della provincia, rientrato in città dopo alcuni giorni di assenza. A seguito delle indagini, la polizia è risalita a un artigiano che stava svolgendo dei lavori nella villa per conto del proprietario. Messo alle strette, l’uomo avrebbe confessato e ammesso di aver regalato in parte la refurtiva. La restante parte sarebbe stata consegnata ai suoi creditori, come pegno.
94enne rapinata e lasciata
imbavagliata per 2 giorni
Un’anziana di 94 anni è rimasta legata e imbavagliata nella sua casa in provincia di Ferrara a seguito di una rapina. A liberarla è stato il figlio 72enne, avvertito dai vicini di casa che non vedevano la donna uscire dalla sua abitazione da giorni. Dopo essere stata soccorsa dai sanitari del 118, l’anziana ha raccontato ai carabinieri di essere stata immobilizzata con delle fascette elettriche mentre i rapinatori (probabilmente tre) erano intenti a rovistare in tutta la casa in cerca di contanti. Non trovando niente, però, si sono accontentati di una catenina, alcuni preziosi e un cellulare.
In materia di fiscalitàimmobiliare, è sempre di grande attualità il tema del bonus prima casa. Ma
questa volta il quesito giunto alla redazione di Nuovo Fiscooggi – la rivista
ufficiale dell’Agenzia delle Entrate – è particolare, riguardano il caso di un
contribuente che, dopo aver acquistato un immobile con i benefici per
l’abitazione principale, lo ha venduto nel quinquennio e si è trasferito
all’estero, iscrivendosi all’Aire, e adesso si domanda se debba o meno decadere
dall’agevolazione?
La risposta, anche in questo
caso, è affidata all’esperto di tali tematiche, Gianfranco Mingione, il quale
precisa: “Decade dall’agevolazione prima casa il contribuente che trasferisce,
a titolo gratuito o oneroso, un immobile per il quale ha fruito dei benefici,
prima che siano passati cinque anni dall’acquisto (comma 4 della nota II-bis all’articolo
1 della Tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986). L’eventuale trasferimento
all’estero non impedisce il verificarsi della decadenza dall’agevolazione che,
però, può essere evitata qualora, entro un anno, si acquisti un immobile, anche
situato in uno Stato estero, a condizione che sussistano strumenti di
cooperazione amministrativa che permettano di verificare che effettivamente lo
stesso sia stato adibito a dimora abituale (circolare 31/E del 2010). È in ogni
caso possibile, se non si intende acquistare un nuovo immobile entro un anno,
comunicare all’Agenzia delle Entrate tale volontà, chiedendo la riliquidazione
dell’imposta. L’ufficio provvederà a notificare avviso di liquidazione
dell’imposta dovuta e dei relativi interessi, senza applicare la sanzione del
30% (risoluzione 112/E del 2012).
Molto si staparlando, nelle ultime settimane, delle detrazioni fiscali, sia per i lavori di
ristrutturazione che per quelli di incremento dell’efficienza energetica. Ma,
al di là dell’aspetto prettamente politico, con la diatriba sulla potenziale
stabilizzazione dell’ecobonus, ci sono numerosi nodi fiscali che,
quotidianamente, rendono particolarmente complessa la fruizione dei benefici in
ambito condominiale. Tra questi, quello oggetto di un quesito pervenuto nei
giorni scorsi alla rubrica di posta fiscale di “Nuovo FiscoOggi”, la rivista
ufficiale dell’Agenzia delle Entrate. La questione posta dal contribuente è la
seguente: “In tema di agevolazioni fiscali per lavori condominiali di
manutenzione straordinaria, il proprietario di un immobile commerciale (C/1)
può fruire della detrazione al 50%?
Ecco la risposta fornita dall’esperto, Gianfranco Mingione: “Hanno
accesso al bonus ristrutturazioni gli interventi di manutenzione sia ordinaria
che straordinaria svolti sulle parti comuni di edifici residenziali, indicate
dall’articolo 1117 del codice civile. Un edificio si considera residenziale se
la superficie complessiva delle unità immobiliari destinate a residenza è
superiore al 50%; in tale ipotesi, limitatamente alle spese sostenute sulle
parti comuni, hanno diritto alla detrazione anche i proprietari delle unità non
residenziali (articolo 14, comma 2, Dl 63/2013). Qualora invece la superficie
complessiva delle unità residenziali sia inferiore al 50%, la detrazione per le
spese realizzate sulle parti comuni è ammessa solo per i possessori o detentori
di unità immobiliari destinate ad abitazione (circolare 57/E del 1998,
paragrafo 3.2)”.
