[A cura di: prof. avv. Rodolfo Cusano e avv. Luisa Del Giudice] Con la riforma del processo civile introdotta dalla legge n. 80 del 2005, l’Accertamento Tecnico Preventivo, pur restando un procedimento di istruzione preventiva, ebbe a diventare anche un efficace strumento per affrontare e risolvere le controversie senza il ricorso al giudice.
Nel precedente sistema, l’ATP trovava scarsa applicazione pratica in quanto circoscritto alla mera descrizione e rappresentazione dello stato di luoghi o cose che, se da un lato tutelava il diritto di acquisire la prova prima del processo, dall’altro impediva di svolgere un’indagine completa, in quanto non estesa anche all’individuazione di cause e, di fatto, limitata ad una mera “fotografia”. Il legislatore non si è limitato a intervenire nel senso appena indicato, anzi, ha recepito le indicazioni giurisprudenziali più recenti riconoscendo all’accertamento tecnico preventivo (ATP) una funzione anche valutativa e non solo ricognitiva. In molti giudizi, infatti, la possibilità di esperire un accertamento tecnico preventivo valutativo che non si limiti solo a descrivere lo stato dei luoghi o la qualità o la condizione delle cose, ma che si spinga a valutare le cause e i danni, può essere risolutiva (ad esempio se vi è incertezza sulla responsabilità e l’entità del danno, l’ATP, che farà chiarezza sui due aspetti in contestazione, inevitabilmente, faciliterà una soluzione transattiva della controversia).
Nella classica ipotesi di infiltrazioni in un edificio condominiale, per esempio, il danneggiato poteva far ricorso all’ATP solo per descrivere i luoghi ed accertare i danni lamentati, mentre per conoscere le cause del fenomeno dannoso (rottura o rigurgito della colonna fecale condominiale, rottura o perdita della braga di proprietà esclusiva) doveva instaurare apposito giudizio di cognizione e attendere la nomina del CTU, chiamato a completare le indagini già iniziate con l’ATP. In pratica, solo la consulenza tecnica disposta nel giudizio di merito era utilizzabile per individuare la causa dei danni, anche se gli accertamenti compiuti a distanza di lungo tempo dai fatti potevano essere compromessi o resi difficoltosi dalla modifica dell’originario stato dei luoghi e, comunque, non avrebbero potuto avere la stessa obiettiva efficacia di quelli che avrebbe potuto svolgere il consulente nominato già in fase di A.T.P.
L’attuale formulazione dell’art. 696 c.p.c., non solo elimina completamente tali anomalie, ma, soprattutto, trasforma l’ATP in un pratico strumento da utilizzare per la rapida risoluzione delle controversie, specie con riferimento alla materia condominiale.
Anche dopo la riforma, l’ATP resta un procedimento di istruzione preventiva diretto a tutelare il diritto di precostituire la prova dei fatti posti a fondamento della domanda (fumus boni iuris), quando sussiste il periculum che possano venir meno i presupposti materiali per l’acquisizione della prova stessa. L’oggetto dell’ATP riguarda sempre la verifica dello stato dei luoghi o la qualità e le condizioni di cose che, però, viene estesa anche alla “valutazione in ordine alle cause” e, quindi, alla ricerca dei fenomeni che hanno determinato l’evento dannoso.
La norma recepisce gli orientamenti giurisprudenziali che, già prima della riforma, riconoscevano l’utilizzabilità di un ATP ampliato anche alla ricerca preventiva delle cause, quando le relative indagini sarebbero state certamente compromesse dal decorso del tempo (C. Cost. 388/99 e Cass. 12007 del 08.08.2002), ovvero fossero state compiute nel rispetto del contraddittorio ed acquisite agli atti del giudizio senza opposizione delle parti (Cass. 12748 del 17.11.99 e Cass. n. 5397 del 18.08.1983). In tal modo, l’ATP acquista una funzione del tutto diversa da quella fino ad oggi conosciuta, diventando concreto strumento volto a precostituire una prova completa di tutti gli elementi tecnici che, nella precedente formulazione, poteva essere acquisita solo nel giudizio di merito. Si elimina così il rischio che lungaggini processuali e fattori esterni possano modificare o alterare lo stato dei luoghi, e si garantisce l’acquisizione immediata di elementi e fatti da utilizzare nel successivo giudizio di merito come mezzo di prova.
