Alla 47^ edizione del Forum The European House – Ambrosetti di Villa d’Este a Cernobbio, aperto oggi, il Presidente di Assoedilizia Achille Colombo Clerici ha sollevato il tema del trattamento fiscale degli immobili in Italia. In particolare della riforma del catasto.
Tutto nasce da una delle “Raccomandazioni Paese” (Country Recommendations) che la Commissione Europea invia periodicamente ai Paesi membri U.E.; all’Italia raccomanda appunto la “riforma dei valori catastali non aggiornati” e “la revisione delle agevolazioni fiscali”. A sua volta, l’atto di indirizzo 2021-2023, inviato dal MEF alle Agenzie Fiscali, raccomanda di “presidiare la qualità e la completezza delle banche dati catastali”, con un “costante aggiornamento dell’Anagrafe immobiliare integrata”. Il timore è che dietro al proposito di riforma si nasconda, senza mai pronunciarlo, un aumento della “patrimoniale” sugli immobili.
L’U.E. continua a ritenere che gli immobili nel nostro Paese forniscano un gettito che, in rapporto al Pil, è inferiore a quello medio europeo e quindi insiste acriticamente per l’aumento delle relative imposte, in primis riformando il catasto.
E’ bene dunque che l’U.E. sappia alcune cose che mostra di ignorare sulla fiscalità immobiliare italiana, e si renda conto di quanto sia miope e dannosa per la nostra economia la riforma catastale che il Fisco italiano ha in mente.
A parte il fatto che l’assunto dell’U.E. non risponde neppure al vero, in quanto nel computo delle imposte che concorrono a formare il gettito in esame rientrano, per molti Paesi, tasse che sono escluse dal computo del gettito italiano, occorre dire che nel ragionamento c’è un irrimediabile errore di fondo.
Non si tratta infatti di raffrontare, come fa l’Unione, il gettito fiscale al Pil, bensì di verificare l’entità del carico fiscale che grava su quegli immobili che pagano le imposte.
Va da sé che, se questi immobili sono una esigua minoranza rispetto al totale, il gettito sarà basso, ma l’incidenza fiscale elevatissima.
Ed allora, semmai, non è questione di aumentare ancora le imposte che gravano sul comparto immobiliare (perchè in tal modo si finirebbe a strozzarlo), bensì di rivedere l’intera politica della casa e del settore immobiliare del nostro Paese. Se c’è una distorsione nel sistema ( l’Italia è molto al di sotto della media dei Paesi Europei più avanzati, quanto ad abitazioni in locazione) la via da percorrere non è quella di accentuarne gli effetti, ma quella di eliminare la distorsione stessa.
Il fatto è che da noi ben il 60,5% dei fabbricati residenziali, non solo non paga l’Imu, ma non concorre nemmeno a pagare l’Irpef, l’Irpeg, l’Imposta di registro, né dà luogo al virtuoso meccanismo economico/fiscale derivante dal turn over abitativo.
Una precisa scelta politica è stata fatta, collegata a precipue ragioni ideologiche: penalizzare la locazione privata e favorire l’abitazione in proprietà. Ora l’80% delle famiglie occupa le case a titolo di proprietà. Su queste, niente prelievo fiscale e niente indotto economico, producente a sua volta gettito tributario.
Quanto alla invocata riforma del catasto va detto che cambiare il metodo di valutazione catastale degli immobili, introducendo criteri che porteranno ad un innalzamento dei valori imponibili e lasciando di fatto inalterato il sistema delle aliquote, che è calibrato sugli attuali più bassi valori, è operazione iniqua, insensata e dannosa.
Questo perché non si può pensare di introdurre tout court la riforma e vedere poi che effetto fa per decidere in merito ad una ipotetica revisione, in altri termini, all’abbassamento delle aliquote.
E’ la questione della sperequazione: si dice che oggi il problema è far pagare di più chi paga di meno rispetto ad altri. Domani, attuata la riforma, il problema sarà far pagare di meno tutti coloro che pagheranno in modo spropositato. Non è né equo, né sensato.
La “garanzia” della cosiddetta invarianza, infatti, che, si badi bene, è invarianza del gettito e non del prelievo a carico dei contribuenti, è molto relativa. Anzi inattuabile, stante l’impossibilità di una verifica da parte del contribuente, a causa della presenza di tre variabili incrementative affidate alla mera e insindacabile valutazione comunale: la nuova produzione edilizia, la riqualificazione edilizia, il recupero della evasione fiscale. La scelta comunale dunque rimarrà meramente discrezionale e insindacabile. Quanto all’eventuale intervento legislativo di revisione delle aliquote: ve lo immaginate? Campa cavallo…
C’è dunque il rischio che per una infinità di casi si dia luogo ad un ulteriore innalzamento di valori, già elevati, cui non faccia seguito una pur necessaria corrispettiva diminuzione delle aliquote.
Occorre spiegarlo bene all’ U.E. (che richiede a gran voce la riforma del nostro catasto, senza averne né compresa, né bene valutata la portata) ed a tutte le istituzioni (internazionali e nazionali…ma chi informa l’U.E. distorcendone la visione) che ne recepiscono il pensiero facendosene pedissequamente portatrici.