[A cura di: Lucia Rizzi, presidente nazionale Anapic – www.anapic.it] È opinione ormai condivisa in sede di merito e di legittimità che il condominio, benché semplice “ente di gestione” sia da considerarsi un consumatore. La sussunzione del condominio in questa categoria produce diversi effetti giuridici, per esempio in punto di competenza territoriale, di legislazione sostanziale applicabile in materia di clausole contrattuali o interessi di mora per il ritardo nei pagamenti.
Quel che qui interessa, però, è soffermarsi un attimo su una conseguenza derivante dalla natura di consumatore, ossia, sussistendo gli altri requisiti, la possibilità di addivenire alla procedura di gestione della crisi da sovra indebitamento.
Fino al coronavirus, la possibilità era più teorica che pratica perché, pur essendo state avanzate delle domande per esempio all’OCC (Organismo di Composizione delle Crisi) dell’Ordine Avvocati di Milano, ad esse non si è poi dato seguito, non perché fossero inammissibili, ma perché, di fronte alla complessità e ai costi della gestione, lo stesso condominio (o meglio i condòmini) preferiva(no) trincerarsi dietro il comodo baluardo della parziarietà – di fatto, dato che la solidarietà rivive solo dopo la fantomatica “inutile escussione” – dell’obbligazione condominiale.
Ma questo è stato prima del coronavirus.
È infatti verosimile che la gravissima crisi economica causata dalla pandemia, provocherà un aumento esponenziale delle situazioni di indebitamento individuali e condominiali. In altre parole, il numero dei soggetti che non potranno pagare le spese condominiali lieviterà e questo causerà un aumento, ancora una volta esponenziale: delle morosità, quindi dell’indebitamento del condominio verso i propri fornitori, quindi dei fornitori stessi, quindi dell’economia, quindi delle azioni giudiziarie di cognizione, monitorie e di recupero.
Con riferimento a queste ultime, e tanto per concentrarsi su un aspetto, ma senza con ciò svilire l’importanza degli altri, basti considerare che i fornitori – economicamente sotto pressione – partiranno all’assalto delle casse condominiali; trovatele vuote, chiederanno il nominativo dei morosi all’amministratore e, se non l’otterranno, agiranno contro l’amministratore per averli, mentre, se l’otterranno, o lasceranno perdere il recupero – e quindi finiranno in decozione, trascinando altri con sé – oppure moltiplicheranno le azioni di recupero monitorie ed esecutive, intasando le aule di giustizia a fronte di una possibilità di recupero assai ridotta (e assai lontana nel tempo) a causa della crisi.
Osservate per bene le tinte fosche di questo quadro, una schiarita potrebbe veni re proprio dalla possibilità, per il condominio, di ricorrere agli OCC (Organismi per la Composizione delle Crisi).
Ciò che si ipotizza, forse compiendo un volo pindarico, è la possibilità di ricorrere alla composizione della crisi da parte sia del condominio che dei condòmini.
Mettiamo per un attimo da parte il problema dell’ammissibilità e delle modalità concrete con cui gestire la procedura una volta avviata per poi ritornare in un secondo momento sul tema. Se fosse possibile, il debito condominiale sarebbe ridotto, i fornitori incasserebbero forse meno, ma avrebbero una maggior certezza di incassare e tempi più certi, le aule di giustizia meno congestionate. Non sarebbe un problema risolto, ma sarebbe un problema alleviato, almeno in parte.
Di fronte alla possibilità di ottenere questi benefici, allora è forse il caso di affrontare, seppure per sommi capi, il problema della ammissibilità e della gestione.
Ad avviso dello scrivente, il problema della ammissibilità non riguarda tanto il condominio (è già accaduto che venissero presentate domande e comunque basterebbe una delibera straordinaria), ma il condominio e i condomini contemporaneamente. Sempre ad avviso dello scrivente, non si trovano ostacoli particolari nell’ipotizzare una domanda cumulativa da parte di più consumatori, condominio e condomini. In fondo, da ottant’anni almeno esistono le cause con pluralità di parti e non si vede perché non debbano esistere le gestioni della crisi con pluralità di parti.
Esse potrebbero – e forse dovrebbero per essere appetibili – essere considerate come una unica procedura riconnessa a un’unica domanda il cui valore è dato dalla somma dei valori dei singoli aderenti.