[A cura di: avv. Chiara Magnani –
Associazione Foro Immobiliare] Con la sentenza del 17/07/2015 il Tribunale di
Alessandria ha accolto il reclamo proposto dall’ente erogatore del servizio
idrico avverso l’ordinanza – emessa a conclusione di un procedimento cautelare,
ex art. 700 c.p.c. azionato dai singoli condòmini in regola con i pagamenti –
con cui il giudice di primo grado aveva, invece, ordinato al fornitore di
ripristinare, in favore del condominio, l’ordinario flusso di acqua.
L’ente erogatore, infatti, protraendosi
la morosità del condominio – destinatario tra l’altro di decreto ingiuntivo
esecutivo e non opposto – in attuazione delle condizioni contrattuali procedeva
a ridurre al minimo la somministrazione dell’acqua per le utenze domestiche. A
fronte della riduzione del servizio, i condòmini in regola con il pagamento
delle rate condominali richiedevano l’immediata riattivazione del servizio.
Il Tribunale di Alessandria,
nell’accogliere il reclamo, evidenzia come parte del contratto di
somministrazione dell’acqua sia solo ed esclusivamente il condominio e non i
singoli partecipanti, come solo l’amministratore – nella sua qualità di
rappresentante della collettività tanto nei rapporti esterni quanto in quelli
interni – sia il soggetto legittimato ad effettuare il pagamento delle relative
utenze e come, pertanto, l’eventuale pagamento operato dai singoli condòmini
non abbia alcuna efficacia estintiva del debito originato dal condominio (Cass.
3636/2014)
Nel rapporto contrattuale tra il terzo
fornitore e il condominio, la circostanza che alcuni condòmini abbiano
effettuato regolarmente, in favore del condominio, il versamento delle quote
condominiali di propria spettanza è del tutto irrilevante: nel caso in esame,
comunque, i singoli condòmini non avevano materialmente effettuato alcun
pagamento in favore del fornitore, e comunque anche se i virtuosi avessero
corrisposto gli importi direttamente all’ente erogatore, il loro pagamento non
avrebbe avuto alcuna capacità estintiva del debito contratto dal condominio.
L’amministratore, nel caso di specie, non aveva versato alcun importo al
fornitore, pertanto, non vi era stato alcun adempimento parziale del
condominio. Pare evidente come anche i condòmini virtuosi rispondano
dell’inadempimento del condominio e come siano esposti al rischio di vedersi
richiedere dal fornitore, ai sensi e per gli effetti dell’art. 63 disp. att.
c.c., il pagamento, pro quota, del credito maturato nei confronti del
condominio.
I condòmini virtuosi, a tutela delle proprie
ragioni, come suggerito anche dal Tribunale di Alessandria, ben possono
attivarsi per fare in modo che l’amministratore metta a disposizione del
fornitore le somme già incassate nonché operi per far valere nei confronti dei
morosi i pagamenti già effettuati.
Il Tribunale della libertà
rigettava la richiesta di riesame proposta nei confronti del decreto di
sequestro preventivo emesso dal Gip, finalizzato alla confisca per un importo
equivalente al reato di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi e
Iva, di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000, con evasione superiore, con
riferimento a taluna delle singole imposte, a 30mila euro.
Il legale rappresentate dell’ente
aveva sostenuto l’illegittimità del provvedimento cautelare in danno alla
fondazione, ritenendo la mancanza del fumus
commissi delicti del reato
ipotizzato. Di diverso avviso il Tribunale del riesame, che ha confermato la
misura cautelare alla luce di quanto emerso dalle indagini della Guardia di
finanza. Infatti, dalla verifica fiscale presso la fondazione era emerso lo
svolgimento di un’attività commerciale alberghiera in favore di turisti
italiani e stranieri, e i relativi ricavi, per gli anni in contestazione, erano
risultati “preponderanti rispetto all’attività istituzionale (colonie, attività
formativa svolta in forza della titolarità diretta di istituti scolastici
paritari)”.