A prescindere dagli aspetti meramente probatori, in realtà, l’ATP produce anche effetti immediati che incidono in maniera decisamente positiva sull’intera controversia, con indubbio vantaggio per tutte le parti in causa. Accertare con anticipo le cause dell’evento dannoso, infatti, significa anche circoscrivere l’oggetto del contendere e individuare preventivamente l’effettivo responsabile, consentendo alle parti di prendere corretta posizione sui fatti di causa e predisporre le opportune strategie difensive. Nell’esempio sopra prospettato di infiltrazioni d’acqua, una volta stabilito se gli spargimenti d’acqua siano da imputare alla fecale condominiale o alla braga di proprietà esclusiva, già prima del giudizio, diventa possibile:
Sempre in tema di infiltrazioni, condominio o proprietario esclusivo del terrazzo di copertura potranno anticipatamente conoscere se la causa dei danni sia da imputare all’usura del manto impermeabilizzante o al danneggiamento della guaina a seguito di opere eseguite dallo stesso proprietario, in modo da individuare l’effettivo responsabile tenuto sia al risarcimento che alle spese di ripristino del terrazzo.
In materia di appalto, l’accertamento preventivo di vizi e difformità dell’opera appaltata consente di valutare con maggiore cognizione tecnica il fondamento di un azione di riduzione del prezzo, eliminazione dei vizi, risarcimento dei danni ovvero di un’eccezione di pagamento o compensazione con altri crediti vantati dall’appaltatore.
In tema di rapporti di locazione, conduttore o proprietario potranno accertare se le cause delle infiltrazioni lamentate dall’appartamento sottostante siano da imputare alla mancata esecuzione di opere di ordinaria o straordinaria manutenzione, in modo da sapere subito chi dei due è tenuto alle spese di ripristino dei luoghi o al risarcimento dei danni conseguenti all’omessa manutenzione.
La conoscenza anticipata di elementi tecnici in grado di delineare i confini dell’intera vicenda, inoltre, contribuisce significativamente anche alla razionalizzazione e semplificazione dell’intera istruttoria, incentrata esclusivamente sull’effettivo motivo del contendere e sulle questioni strettamente giuridiche, senza essere appesantita da eccezioni superflue, irrilevanti o pretestuose. Ciò significa che, anche grazie alla riforma dell’art. 183 c.p.c., il processo potrà volgere subito a conclusione, salvo l’ipotesi in cui emergano adeguati riscontri probatori che sconfessino l’indagine preventiva e convincano il giudice a disporre nuove indagini. Ma, nel caso in cui siano stati anticipatamente acclarati tutti i fatti della lite, le parti sono già in grado di valutare il probabile esito del giudizio e le reali chances di successo e, quindi, di rendersi conto dell’opportunità di ricercare accordi volti al bonario componimento della lite, senza aggravare ulteriormente le rispettive posizioni.
Tale prospettiva attribuisce all’ATP l’auspicabile funzione di favorire le intese transattive in modo da ridurre le liti giudiziarie e produrre effetti deflattivi del contenzioso.
Le vere finalità conciliative perseguite dal legislatore trovano espressa previsione nel nuovo art. 696 bis c.p.c., che introduce un’ulteriore e diversa figura di ATP, con la precipua funzione di risolvere le controversie in maniera diversa e alternativa ai classici meccanismi giurisdizionali. La principale finalità dell’istituto, infatti, è quella di ricercare una rapida risoluzione della lite attraverso un consulente tecnico di nomina giudiziale che, dopo aver compiuti i normali rilievi di carattere tecnico, individui anche le possibili soluzioni per superare i diversi contrasti tra le parti e prospetti una soluzione in via transattiva che possa ottenere il consenso delle parti. In caso positivo, gli accordi raggiunti vengono ratificati in apposito verbale di conciliazione cui il giudice attribuisce efficacia di titolo esecutivo, idoneo ad iscrivere ipoteca, a procedere ad espropriazione e ad esecuzione in forma specifica, in caso di inadempimento di una delle parti. Si tratta di una modifica epocale in grado di ridisegnare parte del tradizionale sistema risarcitorio, in quanto garantisce una tutela del diritto sostanziale di tipo giurisdizionale, pur senza instaurare il classico giudizio di merito, e favorisce una notevole riduzione di costi e tempi della lite, contribuendo ad arginare l’inflazione del contenzioso. Proprio per favorirne un ampio utilizzo, il nuovo ATP è stato sganciato dai presupposti del fumus e del periculum, legittimando l’interessato a richiedere l’accertamento senza dover prospettare alcun pericolo di dispersione della prova, ma solo per l’esigenza di tutelare un generale diritto alla formazione della prova stessa, che potrebbe diventare anche lo strumento per una conciliazione della controversia.
