[A cura di: avvocato Gian Vincenzo Tortorici – pres. Centro studi Anaci]
È necessario far comprendere con il dialogo e con la cultura giuridica il Pianeta condominio agli stranieri al fine di gestire meglio le assemblee e ivi conciliare le diverse istanze che da costoro provengono.
1. I poteri dell’assemblea
La globalizzazione dei mercati economici, da una parte, la disgregazione sociale e politica di alcuni Stati, dall’altra, hanno determinato il trasferimento e l’immigrazione in Italia di numerosi stranieri; sempre più si assiste al fenomeno dell’acquisto, da parte loro, di unità immobiliari site in condominio. È necessario risolvere gli eventuali conflitti insorgenti tra i condòmini stranieri e quelli italiani, basati sovente sull’incomprensione non solo per la differenza di lingua, ma anche di usanze tipiche delle diverse etnie.
L’assemblea di condominio è l’organo che impartisce le istruzioni a colui che è l’esecutore materiale delle sue volontà, l’amministratore di condominio, e l’indicazione dei poteri riportati nell’art. 1135 c. c. non è esclusiva, ben potendo l’assemblea deliberare qualunque iniziativa o gestione che riguardi, ovviamente, le parti e i servizi comuni e non sia contraria a disposizioni imperative di legge, rientrando nei suoi poteri la decisione inerente alla disciplina dei suddetti beni, al fine della loro migliore e più razionale utilizzazione.
Considerato che il condominio è privo di personalità giuridica, l’assemblea non è altro, quindi, che un’adunanza dei condòmini che intendono parteciparvi per prendere una decisione comune nel loro stesso interesse. L’assemblea del condominio, perciò, ne è il suo organo preminente e non ne è richiesta investitura formale alcuna, trattandosi di una sua parte integrante, strutturale e permanente, e considerato che il condominio si costituisce con la vendita del primo appartamento, e contestualmente si costituisce l’assemblea dei condòmini.
L’assemblea, che è un organo complesso e collegiale, pur avendo ampi poteri deliberativi nell’interesse dell’intera collettività – tanto è vero che tutti i condòmini sono vincolati a rispettarne le disposizioni – non può invadere la sfera giuridica anche di uno solo di loro per ciò che riguarda sia i diritti reali sia i diritti soggettivi. La giurisprudenza degli anni 1950 e 1960 si è espressa caratterizzando l’assemblea come l’organo costituito per la rappresentanza degli interessi della comunione e individuando nei suoi partecipanti l’espressione della volontà per l’adozione delle attività che soddisfino gli interessi della collettività. Ne consegue che, nella votazione della assemblea, non si individua una mera somma di singoli voti dei partecipanti, bensì una volontà unica espressa con il criterio della collegialità e, pertanto, con un atto collettivo, anche se parte della dottrina la ritiene un atto complesso.
Nell’ambito dell’assemblea, inoltre, vengono risolti gli eventuali conflitti di interesse che sorgono tra i vari condòmini, al fine di garantire la prevalenza di un unico interesse che soddisfi la compagine condominiale. Sempre più è necessario, in relazione alle differenti esigenze economiche e culturali dei condòmini, che l’assemblea si assuma intelligentemente la funzione di mediatrice, trovando anche soluzioni alternative, a volte non semplici, per risolvere gli eventuali conflitti che insorgano tra condomini, soddisfacendo le reciproche istanze.
La delibera deve essere adottata in sede di assemblea in quanto la discussione, che deve precedere ogni singola delibera, è il momento fondamentale del processo di adozione della delibera stessa, che armonizza con il confronto le esigenze di tutti. Infatti, una delibera travalica gli interessi personali di ogni singolo condomino per costituire e formare quella volontà unica che determina la gestione del condominio e, attraverso la discussione, i presenti possono pervenire a un ponderato convincimento inerente all’utile approvazione di una determinata attività che soddisfa un interesse collettivo.
Qualunque delibera condominiale deve essere, dunque, finalizzata agli interessi del gruppo e non a questioni extra condominiali o ad affari dei singoli condòmini. L’assemblea, pertanto, è il crogiuolo che risolve le problematiche che ciascun condomino vi porta affinché la decisione comune, dopo lo scambio e il confronto delle reciproche opinioni, sia la migliore per la vita condominiale.
2. I diritti dello straniero
L’art. 1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, stabilisce che è cittadino italiano per nascita: a) il figlio di padre o di madre di cittadinanza italiana, quindi il figlio di un italiano e di un’argentina ovvero il figlio di un’italiana e di un giapponese; b) il figlio di apolidi o di ignoti, ma nato sul territorio italiano, ovvero se è nato in Italia da un cittadino italiano e decide di non seguire la cittadinanza dello Stato straniero appartenente a uno dei suoi genitori.
Ne consegue che tutte le altre persone che non siano inquadrabili nelle categorie ut supra esposte, sono cittadini stranieri, indipendentemente dal fatto che siano cittadini di uno Stato appartenente all’Unione Europea o di uno Stato extra U.E.. Per entrambi l’art. 10 della Costituzione della Repubblica italiana del 27 dicembre 1947 stabilisce che la loro condizione giuridica è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali, tra i quali rileva, in particolare, la Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950. Per i cittadini comunitari quest’ultimo diritto è sostanzialmente ribadito dal Trattato dell’Unione firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 e in vigore dal 1 dicembre 2009.
