[A cura di: Franco Pani- presidente Accademia Confamministrare] Il condominio nasconde spesso diverse insidie e in tale contesto, più che in altri, l’utente-consumatore dovrebbe svolgere approfondite indagini prima di acquistare un immobile. Se ovunque, infatti, vale la regola – insegnataci ad inizio anni ‘70 da un più che famoso Carosello – secondo la quale non bisogna mai acquistare qualcosa “a scatola chiusa”, ancor più tale principio trova fondamento nel complicato universo condominiale.
Negli ultimi anni, comunque, lo stesso utente-acquirente è aiutato in tal senso da agenzie immobiliari più attente, da tutti quei notai coscienziosi in fase di stipula del rogito, nonché dalle associazioni della proprietà edilizia, sempre più preparate nel settore.
I “rischi” che potrebbe correre chi acquistasse incautamente un immobile in regime condominiale spaziano dalle eventuali inevitabili spese straordinarie, spesso anche elevate e magari da affrontarsi nell’immediato, alle possibili cattive condizioni economiche dell’edificio in generale (con pericolo magari di “stacco utenze”), sino alla oggigiorno molto probabile ipotesi di dover sostenere le spese non pagate da parte del venditore “negli ultimi 2 anni” (fattore, quest’ultimo, ben conosciuto pressoché da tutti, ma da ben ponderare ed analizzare specificatamente nel presente articolo).
Alcuni approfondimenti in tali materie potrebbero essere resi più complessi dalle norme sulla privacy, ma facilmente regolabili e superabili in tal senso (come vedremo); altri invece, i primi che analizzeremo, non risultano affatto rientranti in tale ambito, ma spesso chi dovrebbe fornire i dati relativi si “confonde” e riferisce quindi all’interlocutore di non poterli comunicare.
Sicuramente non rientrano nel modo più assoluto nella sfera della privacy quegli elementi relativi allo stato di manutenzione dell’edificio; non è certamente un dato personale infatti (anche perché per sua natura totalmente invece oggettivo, nonché fattore assolutamente non inerente la “persona”) il fatto che il tetto sia magari in eternit o che, comunque, presenti ingenti infiltrazioni, magari a causa della vetustà (e questo elemento oltrepiù non è normalmente valutabile ad una mera indagine visiva da parte dell’utente-acquirente anche più attento, risultando il tetto indubbiamente non visibile dalla strada o comunque da punti facilmente raggiungibili dall’utente medio); se la facciata avesse bisogno di un intervento manutentivo allora esso sarà, o potrebbe essere, immaginabile anche solo grazie ad una ispezione visiva esterna all’edificio e l’acquirente potrà trarne da solo le conclusioni in merito, ponendole “sul tavolo” al momento della trattativa; ma se vi fosse invece una caldaia vetusta essa apparirebbe ancor più nascosta dell’eventuale tetto e solo una segnalazione da parte dell’amministrazione dello stabile potrebbe mettere in all’allerta chi si sta approssimando all’acquisto.
Questi sono alcuni esempi, quelli normalmente più diffusi ma spesso anche i più costosi. Non si possono comunque escludere altre piccole (o medie) manutenzioni previste o in ogni caso “prevedibili” (vani scala da ritinteggiare, ascensore da mettersi a norma, ecc.) e l’amministratore più solerte e a conoscenza delle normative non dovrebbe creare problemi nel rilascio delle informazioni di merito, convenendo fra l’altro anche a lui comunicarle, visto che se poi l’acquirente, acquisite o non acquisite le informazioni richieste, decidesse in ogni caso di procedere all’acquisto sarà poi lui il condomino al quale l’amministratore stesso dovrà prima o poi rendere conto.
Una questione molto simile a quella appena sopra descritta, e anch’essa molto importante, riguarda la situazione economica generale dell’edifico; certamente l’amministratore non potrà comunicare i nomi dei condòmini eventualmente morosi, ma non avrà preclusioni relative alla privacy nel riferire lo stato del condominio relativamente ad eventuali grandi morosità presenti (in modo generico e non “personale”) e problemi, quindi, con i fornitori; con rischio magari di stacco delle utenze. Anche in questo caso l’amministratore attento, per i medesimi motivi appena sopra citati, avrà perciò cura di informare l’acquirente di detti rischi.
Il fattore pericoloso per l’acquirente (e il venditore) in questo caso è ancor più complesso rispetto a quello delle (anche grandi) possibili manutenzioni. Potrebbe risultare infatti molto difficile, anche conoscendo il problema, valutarne i costi e porli “sul tavolo delle trattative” prima del rogito; potrebbe infatti, in futuro, succedere di tutto: pagamento del dovuto senza azione legale da parte del moroso (denaro quindi eventualmente scalato dall’acquisto inutilmente); pagamento ma solo dopo azione legale stragiudiziaria (stesso discorso appena fatto nel caso di abbassamento del prezzo d’acquisto per tale causa); incasso del capitale da recuperare solo dopo l’azione esecutiva (asta giudiziaria) messa in campo da parte del condominio (tutto o in parte, dipenderà dai casi e dall’andamento dell’asta, spesso imponderabile a priori e solitamente con risultati dopo anni), oppure solo recupero parziale (solitamente delle spese legali sostenute, ma non, ad esempio, del capitale); ecc. Una cosa è certa: in tale caso l’eventuale debito diventa “reale” ed esigibile, quindi a carico di chi risulta condomino in quel momento (per la propria quota millesimale), nel bene o nel male, solo dopo l’intero iter e i risultati giudiziari finali.
