[A cura di: Enrico Fenoglio – Centro studi Confappi – Fna] La cosiddetta “sharing economy” – che consiste nel mettere in rete risorse e professionalità ottenendo un ritorno in termini di denaro o servizi – si realizza in condominio sotto forma di servizi condivisi, che hanno la doppia funzione di far risparmiare e aumentare la socialità. Si pensi all’orto in cortile, alla lavanderia comune, alla palestra, al wi-fi condiviso, alla raccolta di oli esausti e farmaci scaduti. E ancora, alla bicicletta comunitaria o, addirittura, all’auto elettrica condominiale.
Anche in Italia attività come i bed & breakfast, i nuovi condhotel, gli affitti sociali o gli asili nido condominiali si stanno diffondendo a macchia d’olio. Un processo così rapido che la stessa giurisprudenza fatica a inquadrare. Il risultato è un panorama piuttosto fluido, con alcuni punti fermi ma molti aspetti soggetti a continue variazioni e assestamenti, con un occhio alle direttive comunitarie e a ciò che accade in altri Paesi europei.
Il cappello normativo a cui si riferiscono i vari regolamenti regionali comprende il cosiddetto “Codice del turismo”, ovvero il D.Lgs. 79/2011, la Legge 135/2001 (“Riforma della legislazione nazionale del turismo”) e, per quanto riguarda gli asili nido, la più datata Legge 1044/1971 (“Piano quinquennale per l’istituzione di asili nido comunali con il concorso dello Stato”). Tutte le attività, se ammesse dal regolamento di condominio, devono svolgersi nel pieno rispetto delle regole di pacifica convivenza e le eventuali immissioni (odori e rumori) provenienti dagli alloggi non devono superare i limiti consentiti.
Soffermiamoci qui sui condhotel e sull’home restaurant.
Novità nell’ambito delle formule ricettive per turisti sono i condhotel. Il recente D.P.C.M. 22 gennaio 2018, n. 13, entrato in vigore il 21 marzo 2018, per la prima volta regola il nuovo segmento della ricezione turistica, dopo che l’art. 31 del Decreto “Sblocca Italia” (D.L. 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla Legge 11 novembre 2014, n. 154) ne aveva istituita l’esistenza.
La nuova normativa definisce il condhotel un esercizio alberghiero che abbina camere di hotel (minimo 7) e unità abitative dotate di cucina autonoma (non più del 40 per cento della superficie complessiva). Il proprietario di un albergo può vendere una camera a un privato, che potrà utilizzarla per scopi propri, con la possibilità di cederla in affitto quando non la utilizza, affidando l’incarico al gestore della struttura, con cui poi dividerà il guadagno. Lo stesso proprietario può anche decidere di convertire una porzione della struttura in appartamenti da vendere, fino a un massimo del 40 per cento; e può aggregare appartamenti esterni all’edificio, purché si trovino entro i 200 metri di distanza dalla struttura principale.
È in pieno far west normativo, invece, il settore della ristorazione a domicilio, anche conosciuta come “social eating” o “home restaurant”. Una formula molto diffusa, che consiste nell’aprire la propria casa a sconosciuti, a cui servire, dietro compenso, pranzi e cene con portate da gourmet, organizzati come veri e propri eventi.
Dal 2009 a oggi sono state presentate quattro proposte di legge per disciplinarli. Nel settembre 2016 la Commissione per le attività produttive ha accorpato le proposte in unica legge, approvata dalla Camera dei Deputati e poi approdata al Senato, dove – al momento – è ancora ferma. Intanto, però, il disegno di legge è stato bocciato dal Garante per la concorrenza, secondo cui sarebbero eccessivi i paletti imposti ai proprietari degli appartamenti-ristoranti, in contrasto con le regolamentazioni “leggere” europee.
Il discusso disegno di legge contiene la definizione di home restaurant: “Attività finalizzata alla somministrazione di alimenti e bevande esercitata da persone fisiche all’interno delle strutture abitative di residenza o domicilio proprie o di un soggetto terzo, utilizzando i prodotti preparati nelle stesse strutture”. Per esercitare l’attività è previsto l’utilizzo esclusivo di piattaforme digitali dedicate. Inoltre, le case devono rispondere ai requisiti igienico-sanitari previsti per legge (ma non è necessario modificarne la destinazione d’uso). Per l’igiene dei prodotti alimentari bisogna fare riferimento al regolamento Ce 852/2004, con particolare attenzione alla corretta applicazione della catena del freddo.
Sugli aspetti finanziari il disegno di legge pone limiti restrittivi all’attività, stabilendo che un home restaurant non possa superare i 10 coperti al giorno e i 500 all’anno, con incassi annui che non superino i 5 mila euro. In merito al rapporto tra attività di home restaurant e condominio ci si può rifare a quello che vale per i bed & breakfast: solo un divieto dichiarato espressamente nel regolamento condominiale può impedire lo svolgimento di un’attività commerciale in un’abitazione privata, come ribadito dalla Cassazione (sentenza 20 ottobre 2016, n. 21307).