Certamente i diritti di ogni uomo, in relazione alla posizione e al ruolo che riveste nella società, possono essere sintetizzati nelle affermazioni, tra le altre, di Sundjata Keïta vissuto nella prima metà del tredicesimo secolo, fondatore e primo mansa (imperatore) dell’impero del Mali al quale sono attribuiti i seguenti dogmi: aiutatevi reciprocamente; combattete la servitù e la fame; chiunque è libero di dire, di fare e di vedere. Dettami che si ritrovano nel Preambolo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948: “[…] il riconoscimento della dignità specifica e dei diritti uguali e inalienabili di tutti i membri della famiglia umana è la base di libertà, giustizia e pace nel Mondo […]”; dettami messi in pratica forse dal più grande conciliatore delle “divergenze” umane che sia mai esistito, l’avv. Mahatma Gandhi.
Ma se la normativa è ordinatamente disciplinata in relazione a tutto quanto sopra dedotto, rimane il problema della comunicazione interpersonale, resa più difficoltosa da una non corretta padronanza della lingua italiana e, nello specifico, della terminologia tecnica condominiale in merito alle peculiari conseguenze giuridiche scaturenti dagli atteggiamenti verbali, e non, assunti sia nell’usuale svolgimento della vita condominiale sia nelle decisioni adottate in assemblea. Le Camere di Commercio sono depositarie degli “usi e consuetudini”, fonti di diritto seppure con valore residuale (art. 1 – Disposizioni sulla legge in generale).
Come si evince dai testi pubblicati dai singoli Enti menzionati, in Italia gli usi si differenziano da regione a regione e, a volte, anche da provincia a provincia in relazione alle secolari tradizioni locali, alle condizioni climatiche, alle circostanze politiche, quasi sempre monarchiche, che hanno governato i diversi territori peninsulari, fino al 17 marzo 1861 quando si è costituita l’Italia unita. Partendo da questo presupposto a maggior ragione cittadini vissuti in contesti culturali, sociali ed economici, spesso eterogenei nei condomini, e comunque che si discostano da quelli italiani, entrano in conflitto, se gli stessi non sono reciprocamente compresi e superati, ma mai tollerati.
È necessario, attraverso la comunicazione e l’ascolto attivo giungere alla conciliazione degli interessi di tutti i partecipanti alla compagine condominiale. La dottoressa Lola Fabbri, in tema di condominio e relazione interpersonale, ha esposto alcuni suggerimenti che si adattano perfettamente ai rapporti in sede condominiale: sviluppare attenzione ai comportamenti non verbali, esercitare un ascolto attivo, utilizzare lo stesso linguaggio, evitare le espressioni negative.
È necessario comprendere l’altro, immedesimarsi nella sua realtà. Un atteggiamento non repressivo, ma satisfativo consente quasi sempre di trovare soluzioni alternative che contemperano gli interessi del singolo con quelli della collettività. Una buona collaborazione all’interno del condominio consente, ovviamente, migliori rapporti di buon vicinato e, quindi, migliori condizioni di vita per tutti gli utenti delle singole unità di proprietà esclusiva.
È indispensabile, inoltre, rapportarsi con i condòmini stranieri mettendoli in condizioni di comprendere il significato delle norme da rispettare, siano esse di emanazione pubblica, quali il codice civile o il Testo Unico dell’edilizia, ovvero di formazione privatistica, quale il regolamento di condominio. Infatti, l’osservanza spontanea, e non coatta, delle regole consente una più civile e pacifica convivenza.
In particolare, nelle assemblee, il presidente deve accertarsi che lo straniero abbia esattamente capito i termini e le proposizioni dell’avvenuta discussione inerente a un determinato punto all’ordine del giorno, ma soprattutto le conseguenze che, con il suo voto, possono discenderne.
In uno Stato democratico e laico le differenze religiose non devono certamente influire nei rapporti tra i cittadini e, quindi, tra i condòmini, e per ciò è indispensabile che a tutti siano spiegate e che tutti comprendano le motivazioni di un particolare adempimento condominiale, ad esempio, che partecipare a un’assemblea in un giorno nel quale è prevista una festività di qualsiasi religione, non rappresenta un lavoro, ma un’amichevole soluzione dei vari problemi della vita condominiale.
Da ultimo, al fine di sviluppare tra i condòmini appartenente a differenti etnie l’etica della convivenza integrando tra loro i legami sociali, culturali e normativi, comunque nel rispetto della disciplina legislativa generale dello Stato, si possono anche prevedere modifiche al regolamento di condominio che, senza intaccare il decoro dell’edificio e la tranquillità degli abitanti, consenta allo straniero di esercitare le sue consuetudini, senza dover incorrere nei divieti dettati dal regolamento stesso, come, ad esempio, il potersi riunire in preghiera in un appartamento con altri fedeli non residenti nel condominio.