Con unico motivo l’imputato
ricorre per cassazione, tentando di smontare l’impianto accusatorio
dell’ordinanza impugnata, con la sottolineatura che le attività svolte
dall’ente erano eterogenee e, soprattutto, che quella alberghiera rientrava nei
fini istituzionali. In particolare, il ricorrente lamenta violazione della
legge penale (articolo 321, comma 2, cpp) e di quella fiscale (articolo 149 del
Dpr 917/1986: perdita della qualifica di ente non commerciale), sul rilievo
che, per il periodo d’imposta in contestazione, fosse stata proprio la Guardia
di finanza a escludere che la fondazione avesse perso il requisito della “non
commercialità”, con la conseguenza che i corrispettivi specifici ricevuti per
le prestazioni di natura non commerciale dovessero essere ritenuti prevalenti
rispetto al valore normale delle restanti prestazioni. Inoltre, l’imputato
osserva che, anche in materia di Iva, le operazioni svolte dall’ente
nell’ambito della propria attività istituzionale restano estranee al campo di
applicazione dell’imposta.
Decidendo la vertenza, la
Cassazione rigetta il ricorso, affermando che scatta il sequestro per la
presunta evasione fiscale a carico del vertice della fondazione che svolge,
oltre ai consueti compiti istituzionali, anche attività commerciali non
fatturate. Un procedimento, quello del Tribunale della libertà, assolutamente
corretto, spiega la Corte suprema, considerato che nella specie si è fatto
“buon governo” dei principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in
materia, anche rispetto al profilo del superamento della soglia di punibilità
di cui all’articolo 5 del Dlgs 74/2000 (vedi Cassazione, sezioni unite,
10561/2014), confermando la confisca diretta o in forma specifica sui beni
della fondazione (beneficiaria del risparmio di spesa conseguente
all’evasione).
Sul punto, il giudice di
legittimità ha chiarito che le investigazioni hanno avuto a oggetto un ente
(fondazione) che non ha perso il requisito della “non commercialità” (articolo
149 del Tuir), pur avendo svolto attività di natura commerciale. Ad avviso del
Collegio giudicante, in base ai principi che presidiano la materia, il
carattere commerciale dell’attività si evidenzia in modo oggettivo, a
prescindere dalla natura dell’ente, dalla destinazione degli utili e dalla
totale assenza di finalità lucrative. Infatti, per “esercizio di imprese” si
intende, sia ai fini Ires (articolo 55 del Tuir) sia ai fini Iva (articolo 4,
primo comma, Dpr 633/1972), “l’esercizio per professione abituale, ancorché non
esclusiva”, delle attività commerciali di cui all’articolo 2195 del codice
civile, anche se non organizzate in forma d’impresa, nonché l’esercizio di
attività, organizzate in forma di impresa, dirette alla prestazione di servizi
che non rientrano nell’articolo 2195 del codice civile.
Peraltro, l’articolo 39 del Dpr
600/1973 dispone che l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di
passività dichiarate è desumibile sulla base di presunzioni semplici, purché
queste siano gravi, precise e concordanti (Cassazione 40992/2013).
Inoltre, qualora
l’Amministrazione finanziaria contesti indebite detrazioni di Iva e deduzioni
di costi fatturati, fornendo elementi, anche semplicemente presuntivi, purché
oggettivi, atti ad asseverare l’emissione di fatture in assoluta assenza di
corrispondente prestazione, è onere del contribuente che rivendichi la
legittimità della deduzione degli esborsi fatturati e quella della detrazione
dell’Iva correlativamente indicata, fornire la prova dell’effettiva esistenza
delle operazioni (cfr. Cassazione
23325/2013).
[A cura di: Marco Denaro – Nuovo FiscoOggi, Agenzia delleEntrate] Ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, le successive
“rettifiche”, che integrano e completano gli effetti giuridici dell’atto
originario, costituiscono, sul piano negoziale, nuovi atti, separatamente
tassabili rispetto a quello iniziale. Ne consegue che, se tali rettifiche
intervengono nell’ambito dei trasferimenti immobiliari per cui si è goduto
delle agevolazioni fiscali prima casa ne determinano il loro venir meno. Sulla
base di tale assunto, con la sentenza n. 16019 del 29 luglio 2015, la
Cassazione ha accolto il ricorso proposto dall’Agenzia delle Entrate avverso
una sentenza della Ctr che, nel rigettare l’appello erariale, aveva annullato
un atto di recupero dell’imposta di registro emesso nei confronti di due
coniugi relativamente all’intervenuta decadenza benefici prima casa, di cui
alla nota II-bis), articolo 1, comma 4, della Tariffa, parte I,
allegata al Dpr 131/1986 (Tur).
