Singolare vicenda quella portata all’attenzione della Corte di Cassazione. Il caso riguarda una serie di furti in appartamento, senza segni di effrazione, dei quali era stato “accusato” (assieme alla moglie) il portiere del condominio, in quanto pregiudicato. Di seguito pubblichiamo l’estratto della sentenza della cassazione n. 56354 del 2017.
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CORTE DI CASSAZIONE
Sez. I pen., sent. n. 56354/2017
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1. Con decreto in data 24.02.2016 il Tribunale di Torino disponeva la sorveglianza speciale di p.s. per anni uno e mesi sei nei confronti di M.L., a carico del quale e di sua moglie veniva disposta anche la confisca di diversi beni immobili, di un’autovettura, di un motociclo e di un conto bancario. Ciò perché il prevenuto risultava annoverare diversi pregiudizi di polizia per reati contro il patrimonio ed un precedente penale per rapina, elementi ritenuti indicativi di una carriera criminale di spessore durata per anni e connotata da modalità operative sempre simili nel tempo: in particolare il M.L. diveniva persona di fiducia della persone offese (custode o portiere di stabile) e riusciva a fare copie delle chiavi delle abitazioni, tanto che i furti perpetrati presentavano sempre l’assenza di segni di effrazione sulle porte; egli era coinvolto anche in furti presso banche, attuati praticando un foro nel muro da un locale attiguo di cui egli aveva le chiavi; a ciò si aggiungeva che i redditi conosciuti del suo nucleo familiare sfioravano la soglia della povertà e veniva ritenuto impossibile l’acquisto effettuato di beni nel corso degli anni, considerato il costo della vita di una famiglia avente così poco reddito a fronte di esborsi di danaro molto consistenti.
2. Interponevano appello il proposto e la moglie, contestando le conclusioni relative alla misura di prevenzione personale ed alla sproporzione tra redditi e beni, richiamando le dichiarazioni del predetto in ordine all’evasione fiscale che aveva attuato per anni nella sua attività di artigiano edile.
3. Con decreto in data 06.07.2016 la Corte di Appello di Torno revocava la confisca dei beni immobili e del conto bancario, confermando nel resto il decreto impugnato. Rilevava la Corte territoriale che la pericolosità sociale del M.L. era fuori discussione: egli era coinvolto palesemente in diciotto episodi di furto in abitazione, tutti commessi con modalità simili e connotati dall’uso di chiavi dell’appartamento; e poiché il M.L. era il custode condominiale, egli aveva avuto la disponibilità delle chiavi stesse, era riuscito a duplicarle ed aveva tenuto molti comportamenti tali da destare sospetti; inoltre era coinvolto anche in un furto effettuato nell’anno 2012 nelle cassette di sicurezza di una banca attigua al condominio di cui era portiere: era riuscito a studiare i sistemi di allarme ed a realizzare un buco nel muro della banca da un locale attiguo; lui stesso aveva locato una cassetta di sicurezza, poi denunziando il furto di ingenti beni (per un valore pari ad euro 98.200 e cioè un valore che egli non poteva legittimamente avere nell’anno 2012) ottenendo così – oltre al compendio del furto – anche il risarcimento assicurativo di euro 35.000; quanto alla rapina in banca dell’anno 2013, il metodo era stato lo stesso, ma lui aveva preferito fare da organizzatore ed aveva confessato tutto. Quindi era stato un criminale insidioso, capace di profittare della fiducia generate dalle figure del portiere o dell’artigiano che faceva lavori in casa. Peraltro, a decorrere dall’anno 2011 il prevenuto aveva dimostrato una singolare disponibilità economica, acquistando, unitamente alla moglie, un’autovettura ed una motocicletta nonché sottoscrivendo un contratto preliminare per l’acquisto di un appartamento con due box e con cantina, versando danaro in misura tale da essere incompatibile con i redditi dichiarati; a fronte di ciò, il prevenuto aveva prodotto una consulenza tecnica contabile, che la Corte di Appello riteneva priva di costrutto logico poiché non considerava gli esborsi, le restituzioni né il costo della vita di una famiglia di quattro persone o le spese di acquisto di immobili ed i mutui; sul punto si riteneva non rilevante la dichiarazione relativa all’evasione fiscale che sarebbe stata attuata dal M.L., poiché simile elemento non poteva ridurre la ritenuta sproporzione. Pertanto venivano restituiti i beni acquistati prima dell’anno 2011 poiché non vi erano prove di manifestazioni serrate di pericolosità sociale.
4. Avverso detto decreto propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, deducendo violazione di legge: si sostiene che l’unica attività illecita accertata era quella di cui alla condanna per rapina, definita come fatto isolato; gli altri fatti valutati dal giudice non avevano trovato ancora una definizione processuale per cui era improprio trarre da essi delle conclusioni in termini di responsabilità, sia pure sul versante della prevenzione; ed ancora, la Corte di Appello non aveva valutato il ravvedimento dimostrato dal prevenuto, che aveva collaborato con gli inquirenti e che aveva ottenuto la sospensione condizionale dell’esecuzione della pena.
5. Propone ricorso anche il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Torino, censurando la revoca della confisca su alcuni beni, deducendo violazione di legge: si sostiene che era stato un errore di diritto adottare una interpretazione normativa non conforme all’assetto raggiunto dalla Corte Suprema in ordine alla perimetrazione della pericolosità sociale nel tempo e ritenere che gli episodi dell’anno 2005 fossero slegati da quelli del periodo 2011/2014, senza considerare che anche gli acquisti pregressi non erano giustificati dai redditi.
Il P.G. in sede chiede dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi.
1. Entrambi i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili.
(omissis)
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente M.L. al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di duemila euro alla cassa delle ammende.