Quanto all’oggetto dell’accertamento, l’art. 696 bis c.p.c. individua e limita l’oggetto alla “determinazione dei crediti” aventi origine da una responsabilità contrattuale o da fatto illecito, restando inteso che il CTU debba anche accertare le cause dei danni perché solo in tal modo può condurre serie e concrete trattative volte a superare i diversi contrasti tra le parti e pervenire alla conciliazione della lite. Su tali prospettive, il nuovo ATP può trovare fattiva applicazione in tutte quelle controversie in cui il motivo del contendere riguardi solo la determinazione del risarcimento e, in generale, quando la conciliazione rappresenti un civile e ragionevole modo di dirimere questioni di facile risoluzione o di modesta entità, evitando che i costi del giudizio superino quelli del risarcimento.
L’ambito di applicazione spazia dai casi di danni per infiltrazioni provenienti dal terrazzo condominiale, dalle facciate o da qualsiasi impianto di proprietà comune, a quelli dovuti a caduta di cornicioni o a distacchi di intonaci. In tali fattispecie, sussistono fondate possibilità che, una volta accertate cause ed entità dei danni, il condominio responsabile possa certamente accettare e condividere la soluzione conciliativa proposta dal CTU, non avendo alcun vantaggio a resistere in giudizio.
Sempre in ambito condominiale, l’ATP può essere utilizzato per conciliare la lite insorta con il venditore di un qualsiasi impianto a servizio della cosa comune per vizi o difetti del prodotto, ovvero con l’appaltatore quando si contesti l’effettiva quantità dei lavori eseguiti o l’entità dei danni.
Anche nei rapporti di locazione, l’ATP può favorire la conciliazione nel caso in cui debbano quantificarsi i danni riscontrati dal locatore dopo il rilascio dell’immobile da parte del conduttore, ovvero quelli lamentati da quest’ultimo in conseguenza della mancata esecuzione di opere di manutenzione straordinaria.
In ogni caso, la scelta di richiedere o meno un ATP conciliativo andrà valutata caso per caso e dipenderà soprattutto dalle pretese del danneggiato che non sempre possono trovare immediato riscontro e pronta soluzione. Oltre ai danni materiali all’immobile, per esempio, il danneggiato potrebbe lamentare anche danni per parziale godimento dello stesso, per disagio locativo, per mancato guadagno in caso di chiusura di un esercizio commerciale e, pertanto, sembra più opportuno richiedere un ATP tradizionale che, comunque, consente al danneggiato di precostituirsi la prova delle cause dei danni e, nelle more del giudizio, sondare la disponibilità della controparte ad una definizione della lite.
Naturalmente, la procedura conciliativa potrebbe fallire perché il soggetto chiamato a partecipare alla procedura ometta di costituirsi, ovvero, anche in caso di contraddittorio integro, perché le parti non ritengano di accettare le proposte del CTU, per ragioni tecniche o di diritto. In tal caso, pur non avendo raggiunto il principale fine conciliativo, l’ATP riassume le sue origini di strumento di formazione preventiva della prova prima del processo ordinario e, pertanto, la relazione del CTU potrà essere acquisita agli atti del processo di merito come mezzo di prova.
Il nuovo ATP impone un’attenta riflessione su alcune questioni di carattere processuale. La prima riguarda proprio l’effettiva efficacia probatoria della consulenza svolta nel corso di un ATP conciliativo che non abbia raggiunto il suo principale scopo di risolvere la controversia. Il legislatore, inserendo il nuovo istituto nell’ambito dei procedimenti di istruzione preventiva e prevedendo al comma 5 che “ciascuna parte” possa chiedere l’acquisizione della relazione peritale agli atti del successivo giudizio di merito, lascia chiaramente intendere che l’ATP conciliativo resta comunque uno strumento di formazione della prova prima del processo ordinario, al pari dell’ATP tradizionale. Ma, a differenza di questo ultimo, il procedimento viene azionato anche in assenza dei presupposti del fumus e del periculum e, inoltre, la relazione peritale contiene non solo indagini di natura tecnica, ma esprime anche valutazioni e giudizi non strettamente tecnici e scientifici, in conseguenza di un ampio potere, mai prima d’oggi riconosciuto al CTU. Tutto ciò induce a ritenere che i reali effetti probatori andranno comunque circoscritti alle sole valutazioni di carattere tecnico e che, comunque, sarà compito del giudice valutare caso per caso la rilevanza e l’ammissibilità della prova preventiva o la necessità di rinnovare la consulenza, ex art. 698 c.p.c.