BONUS PRIMA CASA
La vigente nota II-bis) dell’articolo 1 della
Tariffa, parte I, allegata al Tur, prevede l’applicazione agevolata
dell’imposta di registro con aliquota del 2% (ovvero dell’Iva al 4%), nonché le
imposte ipocatastali in misura fissa pari a 50 euro ciascuna (200 euro in caso
di operazione soggetta a Iva), agli atti traslativi a titolo oneroso della
proprietà di case di abitazione “non di lusso” e agli atti traslativi o
costitutivi della nuda proprietà, dell’usufrutto, dell’uso e dell’abitazione
relativi alle stesse, a condizione che:
* l’immobile sia ubicato nel territorio del comune in cui
l’acquirente ha o stabilisca entro diciotto mesi dall’acquisto la propria
residenza o, se diverso, in quello in cui l’acquirente svolge la propria
attività;
* nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere
titolare esclusivo o in comunione con il coniuge dei diritti di proprietà,
usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del
comune in cui è situato l’immobile da acquistare;
* nell’atto di acquisto l’acquirente dichiari di non essere
titolare, neppure per quote, anche in regime di comunione legale su tutto il
territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e
nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o
dal coniuge con le agevolazioni in parola.
Detti requisiti soggettivi e oggettivi devono ricorrere
congiuntamente per l’applicazione delle aliquote agevolate previste ai fini
delle imposte di registro, ipotecaria e catastale. Il comma 4 dell’articolo 1
della citata nota dispone poi che, nelle ipotesi di dichiarazione mendace o di
trasferimento (a titolo oneroso o gratuito) degli immobili acquistati con i
benefici in parola, prima del decorso del termine di cinque anni dalla data del
loro acquisto, le imposte sono dovute nella misura ordinaria, tranne nel caso
in cui il contribuente, entro un anno dall’alienazione dell’immobile acquistato
con i benefici, proceda all’acquisto di altro immobile da adibire a propria
abitazione principale.
Ne consegue che, nel caso di immobili acquistati con i
benefici prima casa e rivenduti prima del decorso del termine di cinque anni
dalla data del loro acquisto, l’Amministrazione finanziaria procede al recupero
della differenza fra l’imposta calcolata in assenza di agevolazioni e quella
risultante dall’applicazione dell’aliquota agevolata, nonché all’irrogazione
della sanzione amministrativa pari al 30% della differenza medesima.
GIUDIZIO DI MERITO
Nel settembre del 2004, due coniugi acquistavano un
fabbricato in comproprietà (50% a testa), usufruendo, ai fini dell’imposta di
registro, dell’agevolazione prima casa. Nel successivo mese di ottobre, sempre
innanzi allo stesso ufficiale rogante, stipulavano un atto rettificativo del
primo, nel quale si precisava che l’acquirente dell’unità immobiliare era il
solo marito e non anche la moglie, che solo per mero errore era stata indicata
come comproprietaria nell’atto originario. A seguito di tale rettifica,
l’ufficio procedeva alla notifica di due avvisi di liquidazione: uno alla
moglie, con il quale le si revocavano i benefici prima casa, avendo la stessa
ceduto al marito il suo 50% entro i cinque anni dall’acquisto originario
dell’immobile, senza aver proceduto a un successivo riacquisto; l’altro, per
entrambi i coniugi, in quanto responsabili solidali, con riferimento al 50%
dell’agevolazione indebitamente goduta per il secondo acquisto. Il ricorso dei
coniugi veniva accolto in primo grado – con sentenza confermata anche in
appello – nella considerazione che il secondo atto non aveva comportato alcun
trasferimento di diritti reali e, quindi, nessuna decadenza dall’agevolazione
prima casa.
LA CASSAZIONE
Nel ricorso di legittimità, l’Agenzia lamenta la violazione
dell’articolo 20 del Tur – per cui l’imposta di registro si applica secondo la
intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla
registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente – da
parte dei giudici del gravame, che non avrebbero rilevato come il successivo
atto in rettifica avesse, di fatto, comportato un mutamento della titolarità
del 50% della quota dell’immobile compravenduto.
