[A cura di: avv. Valerio Antonio Orlando e avv. Michele Melone – A.P.P.C.] Il 28 ottobre scorso è stato integrato l’accordo collettivo nazionale dei Medici di base, su proposta del Ministro della Salute Roberto Speranza e del Ministro degli Affari Regionali Francesco Boccia. Tale accordo prevede che i medici di base siano chiamati a fare i test antigenici rapidi ai loro pazienti sospetti e ai relativi contatti stretti asintomatici. Essendo un accordo stipulato solo da una sigla sindacale, sarà facile prevedere che pochi saranno i medici di base che aderiranno a questo nuovo compito assegnato loro, seppur remunerato con un importo tra i 12 e 18 euro lordi per ogni tampone effettuato.
Seppur saranno pochi gli studi professionali dei medici di base coinvolti, è pur vero che la maggior parte di tali studi sono ubicati all’interno di edifici in condominio.
Malgrado una paura del contagio quanto mai elevata e numeri pandemici non ancora sotto controllo, ad tutt’oggi l’amministratore di condominio non ha un protocollo specifico da seguire in caso di contagi all’interno di una struttura condominiale.
Come sappiamo, le A.S.L. non sono tenute a comunicare la presenza di un caso covid-19 positivo all’amministratore della struttura in cui risiede lo stesso. Difatti è riposta nella coscienza del positivo la volontà di contattare l’amministratore ed informarlo della circostanza, al fine di predisporre un’opportuna sanificazione delle parti comuni dello stabile.
Infatti, la legge n. 82 del 25 gennaio 1994 disciplina tutte le attività inerenti la pulizia, la sanificazione degli spazi condominiali e l’eventuale derattizzazione e attribuisce la responsabilità all’amministratore condominiale. È, quindi, una pratica obbligatoria che ogni amministratore deve adempiere ripartendo le spese per gli spazi comuni.
In pratica, l’intervento di disinfestazione degli edifici in condominio rientra tra le attività di manutenzione ordinaria, anche se potrebbe richiedere l’aggiunta di interventi straordinari in caso di sospetto di infestazione. Generalmente, prima di procedere ad interventi di disinfestazione straordinaria l’amministratore è tenuto a convocare l’assemblea condominiale e comunicare i preventivi di spesa, ma la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24654 del 03.12/.2010 gli ha riconosciuto il potere di intervenire, a fronte di particolari urgenze, anche senza la preventiva approvazione dell’assemblea.
Diversamente da quanto sopra esposto, l’amministratore non sarà mai ufficialmente investito della problematica, seppur sappiamo essere molto a cuore a tutti i condòmini, che spesso inviano messaggi al proprio gestore delle parti comuni, indicandogli di avere saputo da terzi, che uno dei vicini è risultato positivo. Il tutto al fine di chiedere immediate sanificazioni.
Alla luce di questa confusione che regna ormai da mesi, l’ultimo provvedimento rischia di generare ulteriori contrasti tra il condomino e l’amministratore. Dato che non possiamo ritenere che vi saranno norme specifiche, dobbiamo affidarci alla gerarchia delle norme condominiali per cercare di uscire da questo pantano normativo e capire se sia possibile vietare al professionista di eseguire i tamponi nel proprio studio.
Il primo step dell’amministratore è quello di leggere accuratamente il Regolamento di condominio, al fine di verificare se vi sono limiti imposti dallo stesso all’utilizzo delle unità immobiliari insistenti nello stabile. I regolamenti contrattuali (ovverosia redatti dal costruttore e registrati presso la Conservatoria dei Registri Immobiliari) possono anche limitare la destinazione d’uso degli immobili, vietando ad esempio che possano essere adibiti a studi professionali inclusi quelli medici.
Qualora ci si trovi di fronte ad un divieto di tal guisa è evidente che non solo i tamponi non potranno essere eseguiti ma sarà illegittima l’esistenza stessa dello studio.
È, invece, molto raro trovare regolamenti che vadano a specificare il divieto di tenere studi medici che realizzino in loco analisi cliniche di qualsivoglia genere, tra cui finirebbe di diritto il tampone antigenico.
Possiamo, quindi, affermare che nel caso non sia specificato all’interno del Regolamento di natura contrattuale, non potrà essere impedita l’esecuzione dei tamponi all’interno degli studi dei medici di base, insistenti all’interno di un condominio. Non sarà, difatti, possibile con una semplice assemblea a colpi di maggioranza, porre tale divieto – ammesso e non concesso si possa tenere una assemblea allo stato dell’emergenza attuale – ma dovrebbe essere deliberato all’unanimità dei partecipanti al condominio (in quanto incide sui diritti reali del singolo), con il voto favorevole anche della proprietà dell’immobile adibito a studio professionale medico.
Sarebbe augurabile, piuttosto, che il medico di turno manifesti la possibilità di eseguire sanificazioni sulle parti comuni a proprie spese, chiaramente coordinandosi con l’amministratore condominiale, dato che agisce su parti comuni, il tutto per garantire non solo una maggiore salubrità dell’ambiente ma soprattutto la pace sociale all’interno dello stabile.
È chiaro che il pensiero di imporre al medico sanificazioni a spese proprie corre nelle menti dei condomini, ma è pure vero che se non vi sono, a livello normativo nazionale e regionale, contraddizioni sanitarie, per lo svolgimento dei testi antigenici nei condomini, l’amministratore non è tenuto ad effettuare sanificazioni straordinarie alle parti comuni.
A dirla tutta, ad oggi nessuna normativa nazionale o regionale impone all’amministratore di un fabbricato di eseguire periodicamente attività di sanificazione, neanche in presenza di uno o più casi Covid conclamati nel fabbricato.
Infine, un ultimo aspetto che riguarda il rapporto proprietario – conduttore (nel caso che ci riguarda, considerando il conduttore dell’immobile uno studio medico che esegue tamponi). Le spese legate alle opportune sanificazioni sono spesso rilevanti andando oltre la normale pulizia. A questo punto è lecito chiedersi a chi spetti il pagamento: al conduttore o al proprietario?
In assenza, anche in questo caso, di una specifica norma di riferimento, bisogna fare riferimento alla Legge n 392 del 1978.
L’art. 9 della legge n. 392/78 prevede che: “Sono interamente a carico del conduttore, salvo patto contrario, le spese relative al servizio di pulizia, al funzionamento e all’ordinaria manutenzione dell’ascensore, alla fornitura dell’acqua, dell’energia elettrica, del riscaldamento e del condizionamento dell’aria, allo spurgo dei pozzi neri e delle latrine, nonché alla fornitura di altri servizi comuni”. La norma quindi non lascia dubbi: le spese di sanificazione vanno imputate al conduttore che usufruisce direttamente del servizio (insieme agli altri condòmini) finalizzato ad una migliore vivibilità e fruibilità degli spazi comuni.
Come per tutte le spese condominiali, salvo diverso accordo, l’amministratore chiederà il pagamento di tali spese direttamente al proprietario dell’immobile, che è l’unico soggetto che ricopre la qualifica di condomino, il quale poi girerà la richiesta di pagamento, con tutta la necessaria documentazione giustificativa, al conduttore.