I condòmini dissenzienti non dovranno pagare il costo della CdC degli altri condòmini, ma solo la quota corrispondente alla CdC del condominio.
Una domanda siffatta potrebbe vedere – onde evitare che il povero gestore della crisi si trovi a dover interloquire con decine di soggetti – come interlocutore privilegiato l’amministratore. Costui ben potrebbe ricevere uno specifico mandato individuale da ciascuno dei condòmini aderenti.
Tale mandato, con rappresentanza, gli consentirebbe di gestire le posizioni dei singoli amministrati (risolvendo altresì col minor numero di adempimenti possibili tutte le questioni attinenti alla privacy) in una col condominio, il tutto chiaramente limitatamente alla gestione dell’affare. Per tale attività l’amministratore dovrà essere retribuito dal condominio per quanto attiene alla gestione della crisi del condominio stesso, e dai condòmini per la gestione delle crisi individuali.
Tale secondo incarico esulerebbe dal mandato di amministratore condominiale e sarebbe auspicabile che le varie associazioni di amministratori dettassero delle linee guida omogenee in tal senso.
È evidente che l’amministratore dovrà avere una struttura adeguata per svolgere detto compito – struttura che potrà essere valutata, anche in corso d’opera, dal gestore della crisi – e quindi si ritiene che difficilmente amministratori improvvisati o non iscritti alle associazioni (che eventualmente potrebbero fornire un supporto) possano essere considerati idonei.
Il requisito della meritevolezza, estendendo il discorso, dovrà quindi essere esaminato non soltanto in capo al condominio (cui, non essendo una persona, non potranno essere applicati alcuni parametri), ma anche in capo all’amministratore e in capo ai singoli condòmini.
Dovrà infatti evitarsi che soggetti dalla condotta personale poco limpida approfittino della CdC per sottrarsi alle proprie obbligazioni.
A parere dello scrivente, accanto all’amministratore, anche soltanto ai fini della gestione della crisi, dovrebbero esserci anche un commercialista e un avvocato – si tratta, in fondo, di una procedura giudiziaria non lontanissima da quelle concorsuali -. Aperta la gestione della crisi, il modello potrebbe essere, con gli opportuni adattamenti, quello praticato dalle ditte individuali o dalle società di persone.
Chiaramente, durante la crisi, il condominio continuerà a vivere e quindi se, da un lato, l’amministratore potrà essere sollevato dal compimento di taluni obblighi che verranno o sospesi o gestiti direttamente dall’organo di composizione – pensiamo all’attività di recupero crediti o agli adempimenti fiscali, previdenziali -, dall’altro lato altre attività andranno avanti quasi in continuità: pensiamo alla manutenzione ordinaria o agli interventi urgenti, mentre altre ancora (pensiamo alla manutenzione straordinaria), dovranno subire degli adattamenti.
Gli strumenti per onorare i debiti potranno essere quelli già noti oppure quelli predisposti dalla legislazione emergenziale sui cui è prematuro pronunciarsi.
I fornitori, se, da un lato e come si accennava, dovranno adeguare le proprie pretese e si vedranno negate le azioni esecutive individuali, dall’altro, e sempre come si accennava, potranno avere una maggior sicurezza d’incasso che, nei tempi che ci attendono, non è poco (e il pensiero corre ancora una volta alla parziarietà di fatto delle obbligazioni condominiali).
E questo ci porta a un ultimo problema. Se per gestire la crisi si rendono necessarie particolari rate condominiali, in che misura le stesse saranno opponibili ai condomini che non hanno voluto aderire alla CdC?
Premesso che, ad avviso dello scrivente, una qualche forma di opponibilità si dovrà trovare, se non si vuol privare l’istituto di gran parte della sua effettività ed efficacia, un qualche aiuto potrà venire in tal senso, ancora una volta, da una prassi e un istituto che già esistono, cioè il fondo di morosità. Ma questo ci porterebbe ancora più lontano e, dato che si è parlato fin qui di una procedura che ancora non esiste e non è stata praticata, forse troppo lontano.
Se si troveranno degli orecchi attenti nelle opportune sedi, se ne potrebbe parlare un’altra volta.