Per la Corte suprema, il ricorso è fondato. Infatti, sulla
base di un principio consolidato, l’atto rettificativo posto in essere
successivamente a quello originario, modificandone gli effetti giuridici,
costituisce un nuovo atto, autonomamente tassabile rispetto al primo, che continua
a produrre effetti (Cassazione, sentenza 4220/2006).
[Fonte: Nuovo Fiscooggi – Agenziadelle Entrate] Dal 15 settembre, gli Ordini e i Collegi, nazionali o
provinciali, a cui fanno capo i professionisti tenuti dal 1° giugno scorso a
presentare esclusivamente on line gli atti di aggiornamento catastale (Docfa e
Pregeo) utilizzando il modello unico informatico (Muic), possono creare un
“salvadanaio” per consentire ai propri iscritti di pagare i relativi tributi.
Vale a dire, possono versare, tramite il portale Sister, somme preventive sul
conto corrente unico nazionale previsto dal provvedimento del 2 marzo 2007 dell’allora Agenzia del Territorio, evitando agli associati
la necessità di costituire “castelletti”.
La nuova procedura, già
sperimentata con il Consiglio nazionale dei geometri e dei geometri laureati,
facilita la gestione di versamenti di ridotta entità. In sintesi, è questo il
contenuto del provvedimento emanato dalle Entrate lo scorso
30 luglio, per semplificare il processo di
informatizzazione degli adempimenti catastali, che ha visto diventare
obbligatori gli aggiornamenti telematici da parte dei professionisti. Ora, gli
stessi possono presentare gli atti di modifica on line e,
contestualmente, pagare i relativi tributi anche utilizzando le somme versate
anticipatamente dai loro Ordini o Collegi sul conto unico nazionale.
In pratica, gli Ordini e i
Collegi, dopo aver stipulato con l’Agenzia delle Entrate accordi di servizio
con la definizione degli aspetti tecnici e di sicurezza gestionale informatica,
possono effettuare i versamenti attraverso “Sister”. Gli importi accantonati
non producono interessi e restano a disposizione, dell’Ordine o del Collegio,
sul portale, per poi essere utilizzati dagli iscritti che chiedono di servirsi
di questa modalità. Gli atti di aggiornamento saranno però accettati solo nei
limiti di capienza delle somme disponibili.
[A cura di:Salvatore Servidio, Nuovo FiscoOggi – Agenzia delle Entrate]
La Cassazione, con la sentenza n. 28770 del 7 luglio 2015, fa finire sotto sequestro l’immobile di proprietà esclusiva della ex moglie perché la separazione e il trasferimento del bene appaiono fittizi. All’accusa non resta che dimostrare il mantenimento della disponibilità del cespite da parte dell’indagato.
I FATTI DI CAUSA
Il tribunale del riesame ha rigettato il ricorso presentato da due ex coniugi avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip, finalizzato alla confisca per equivalente di un immobile. A entrambi, erano state contestate plurime condotte di bancarotta fraudolenta e solo all’ex marito era imputato anche l’omesso versamento di ritenute certificate e di Iva (articoli 10-bis e 10-ter del Dlgs 74/2000). L’immobile al centro della questione era divenuto di proprietà della donna in seguito alla separazione consensuale tra i due. La donna, dunque, poteva dirsi interessata alla restituzione dell’immobile, ma come soggetto terzo.
Nel conseguente ricorso per cassazione, l’ex moglie ha dedotto violazione di legge (articoli 321, comma 2, cpp e 322-ter cp), in quanto il tribunale del riesame avrebbe mantenuto il vincolo sull’immobile, sebbene acquistato in precedenza dai coniugi in regime di separazione patrimoniale dei beni, per divenire poi di proprietà esclusiva della ricorrente a seguito della separazione consensuale della coppia. In questo modo, non si potrebbe configurare alcuna disponibilità del bene in capo al marito, neppure in forma indiretta. Inoltre, il bene non potrebbe essere considerato indivisibile, ben potendo il vincolo limitarsi a una porzione o quota del medesimo.
