[A cura di: ing. Fabrizio Mario Vinardi, consigliere segretario dell’Ordine Ingegneri prov. di Torino]
Vi è mai capitato di pensare che la neve accumulata su un balcone potrebbe causare danni da infiltrazione, oltre che al nostro appartamento, anche a quello del condomino che abita al piano sottostante?
È quello che è realmente accaduto in una famosa località sciistica, dove l’anziana signora Lucia possiede un appartamento che figli e nipoti utilizzano come casa per le vacanze. Questo appartamento ha una particolarità: il balcone che affaccia sulla via principale non aggetta completamente nel vuoto, come accade di solito, ma per circa 1/3 della superficie funge da “copertura” all’appartamento sottostante.
Ma andiamo con ordine: indiscutibilmente, i fatti risalgono ad una stagione che era stata particolarmente nevosa (su balconi e terrazzi si era infatti accumulato oltre un metro di neve), seguita da giornate in cui il “delta-termico” giornaliero, ossia la differenza tra la temperatura minima (di notte si era ancora abbondantemente sottozero) e quella massima raggiunta dalle superfici irradiate dal sole di mezzogiorno, era decisamente importante, con la logica conseguenza che di giorno la neve fondeva creando rivoli d’acqua, per poi congelare nuovamente nella notte, con un’alternanza di cicli gelo/disgelo che è sicuramente durata per settimane.
A proposito, vale la pena sottolineare che – come ci ricorda la Fisica – il termine corretto per la transizione di fase da solido a liquido è proprio “fondere”, non “sciogliere”, che invece rappresenta l’azione di rendere solubile un solido in un liquido, come, ad esempio, lo zucchero che si scioglie nell’acqua.
Curiosamente, questi cicli di gelo/disgelo non hanno portato alcuna conseguenza all’appartamento di Lucia, mentre il condomino sottostante ha lamentato pesanti infiltrazioni, che hanno comportato non solo il danno diretto (degrado delle superfici intonacate e cortocircuito elettrico causato dall’acqua che si è insinuata nei corpi illuminanti a soffitto), ma anche quello indiretto per aver dovuto alloggiare altrove gli inquilini, per evidente “inagibilità” temporanea dei locali.
Non trovando una soluzione bonaria, il danneggiato ha ritenuto di adire le vie legali e instaurare un procedimento di ATP – Accertamento Tecnico Preventivo, una procedura giudiziaria normata dagli artt. 696 e 696bis del Codice di Procedura Civile. In entrambi i casi, la parte che richiede l’ATP formula istanza al Tribunale affinché venga nominato un CTU – Consulente Tecnico d’Ufficio, col compito di descrivere lo stato dei luoghi, accertare l’esistenza delle problematiche lamentate e, in caso di positivo riscontro, le relative cause, le opere necessarie alla messa in pristino, i tempi e costi di questi interventi, ecc.
È bene, infine, ricordare che il presupposto del procedimento di cui all’art. 696 cpc è l’urgenza di far verificare dal nominato CTU lo stato dei luoghi (in quanto possono modificarsi oppure vi è necessità di modificarli nel breve, ad esempio per il necessario risanamento delle murature), mentre quello di cui all’art. 696 bis cpc è quello di una consulenza tecnica preventiva finalizzata alla composizione della lite, motivo per cui è necessario che venga formalmente esperito dal CTU un tentativo di conciliazione.
Nel nostro caso partecipavano all’ATP entrambi i condòmini (danneggiato e presunto danneggiante), nonché il condominio in persona dell’amministratore.
I lettori più attenti a questo punto si chiederanno: ma perché citare il condominio, se si assume che l’infiltrazione sia avvenuta da un balcone privato verso un appartamento anch’esso privato? La risposta, di taglio squisitamente giuridico, è nell’applicabilità, o meno, dell’art. 1126 del Codice Civile, che recita: “Quando l’uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condòmini, quelli che ne hanno l’uso esclusivo sono tenuti a contribuire per 1/3 nella spesa delle riparazioni o ricostruzioni del lastrico: gli altri 2/3 sono a carico di tutti i condòmini dell’edificio o della parte di questo a cui il lastrico solare serve in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”.
Dal punto di vista dell’ingegneria forense, il problema da affrontare è anzitutto verificare che il danno lamentato sia effettivamente esistente e quale ne sia la consistenza, dopodiché verificare se la via di ingresso dell’acqua possa essere quella ipotizzata (il balcone soprastante) e, in caso affermativo, individuare le opere e i relativi tempi/costi sia per ovviare al problema delle infiltrazioni, sia per la sistemazione dell’appartamento danneggiato.
Al contrario, se il manufatto di cui si tratta possa essere considerato un “lastrico” (che tipicamente ha funzione di sola copertura) oppure una “terrazza a livello” (ossia una estensione dell’appartamento, che ha tuttavia anche la funzione di copertura per i piani sottostanti) sarà compito del Giudice, previa esatta descrizione dei luoghi a cura del CTU, e comunque solo all’esito (sentenza) di una eventuale causa di merito.
Nel caso di specie, le operazioni peritali condotte dal CTU sono state, ovviamente, quelle di visionare l’appartamento sottostante, riscontrando indiscutibili tracce della lamentata infiltrazione, peraltro assai estesa; dopodiché ci si è concentrati sull’esame del balcone, che si presentava in ottime condizioni stante una ristrutturazione di pochi anni prima, nella quale era stata stesa guaina impermeabilizzante opportunamente risvoltata sulle murature perimetrali, come risultava da alcune fotografie risalenti alla fase di cantiere.
Inizialmente si è ipotizzato che le due porte finestra presenti sul balcone e/o la finitura laterale in materiale ligneo, in effetti in mediocri condizioni, potessero aver permesso l’ingresso dell’acqua nell’appartamento di Lucia, dal cui pavimento si era poi infiltrat al piano sottostante. Tuttavia, le stanze avevano pavimento in parquet, che in caso di importante bagnatura si sarebbe irrimediabilmente gonfiato, oltre a mostrare la classica colorazione più scura, ma nulla di ciò era visibile nella casa di Lucia.
A questo punto si è deciso di calcolare quale potesse essere il battente d’acqua che, con le temperature raggiunte nelle giornate di sole, poteva essersi creato a causa della fusione di parte della neve ed eseguire una opportuna simulazione, creando una estemporanea “piscina” contro le citate porte finestra, per verificare se l’acqua potesse infiltrarsi sotto (o lateralmente) all’infisso, ma anche in questo caso senza esito.
Durante le operazioni peritali i CTP – Consulenti Tecnici di Parte avevano più volte cercato una soluzione bonaria, che venne trovata quando la figlia di Lucia, Elena, si rese conto che forse “costava più la salsa del pesce” e propose un appianamento, accettato dalla controparte, che in sintesi prevedeva:
In conclusione, dal caso reale qui analizzato emergono alcune importanti considerazioni: