[A cura di: avv. Andrea Marostica – andrea.marostica@studiomarostica.com] In tema di condominio ed appalto, nell’ipotesi in cui i lavori condominiali cagionino danni a terzi, la responsabilità che ne consegue può coinvolgere una pluralità di soggetti che a vario titolo abbiano avuto un ruolo nella vicenda pregiudizievole (l’impresa appaltatrice, l’amministratore del condominio, l’assemblea dei condòmini).
Ci si sofferma qui sulla figura dell’amministratore. Dopo avere brevemente descritto la natura della sua responsabilità, vengono esaminate due specifiche ipotesi: l’ingerenza nelle scelte dell’impresa appaltatrice e la culpa in eligendo.
La natura della responsabilità dell’amministratore è tipicamente colposa, ossia egli risponde qualora l’evento lesivo si sia prodotto a causa della sua negligenza, imprudenza, imperizia (colpa generica) o a causa di inosservanza, da parte sua, di leggi, regolamenti, ordini, discipline (colpa specifica).
Sotto il profilo civile, egli potrà, ricorrendone i presupposti, essere ritenuto responsabile del danno cagionato dalla sua condotta colposa; potrà configurarsi una responsabilità di natura contrattuale, qualora si abbia inadempimento delle obbligazioni assunte in virtù del contratto tra amministratore e compagine condominiale (perfezionatosi mediante nomina ed accettazione), o extracontrattuale, qualora vi sia violazione del principio del neminem laedere, ossia venga cagionato ad un terzo un danno ingiusto.
Sotto il profilo penale, qualora la condotta colposa dell’amministratore abbia contribuito a cagionare un fatto costituente reato, egli ne potrà essere ritenuto responsabile. “Potrà” in quanto la responsabilità sarà affermata solo una volta che tutti gli elementi costitutivi dell’illecito, civile o penale, siano stati accertati.
Secondo la giurisprudenza costante della Corte di Cassazione, l’autonomia dell’appaltatore, il quale esplica la sua attività, nell’esecuzione dell’opera assunta, con propria organizzazione ed apprestandone i mezzi nonché curandone le modalità, esclude ogni rapporto institorio tra committente ed appaltatore, con la conseguente inapplicabilità dell’art. 2049 cod. civ. ai fini della affermazione della responsabilità del committente.
Ne consegue che solo l’appaltatore deve ritenersi responsabile dei danni cagionati a terzi dall’esecuzione dell’opera. Può però configurarsi, eccezionalmente, una corresponsabilità del committente in relazione al suo comportamento in rapporto con l’appaltatore. Ciò accade, ad esempio, nel caso di specifica violazione, da parte dell’amministratore, di regole di cautela nascenti ex art. 2043 cod. civ., ossia a titolo di responsabilità extracontrattuale. Per Cass. civ., 12 maggio 2003, n. 7273, una specifica violazione del principio del neminen laedere potrebbe essere, ex art. 1662 cod. civ., il tralasciare ogni sorveglianza nella fase esecutiva dell’opera. Vale la pena riportare il testo della disposizione citata: “Il committente ha diritto di controllare lo svolgimento dei lavori e di verificarne a proprie spese lo stato. Quando, nel corso dell’opera, si accerta che la sua esecuzione non procede secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d’arte, il committente può fissare un congruo termine entro il quale l’appaltatore si deve conformare a tali condizioni; trascorso inutilmente il termine stabilito, il contratto è risoluto, salvo il diritto del committente al risarcimento del danno”.
In una seconda ipotesi, il committente deve ritenersi responsabile allorché si sia ingerito nell’esecuzione dell’opera imponendo all’appaltatore le sue direttive – dalle quali sia poi derivato il danno a terzi – poiché solo in tal caso può ritenersi che l’appaltatore sia divenuto nudus minister del committente in relazione all’evento dannoso.
Risulta evidente la necessità per l’amministratore committente di “trovare il giusto mezzo” tra le ipotesi di cui sopra: la possibilità che il committente risponda sulla base dell’art. 2043 cod. civ. per la violazione di regole di cautela, infatti, non determina un obbligo generale di supervisione a suo carico sull’attività dell’appaltatore che il terzo danneggiato possa comunque far valere nei suoi confronti, poiché la funzione di controllo è assimilabile a un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni fra committente e appaltatore, in correlazione alla riduzione o eliminazione della sfera di autonomia decisionale dell’appaltatore, e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi (ex multis, si veda Cass. civ., 1 giugno 2006, n. 7755).
Si tratta della responsabilità per avere male operato la scelta dell’impresa appaltatrice. Preliminarmente, dunque, occorre accertare chi in concreto abbia operato la scelta.
Ciò è imposto dalla peculiarità del condominio, ove le dinamiche pratiche del rapporto tra l’assemblea dei condòmini e l’amministratore fanno sì che, a seconda dei casi, la paternità della decisione possa attribuirsi ora alla prima ora al secondo ora ad entrambi. Si tratta, insomma, di accertare caso per caso l’ambito di autonomia di azione ed i poteri decisionali concretamente attribuiti all’amministratore (Cass. pen., 15 ottobre 2013, n. 42347).
Può accadere che l’amministratore, in autonomia ed in assenza di una delibera dell’assemblea, affidi l’incarico ad un’impresa sprovvista dei requisiti necessari. In tal caso il mandatario, esercitando liberamente il proprio potere decisionale, assume la paternità della scelta di affidare l’incarico ad impresa inidonea, dunque su di lui ricade la responsabilità per culpa in eligendo.
Può accadere che l’assemblea deliberi l’affidamento dell’incarico ad un’impresa sprovvista dei requisiti, senza che l’amministratore l’abbia informata circa la necessità di tali requisiti. In tal caso la decisione è presa dall’assemblea; la responsabilità per avere male operato la scelta ricade dunque sui condòmini. Ma l’amministratore li doveva informare della necessità dei requisiti tecnico-professionali. Sotto il profilo risarcitorio, ciò comporta che, in virtù del contratto intercorrente tra amministratore e compagine condominiale, il primo sia responsabile nei confronti del condominio in base all’art. 1218 cod. civ. (responsabilità contrattuale) per non avere esattamente adempiuto ai suoi obblighi.
Se, infine, l’assemblea delibera l’affidamento dell’incarico ad un’impresa sprovvista dei requisiti, nonostante l’informazione dell’amministratore circa la necessità degli stessi, la responsabilità per culpa in eligendo ricade sui condòmini. Nessun rimprovero può essere mosso all’amministratore in quanto, dopo aver informato ed essere rimasto inascoltato ed avendo l’obbligo di dare esecuzione alla delibera, resta del tutto privo di autonomia di azione e potere decisionale. Nelle parole della Suprema Corte nella Pronuncia da ultimo citata, non è possibile “prescindere dal ruolo effettivamente svolto dall’amministratore nella stipulazione del contratto e nella sua successiva attuazione, considerando anche l’ambito di autonomia di azione di cui egli eventualmente disponeva ed i poteri decisionali concretamente attribuiti”.