Ai fini della confisca per equivalente, la ricorrente eccepisce poi che il vincolo cautelare è stato disposto sull’immobile senza compiere alcuna verifica dell’effettivo profitto del reato in capo alla società di cui il coniuge è amministratore. Infine, la difesa ha evidenziato che la ricorrente non può essere ritenuta quale terzo interessato, atteso che la stessa – già indagata per il reato di bancarotta fraudolenta, il cui nucleo sarebbe rappresentato proprio dai reati tributari che sostengono la misura in esecuzione – avrebbe assunto, in ordine agli stessi, il ruolo di imputata.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La Cassazione ha deciso la vertenza dichiarando inammissibile il ricorso, in quanto estraneo al reato fiscale contestato all’ex marito, perciò con patrocinio di un difensore privo di procura speciale. Si tratta di una particolare fattispecie, quella esaminata, che riguarda la possibilità di qualificare la ricorrente come soggetto terzo estraneo al reato, come sollecitato da un’eccezione dell’accusa di dichiarare inammissibile il ricorso in Cassazione, in quanto la ricorrente deve essere considerata estranea ai reati fiscali, per i quali è indagato soltanto l’ex marito. La sentenza ha accolto il rilievo, affermando che la moglie è un terzo estraneo al delitto, interessato alla restituzione.
In tal modo, la suprema Corte, non ha condiviso la tesi della ricorrente, vigendo il principio giurisprudenziale contrario, in base al quale “In materia di misure cautelari reali, il terzo interessato alla restituzione dei beni, può proporre ricorso per Cassazione previo conferimento al difensore di una procura speciale così come previsto dall’art. 100 c.p.p.” (cfr Cassazione 47239/2014).
Peraltro, nel merito, ai fini del sequestro preventivo, funzionale alla confisca di cui all’articolo 322-ter del codice penale, non occorre provare il nesso di pertinenzialità del bene rispetto al reato, essendo assoggettabili a confisca cose che si trovano nella disponibilità dell’indagato per un valore corrispondente a quello relativo al profitto o al prezzo del reato (cfr Cassazione 11902/2005 e 18527/2011). Il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere, quindi, su beni comunque nella disponibilità dell’indagato.
Per “disponibilità”, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr Cassazione 11732/2005), deve intendersi la relazione effettuale del condannato con il bene, caratterizzata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà. Non è necessario, perciò, che i beni siano nella titolarità del soggetto indagato o condannato, essendo necessario e sufficiente che egli abbia un potere di fatto sui beni medesimi e, quindi, la disponibilità degli stessi (articolo 1140 cc). Potere di fatto che può essere esercitato direttamente o a mezzo di altri soggetti, che a loro volta, possono detenere la cosa nel proprio interesse (detenzione qualificata) o nell’interesse altrui (detenzione non qualificata) (cfr Cassazione 10194/2015).
Nel caso di specie, nel passaggio essenziale della trama argomentativa, la suprema Corte ha precisato, quindi, che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è stato disposto sull’immobile intestato alla ricorrente, non perché ella sia stata ritenuta partecipe delle violazioni contestate all’ex marito, quanto piuttosto perché si è dedotto che questi ne abbia mantenuto l’effettiva disponibilità, tanto da far risultare fittizia l’intestazione alla donna, ossia “una mera, fittizia apparenza operata nei confronti di un soggetto terzo”.
L’eco delle dichiarazioni del premier Renzi sulla volontà di mettere mano all’imposizione fiscale, partendo dall’abolizione della tassa sull’abitazione principale non si è ancora sopita. E sul tema, in un’ottica più complessiva, interviene Confedilizia, diffondendo alcuni dati relativi alla tassazione sugli immobili.
In particolare, come rimarca l’associazione della proprietà, nel 2014 il gettito di IMU e TASI è stato di circa 25 miliardi di euro, mentre fino al 2011 il gettito dell’ICI era stato di circa 9 miliardi di euro. Le imposte locali sugli immobili si sono quindi quasi triplicate rispetto al 2011. Dal 2012, i proprietari versano ai Comuni 15/16 miliardi di euro in più ogni anno, e il carico di imposte patrimoniali (IMU e TASI), nel quadriennio 2012-2015, può stimarsi in 94 miliardi di euro.
Peraltro, sempre secondo i calcoli di Confedilizia, oltre alle imposte di natura patrimoniale, che sono una peculiarità del settore (e tra le quali bisogna considerare anche le imposte di scopo), la proprietà immobiliare paga ogni anno altri 20 miliardi circa di tributi:
* di tipo reddituale (IRPEF, addizionale regionale IRPEF, addizionale comunale IRPEF, IRES, IRAP);
* sui trasferimenti (imposta di registro, IVA, imposte ipotecarie e catastali, imposta di bollo, imposta sulle successioni e sulle donazioni);
* legati ai servizi (tassa sui rifiuti, tributo provinciale per l’ambiente, contributi ai Consorzi di bonifica, tassa occupazione spazi pubblici ecc.).