Per quanto riguarda invece più direttamente il rapporto specifico venditore-acquirente, esso è regolato dall’Art. 63 delle disposizioni di attuazione del Codice Civile; il IV comma di tale articolo è forse il più conosciuto: Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente; molto spesso tradotto, erroneamente, in: chi acquista deve sostenere le spese non pagate da parte del predecessore per gli ultimi 2 anni (ritenendo in tal senso 24 mesi interi).
In realtà il comma è un po’ più complesso e la Giurisprudenza ha chiarito che per “anno” si debba intendere il periodo di gestione condominiale; ciò significa che quanto l’acquirente deve pagare è legato parzialmente anche alla fortuna. Facciamo un esempio, mettiamo il caso che la chiusura di gestione del condominio X cada al 31/12 di ogni anno; significherà che se il rogito si redigesse il 2 di gennaio l’acquirente si troverà a dover pagare al posto del venditore 367 giorni di spese (due giorni della gestione “in corso” e l’intera gestione “precedente” ed appena finita); se invece si sottoscrivesse, per eccesso, il rogito il successivo 31 dicembre allora l’acquirente si troverebbe a dover sostenere spese al posto del venditore per 730 giorni (l’intera gestione in corso al momento dell’acquisto e quella precedente, anch’essa ovviamente intera). Oggi come oggi, nella gran parte dei casi, tale fattore è tutelato dal buon lavoro dei notai. In tale caso, prima almeno del compromesso e salvo un mandato ben specifico in merito, il fattore “tutela della Privacy” è ben presente e l’amministratore dovrà fare attenzione a non diffondere il dato a persone senza un titolo effettivo (copia del compromesso o, meglio, richiesta notarile).
Mentre una “probabile” spesa straordinaria da sostenersi, quali quelle analizzate in precedenza, potrebbe rientrare, se conosciuta, nelle fasi di trattativa per la definizione definitiva del prezzo d’acquisto, occorre fare attenzione nel ritenere “Legge” (perché Legge non è) il fatto, ormai conosciuto quanto il precedente comma dell’art. 63, secondo il quale “una spesa già deliberata prima del rogito, anche se non ancora eseguiti i relativi lavori ed anche se scadenti le relative rate dopo l’atto, resta a carico della parte venditrice”; in tal senso si è più volte espressa positivamente anche la Suprema Corte ed ormai i notai più attenti ne pretendono il pagamento prima della sottoscrizione dell’atto o comunque redigono quest’ultimo ponendo ben chiara la questione con l’addebito al venditore; ma tale vincolo vale solo fra le parti: per quanto riguarda il condominio, l’amministratore dovrà continuare a basarsi su quanto abbiamo visto in precedenza previsto dall’art. 63; se le rate scadevano prima del rogito saranno esigibili dalla nuova proprietà se cadenti nei “2 anni” precedenti (con le stesse modalità specifiche prima elencate) e sempre richiedibili alla stessa parte acquirente, ovviamente, se scadenti post-rogito.
Tornando all’art. 63 più volte citato: spesso passa inosservato quanto dettato dal nuovo (dal 2013) ultimo Comma del medesimo, che recita: “Chi cede diritti su unità immobiliari resta obbligato solidalmente con l’avente causa per i contributi maturati fino al momento in cui è trasmessa all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto”; mentre quindi chi compra sa di rischiare di dover pagare al posto del venditore sino ad un massimo di due anni di gestione, chi vende, se non trasmettesse all’amministratore copia autentica del titolo che determina il trasferimento del diritto, rischierebbe di dover far fronte alle spese non pagate dal “successore” a tempo indeterminato e potrebbe essere chiamato in causa magari anche dopo anni. L’amministratore professionale dovrà ricordare tale fatto in modo ben specifico a chi si sta apprestando a vendere un immobile o, soprattutto, a chi l’avesse già fatto non trasferendo però copia del titolo di vendita.
Attenzione quindi alle “mine”, sia per chi compra che per chi vende, anche se, come premesso sopra, fortunatamente oggi esse si possono più facilmente evitare, grazie ad utenti-consumatori più preparati (con all’assistenza di associazioni della proprietà sempre più di qualità e a conoscenza di tutte le sfaccettature giuridiche) perché le varie “indagini” sopra richiamate competono indubbiamente a questi ultimi, che dovranno risultare sempre più attenti all’atto dell’acquisto ed ora anche della vendita.