Sotto il profilo strettamente procedurale, l’ATP conciliativo ha caratteri del tutto similari a quello tradizionale, atteso che la norma richiama indirettamente gli artt. 694 e 695 c.p.c. Il procedimento, infatti, si introduce con ricorso al giudice competente che fissa con decreto l’udienza di conferimento dell’incarico al CTU, assegnando termine perentorio per la notifica del ricorso. All’udienza di comparizione, il giudice verifica la regolarità del contraddittorio ed eventualmente dispone la chiamata in causa di terzi potenzialmente interessati alla lite e che potrebbero favorirne la conciliazione (si pensi alla chiamata in garanzia dell’assicurazione o del soggetto realmente responsabile). A questo punto, fissa la data delle operazioni peritali, l’anticipo dell’onorario e, sopratutto, specifica i quesiti della consulenza, dando così un preciso indirizzo giuridico al consulente che, anche se investito di ampi poteri, resta sempre un suo ausiliare. Attività e poteri del consulente sono regolati dagli artt. 191-197 c.p.c., espressamente richiamati dall’ultimo comma dell’art. 696 bis c.p.c.. Il mancato richiamo all’art. 201 c.p.c. non esclude la possibilità di nominare un consulente di parte, la cui presenza è indirettamente prevista anche dall’art. 194 c.p.c. e, comunque, indispensabile per consentire alle parti di valutare le risultanze della consulenza anche da un punto di vista tecnico. Nel corso delle operazioni peritali, il CTU ha l’obbligo di tentare la conciliazione e, in caso positivo, forma il processo verbale di conciliazione e lo deposita in cancelleria affinché il giudice, con decreto, gli attribuisca efficacia di titolo esecutivo e, contestualmente, provveda anche alla liquidazione del suo onorario. Il verbale diventa utilizzabile per ogni tipo di esecuzione forzata ed è esente dall’imposta di registro.
Se la conciliazione fallisce, invece, il CTU deposita la relazione peritale e il giudice provvede soltanto alla liquidazione del compenso.
In ordine alle impugnazioni, la natura di procedimento palesemente non cautelare dell’ATP conciliativo, esclude certamente l’ammissibilità del reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c.
Anche se di scarso rilievo pratico, sembra invece possibile l’esperibilità del regolamento di competenza, limitatamente al caso in cui dovesse sorgere un conflitto di competenza negativo tra giudice di pace e tribunale.
Infine, occorre segnalare che l’art. 696 bis nulla dispone in merito alle spese legali che diventano parte integrante del danno e, quindi, devono essere determinate a completamento del procedimento conciliativo. Facendo riferimento al tariffario, non dovrebbero sorgere grosse difficoltà per la determinazione dei compensi legali, atteso che gli onorari previsti per i procedimenti speciali sono decisamente contenuti, mentre i costi dei diritti sono limitati dal ridotto numero di prestazioni che richiede il procedimento.
Nell’ipotesi di mancata conciliazione, invece, qualora la sentenza profili una soluzione della vertenza in linea con le proposte formulate in sede di ATP ed emerga l’assoluta infondatezza dei motivi di resistenza, la condanna dovrà comprendere anche la rifusione delle spese legali sostenute per dare impulso o per prender parte alla procedura preventiva e, soprattutto, dovrà tenersi conto che la parte vittoriosa ha dovuto necessariamente partecipare e difendersi in un giudizio che si sarebbe dovuto (e potuto) evitare.
Proprio per questo, diventa auspicabile ed opportuno, che i giudici liquidino le spese legali tenendo conto di tutte le attività legali svolte nell’intera vicenda e applicando i valori massimi del tariffario, anche al fine di non incentivare o premiare comportamenti ostruzionistici.