[A cura di: Franco Pani – presidente dell’Accademia Confamministrare] Da sempre gli amministratori condominiali sono costretti ad “intervenire” nei confronti dei condòmini per la tutela della collettività residente nell’edificio o della proprietà.
Quante volte nella nostra vita lavorativa ci siamo visti costretti a scrivere con decisione a chi non rispettasse il regolamento o le più semplici regole di buon vicinato? Quante volte abbiamo dovuto prima intimare un pagamento e poi magari arrivare sino all’esecuzione immobiliare? Quante volte abbiamo posto ipoteche sugli immobili, scippando (a parere di chi colpito in tal senso …) poi, al venditore moroso, decine di migliaia di euro già in fase di rogito ed erogazione del nuovo mutuo?
Tutte azioni che non fanno certo piacere alle parti avverse colpite dal nostro comportamento messo in pratica a tutela della collettività condominiale. E ancora, quante volte, dopo o durante tali azioni, abbiamo ricevuto messaggi o siamo stati oggetti di attacchi, almeno verbali, da parte di chi, non rispettando le regole di buon vicinato e correttezza verso i condòmini virtuosi, si è sentito da noi aggredito?
Non molto tempo fa addirittura una collega, amministratore di condominio, fu aggredita nel suo studio e fisicamente percossa, purtroppo senza testimoni, da un condòmino non virtuoso, infastidito da chi aveva compiuto il proprio dovere. Ancor più deprecabile il fatto, nel caso specifico ed in via generale, che qualcuno si sia permesso di colpire una donna, ma non è certo né l’unica né la prima.
Come noto, questi episodi sono sempre stati all’ordine del giorno per chi svolge con serietà e dedizione la professione di amministratore immobiliare. Ma ora, come ben sappiamo, lo Stato ci impone di intervenire in modo ancor più chiaro ed incisivo al fine di tutelare coloro che amministriamo. Voglio allora prendere spunto da un accadimento che mi ha, purtroppo, coinvolto personalmente, spostando la “sfera giudiziaria” dal normale ed abitudinario ramo civile a quello penale, svelando (a me per primo) risvolti inaspettati e disattesi.
Dal punto di vista civilistico siamo abituati ad avere, il più delle volte, certezza di ragione già in partenza (decreti ingiuntivi, ecc.); ma dal punto di vista penale invece si parte alla pari con il “cattivo” condòmino; non c’è “storia statistica” che tenga: in mancanza di testimoni (anche qualora nella realtà presenti) la parola del professionista che opera da decenni senza macchia, pur a continuo e perpetuo alto rischio, vale tanto quanto quella dell’eventuale “aggressore”, che potrà quindi inventarsi ciò che vuole a suo beneficio, nonostante il motivo della contesa scaturisca da un suo comportamento anti-sociale messo in pratica.
Tornando alla mia vicenda, nei precedenti decenni e sino ad oggi, sono stato costretto a prendere numerosi provvedimenti nei confronti di almeno un centinaio di condòmini: ho privato delle loro case, poi messe all’asta, sia loro che le loro famiglie. Per altro verso, solo nei primi mesi del 2018 (grazie al “finto” risveglio del mercato immobiliare, in realtà in “svendita”, ma questo è un altro discorso), mi sono ritrovato a partecipare direttamente a diversi rogiti, “privando” i venditori nel complesso di circa 300.000 euro (suddivisi in una quindicina di edifici) grazie alle ipoteche iscritte a causa del mancato versamento dei contributi condominiali. Dunque, nel corso degli oltre 30 anni di esperienza lavorativa accumulati, ed ancor più negli ultimi anni, a causa dei nuovi obblighi imposti dalla legge, ho subito ogni tipo di minaccia verbale, anche di morte, riuscendo sempre ad evitare qualsiasi contatto fisico, grazie alla diplomazia e richiamando “i dati di fatto” giuridici inerenti colpe e mancato rispetto delle regole.
Nel marzo del 2017, invece, mi ritrovo a dover subire l’inevitabile “fattaccio”: dopo mesi di penali inflitte dall’ente di raccolta rifiuti e la certezza che il “colpevole” era un nuovo residente, e dopo diversi avvisi affissi in bacheca, con preghiera di rientrare nella “legalità”, mentre mi trovavo nell’atrio comune del condominio ho notato una persona “nuova” (non si era mai presentato e questo dice già tanto) intenta a gettare i propri rifiuti in modo non conforme. Ritenendomi obbligato a tutela della collettività, ho domandato semplicemente se fosse sicuro di aver ben differenziato i rifiuti, anche se, avendo lui utilizzato un sacchetto trasparente, era evidente che così non fosse. A quel punto a nulla sono servite esperienza pluriennale nella gestione dei conflitti e capacità diplomatiche: prima mi ha risposto in malo modo e poi sono volati i pugni. Ovviamente, chi mi conosce lo sa, mi sono semplicemente difeso ma, come inevitabile risultato, siamo finiti entrambi al pronto soccorso ed è scattata la denuncia d’ufficio dei fatti.
Ora siamo alle prese con il processo penale, entrambi “imputati”. E poichè non si sono palesati testimoni a mio favore, non c’è nessuno che possa smentire la sua versione inverosimile dei fatti. Morale della favola, dinanzi al Giudice partiamo alla pari, rischiando entrambi di macchiare la nostra fedina penale. Non valgono neppure, almeno non in modo incisivo, le varie testimonianze di comportamenti simili tenuti dalla stessa persona, ad esempio nei confronti dell’impresario delle pulizie. Niente. Nel processo penale si parte alla pari, sulla base dei singoli fatti e delle sole eventuali prove testimoniali. Poco contano i precedenti o i “posteriori” comportamenti.
Questo episodio mi ha spinto ad alcune profonde riflessioni: siamo oggi, in qualità di amministratori di condominio, obbligati in modo inequivocabile dalla legge dello Stato, ad agire a difesa della collettività condominiale, considerata, a ragione, una parte essenziale della società. Una difesa che si attua sia dal punto di vista della tutela economica che di quella della pura convivenza sociale, salvo altrimenti essere passibili di forti “penali”. Ma se è lo Stato che, giustamente, ce lo impone, allora il medesimo Stato dovrebbe tutelare il nostro operato. Mi vengono in mente altre figure che svolgono pressoché la medesima nostra attività di tutela sociale: gli ufficiali giudiziari per il recupero del credito e i vigili urbani per il rispetto delle regole. Quando questi sono coinvolti in prima persona, a causa delle reazioni dei personaggi “colpiti” dalle loro giuste ed opportune azioni, sono considerati “maggiormente credibili” e partono da un piano “superiore” nella disputa giudiziaria. Allo stesso modo anche noi, visti i doveri imposti e la nuova tipologia sociale con la quale abbiamo a che fare, senza pretendere di essere paragonati ad un Pubblico Ufficiale, dovremmo almeno partire per legge da un gradino di credibilità superiore, per evitare di essere poi penalizzati nell’esercizio delle nostre funzioni e nel compimento del nostro dovere.
Infine, come Confamministrare, stiamo cercando di muoverci in tal senso e speriamo che altri soggetti vogliano unirsi alla nostra azione. Nel frattempo speriamo che nessun collega, costretto dagli eventi ai quali non potrà sottrarsi nel compimento del proprio ruolo, debba essere coinvolto in simili distorte questioni.