A giudizio del presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa,“Questi dati dimostrano come l’imposizione tributaria sugli immobili necessiti di un intervento di riduzione a tutto tondo: per ragioni di equità e per porre rimedio ai danni provocati da una politica fiscale sbagliata. Il numero di compravendite è crollato proprio a partire dal 2012, anno di introduzione dell’IMU, e il mercato non accenna a riprendersi. Stessa sorte hanno subìto le mille attività che riescono a sopravvivere solo in presenza di un mercato immobiliare sano: fallimenti e licenziamenti non si contano più, così come innumerevoli sono i locali commerciali con le saracinesche abbassate. In fortissima crisi – sempre per l’eccesso di tassazione – versa anche l’affitto, abitativo e non abitativo, con tutte le conseguenze di ordine sociale ed economico che possono immaginarsi. Vi è poi la caduta dei consumi causata dalla perdita di valore degli immobili (stimata in circa 2.000 miliardi) e dall’effetto che tale riduzione ha prodotto su milioni di proprietari. Per rispondere a questa situazione drammatica serve una risposta forte e complessiva, una riduzione fiscale che riguardi tutti gli immobili”.
È disponibile on line, sul sito delle Entrate , il report della banca dati catastale, relativo all’andamento del patrimonio immobiliare italiano nel 2014. Una fotografia ricca di dati significativi per comprendere anche altri aspetti dell’economia nazionale.
Innanzitutto, nel 2014 il numero delle unità immobiliari è aumentato complessivamente dello 0,7% rispetto al 2013. Cresce, in particolare, il numero di abitazioni (circa 110mila unità in più rispetto al 2013) e il numero delle unità immobiliari a destinazione speciale a fine produttivo, terziario o commerciale (circa 31mila unità in più rispetto al 2013).
STOCK IMMOBILIARE
È pari a 73,4 milioni il numero di immobili o loro porzioni censiti nel territorio italiano al 31 dicembre 2014. Di questi, circa 63,9 milioni sono classificati nelle categorie catastali ordinarie (gruppi A, B e C) e speciali (gruppo D), oltre 3 milioni sono censiti nelle categorie catastali del gruppo F, che rappresentano unità non idonee a produrre reddito, e oltre 6 milioni sono beni comuni non censibili (unità di proprietà comune e che non producono reddito).
ABITAZIONI
Aumenta il numero delle abitazioni censite in catasto, toccando quota 34,7 milioni, +0,3% rispetto al 2013. Le abitazioni di tipo civile segnano un incremento dell’1%, quelle di tipo economico dello 0,5% e i villini dell’1,1%. Diminuiscono, invece, le abitazioni di tipo rurale (-4,3%), quelle popolari (-0,6%), quelle ultrapopolari (-3,7%), quelle signorili (-0,9%) e le ville (-0,3%). Nove abitazioni su dieci sono possedute da persone fisiche e la superficie media risulta essere di circa 117 mq.
RENDITA CATASTALE
Nel 2014 la rendita catastale complessiva del patrimonio immobiliare italiano ammonta a 37,5 miliardi di euro, in crescita dell’1,5%, 536 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente. In particolare, la rendita delle abitazioni è pari 16,7 miliardi di euro, circa 110 milioni di euro in più del 2013, con una media nazionale di circa 480 euro; 11,1 miliardi di euro è la rendita complessiva degli immobili a destinazione speciale (gruppo D), oltre 6 miliardi quella degli immobili del gruppo C (negozi, locali di deposito, box e posti auto), 1,5 miliardi di euro quella degli uffici (categoria A/10), 1,3 miliardi di euro quella degli immobili ad uso collettivo (gruppo B) e poco più di 700 milioni di euro quella degli immobili a destinazione particolare (categoria E).
LA CONSULTAZIONE
Le statistiche catastali, con le tabelle di dettaglio suddivise per categoria e provincia, sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Entrate nella sezione “Pubblicazioni dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare”. I dati consultabili riguardano i Comuni capoluogo e le Province italiane, incluse quelle autonome di Trento e Bolzano che gestiscono in proprio gli archivi censuari del Catasto. Per ogni Comune capoluogo e per ogni Provincia è possibile conoscere il numero totale di unità immobiliari, la rendita catastale e la consistenza relativi a ciascuna categoria.